I.
Pietro Benu si fermò un momento davanti alla chiesetta del Rosario.
"È
appena la una" pensò. "Forse è troppo presto per andare
dai Noina. Dormiranno, forse. Quella gente è ricca e si prende tutti
i comodi."
Dopo un momento d'esitazione riprese la strada, dirigendosi al vicinato di
Sant'Ussula, che è all'estremità di Nuoro.
Era ai primi di settembre; il sole ancora ardentissimo saettava le straducce
deserte; solo qualche cagnolino affamato passava lungo le strisce d'ombra merlata
che si stendevano davanti alle casette di pietra.
Il roteare d'un molino a vapore interrompeva, in lontananza, il silenzio meridiano;
e quel rumore ansante e palpitante pareva l'unica pulsazione della piccola
città arsa dal sole.
Pietro, seguito dalla sua corta ombra, animò per qualche momento, col
rumore dei suoi scarponi, la solitudine della strada desolata che dalla chiesetta
del Rosario va al cimitero; di là egli s'internò nel vicinato
di Sant'Ussula, indugiandosi a guardare i piccoli orti invasi da una vegetazione
selvaggia, i cortiletti ombreggiati da qualche caprifico, da qualche mandorlo
e da meschini pergolati; e finalmente si fermò ed entrò in una
bettola sulla cui insegna stava issata una scopa.
Il bettoliere, un toscano ex-carbonaio, che aveva sposato una paesana di cattivi
costumi, stava coricato sull'unica panca della Rivendita - com'egli chiamava
dignitosamente il suo buco - e dovette alzarsi per lasciar sedere l'avventore.
Lo guardò, lo riconobbe, gli sorrise coi suoi grandi occhi chiari e
maliziosi.
"
Salute, Pietro", gli disse, con un bizzarro linguaggio, nel quale sul
puro senese il dialetto sardo s'era impresso come la patina sull'oro; "che
cosa cerchi da queste parti?"
"
Qualche cosa cerco! Dammi da bere", rispose Pietro con un certo disprezzo.
Il toscano gli diede da bere, guardandolo coi grandi occhi infantili sempre
sorridenti.
"
Scommettiamo che so dove vai? Vai da Nicola Noina, al cui servizio vuoi entrare.
Ebbè, ti avrò per cliente e ne sarò contento."
"
Come diavolo lo sai?", domandò Pietro.
"
Ma... l'ho saputo da mia moglie: le donne sanno tutto. L'avrà saputo
dalla tua Sabina..."
Pietro s'accigliò alquanto, pensando Sabina in relazione con la moglie
del toscano; ma poi scosse la testa, obliquamente, da destra a sinistra, con
un gesto sprezzante che gli era abituale, e tornò sereno; una serenità incosciente
che tuttavia aveva qualcosa di sarcastico.
Anzitutto Sabina non era affatto sua. L'aveva incontrata durante le ultime
mietiture, e una notte di luna piena, mentre nell'aia le formiche, in lunghe
file silenziose, rapivano il grano, egli, addormentato a bocca a terra, aveva
sognato di sposare la fanciulla. Sabina era graziosa: bianca, con un ciuffo
di capelli biondi sulla fronte pura. E si mostrava tenera con Pietro e l'avrebbe
amato volentieri; ma egli, svegliandosi dal suo sogno, aveva preso tempo per
risolversi, e ancora non s'era deciso a dichiararle la sua simpatia.
"
Chi è questa Sabina?", domandò, guardando il bicchiere vuoto
rosso di vino.
"
Bah, non fare lo sciocco! La nipote di zio Nicola Noina!", disse il toscano.
Egli dava il titolo di zio e zia, che i nuoresi danno solo alle persone anziane
del popolo, anche ai bambini, alle fanciulle ed ai signori.
"
Non lo sapevo, in verità", mentì Pietro. "Sabina ha
detto che io voglio entrare al servizio dello zio?"
"
Non so: l'ho pensato io."
"
Eh, tu hai poco da fare, piccolo forestiero", riprese Pietro, col suo
gesto sprezzante, "e pensi quello che ti pare e piace. Ebbene, se io volessi
davvero entrare al servizio di Nicola Noina, che importa a te?"
"
Ne sarei contento, ripeto."
"
E allora, dimmi, che razza di gente è la famiglia Noina?"
"
Tu che sei nuorese lo devi saper meglio d'un forestiere", si schermì il
bettoliere, che aveva preso in mano una specie di piumino di ritagli di carta
e scacciava le mosche da un cestino di frutta messo in mostra vicino alla porta.
"
Un forestiere vicino ne sa più di un compaesano lontano."
Senza smettere di scacciare le mosche, il bettoliere prese a chiacchierare
come una donnicciuola.
"
I Noina sono i re del vicinato, lo sai, sebbene siano nuoresi quanto me..."
"
Cosa dici, diavolo? Se la moglie appartiene ad una famiglia di principali [1]
nuoresi?"
"
La moglie sì, ma lui? Chi lo sa di dov'è? Neppure lui lo ricorda. È venuto
a Nuoro con suo padre, uno di quei negozianti errabondi, che comprano olio
da ardere e poi lo rivendono per buono."
"
Così si fanno le fortune! E tu non battezzi il tuo vino?", esclamò Pietro,
versando al suolo le ultime gocce del bicchiere.
Sentiva già un istintivo bisogno di difendere, per amor proprio, il
suo futuro padrone.
"
Nessun bettoliere, a Nuoro, vi dà il vino schietto come il mio",
proseguì l'altro. "Domanda allo stesso zio Nicola che se ne intende..."
"
Ah, è vero, egli è un ubriacone?", domandò Pietro. "Dicono
fosse ubriaco quando, il mese scorso, cadde da cavallo e si ruppe una gamba,
ritornando da Oliena."
"
Non so; forse aveva assaggiati molti campioni di vino! Perché era andato
per comprare del vino. Fatto sta che s'è rotta la gamba ed ora cerca
un servo abile e fidato, perché egli non può più badare
alle cose sue."
"
E la moglie che donna è?"
"
Una donna che non ride mai, come il diavolo. Una vanitosa. Il vero prototipo
delle vostre principalesse, che credono d'aver il mondo entro la loro cuffia
perché posseggono una vigna, un chiuso, una tanca, cavalli e buoi."
"
E ti par poco, piccolo forestiere? E la figlia, come è? Superba?"
"
Zia Maria? Una bella ragazza. Ma bella!", disse l'altro gonfiando le guance. "Quella è buona,
umile, buona massaia. Dicono! Io la credo ancor più superba della madre.
Devono poi essere avare, quelle due donne, avare quanto zio Nicola è allegro
e prodigo. Ma lo tengono dentro il pugno, così, veh, il povero zio Nicola!"
"
Questo non m'importa", disse Pietro, guardando il pugno chiuso del bettoliere. "Basta
che non siano avare con me."
"
Ah, dunque è vero che ci vai?", chiese l'altro, smettendo la sua
faccenda.
"
Se mi pagano bene, sì. Hanno una serva?"
"
Niente. Non hanno avuto mai né servi, né serve. Fanno tutto da
loro. Maria lavora come una bestia; va alla fontana, va a lavare, spazza il
cortile e la strada davanti al cortile. Una vergogna, per gente ricca come
loro."
"
Lavorare non è vergogna. E poi, non dicevi tu, poco fa, che non sono
ricchi?"
"
Si credono, però. Si credono ricchi perché vivono in questo vicinato
di miserabili. L'essere cresciute, specialmente le donne, fra la perpetua miseria
della gente che le circonda, dà loro l'idea d'essere delle regine. Anzi
nella zia Maria la vanità ha un limite, o almeno, è un po' nascosta,
ma la zia Luisa ad ogni parola fa sentire di non aver bisogno di alcuno, di
esser ricca, d'aver la casa piena di provviste e il cassetto colmo di monete. È una
donna schiacciante. Zio Nicola la chiama Madama reale. Non si degna neppure
di uscire a prendere il fresco nello spiazzo, assieme alle altre vicine, come
fa la zia Maria. Se ne sta nel suo cortile, accanto al portone spalancato,
e se qualche donnicciuola le si avvicina bisogna vedere che arie la sua Luisa
assume!..."
"
Ah, dunque", interruppe Pietro, pensieroso, guardando fuori della porta,
verso lo sfondo ardente della straducola, "lui, il padrone non è superbo?"
"
Gli è un burlone ciarliero; niente altro. Si beffa un po' di tutti,
e si mostra bisognoso di denari. È un furbone, caro mio!"
"
E in famiglia vanno d'accordo?"
"
Si capiscono a vicenda come gli uccelli dello stesso nido", disse il forestiere. "Pare
che vadano d'accordo: del resto non fanno mai sapere agli altri i fatti loro."
"
Tu però sembri bene informato; quasi quanto una donnicciuola...",
osservò Pietro, col suo gesto sprezzante.
"
Cosa vuoi? Qui è un luogo di chiacchiere; tutti convengono qui, come
le api all'alveare", riprese il toscano, con un bel paragone che fece
sorridere Pietro. "Io ascolto e ripeto..."
"
Quando avrò bisogno di saper qualche cosa, allora, verrò qui..."
"
Mi pare che ci sei già venuto..."
Pietro sbottonò una specie di borsetta applicata alla sua cintura di
cuoio, e trasse una moneta d'argento.
"
Pago. E tua moglie dov'è?"
"
L'è andata a cogliere fichi d'India", rispose l'altro, sbattendo
sul banco la moneta, per accertarsi che non era falsa.
Pietro pensò alla moglie del bettoliere, una bellissima donna dai grandi
occhi neri, presso la quale anch'egli una volta aveva passato qualche ora;
e per concatenazione d'idee domandò:
"
E cosa si dice di Maria Noina? È onesta?"
"
Ostia, son cose neppure da domandarsi!", gridò l'altro. "La
figlia di zio Nicola Noina? Lo specchio dell'onestà."
"
E fa all'amore, almeno questo specchio?"
"
Niente. Vuole un partitone, quella..."
"
Ebbè, glielo porteremo dal continente", disse Pietro guardando
con beffe il forestiere.
Avrebbe voluto sapere altre cose, ma ebbe timore che il bettoliere andasse
poi a riferire le sue domande ai Noina, e si alzò.
"
Spero rivederci, Pietro. Fa il contratto con zio Nicola, sai: è un buon
uomo, dopo tutto. Tieni duro e vedrai che ti darà tutto quello che vorrai."
"
Grazie del consiglio; ma io non vado là", mentì ancora Pietro.
Invece, appena fuori, voltò a destra e s'avvicinò alla casa dei
Noina.
Invero, la casetta, bianca e quieta dietro l'alto muro del cortile, pareva
guardasse con disprezzo le catapecchie ammucchiate qua e là intorno
allo spiazzo e lungo la straducola polverosa. Pietro spinse senz'altro il portone
rosso socchiuso ed entrò.
A destra del vasto cortile, lastricato di ciottoli, arso dal sole, pulito e
ordinato, Pietro vide una tettoia che funzionava da stalla e da rimessa: a
sinistra biancheggiava la casa, con la scala esterna, di granito, rallegrata
da ciuffi freschi di campanule attorcigliate alla ringhiera di ferro.
Con ordine quasi simmetrico stavano qua e là disposti molti attrezzi
contadineschi: un carro sardo, vecchie ruote, aratri, zappe, gioghi, pungoli,
bastoni.
Sotto la scala s'apriva una porta; più in là un'altra porta di
legno affumicato, con uno sportello in alto, indicava l'ingresso della cucina.
Pietro si diresse là, guardò dallo sportello aperto e salutò.
"
E ite fachies? Che fate?"
"
Entra", rispose senz'altro una donna bassa e pingue, dal lungo viso bianco
e calmo, incorniciato da una benda di tela tinta con lo zafferano.
Pietro Benu spinse la porta ed entrò.
"
Volevo parlare con zio Nicola."
"
Ora lo chiamerò. Siediti."
Il giovane sedette davanti al focolare spento, mentre zia Luisa usciva nel
cortile e saliva le scale col suo passo lento e grave.
La cucina rassomigliava a tutte le cucine sarde: larga, col pavimento di mattoni,
il soffitto di canne annerite dal fumo; grandi casseruole di rame lucenti,
arnesi per fare il pane, spiedi enormi e taglieri di legno pendevano dalle
pareti brune. Su uno dei fornelli praticati sul grande forno semicircolare
bolliva una piccola caffettiera di rame.
Sopra uno sgabello, vicino alla porta, Pietro osservò un canestro d'asfodelo
col necessario per cucire e una camicia da donna con un ricamo sardo appena
incominciato. Doveva essere il lavoro di Maria. Dov'era a quell'ora la fanciulla?
Forse era andata a lavare, nel torrente della valle, perché durante
il tempo che Pietro stette lì ella non si lasciò vedere.
Solo, dopo un momento, rientrò zia Luisa, bianca, impassibile, con la
bocca stretta e il corsetto allacciato nonostante il caldo soffocante; e il
passo d'un uomo zoppo risuonò nel cortile.
Appena il giovine servo vide la figura bonaria, il viso colorito e gli occhi
brillanti di zio Nicola, si rallegrò tutto.
"
Come va?", chiese il proprietario, sedendosi con qualche stento su una
larga sedia di paglia.
"
Bene", rispose Pietro.
Zio Nicola allungò la gamba sana, fece una lieve smorfia di dolore,
ma subito si ricompose. Zia Luisa scostò la caffettiera dal fuoco, e
si rimise a filare, col piccolo fuso sardo gonfio di lana bianca. Così bassa
e tonda, quasi solenne nell'antico costume nuorese, con la gonna di orbace
orlata di verde, con la benda gialla intorno al grande volto enigmatico, con
le labbra strette e gli occhi chiari e freddi, ella pareva un idolo e incuteva
una soggezione religiosa quanto il marito ispirava confidenza.
"
So che cercate un servo", disse Pietro, spiegando e ripiegando la sua
lunga berretta nera. "Se mi volete, vengo io. Finisco ora a settembre
il servizio da Antoni Ghisu, e se volete..."
"
Giovinotto", rispose zio Nicola, fissandolo coi suoi occhi brillanti, "non
ti offenderai se ti dico una cosa: tu non godi una fama spiccata..."
Anche Pietro aveva gli occhi grigi luminosi e sostenne quasi insolentemente
lo sguardo di zio Nicola: benché sentisse le orecchie ardergli per l'offesa,
disse pacatamente:
"
E informatevi, allora...".
"
Non offenderti", disse zia Luisa, parlando a denti stretti e quasi senza
aprire bocca. "Son voci che corrono, e Nicola è un burlone."
"
Ma che voci, zia Luisa mia? Che possono dire di me? Non ho mai avuto che fare
con la giustizia, io. Lavoro di giorno e dormo di notte. Rispetto il padrone,
le donne, i bambini. Considero come mia la casa ove spezzo il pane e bevo il
vino. Non ho mai rubato un'agugliata di filo. Che possono dire di me?",
egli chiese, accendendosi in volto.
Zio Nicola non cessava di guardarlo, e sorrideva. Fra la sua barba rossigna
e i baffi neri spiccavano le sue labbra fresche e i denti giovanili.
"
Eh, dicono soltanto che sei manesco e rabbioso", esclamò, "e
infatti mi pare che ti arrabbi, ora. Vuoi il bastone?"
Gli porse il bastone, accennandogli di bastonare qualcuno, e Pietro rise.
"
Ecco", confessò, "non nego che sono stato un ragazzo discolo;
scavalcavo tutti i muri, salivo su tutti gli alberi, bastonavo i compagni e
correvo sul dorso nudo di cavalli indomiti. Ma chi da ragazzo non è stato
così? Qualche volta mia madre, poveretta, mi legava e mi chiudeva in
casa; io rosicchiavo la cordicella e scappavo. Ma ben presto conobbi il dolore.
Mia madre morì, il tetto della nostra casetta profondò; conobbi
il freddo, la fame, l'abbandono, la malattia. Le mie due vecchie zie mi aiutarono,
ma sono così povere! Allora compresi la vita. Eh, diavolo; la fame è una
buona maestra! Mi misi a servire, imparai ad obbedire e a lavorare. E ora lavoro:
e appena potrò rifare la mia casetta rovinata, e comprarmi un carro,
un paio di buoi, un cane, prenderò moglie..."
"
Ah, diavolo, diavolo per prender moglie ci vogliono delle vivande...",
disse zio Nicola, servendosi di un vecchio proverbio sardo.
Zia Luisa filava e ascoltava, e una piccola piega le increspava la guancia
destra, intorno alla bocca.
"
Questi pezzenti! Muoiono di fame e sognano di ammogliarsi!", pensava.
"
Basta", disse zio Nicola, battendo il bastone sulla pietra del focolare, "ora
parliamo del nostro affare e vediamo di combinare."
E combinarono.
II.
Il quindici settembre Pietro entrò al servizio dei Noina. Era di sera;
una sera nuvolosa e tetra, il cui ricordo rimase impresso nella mente del giovine
servo come il ricordo di un triste sogno.
Le donne lo accolsero con freddezza, quasi con diffidenza, ed egli si sentì triste
quando entrò nella cucina ancora buia e attaccò il suo cappotto
nell'angolo vicino alla porta.
Maria accese il lume e versò da bere al nuovo venuto.
"
Bevi", gli disse, guardandolo acutamente.
"
Salute a tutti", rispose Pietro; e mentre beveva il vino rossastro, il
vino di media qualità riservato ai servi ed alle persone povere, anche
egli fissò la giovine padrona.
Così vicini, bellissimi entrambi, nei loro costumi caratteristici, servo
e padrona apparivano, ed erano campioni magnifici d'una stessa razza; eppure
una distanza enorme li divideva.
Pietro era alto e pieghevole; indossava un giubbone di scarlatto scolorito
dall'uso, foderato di grosso velluto turchino, e al di sopra del giubbone una
specie di giacca senza maniche, di pelle d'agnello conciata rozzamente, ma
ben tagliata e lavorata e adorna di filetti rossi. La sua figura era elegante
e pittoresca, nonostante la poca nettezza delle sue vesti da lavoratore. Anche
il suo volto era bronzino, con un profilo purissimo, allungato dalla linea
dei capelli neri dritti sulla fronte e dalla barbetta nera a punta.
I grandi occhi grigi, assai dolci e luminosi, contrastavano con l'espressione
selvaggia delle sopracciglia folte e riunite, e delle labbra sprezzanti.
Anche la giovine padrona era alta, bruna, agile; coi suoi capelli nerissimi
e crespi, raccolti in grosse trecce sulla nuca, la carnagione dorata, i lunghi
occhi neri che brillavano sotto la fronte bassa, i cerchi d'oro coi pendenti
di corallo che parevano nati assieme con le piccole orecchie diafane, ella
ricordava le donne arabe nate dal sole e dalla terra voluttuosa, dolci e aspre
come i frutti selvatici.
Una linea d'impareggiabile bellezza segnava la delicata punta del naso, il
labbro inferiore e il mento di Maria. Quando ella rideva, due fossette scavavano
le sue guance e altre due, più piccole, gli angoli degli occhi: perciò rideva
spesso.
Con tutto questo Maria dispiacque a Pietro, e Pietro dispiacque a lei.
Zia Luisa, col corsetto allacciato e il capo avvolto nella benda gialla, preparava
la cena; zio Nicola non era ancora rientrato.
Pietro sedette in un angolo, dietro la porta, e cominciò ad osservare
le due donne con curiosità diffidente.
"
Domani tu andrai nel nostro chiuso della valle; tu sai dov'è?",
chiese Maria.
"
Altro che", rispose Pietro, sollevando la testa col solito gesto sprezzante.
"
Il chiuso confina con la vigna", disse zia Luisa, senza voltarsi. "Saprai
anche questo."
"
Lo so, lo so. Chi non conosce la vostra vigna?"
"
Sì, è la più bella vigna di Baddemanna" disse la
vecchia padrona. "Ci costa, e Nicola Noina ha speso, oltre i suoi soldi,
tutto il suo tempo per coltivarla; ma almeno sappiamo che abbiamo una vigna!"
"
Lo sappiamo", rispose il servo, come una eco, ma con voce triste.
"
Verrò spesso a trovarti", disse Maria, curvandosi per deporre una
bottiglia vicino a Pietro.
Poi gli mise davanti, su uno sgabello, un canestro col pane d'orzo, il formaggio,
un piatto con carne e pomi di terra, e aggiunse:
"
Mangia. Ecco il babbo che viene".
Nel cortile silenzioso s'udì il passo zoppicante di zio Nicola, e Pietro
si rallegrò pensando al padrone.
"
Salute, e benvenuto", salutò questi, entrando nella cucina. "Che
brutta sera: la mia gamba soffre come una donna in parto. Ebbene, mangiamo
anche noi. E sta allegro, Pietro Benu; sei fra gente amica, tra persone oneste
e allegre. Sì: poveretti ma allegretti."
Zio Nicola sedette davanti a un piccolo tavolo senza tovaglia; le donne misero
un canestro per terra, sedettero e cenarono.
La conversazione continuò, poco animata. Dopo cena Pietro chiese il
permesso di uscire; incontrò altri giovini paesani coi quali s'era dato
appuntamento, e tutti insieme formarono il coro del canto nuorese e andarono
a cantare davanti alla porta delle loro innamorate.
Anche Pietro volle cantare sotto le finestre della casa dove Sabina serviva:
Furadu m'as su coro, pili brunda...
Nei giorni seguenti Pietro fu mandato a lavorare nel chiuso ed a guardare
l'uva e i frutti che maturavano nella vigna.
Come aveva annunziato, Maria scendeva nella valle quasi tutti i giorni, a piedi
od a cavallo, e pareva non curarsi del giovine servo; talvolta ella ripartiva
senza avergli rivolta una parola.
Pietro, che costruiva una specie di argine lungo il ruscello, in fondo al podere,
vedeva Maria vagare tra i filari della vite, lassù, nella vigna illuminata
dal sole ancora violento. Al di sopra della vigna sorgevano le rocce chiare
dell'Orthobene, battute dal sole, e al di sopra delle rocce sul cielo azzurro
abbagliante, gli elci immobili pareva guardassero pensosi l'orizzonte opposto.
Una vegetazione selvaggia copriva i fianchi della valle; tra il verde cinereo
dei fichi d'India e degli olivi brillava il verde smeraldino della vite, e
la vitalba s'intrecciava al lentischio lucente.
Qualche roccia, forse un giorno precipitata dalla montagna, sorgeva qua e là negli
anfratti e in riva al torrentello che rinfrescava i piccoli orti in fondo alla
valle. L'edera e la pervinca coprivano le rocce; i sentieri appena tracciati
scendevano e salivano, tra i rovi e i cespugli; macchie gigantesche di fichi
d'India, dalle foglie pesanti nate le une sulle altre, incoronate di frutti
e di fiori d'oro, sorgevano sui ciglioni e s'arrampicavano sulle chine.
Maria, in semplice gonnella d'indiana grigiastra, col bustino di velluto verde
che appariva come una macchia un po' morbida e viva fra il verde della vigna
e dell'oliveto, vagava qua e là a passi svelti, agile e pieghevole;
si curvava ad esaminare i grappoli; si allungava per toccare un frutto quasi
maturo, spiccava con una canna i fichi d'India dorati. Come certi insetti verdi
che prendono il colore del cespuglio ove son nati ella pareva un'emanazione
della valle feconda; aveva la flessibilità della vite e la maturità carnosa
del fico d'India.
Ma, appunto come il fico d'India, non sapeva nascondere le sue spine, e Pietro
la guardava con occhi torvi, accorgendosi che ella lo disprezzava, non solo,
ma diffidava di lui.
"
Ella viene qui per vigilarmi", pensava. "Ha paura che le porti via
la sua roba; se mi provoca le insegno io la creanza. Le do uno schiaffo."
Ma ella non lo provocava; solo qualche volta gli rivolgeva la parola, accennandogli
i lavori da eseguire.
Era fredda e dignitosa: Pietro cominciava ad odiarla, e desiderava andarsene
presto dal chiuso per non veder più il viso ipocrita e gli occhi scrutatori
che lo insultavano tacitamente.
"
Si vede che questa gente non ha mai avuto dei servitori", egli pensava,
e per dispetto, per puntiglio, lavorava alacremente, vegliava, non toccava
un solo frutto.
Un giorno, in ottobre, mentre egli tagliava i pampini perché il sole
penetrasse meglio fino ai grappoli, Maria gli passò vicino e disse:
"
Perché non mangi mai uva, Pietro?".
"
Conti i grappoli, dunque?", egli rispose, curvo, ma sollevando gli occhi
per guardarla e scuotendo la testa col suo gesto sprezzante.
Maria arrossì: capiva d'essersi tradita, ma cambiò abilmente
discorso.
"
Pietro", disse, riparandosi gli occhi con la mano per guardar meglio verso
il confine della vigna, dove s'allineavano i peri dalle foglie gialle, carichi
di frutti maturi che al sole parevano di cera pronti a liquefarsi, "dopodomani
coglieremo le pere."
Anch'egli guardò verso i peri.
"
Come volete."
"
Senti: tu, dopodomani mattina cogli le pere, ed io nel pomeriggio vengo qui
col cavallo e le porto via. Credi tu che bastino quattro cestini? Farò due
viaggi."
Siccome Pietro s'allontanava tra i filari con un fascio di pampini fra le braccia,
ella gli andò dietro.
"
Che annata di pere! L'anno scorso ce le hanno tutte rubate. Quest'anno le venderemo
e ne ricaveremo almeno una ventina di lire. Cosa dici tu Pietro?"
"
Io? Non so. Non ho mai venduto pere."
"
Sì, ce le hanno rubate, l'anno scorso. Quest'anno tu le hai ben guardate:
ti regalerò mezza dozzina di sigari."
"
Io non fumo", egli disse, quasi beffardo.
Ma la giovine padrona si mostrava così espansiva e buona, quel giorno,
ch'egli si domandò se non s'era ingannato giudicandola cattiva.
Ma mentre egli gettava un altro fascio di pampini in fondo al filare, Maria
gli disse:
"
Senti, Pietro. Meglio, dopodomani verrò prestino, verso le due pomeridiane.
Coglieremo assieme le pere e le porteremo via in una sola volta".
"
Ecco, ella ha paura che nel coglierle io ne metta a parte un mucchio. Ah! avarona,
sorniona indiavolata..."
Ma d'improvviso ella pronunziò tre parole magiche, che lo rallegrarono
tutto.
"
Farò venir Sabina..."
E verrà Sabina, e verrà Sabina, continuò a ripetere Pietro
fra sé, anche dopo l'invocata partenza di Maria.
Le mosche, gli insetti nascosti fra i pampini, il picchio che batteva il becco
sul pioppo bianco del ruscello, l'usignolo che gorgheggiava sul noce, le foglie
che sussurravano, ogni pietruzza che rotolava sulla china, ripetevano le due
buone parole.
Solo nella serenità chiara del crepuscolo, il giovine servo sentiva
il suo cuore palpitare di gioia. Tutto ciò che v'era di torbido nella
sua anima ardente e scontrosa dileguavasi come la nebbia al sorgere del sole.
"
Verrà Sabina."
Fra le macchie giallognole dorate dall'ultimo riflesso del tramonto appariva
e spariva un ciuffo di capelli biondi... Versi appassionati d'antiche canzoni
echeggiavano nelle lontananze azzurre, fra le rocce dove ancora vagano gli
spiriti dei vecchi poeti selvaggi.
Quando alla luminosità cerula del crepuscolo si fusero i primi bagliori
della luna nuova che declinava dietro gli olivi, e una scintilla brillò tra
il pioppo e il noce, nell'acqua corrente, Pietro risalì verso la capanna,
e si stese su un muricciuolo, con gli occhi perduti verso lo sfondo della montagna.
La brezza spirava così leggera che le foglie non avevano più un
sussurro; solo un brivido silenzioso cangiava soavemente la tinta dei pampini
e degli olivi, che il riflesso della luna spruzzava di perle. Un coro di grilli
saliva dai cespugli; s'udiva il rumore uguale del ruscello, e un carro, lontano,
roteava nello stradale bianco alla luna, sospeso quasi fra la valle e la montagna:
e quei rumori vaghi, melanconici, sempre eguali, accrescevano il senso di silenzio
e di solitudine dominante intorno al giovine servo. Egli gustava inconsapevolmente
la dolcezza dell'ora. Il sonnolento benessere del riposo e del fresco, dopo
una calda giornata di lavoro, gli copriva la persona come una coltre di velluto;
qualche cosa di vaporoso, simile alla luce vaga del novilunio gli irrorava
l'anima primitiva: erano sogni semplici di paesano, desideri d'uomo giovine,
immagini di poeta contadino.
"
Verrà Sabina." E il mondo dei sogni, dei desideri, delle immagini
si allargava, si allargava in grandi cerchi crepuscolari; il presente si confondeva
con l'avvenire, il bisogno ardente di baci impetuosi con la speranza di mangiare
un giorno nello stesso canestro con la donnina bionda e buona massaia.
"
Ella verrà", pensava il servo con un brivido di voluttà. "Se
quell'altra indiavolata ci lascerà soli, io la prenderò e la
bacerò così. come un pazzo. Ella ha la bocca fresca come una
ciliegia..."
Il desiderio ardente si smorzava in un sogno positivo:
"
Avremo una casetta, un carro, un paio di buoi: ella farà il pane, io
andrò in qualche lavorazione per guadagnare di più...".
La luna sorrideva ai sogni di Pietro, come sorrideva ai sogni e buoni e rei
di altri sognatori dispersi nei campi, simile a una regina che sorride a tutti
senza veder nessuno.
L'indomani Maria non venne al podere. Pietro si inquietò alquanto,
sebbene lo confortasse la speranza poco pietosa d'un accidente sopravvenuto
alla giovine padrona: salì fino allo stradale e scrutò la lontananza.
Passavano donne e fanciulli carichi di cestini di fichi d'India, carri colmi
d'uva, paesani d'Oliena sui piccoli cavalli rassegnati: Maria non venne.
"
Diavolo", pensò Pietro, ritornando alla vigna, "ecco, la prima
volta che l'aspetto ella non viene. Vada al diavolo!"
Anche l'indomani, anima viva non turbò la solitudine del podere; ma
a misura che le ore passavano, Pietro sentiva una inquietudine insolita. Verranno?
Non verranno? Il sole varcò il centro del cielo, le ombre degli olivi
cominciarono ad allungarsi. Ed ecco, il cane, legato sotto i peri dorati, cominciò ad
abbaiare, ergendosi sulle zampe posteriori, coi piccoli occhi rossi rivolti
allo stradale. Pietro indovinò, ancora prima di guardare.
Maria e Sabina, entrambe a cavallo, scendevano galoppando come due spiritate:
fra un nembo di polvere grigia apparivano i loro visi rossi, illuminati dal
sole del pomeriggio, e i cavalli lucenti di sudore che si sbattevano furiosamente
la coda sui fianchi.
Giunte davanti al cancello smontarono, e scesero nella vigna tirandosi dietro
i cavalli che allungavano il collo per strappare qualche foglia dagli alberi.
Pietro non s'era mosso, nonostante il suo vivo desiderio di andare incontro
alle fanciulle, ma il cuore gli batteva, e appena Maria varcò il limite
della vigna egli si alzò e salutò.
"
Ebbene, Pietro, che nuove?", gridò Sabina, tirando forte la corda
del cavallo. "Da quando non ci vediamo!"
Egli la guardò fisso e le sorrise.
"
Da' qui", disse, aiutandola a legare il cavallo ed a scaricar la bisaccia
gonfia che conteneva due grandi cestini di canna, mentre Maria si arrabattava
a legare l'altro cavallo, che aveva cacciato il muso entro un cespuglio e si
scuoteva tutto.
Sabina era molto ben vestita, con un bustino di velluto rosso e la camicia
bianchissima; il fazzoletto slegato lasciava scorgere il collo nudo, lungo
e bianco, circondato da cordoncini di seta nera.
La sua bellezza delicata e pura non offuscava certo la voluttuosa bellezza
di Maria; ma più che bella Sabina era graziosa, e la ciocca di capelli
che le sfuggiva dal fazzoletto e le velava la fronte e talvolta anche gli occhi
le dava un'aria infantile.
Come ella piaceva a Pietro! Gli occhi di lei, chiari e languidi, un po' socchiusi,
lo affascinavano.
Legato il cavallo, ella sedette per terra e si levò le scarpe. Il servo
la guardava con insistenza, ed ella se ne accorgeva con piacere; ma ad un tratto
Maria, rossa e sudata, si volse e gridò sdegnosamente:
"
Pietro, sei incantato? Potresti venire a legare questa bestia infernale che
ti somiglia".
Egli non rispose. S'avvicinò e legò il cavallo. Un'ombra gli
aveva oscurato il viso.
Anche Maria si levò le scarpe e ricominciò a gridare, incitando
il servo a sbrigarsi.
"
Presto, presto, presto. Tu hai del tempo, Pietro Benu, ma noi abbiamo fretta.
Presto, che il diavolo ti comandi."
Allora egli s'arrampicò su una pianta, con un cestino al braccio, e
cominciò a staccare le pere.
Le due cugine coglievano i frutti dai rami bassi, e ridevano fra loro, ammiccandosi
e spingendosi. Qualche volta tendevano il grembiale già a metà colmo
e Pietro lasciava cadere qualche pera meno matura che rimbalzava fra le altre.
"
A me, ora."
"
No, a me."
"
Sempre a te", disse Maria, tendendo il suo grembiale. "Pietro, a
me, ora: attento! Ecco."
"
No, a me", gridò Sabina, spingendo la cugina. "Su, quella
là, vedi, quella pera che sembra d'oro."
"
Sì, a te; attenta, te la butto sul seno!", egli rispose, sorridendo
e fissando il viso sollevato di lei.
Infatti il bel frutto maturo le sfiorò il petto, balzò sul grembiale,
ne fece cadere il contenuto.
"
Ah", gridò Sabina, infantilmente spaventata, mentre Maria curvavasi
già a raccogliere le pere cadute per terra. "Maria, non sgridarmi!"
Col viso tra il fogliame d'oro Pietro rideva come un bambino. Un momento si
fermò e guardò le due cugine che si bisticciavano.
"
Tu mi hai spinto..."
"
No, sei stata tu, tu che hai lasciato andar le cocche del grembiale."
"
Pietro, chi è stato?", chiesero, sollevando entrambe il viso.
"
Ebbene, sono stato io!"
Esse risero, e per la prima volta Pietro s'accorse delle fossette di Maria,
e vide che vicino al viso ardente e al busto agile e colmo della cugina, Sabina
appariva pallida e magra.
"
Uno è fatto", egli disse, scivolando agilmente dal pero. Giunto
a terra salutò l'albero spoglio facendo un segno di addio. "All'anno
venturo, se vivremo!"
Maria gli tolse il cestino dal braccio e s'allontanò alquanto per vuotare
le pere nella bisaccia.
"
Perché mi guardi così?", domandò Sabina, incontrando
lo sguardo di Pietro.
"
Ho da dirti due parole", egli rispose, abbracciando il tronco d'un altro
pero.
Ella intese: ella sapeva già quali erano queste "due" grandi
e misteriose parole. Da tempo le aspettava, e avrebbe voluto sentirle subito.
Ma la cugina ritornava. Un fugace rossore colorì il viso pallido della
giovine serva; i suoi occhi languidi brillarono, e la sua voce tremò di
desiderio:
"
Dimmele ora, Pietro...".
"
Un altro giorno", egli disse, piano, accennando Maria con gli occhi.
"
Verrai alla vendemmia, non è vero?"
Ella non rispose; ma a Pietro che s'arrampicava sul pero, pareva di salire
verso il cielo. Sì, ella lo amava, poiché aveva arrossito e tremato.
I loro occhi avevano parlato.
Da quel momento i due giovani non risero, non scherzarono, non parlarono più.
Pietro coglieva le pere dai rami alti; le due cugine quelle dai rami bassi.
Qualche pera cadeva da sé. Il sole attraversava il fogliame lucente,
e i bei frutti, tiepidi e molli, profumavano l'aria d'intorno.
Invano Maria cercò di riaccender la conversazione: gli altri due tacevano.
Sabina, ridiventata pallida, non osava più sollevare il volto e nascondeva
tra le foglie del pero le mani tremanti; Pietro, con le gambe aperte e i piedi
appoggiati su due rami, sentiva nel viso tutto il calore del sole pomeridiano,
e i suoi occhi pareva riflettessero lo scintillio degli olivi ondeggianti sulla
china.
Terminata la raccolta delle pere, egli caricò le bisacce colme sulla
groppa dei cavalli, e le due cugine si rimisero le scarpe. Maria non si allontanò una
sola volta; pareva lo facesse apposta. Al momento di partire disse:
"
Vogliamo fare il giro del podere, cugina?".
"
Sicuro", rispose Sabina.
"
Vuoi girare anche tu, Pietro Benu?", chiese allora Maria deridendo il
giovine servo che si affannava intorno ai cavalli scalpitanti.
"
Il diavolo vi raggiri", egli rispose, indispettito.
Le ragazze si misero a ridere, e corsero via, giù per il piccolo sentiero
soleggiato, spingendosi per le spalle.
Non seppe veramente perché, Pietro diventò triste. Seguiva con
lo sguardo le due cugine e le vedeva scendere giù per il sentiero, correndo
e ridendo. Poi esse scomparvero fra le macchie, riapparvero vicino al ruscello,
coi loro corsetti colorati come fiori. Il riso sonoro di Maria si fondeva col
rumorio dell'acqua corrente: Sabina, curva sulla piccola cascata sotto il noce,
si lavò il viso e lo asciugò col lembo della sottana.
D'un tratto ella guardò in alto, lontano, verso il punto ov'era Pietro,
e sollevò una mano: poi disse qualche cosa a Maria. Entrambe scoppiarono
a ridere. "Sì", pensò Pietro, "devono parlare
di me!" Sabina forse confidava alla ricca cugina la mezza dichiarazione
d'amore ricevuta dal servo, ed entrambe ne ridevano. No, Sabina non l'amava;
egli s'era scioccamente ingannato. Anche lei doveva essere ambiziosa come la
cugina ricca, ed egli era povero, non aveva casa, non possedeva neppur un carro,
un paio di buoi, un aratro.
E Maria, ora che sapeva il segreto del suo cuore, lo avrebbe continuamente
deriso.
Quasi certo che le due ragazze si beffavano di lui, Pietro volse le spalle
indispettito e s'allontanò.
"
Addio", gli disse Sabina, tirandosi dietro, su per la china, il cavallo
carico.
Egli la guardò, ma non rispose. Ella si volse parecchie volte, e giunta
sullo stradale s'affacciò sul paracarri. Poi le macchiette colorate
delle due cugine, coi loro cavalli carichi, sparvero allo svolto dello stradale,
nella luce rossa del tramonto che incendiava le rocce della montagna, e Pietro
rimase solo nell'ombra della valle. Anche sull'anima sua era caduto un velo
d'ombra.
"
Ho fatto male a indispettirmi", pensava. "No, ella non rideva di
me; ella mi vuol bene. Ma io son povero, e il povero è come l'ammalato;
ogni piccolo urto lo fa soffrire. Basta, rimedierò. Ella verrà alla
vendemmia; io la pregherò di venire con me, nel filare ove io coglierò l'uva.
Andremo avanti, avanti, lontani dagli altri, e mentre io con la falciuola spiccherò i
grappoli ed ella li raccoglierà, ci diremo tante cose. Poi io l'aiuterò a
caricarsi il cestino sul capo, e ci guarderemo: forse potrò anche baciarla...
Sì, Maria è più bella, ma Sabina è più buona."
"
Ah, l'altra", pensò dopo un momento, rivedendo con un impulso di
desiderio la figura voluttuosa della giovine padrona, "come è cattiva!
Non ci ha lasciato soli un momento! Vorrei fosse qui, ora; la butterei per
terra, la bacerei morsicandola. Ecco, vipera: tu non vuoi che gli altri si
amino, tu non hai voluto che io baciassi tua cugina. Ecco, a te questi baci
cattivi; a Sabina i baci buoni... Perché tu sei cattiva, e Sabina è buona."
"
Ecco, qui, forse qui. Qui va bene", disse poi a voce alta, fermandosi
sotto una specie di pergolato, dietro una roccia in fondo alla vigna. "Qui
potremo baciarci..."
L'immagine insidiosa di Maria era scomparsa; restava, dietro la roccia coperta
di vite, la dolce figurina della serva bionda, col cestino dell'uva sul capo.
Ma intanto nella vigna erano scese molte cutrettole dalla coda fremente, e
piluccavano l'uva prima di andarsene a dormire nei loro nidi di foglie. E Pietro
dovette svegliarsi dal suo sogno amoroso per correre verso la vigna, battendo
le mani e fischiando. Lo stormo delle cutrettole si sollevò, rumoroso
e allegro, sperdendosi nell'aria pura del primo crepuscolo: la brezza trasportava
giù, fino ai piedi di Pietro, le foglie cadute dai peri.
III.
Ma il giorno della vendemmia Sabina non scese alla vigna.
"
E tua cugina, perché non è venuta?", chiese Pietro a Maria.
La giovine padrona lo guardò con gli occhi maliziosamente socchiusi,
e scosse la testa.
"
Il padrone non glielo ha permesso."
Poi Maria salì alla capanna per cuocere i maccheroni: a mezza china
si fermò con una piccola ragazza dal visetto roseo, chiamata Rosa spinosa,
e Pietro le vide entrambe ridere e accennare verso di lui. Una tristezza rabbiosa
lo assalì come una febbre maligna: per tutta la giornata egli tacque
o pronunziò solo qualche parola sgarbata. Passando vicino alla roccia,
dove aveva sognato di baciare Sabina, stringeva i pugni e sputava.
Sì, le donne lo deridevano. Perché? perché era povero.
Ebbene, egli si rideva delle donne, ecco!
"
O lavori, o do una pedata a te e al tuo cestino", disse rozzamente a Rosa
spinosa, che gli andava dietro scherzando e non raccoglieva i grappoli spiccati
da lui.
Ella si offese, si allontanò, e dal fondo della vigna cominciò a
gridare:
"
Eccolo là, il puledro che dà i calci; se sei di malumore, oggi,
ebbene appiccati a quel fico come Giuda. Lo vuoi il legaccio della mia scarpa,
di', tu, occhi di gatto selvatico?".
Egli non rispose, curvo, intento a spiccare i grappoli con la sua falciuola.
Gli altri vendemmiatori erano tutti allegri; i giovinotti pizzicavano le ragazze
ed esse ridevano e strillavano, agili e dritte, coi cestini colmi d'uva violacea
sul cercine che incoronava le loro graziose teste di arabe provocanti. Qualcosa
di pagano era in quella semplice festa campestre: un'aria di gioia e di voluttà avvolgeva
i bei contadini sani che parlavano come sentivano, e le vendemmiatrici che
avevano solo la coscienza di quel giorno di sole, della dolcezza dell'uva matura,
del contatto coi maschi desiderosi. Solo Pietro taceva, scontento, lontano.
E nessuno si curava di lui.
Due giovinotti presero a cantare, senza smettere il lavoro, improvvisando una
gara estemporanea sulla bellezza delle fanciulle presenti: ma più tardi
la gara degenerò in un battibecco personale; dai versi si venne alla
prosa, e verso il tramonto i due poeti rivali si azzuffarono. Solo allora Pietro
sorrise, ma d'un sorriso quasi feroce; poi aggiogò i buoi ad un carro
colmo d'uva, slegò il cane, prese il pungolo.
Una colonna di nebbia bianca saliva dietro la montagna, sopra i boschi di Monte
Bidde, e un vago umidore errava nell'aria profumata dell'aspro odore dei pampini.
L'estremo autunno s'avanzava, annebbiando l'orizzonte e tingendo di violetto
il tramonto melanconico.
Varcando il rozzo cancello di rami che dava sullo stradale, Pietro non degnò neppure
d'un ultimo sguardo la vigna spogliata, la capanna deserta, dove aveva trascorso
tanti giorni sereni e fantasticato tanti sogni umili e ardenti. Si sentiva
triste, irritato; mai come in quel giorno aveva sentito tutta la desolazione
della sua povertà e del suo abbandono. Oramai era convinto che Sabina
non lo amava: altrimenti sarebbe venuta. Le altre donne, per il momento, gli
riuscivano odiose; gli sembravano tutte civette, fatue, o sensuali e cattive.
Nessuno gli voleva bene; nessuno gliene aveva mai voluto. Non aveva una sorella,
una parente giovine con la quale volersi bene e confortarsi a vicenda. Niente;
solo quei due vecchi stracci di zie curve sotto il peso d'una vita di miseria:
due piccoli fantasmi senza voce.
Egli si sentiva solo nel mondo, e gli pareva che tutti i suoi affetti rientrati,
ammucchiati sul suo cuore, marcissero come frutti che nessuno aveva voluto
cogliere.
Quella sera lo stradale era animato più del solito; carri carichi lo
attraversavano, lenti e gravi, seguiti o guidati dal conduttore che trascinava
il pungolo sulla polvere e cantava canzoni popolari.
Rosa ses pelegrina in sa Sardigna...
Gruppi di contadini e di paesane tornavano chiacchierando dalle vendemmie,
qualche vecchio a cavallo si disegnava sul fondo grigiastro della montagna,
nella vaga nebbia del crepuscolo.
Nell'aria sentivasi sempre più l'odore dei pampini, del mosto, dell'erba
umida; l'uva sui carri aveva vaghi riflessi violacei; le ruote tracciavano
solchi profondi sulla polvere bianca dello stradale; qualche fuoco brillava
già nella valle, qualche tintinnio di capra smarrita vibrava al di sopra
delle rocce, fra i burroni che dominano il ponte di Caparedda. E le voci dei
guidatori risuonavano sempre più sonore, fra il roteare monotono e sordo
dei carri pesanti.
Pietro solo non cantava, istintivamente assorto in quella triste calma di crepuscolo
autunnale: vedeva il solco dei carri che lo precedevano, respirava l'aria umida,
sentiva le voci melanconiche della valle, e la sua anima s'oscurava sempre
più come il cielo e le cose intorno.
E, al solito, nessuno si curava di lui: solo Malafede, il lungo cane nero e
scarno dalle reni tremanti e la fronte segnata da una macchia bianca, lo accompagnava,
serio, con la coda e le orecchie pendenti. Il cane seguiva il segno lasciato
sulla polvere dal pungolo che Pietro si trascinava dietro; ma ogni tanto guardava
il giovine servo coi piccoli occhi rossi, dimenava la coda e sbadigliava con
un piccolo guaito.
"
Che vuoi?", gli chiese Pietro, arrivati che furono a metà strada. "Hai
fame? Anch'io. Mangeremo appena saremo arrivati. E domani, via ancora! Intanto,
andiamo: sta buono."
Il cane guaì più forte, sollevò le orecchie, un po' confortato.
Non era la prima volta che servo e cane discorrevano, ciascuno a modo suo,
e s'intendevano. Spesso Pietro gli diceva:
"
Che differenza c'è fra me e te? Nessuna. Soltanto, io sono un cane che
parla".
Quella sera, poi, egli aggiunse, fra sé:
"
Arrivare, mangiare, ripartire, guardare la roba altrui; io e Malafede siamo
nati per questo. Nessuno pretende altro da noi. Chi ci vuol bene? Nessuno.
Se Malafede ha un'avventura amorosa, un momento dopo non se ne ricorda più;
s'io vado dalla moglie del bettoliere toscano, il giorno dopo incontrandola
non la guardo neanche in faccia, ed ella fa altrettanto. Cane e servo, servo
e cane: è lo stesso".
D'un tratto, vicino alla fonte sotto lo stradale, Rosa spinosa prese un ciottolo
e lo lanciò sulla schiena del cane.
Malafede abbaiò dolorosamente, si mise a correre in avanti poi si fermò e
tentò di leccarsi la ferita.
Pietro si fermò, si volse, cogli occhi lucenti d'ira.
"
Chi è stato?", gridò.
"
Io", rispose la ragazza, spavalda.
"
Ah, tu. Sciocca! prova ad avvicinarti e t'aggiusterò io la testa; ti
farò schizzar l'acqua dal cervello."
Ella gli si avvicinò sfidandolo.
"
Prova!"
Egli strinse il pungolo in mano; poi scosse la testa col suo gesto sprezzante.
"
Non è niente!", disse allora la ragazza. "Facciamo pace. Cos'hai,
Pietro Benu? Hai mangiato delle cavallette, oggi? Tè, Malavì;
tè Malavì!"
Il cane ritornò, correndo, e Rosa cercò di accarezzarlo.
"
Accidenti, servo e cane, siete poco superbi! Ecco che Malafede mi abbaia sul
viso. Lo so, sì, che cosa hai, Pietro Benu; so a che pensi.
Me lo ha detto Maria."
"
Che sai tu? Che può averti detto quella?" egli mormorò con
disprezzo.
Allora, eccitata e perfida, la ragazza gli disse:
"
Maria mi ha detto che sei di cattivo umore perché Sabina non è venuta.
Ma Sabina si beffa di te: è innamorata cotta d'un giovine meno miserabile
e selvatico di te... Ella mi ha consigliato di dirtelo, e di molestarti e provocarti...".
"
Chi, Sabina?"
"
No. Maria."
"
Al diavolo chi l'ha fatta venire sulla terra!"
"
No, non imprecare, Pietro Benu. Maria è gelosa di Sabina."
"
Per cosa?"
"
Per te, stupido!"
Egli rise, come aveva riso nel partire dalla vigna, quando i due cantori estemporanei
si erano azzuffati. E gli parve di non credere alle malignità della
piccola paesana.
Questo fu il seme.
La sera cadeva, sempre più vaporosa e melanconica. Ecco le prime case
di Nuoro, sopra gli orti erbosi; ecco, fra due muri alti, il viottolo ripido
e sporco, dove Pietro doveva passare.
I buoi avanzavano, prudenti e gravi nella loro stanchezza taciturna; un gruppo
di monelli seminudi si gettò sul carro tremolante.
"
Da' qui un grappolo, da' un piccolo grappolo!"
"
Va via, va via", urlò Pietro, destandosi dal suo sogno.
I ragazzetti si arrampicavano sul carro come scarafaggi.
"
Andate via o vi pungo", gridò Pietro, feroce, agitando il pungolo.
Malafede abbaiò; i monelli si ritrassero verso il muro, urlando e ridendo.
Una stella brillava sull'alto del viottolo, sopra le povere case velate dalla
vaporosità della sera. Pietro ricadde nei suoi pensieri. No, egli non
credeva alle malignità della gente, e soprattutto alle chiacchiere delle
donne: eppure... Era assurdo che Maria... basta, neanche bisognava pensarci!...
Il suo sogno tormentoso lo riconduceva sempre a Sabina. Ella sola poteva aver
divulgato il segreto del suo cuore, quel segreto che egli non osava quasi neppure
confidare a se stesso.
Sciocca, cento volte sciocca! Ah, ella aveva un altro amante? Ebbene, andassero
al diavolo tutt'e due! Egli non voleva pensarci più. Eppure... Una figura
di donna, svelta e sottile, in maniche di camicia, passava sull'alto del viottolo.
Era lei? Ah, vederla, gridarle un'insolenza, un vituperio; chiudere così il
breve sogno nato nell'aia, morto nella vigna! Ma non era lei. Era la moglie
del bettoliere toscano, che passava di là per caso.
"
Oh, Pietro Benu, sei tu? Mi dai un grappolo d'uva?"
"
Ma dieci, cuore mio. Prendine, prendine ancora. Fa presto; c'è là dietro
la mia padrona giovine. Dove posso vederti, Franzischedda?"
"
Io sono una donna maritata, ora", disse la donna; e mentre riempiva il
grembiale di grappoli guardava Pietro coi grandi occhi neri cerchiati. Pieni
di un ardente languore.
"
Verrò da te, stasera", egli insisté con voce ardente. "Prendi
ancora, prendi: ti darei tutto, il carro, l'uva, il mio cuore..."
"
Sta zitto; c'è là zio Nicola che t'aspetta, nella piazza del
Rosario."
Pietro spinse i buoi; la donna scomparve.
Ecco infatti avanzarsi zio Nicola, col suo bastone, il suo berrettone, il barbone
rossastro di fiera addomesticata.
"
Salute, Pietro Benu; stanotte canteremo un po' di strofe improvvisate",
disse, guardando l'uva del carro.
"
Perché non siete venuto?"
"
La mia gamba non lo ha permesso, figlio caro."
"
Ah, anche voi siete servo della vostra gamba", disse Pietro con ironia.
Zio Nicola volse il suo barbone rosso verso il giovine e sollevò il
bastone.
"
Ah, tu ridi di me, giovinotto? Perché sono un povero diavolo, mi deridi?
Se fossi stato un ricco padrone..."
"
Ma voi siete ricco, padrone mio!"
"
Padrone, padrone! Bisogna vedere chi è il padrone, fra me e te..."
Intanto erano giunti. Il cane, andato avanti, raschiava il portone con le unghie
e guaiva allegramente.
Zia Luisa aprì.
"
Eccovi finalmente", disse, gettandosi indietro sull'omero il lembo della
benda. "E Maria dov'è?"
"È
rimasta indietro con le vendemmiatrici."
"
Poca roba!", disse zia Luisa, guardando con degnazione il carro dell'uva,
mentre Pietro slegava i buoi. "Poca roba. Meno male che non abbiamo bisogno
di questa miseria per vivere!"
Svegliandosi, dopo un breve sonno pesante, sulla stuoia della cucina dei Noina,
Pietro provò una sensazione dolorosa, come se un masso gli premesse
il cuore. Era avvezzo a svegliarsi pensando a due occhi dolci velati da un
ciuffo di capelli biondi; ora la buona visione non tornava, non sarebbe tornata
più. E invece della luminosità dell'aurora nella valle, lo circondava
l'oscurità silenziosa della cucina; appena un chiarore biancastro irradiava
la tegola di vetro infissa nel tetto ad uso di finestrino.
Ma ecco un rumore di passi nel cortile silenzioso. Chi è? Zia Luisa
che s'alza all'alba, perché di buon'ora si deve alzare la massaia benestante?
La porta fu spinta lievemente, s'aprì, lasciò scorgere lo sfondo
grigio del cortile.
Maria entrò, scalza, agile e silenziosa.
Pietro finse di dormire ancora, ma ogni tanto apriva un po' un occhio e seguiva
con curiosità i movimenti della giovine padrona. Ella aprì lo
sportello della porta e la luce sempre più nitida dell'alba invase la
cucina. Poi Maria si tolse il fazzoletto, si lavò, e a testa nuda, con
le maniche della camicia rimboccate fino ai gomiti, preparò il caffè.
Mentre la caffettiera sussultava forte sui carboni accesi, ella macinò il
caffè, e solo allora parve accorgersi di Pietro. Egli intravide i begli
occhi di lei, un po' socchiusi e ancora sonnolenti, fissarlo a lungo, e provò un
indefinibile senso di benessere. A poco a poco questo vago piacere si fece
intenso, ardente, diventò fascino, desiderio. Pietro sentì il
sangue animarsi nelle sue vene, caldo e palpitante; ma appena ebbe coscienza
del suo desiderio se ne vergognò, arrossì e chiuse le palpebre.
Per alcuni istanti non udì che il rumore monotono del macinino da caffè,
e gli parve un rombo risuonante entro il suo cervello.
Maria gelosa della cugina povera? Ebbene, perché no? Questo segreto,
che la sera prima, nel crepuscolo, nella stanchezza, nel rancore, gli era parso
assurdo, ora lo inebbriava come un liquore amaro. Nel suo desiderio c'era ancora
un po' d'odio; un impeto di ribellione, una segreta smania di vendetta; meno
feroce del primo assalto di desiderio provato il giorno della raccolta delle
pere, ma sempre un po' crudele.
"
Ella è ricca, è ambiziosa", pensava egli, ad occhi chiusi, "non
vorrebbe certo sposarmi, ma amarmi perché no? Son bello io; sono forte,
io. Sì, mi ricordo, un giorno, laggiù nella vigna, la sorpresi
a guardarmi le labbra. Ella non deve aver mai baciato un uomo. Ed ora, anche
ora mi guarda. Se mi alzassi e la baciassi?"
Maria continuava a macinare lentamente il caffè; la caffettiera brontolava,
i carboni accesi scoppiettavano scherzosi. D'un tratto ella si alzò e
si avvicinò al finestruolo; Pietro aprì gli occhi e la guardò,
ma non osò balzare in piedi e correre a baciarla.
Nella luce sempre più rosea del finestrino, i capelli di lei sembravano
più neri e lucenti del solito, e il busto flessuoso e pieno si disegnava
provocante nel corsetto slacciato. Pietro l'accarezzò tutta con lo sguardo,
ma si vergognò ancora del suo desiderio e dei suoi pensieri. Ah, no;
una distanza immensa lo separava da lei; egli era un pezzente, un immondo servo,
uno che la notte strisciava lungo i muri per arrivare al convegno con la moglie
impura di un bettoliere; Maria era bella e pura, doveva essere anche buona,
era il frutto squisito serbato per la bocca d'un uomo ricco e distinto.
"
Ti sei svegliato? Stavo per chiamarti. Alzati, Pietro: c'è tanto da
fare."
La voce era calma, le parole ordinavano. Egli si svegliò completamente
dal suo pazzo sogno, anzi le orecchie gli diventarono scarlatte per la vergogna.
Balzò in piedi, ripiegò la stuoia e fattone un grosso rotolo
lo sollevò e lo appoggiò alla parete; poi uscì nel cortile
per lavarsi con l'acqua del pozzo, mentre Maria batteva la mano sul macinino
per scuoterne il caffè che vuotava entro la caffettiera bollente.
Il sole era appena spuntato, che già il lavoro ferveva nel cortile
e nella cantina. Si pigiava l'uva, e la fatica più grave toccava appunto
al giovine servo.
Sotto la tettoia, sopra il grosso tinaccio nero, stava il pigiatoio, entro
il quale Pietro, nude le gambe e le braccia, la testa rasente alle trave del
tetto e una mano appoggiata al muro, pestava vigorosamente l'uva. Due donne
salivano su per una scaletta a piuoli fissata davanti al tinaccio, e vuotavano
entro il pigiatoio i cestini dell'uva scelta. Le chiazze violacee del mosto
macchiavano le vesti e il viso un po' pallido di Pietro; anche i suoi occhi
parevano cerchiati dal succo dell'uva. Ma egli sembrava allegro; rideva e gridava,
e ogni tanto si curvava per veder meglio nel cortile.
Intorno al carro colmo d'uva due ragazze e un giovinetto, aiutati un po' da
zio Nicola, pulivano i grappoli e li gettavano nei cestini di canna che le
donne si caricavano sul capo e vuotavano nel pigiatoio sui piedi saltellanti
di Pietro.
Come il giorno prima nella vigna, uomini e donne parlavano e ridevano gaiamente.
Zio Nicola pareva il più spensierato di tutti.
Il sole invadeva lentamente il cortile; l'odore del mosto richiamava rumorosi
sciami di mosche e di api.
Di tanto in tanto zio Nicola pizzicava la sua vicina, con la scusa di scacciare
le api che la molestavano: la fanciulla imprecava, minacciava di chiamare zia
Luisa, e poi rideva.
"
Vecchio vizioso, vi possa toccare il fuoco; lasciatemi tranquilla..."
"
Ah, tu non avresti parlato così se invece di un vecchio fossi stato
un giovine, anche vizioso; ma vedi, ecco un'ape che ti punge il collo..."
"
Lasciatela pungere, barba di caprone... Vuol dire che trova del miele."
"
Come, dall'ape ti lasci pungere e da me non ti lasci toccare... perché sono
sciancato? Altrimenti... Vedi la tua compagna come è più docile!..."
"
Ah, vecchio barbuto, chiamo vostra moglie...", strillava l'altra ragazza,
verso la quale zio Nicola aveva steso la mano.
"
Uva, qui!", gridava Pietro, curvandosi sul pigiatoio. "Padrone, così incitate
a lavorare? E cosa fa la padrona?"
"
Che vuoi? Neppure lei sa cosa farsene di me!", sospirava il padrone.
Invece di zia Luisa ogni tanto veniva fuori Maria, con un fazzolettino giallo
sul capo. La sua camicia e il suo corsetto verde smagliavano al sole e richiamavano
lo sguardo di Pietro. Egli guardava il bel viso di lei, le labbra lucenti aperte
al riso, e una fiamma fugace gli attraversava la fronte.
Ma se qualche volta ella, inquieta per il disordine del cortile, e per le mosche
che penetravano anche nella cucina, si avvicinava al tinaccio e al carro e
sollecitava l'opera, Pietro le parlava beffardo.
"
Presto, presto: son già le dieci; se a mezzogiorno non è tutto
finito m'appicco..."
"
Appiccicati pure, ma non tanto in alto, che non si vedano le gambe..."
Una volta ella salì la scaletta e guardò entro il tinaccio; poi
sollevò gli occhi e guardò tranquillamente le gambe bianche e
muscolose di Pietro. Anch'egli la guardava dall'alto, e mentre le diceva con
voce sospettosa:
"
No, non sono di ferro le mie gambe: quando ho finito ho finito", sentiva
una strana gioia sollevargli il cuore.
Perché? Che aveva in sé la giovane padrona, quel giorno, perché al
solo vederla egli si rallegrasse tutto come dopo aver bevuto un bicchiere di
vino d'Oliena?
In cucina zia Luisa, col corsetto allacciato e la benda intorno al viso impassibile,
preparava il desinare per i lavoratori: carne di pecora con patate.
In una pentolina a parte bolliva la carne di bue per zio Nicola.
"
Povero Nicola", pensava zia Luisa che era stata sempre una donna gelosa, "bisogna
trattarlo bene, ora che è così infelice. Gli piacciono le donne,
beve un po' troppo, dopo la sua disgrazia, ma in fondo è un buon uomo.
Bisogna compatirlo: anch'io sembro una donna superba, ma in fondo sono buona.
Soltanto... penso sia bene imporsi al mondo; altrimenti il mondo ci calpesta."
"
Sì", continuò a pensare rimescolando le patate nel tegame, "imponenti
bisogna essere. Imponenti! Ché siamo forse nati tutti eguali? No, ciascuno
al suo posto; da una parte i ricchi, dall'altra i poveri. Far del bene, sì,
questo lo approvo, ma non umiliarsi, non abbassarsi. Il povero Nicola, invece,
si umilia troppo. Ma anche lui non è nato ricco; ah, è una triste
cosa non nascer ricchi, da razza potente; si rimane sempre umili. Anche la
mia Maria ha ereditato un po' del padre; non sente tutto il decoro della sua
posizione; ma è tanto giovine, eppoi è anche furba. Ah, ella
farà certo un buon matrimonio. Eppoi è così istruita!
Tiene i conti e i registri come un notaio; ella ne sa quanto un avvocato. Senza
di lei come avremmo fatto io e suo padre, che non sappiamo leggere né scrivere?
Ah, sì", concludeva sempre zia Luisa Noina, "ella sposerà un
uomo ricco, magari un laureato, ma un laureato ricco, non uno di quelli che
cercano un appoggio nella famiglia della sposa."
A mezzogiorno la pigiatura era finita; il desinare pronto. Maria mise per terra,
nel mezzo della cucina, un canestro colmo di pane di frumento, e intorno al
canestro depose dei piatti concavi, di creta rossa, entro i quali zia Luisa
aveva distribuito le patate e la carne di pecora. Poi la giovine padrona chiamò le
ragazze, che si lavavano con l'acqua del pozzo. Anche zio Nicola s'avvicinò zoppicando
alla bejone, vuotò l'acqua sporca, ne versò una secchia di pulita
e si lavò: poi, col barbone stillante entrò in cucina, s'asciugò,
e sedette al suo posto distinto, vicino al tavolo. Gli altri mangiavano già,
avidamente, seduti per terra intorno al canestro, coi volti rosei e lieti velati
dal fumo delle vivande.
"
Buon appetito", disse il padrone, allungando la sua gamba. "Moglie
mia, cos'è questo brodino che m'hai preparato? Almeno oggi che ho lavorato
dammi da mangiare quello che mangiano gli altri: dammi un po' di quella carne
di pecora. Sì, sì: è di pecora, figliuoli miei; credevate
fosse di vitella?"
Maria gli porse il piatto desiderato.
"
Avete dei buoni denti, figliuoli miei, ché potete masticare questa roba
qui; la carne del diavolo non può esser più dura... basta, in
casa del tale", egli nominò una persona ricca, "vi daranno
da mangiare meglio..."
"
O peggio", rispose zia Luisa, che neppure per mangiare s'era slacciata
il corsetto. "Finiscila, chiacchierone."
Appena si furono alquanto sfamati, i giovani ripresero a scherzare.
"
Zia Luisa, me li prestate cento scudi?", diceva il giovinotto.
"
Se ti procuri una buona garanzia", rispose la vecchia padrona, proseguendo
lo scherzo, ma senza scomporsi.
"
Eccola qui!", disse il giovine, battendo la mano sulla spalla d'una delle
ragazze, poverissima.
Tutti risero.
"
Eppoi, se non vi basta, vi porterò in pegno tutti i gioielli della mia
famiglia e le posate d'argento", egli riprese, beffandosi della sua povertà.
"
La salute è il più bel gioiello, con quel pegno lì tu
puoi trovare non cento, ma mille scudi", sentenziò zio Nicola,
dall'alto della sua sedia: la sua figura quasi maestosa, dal barbone ieratico,
dominava il quadro.
Maria, però, era diventata nervosa.
"
Certo", disse con ironia, "meglio sani e ricchi che poveri e malati."
"
Versa da bere", le ordinò sua madre.
Ella si alzò e versò da bere a Pietro.
"
Che hai, che sei di malumore?", egli le domandò, guardandola negli
occhi.
E anche lei lo guardò, e gli rispose con la sua solita ironia:
"
Quando sono sazia mi assale il malumore...".
"
Figuriamoci allora quando hai fame; ma già, tu non sai che cosa sia
la fame", egli aggiunse; e bevette, poi versò lontano alcune gocce
rimaste in fondo al bicchiere. Ricordava la fame sofferta durante la sua selvaggia
infanzia.
Quel giorno non si faceva economia di vino, e parecchie volte Maria passò con
la caraffa in mano e si curvò per versare il vino nel bicchiere del
servo. Egli beveva e diventava allegro, ma d'un'allegria cattiva. L'immagine
di Sabina, che durante tutte quelle ore di lavoro e di chiacchiere egli aveva
allontanato da sé, gli risorgeva davanti, bionda, traditrice, beffarda.
Ah, ella aveva riso di lui; anch'egli voleva ridersi di lei, di Maria, di tutte
le donne. Ebbene, e se riusciva a far credere a Maria di essersi innamorato
stoltamente di lei?
No, ella non lo avrebbe scacciato, era troppo furba per commettere un simile
errore: non si scaccia un servo innamorato che domanda solo d'essere compatito.
Tutto al più la giovine padrona avrebbe profittato di lui e della sua
sciocca passione per farsi servire meglio. Ed egli, dal canto suo, avrebbe
profittato della benevolenza e della furberia di lei.
E avrebbe riso. Le donne si beffavano di lui; egli voleva ridersi delle donne.
Ma d'un tratto diventò taciturno e cupo. Curvò la testa, poi
la rialzò vivacemente, sollevò ancora il bicchiere.
Maria avvicinò la caraffa.
"
Ma io ho sofferto la fame", egli disse, incoscientemente, già mezzo
ubriaco, cercando ancora gli occhi di lei. Ma ella non lo guardò più.
Da quel momento egli perdette la coscienza di ciò che avveniva in lui:
solo si accorgeva di seguire con gli occhi ogni movenza di Maria, e aveva paura
che i padroni si accorgessero del fuoco di desiderio che gli ardeva nel sangue;
ma non poteva staccare lo sguardo dalla persona di lei.
Ebbe però l'accortezza di lasciare i compagni e sdraiarsi in un angolo
del cortile, non lontano dalla porta della cucina. Il vino e il calore del
meriggio gli davano una specie di febbre; il ronzio delle mosche e delle api
si fondeva col ronzio interno della sua testa in fiamme.
Così egli vide il giovinotto e le ragazze andarsene e i padroni ritirarsi
per far la siesta nella loro camera. Maria rimase in cucina. Attraverso il
suo dormiveglia da ebbro, Pietro udiva la giovine padrona andare e venire,
rimettere in ordine la cucina, macinare il caffè. E gli pareva di seguire
ancora con lo sguardo l'alta e attraente persona di lei.
Egli aveva bisogno di amare una donna, e ora che il suo amor proprio ferito
respingeva la figura mite della povera serva, ora il suo desiderio lo spingeva
verso la ricca padrona. Ma v'era qualche cosa di amaro e di vendicativo in
questo desiderio.
"
Io riderò... riderò...", pensava, addormentandosi.
IV.
Per due settimane egli rimase in paese, aiutando zio Nicola a rimettere il
vino nelle botti, o lavorando in un orto vicino; poi salì sulla montagna
e fece la provvista delle legna per l'inverno.
In quelle lunghe ore di solitudine, nell'orto solitario o sui boschi dell'Orthobene,
egli pensava sempre alla giovine padrona. Gli pareva di non esserne innamorato,
ma sebbene Maria gli piacesse immensamente, pensando a lei non osava più accarezzare
i desideri stolti, gli sciocchi propositi di vendetta amorosa, che lo avevano
qualche volta assalito.
Maria non era donna da invitare gli uomini allo scherzo amoroso: Pietro arrossiva
ricordando d'essersi per un attimo illuso sulle intenzioni di lei a suo riguardo,
e divertito all'idea di piacerle.
Ora egli la vedeva sempre nel suo alto posto di padrona benestante e dignitosa:
lo sguardo di lei, acuto e luminoso, tagliava come una lama.
Anche nelle più umili faccende, o ridesse o si mostrasse insolitamente
seria, ella era sempre una creatura d'una razza boriosa e superba. Ma al servo
piaceva appunto così. Qualche volta egli pensava ancora all'altra, alla
cugina povera, e desiderava rivederla e venire con lei ad una spiegazione;
ma a poco a poco anche questo desiderio dispettoso svanì. Per due settimane
il cuore di Pietro tacque, ma assopito e gonfio come la terra durante il periodo
invernale.
Qualche sera il padrone si tratteneva a lungo nella cucina ove già il
fuoco ardeva, e invitava Pietro a bere e cantare. Se le donne non vigilavano,
padrone e servo bevevano oltre misura, e zio Nicola narrava, in versi estemporanei,
gli episodi più caratteristici della sua vita. Anch'egli era stato povero,
aveva girovagato in cerca di fortuna, aveva amato e sognato.
"
Povero o ricco, sempre allegro però; Zente allegra il ziel l'aiuta",
diceva in italiano. "Una volta avevo le scarpe rotte; e pensai: appena
incontro un proprietario, mi levo una scarpa e gliela sbatto sul muso. Indovina
chi ho incontrato!"
"
Il padre di zia Luisa!", disse Pietro, beffardo.
Il padrone lo guardò con occhi brillanti.
"
Sei il diavolo tu? Come hai fatto a indovinare?", gridò, battendo
lievemente il bastone sulle spalle del servo.
"
Ma è davvero?", chiese Pietro meravigliato.
"
Sicuro; è vero. Verissimo come è vero Dio."
"
E la scarpa gliela avete scaraventata sul muso?"
"
Ah, ah, ah, come sei furbo!"
Pietro non riuscì mai a sapere se zio Nicola avesse o no lanciato la
sua scarpa sul muso di qualche ricco proprietario. Del resto il padrone si
vantava sempre di atti più o meno eroici da lui compiuti durante la
sua giovinezza, ed esagerava le sue avventure amorose; una volta lasciò capire
di aver sposato zia Luisa senza amore, soltanto per fare un buon matrimonio.
"
Lei però era innamorata, oh, sì, come è vero Dio. Io ero
povero, sì, ma ero un bel giovine. Non faccio per vantarmi."
"
Eh, si vede ancora!", lo adulava Pietro.
"
Bellezza è metà dote, ragazzo mio..."
Questi discorsi esaltavano Pietro.
"
Se non ci fosse quel nibbio ingordo di zia Luisa...", egli pensava.
E il vino, il tepore del fuoco, il benessere della cucina, sulle cui pareti
le innumerevoli casseruole di rame luccicavano e ricordavano al servo la ricchezza
dei padroni, destavano in lui un'ebbrezza d'amore e di ambizione.
"
Ah, sì, bella cosa esser benestanti, con una moglie piacente e giovine:
sposarsi senz'amore, no, ma sposarsi bene, avere l'amore e la roba, questa è davvero
la felicità."
"
Chi sposerà Maria?", egli pensava sovente. "Il tale, o il
tale? Forse un signore, un laureato, forse un paesano ricco. Non un povero,
certo, e tanto meno un servo! Per ora ella non ama nessuno."
Questo pensiero lo rallegrava tutto. Poi, qualche volta, si sorprendeva a pensare
che dopo tutto egli, sebbene servo, apparteneva ad una famiglia di razza per
lo meno non straniera, non girovaga come la razza di zio Nicola.
"
Se avessi un piccolo capitale!", desiderava. "Non so leggere né scrivere,
ma il senso pratico ce l'ho. Se ne son visti tanti che han fatto fortuna! Ma
no", pensava poi. "Quelli che han fatto fortuna hanno rubato, oppure
hanno, come zio Nicola, sposato una donna benestante. Anch'io potrei sposarla..."
Ma diceva a se stesso che questa "donna benestante" non sarebbe mai
stata Maria Noina, e delle altre poco gli importava. E dopo aver scrollato
la testa col suo solito gesto sprezzante, s'allungava sulla stuoia e si coricava,
col berretto ripiegato sotto l'orecchio.
Così venne il tempo dell'aratura e della seminagione del grano.
Il terreno che Pietro doveva dissodare e seminare era assai lontano dal paese,
al di là della vallata di Marreri, quasi vicino a Lollovi, miserabile
gruppo di case perduto fra i monti e gli altipiani più deserti e melanconici
del Nuorese.
Il giovine servo doveva passare lassù tutto il tempo della seminagione,
solo coi buoi e col cane. Ma la solitudine non gli dispiaceva; egli vi era
abituato, e d'altronde, in quei giorni, un oscuro istinto lo spingeva a desiderare
la lontananza da quella casa tiepida, ove la sua fibra si rammolliva e la sua
anima si perdeva dietro sogni insidiosi.
Prima di partire andò nella bettola del toscano, anche con la speranza
di trovarvi la moglie, la facile Francesca. Ma nella bettola c'era solo il
toscano, tranquillo, curioso e maldicente.
"
Come va, Pietro?"
"
Bene. Dammi da bere."
"
Accidenti, come sei assetato. Eppure i tuoi padroni del vino ne hanno."
"
Lascia stare in pace i miei padroni."
"
Oh, oh; non difenderli così. Credi tu che loro non parlino male di te?"
"
Se parlano male, lasciali parlare. Dov'è tua moglie?"
"
La è andata a lavare. Eh, so perché la vuoi", disse l'altro,
ammiccando coi suoi occhi infantili. "L'hai incaricata di cercarti moglie,
dopo che Sabina ti ha dato corcofica [2]."
"
Oh, va al diavolo", disse Pietro, ridendo sinceramente all'idea che il
toscano avesse tanta stima di Francesca da ritenerla degna di cercar moglie
ad un giovine onesto.
"
Sì, lo so; tu vuoi sposare una donna ricca. L'ha detto zio Nicola, l'altra
sera, mentre era ubriaco fracido."
"
Ah, sì, ha detto questo?", esclamò Pietro, sollevando la
testa. "E poi?"
"
E poi... niente! Perché non sposi la Maria?"
"
Ah, tu ti beffi di me? Io non verrò mai più a bere qui, piccolo
forestiere", disse Pietro con disprezzo, alzandosi.
Ma, non seppe perché, sentì un'improvvisa gioia per lo scherzo
del bettoliere.
Rientrò a casa e aggiogò i buoi; zia Luisa mise sul carro, oltre
le sementi, una buona provvista di pane d'orzo, formaggio, olio, patate; e
Maria una grossa zucca piena di vino rosso e un sacco perché Pietro
si coprisse bene nelle notti fredde dell'altipiano ventoso.
"
E un crocifisso non glielo date? E un rosario?", chiese zio Nicola, ridendo
sguaiatamente.
"
Di fichi secchi?"
Zia Luisa strinse la bocca, perché non amava si scherzasse sulle sante
cose, e Maria spalancò il portone.
"
Bada, va a messa a Lollovi, ma non innamorarti di qualche bella lollovese..."
In altri tempi Pietro si sarebbe un po' piccato per questo scherzo, perché le
donne di Lollovi sono le più misere del circondario; ora quasi si commosse
e non osò guardare Maria.
Il padrone lo accompagnò per un tratto di strada, zoppicando più del
solito. Era una giornata umidiccia, e la gamba di zio Nicola se ne risentiva.
"
Ah, Pietro, Pietro, che bella cosa la salute, che bella cosa la gioventù!
Non sciupartele, sai; tienile bene, come si tiene una moneta dentro la cintura.
Va, buon viaggio. Se hai bisogno di qualche cosa, mandalo a dire per qualche
viandante. Tieni le sementi in luogo ben asciutto e semina al più presto
possibile. Addio."
"
Come è buono quell'uomo!", pensava Pietro.
Gli pareva di voler bene a zio Nicola come ad un padre, e quasi quasi sentiva
di voler bene anche a quella boriosa della padrona.
Immerso nei suoi pensieri, di tanto in tanto egli pungeva forte il bue rosso
dalla schiena coperta di chiazze bianche - segno evidente che la bestia era
passata in luogo ove stava nascosto un tesoro, - e il bue rosso trottava pesantemente.
Malafede abbaiava per incitare l'altro bue, e così Pietro arrivò presto
al sentiero dirupato che scende alla valle di Marreri.
La giornata era umida e tiepida, il cielo lattiginoso. Sulla punta dell'aratro,
capovolto sul carro, il vomero brillava con un tenue splendore d'argento nuovo.
Nella lontananza vaporosa gli occhi lincei di Pietro scorgevano la chiesetta
di Valverde, nera sull'orlo d'un dirupo, e più in là ancora la
chiesa di San Francesco, bianchiccia sullo sfondo delle montagne selvagge:
e fra queste Monte Albo che si staccava azzurro come una bandiera di velluto,
e Monte Pizzinnu che sorgeva come uno scoglio grigiastro avvolto da ondate
di nebbia azzurrognola.
Pietro ricordò che sua madre, come tutte le donnine nuoresi, nutriva
una profonda devozione per il piccolo San Francesco, Santu Franzischeddu, e,
sebbene con poca fede, si fece il segno della santa croce.
Egli credeva in Dio e nei Santi, andava a messa, e si confessava e comunicava
per la santa Pasqua, ma non era divoto, non pregava mai, non pensava mai alla
morte e all'eternità: in quei giorni, però, era un po' sentimentale,
un po' mistico e più credente del solito.
Una sera, infatti, quando fu lassù, nel suo aronzu [3,] egli sentì bisogno
di pregare, come una donnicciuola.
Intorno a lui il paesaggio, sublime di tristezza, taceva sotto il crepuscolo
argenteo. Era un luogo desolato: prati melanconici sovrastavano alle chine
coperte di folte macchie di lentischio, di ginepro, di cisto selvatico, il
cui verdissimo ondulare veniva qua e là rotto da rocce grige e nere
che nell'incerto crepuscolo davano l'idea di mostri pietrificati.
Tutto il paesaggio, del resto, pareva un deserto, mai abitato dall'uomo e vigilato
soltanto da una deità selvaggia o dallo spirito di un eremita preistorico.
Pietro s'inginocchiò per terra, si fece il segno della croce e pregò:
gli sembrava d'essere in una chiesa senza pareti; le stelle ardevano sull'orizzonte,
ceri lontani accesi da spiriti invisibili; il ginepro esalava un odore d'incenso.
Pietro aveva paura come fosse per morire: una malattia mortale s'era sviluppata
in lui, ed egli ne sentiva tutto il pericolo.
"
Dio mio, San Francesco mio, toglietemela dalla mente. Misericordia di me; toglietemela
dalla mente. Ella non fa per me, e il mio desiderio può farmi commettere
delle pazzie... Anima della madre mia, aiutami; liberami dalle cattive idee.
Così sia."
E mentre pregava pensava a lei, col desiderio ardente di averla vicina, di
vederla in realtà come la vedeva in sogno, e di circondarla con le sue
braccia come le montagne velate dalla sera circondavano la valle fumigante,
sotto gli occhi complici delle stelle.
Sì, dopo la sua partenza, dopo il segno di croce col quale egli aveva
salutato il "piccolo San Francesco" per renderselo amico e complice
come lo desiderano tutte le donnine, tutti gli amanti, tutti i delinquenti
nuoresi, la figura della giovine padrona non l'aveva più abbandonato
un solo istante.
Lontano da Maria, aveva istintivamente sperato di dimenticarla; la lontananza,
invece, e soprattutto la solitudine gliela rimettevano dentro il cuore, gliela
offrivano tutta, più seducente e bella che mai. Arrivò un momento
in cui egli non ebbe più la forza di combattere la sua passione: essa
cresceva e si sviluppava nel suo cuore come un innesto su un giovine tronco
selvatico.
I giorni passavano. Pietro lavorava dalla mattina alla sera, dissodando, abbruciando
le macchie, estraendo le radici dei lentischi, arando e seminando i lembi di
terreno liberi di vegetazione.
Nei vaporosi crepuscoli si scorgeva ancora la sua figura sullo sfondo del paesaggio
melanconico. Egli arava ore ed ore, andando lentamente dietro i pazienti buoi
rossi che trascinavano l'antico aratro sardo. Giunto alla fine del lungo solco
batteva il pungolo sul fianco del bue picchiettato di bianco e lo costringeva
ad una giravolta. Ridiscendendo la china, fra la terra smossa, umida e quasi
nera, che fumava esalando un odore di erba in fermentazione, egli tirava la
corda perché i buoi non corressero; giunto al basso, ripeteva la giravolta
e risaliva, sempre taciturno, col pungolo in mano.
I buoi respiravano faticosamente; le loro corte palpebre rosse si abbassavano
quasi con dolore sui grandi occhi tristi, e le loro narici nere fumavano come
fumava la terra smossa.
Il profilo dell'alta persona del servo spiccava tra i vapori violacei della
sera. La solitudine del paesaggio immenso e triste, coi confini perduti in
una lontananza indecisa, contribuiva a render più intenso il raccoglimento
del giovine lavoratore.
La passione smuoveva il suo cuore come il vomero la terra: e come la terra
egli non se ne domandava il perché.
Qualche volta si disperava ancora, ma non invocava più l'aiuto di San
Francesco o dell'anima beata di sua madre perché lo liberassero del
desiderio che lo vinceva tutto.
Raramente qualche mandriano, qualche paesano a cavallo, qualche donnicciuola
di Lollovi con un canestro colmo di formaggio sul capo e una gallina in mano,
attraversavano il sentiero a fianco del terreno lavorato da Pietro. Un saluto
semplice, rozzo, animava per un attimo la solitudine; poi il cavallo si perdeva
fra i ginepri, la donnicciuola fra i radi olivastri del pendio; poi ancora
silenzio.
E Pietro lavorava e sognava, sotto il cielo autunnale sempre ineffabilmente
triste e velato dalle nebbie grigio-rosate, dalle tarde aurore, dai vapori
violacei della sera, dalle nuvole gravi dei giorni cattivi, quando le macchie
verdi e rossastre pareva si gonfiassero d'umido, e le rocce bagnate diventavano
più grige e tristi.
Per quasi un mese, egli non fece altro che smuovere e vincere la terra, e lasciarsi
smuovere e vincere dall'amore.
Di sera si ritirava in una capanna; si sdraiava su un giaciglio di fronde e
si copriva col sacco datogli da Maria. Anche per mangiare si ritirava lassù:
qualche giorno faceva cuocere delle patate, altre volte si contentava di abbrustolire
il pane sul quale versava poche gocce d'olio. I buoi pascolavano sulla china;
Malafede, non avendo altro da fare, starnutiva ogni momento e abbaiava contro
le foglie portate dal vento.
Di notte la solitudine, per uno strano effetto, si animava alquanto, o almeno
non era così estesa e completa come di giorno.
Fuochi di altri contadini brillavano nella vallata; s'udivano tintinnii di
gregge; qualche voce umana e qualche latrato di cane risuonavano nel silenzio
della notte, portati dal vento.
E una figura di donna, un fantasma di bellezza e di piacere, illuminava e rallegrava
i sogni di Pietro come il fuoco profumato del ginepro illuminava e rallegrava
la capanna desolata.
La terra fu tutta arata e quasi tutta seminata. L'inverno lucido e freddo
dissipò le nebbie autunnali.
A giorni pioveva, ma per lo più il tempo mantenevasi freddo e asciutto.
La tramontana sbatteva le sue grandi ali ghiacciate, su dai monti d'Orune;
Pietro spandeva intorno a sé la semente che il vento portava lontano
e la terra accoglieva sempre.
Anche i suoi pensieri si sparpagliavano così, ma cadevano sempre sullo
stesso terreno.
Da qualche giorno egli si sentiva allegro; aveva ripreso a parlare con Malafede,
aveva sorriso passando davanti alla pietra sulla quale si era una volta inginocchiato.
"
Coraggio", diceva ai buoi, "fra poco avremo finito il lavoro. Verrà Natale;
canteremo con zio Nicola e ci prenderemo una sbornia solenne."
A voce alta non osava dire altro; ma siccome non poteva più star zitto,
si metteva a cantare.
Cantava a voce spiegata, qualche volta cercando di ripetere anche il coro che
accompagna i canti nuoresi; dal tenore passava al basso e da questo alla mezza
voce; poi riprendeva la strofa. Erano le stesse canzoni d'amore che aveva cantato
per Sabina; ora volavano verso Maria.
In quei giorni, in quelle ore di gioia quasi puerile, egli sperava ancora.
Non era più la speranza di un amore capriccioso e sensuale, inspirato
alla giovine padrona dal servo bello e ardito, ma il sogno d'una gioia ignota,
al di là di ogni desiderio impuro, la speranza infine dell'amore vero
e casto.
Chi conosce l'avvenire? Egli ricadeva nelle sue fantasticherie; sognava di
diventar ricco, di poter un giorno sollevare gli occhi fino agli occhi di lei,
e spiegarsi con un solo sguardo.
Allora cantava, e la sua voce volava lontano, al di là della valle,
perché giusto in quei momenti di speranza, quando egli tornava puro
come un fanciullo e il pensiero di Maria lo faceva arrossire, l'immagine ardente
di lei, che di solito lo accompagnava, migrava lontano, tornava nella cornice
della casa paterna.
Ma a misura che s'avvicinava il giorno del ritorno, il senso della realtà riafferrava
il giovine innamorato.
Qualche viandante gli portava le notizie dei suoi padroni, e le sementi e le
provviste inviate da zia Luisa.
"
Zio Nicola non è venuto a trovarti, perché è stato quindici
giorni a letto, con forti dolori alla gamba."
"
E il medico cosa dice? Possibile che egli non trovi un rimedio?"
"
Eh, altro che vorrebbe trovarlo; tanto più che, dicono, vuole sposare
Maria."
"
Chi, il medico? Ah, ah ah!"
"
Perché ridi?"
"
Perché la mia padrona non sposerà certo un medico."
"
Sposerà il figlio del re, allora!"
"
Eh, sì; sposerà un pastore ricco, ecco tutto!"
Medico o pastore, certo però non avrebbe mai sposato un servo. E Pietro
ritornava cupo, ricordando con sarcasmo verso se stesso i sogni stolti che
accompagnavano le sue canzoni.
Avrebbe voluto darsi dei pugni, allora, tanto la sua passione lo umiliava.
Ma oramai non poteva più disperdere ciò che egli stesso aveva
seminato nel suo cuore; era più facile togliere ad uno ad uno i granelli
sparsi sulla terra arata.
I giorni continuavano a passare freddi e limpidi, o freddi e nuvolosi: ancora
uno o due notti e Pietro sarebbe ritornato a dormire nella casa dei padroni.
Zio Nicola gli avrebbe ancora raccontato le sue storie; lui... che avrebbe
fatto lui?... Non lo sapeva e non ci pensava neppure.
Avrebbe continuato a vivere, a lavorare per gli altri.
Così arrivò l'ultima sera.
Prima di ritirarsi nella capanna, Pietro sedette su una pietra in mezzo alla
terra seminata, e stette a lungo immobile, quasi piegato in due. Pareva che
sentisse finalmente la stanchezza di tutto il suo lungo lavoro.
Intorno a lui anche la terra taceva, addormentata, in un riposo fecondo.
La sera cadeva; grandi nuvole bluastre macchiavano il cielo pallido; piegato
sulle ginocchia, Pietro stette a lungo immobile, con gli occhi chiusi, formando
una macchia stessa, una cosa stessa con la pietra su cui stava seduto, con
le onde brune della terra smossa che lo circondava. Dormiva.
Dormì così a lungo, come il granello fra le zolle, granello anche
lui buttato a caso su una terra misteriosa e selvaggia, germogliato alla ventura,
abbandonato al capriccio del tempo e del destino.
Si svegliò ch'era già notte e si ritirò nella capanna.
Fuori la notte, coi suoi grigi vapori, incombeva sull'altipiano, sulle valli,
fino alle montagne della costa, donde veniva un rombo di vento che sembrava
l'urlo del mare; e se un pezzetto di luna gialla appariva fra le nuvole correnti,
Malafede non mancava di abbaiargli contro, forse credendolo l'occhio maligno
di un ladro.
V.
Maria, a quell'ora, dormiva il suo sonno pieno e piacevole di ragazza sana:
avesse anche vegliato, non avrebbe però pensato a Pietro Benu più che
al grano ch'egli seminava.
Ella lo stimava come servo, ma non di più; anche la salute e la sveltezza
di lui le piacevano in ragione dell'utile che potevano rappresentare.
In famiglia si parlava spesso del nuovo servo: tutti ne erano contenti, ma
la padrona giovine si sarebbe strappati i capelli per la vergogna, se avesse
dubitato di ciò che accadeva nell'anima di Pietro.
Un giorno si parlò di lui anche in presenza di Sabina. Era la vigilia
di Tutti i Santi, pochi giorni dopo la partenza di Pietro.
Sabina aveva lasciato il servizio, e aiutava le sue ricche parenti a fare il
pane e i dolci di pasta, sapa e uva passa, che ogni buona massaia nuorese non
manca di preparare per la festa di Tutti i Santi.
Fin dall'alba Maria accese il forno, preparò la farina lievitata, le
mandorle, la sapa e il miele; poi venne Sabina e tutte insieme, le due cugine
e zia Luisa, gramolarono la pasta inginocchiate per terra intorno ad una tavola
bassa. Zia Luisa sudava per lo sforzo, le due cugine chiacchieravano e ridevano,
ma non risparmiavano i loro polsi, dimenandosi avanti e indietro, con le cocche
dei fazzoletti rigettate al sommo della testa.
Un dolce tepore riscaldava l'ambiente, e dalla piccola finestra e da ogni spiraglio
del tetto penetravano raggi di sole, che gettavano lunghe strisce di pulviscolo
azzurrognolo attraverso la cucina e macchie d'oro sulle pareti e sul pavimento.
Dopo una notte di pioggia ritornava il sereno autunnale; per tutto il vicinato
intorno alla casa dei Noina, rinfrescato e ripulito dalla pioggia e dal vento,
si spandeva una frescura, un profumo campestre. Qua e là giacevano rami
stroncati dal vento; i tetti coperti di musco giallognolo fumavano. Verso la
montagna gruppi di piccole nubi di un grigio-rosato si scioglievano sul cielo
inondato di sole; i galli cantavano ancora, le galline erranti per le viuzze
scuotevano le ali umide, fregavano il becco per terra, sui ciottoli bagnati
e lucenti, lo immergevano nell'acqua delle pozzanghere e poi sollevavano la
testa quasi per respirare meglio l'aria del mattino.
Già le donnine d'Oliena dai capelli attorcigliati intorno alle orecchie
passavano vendendo l'uva passa e la sapa; col loro costume barocco, scalze,
con le scarpe in mano, rassomigliavano nei movimenti alle galline vagabonde.
La loro vocetta stridula, che chiedeva: Papascja pjaes e fju? Binu 'ottu pjaes?
[4], annunciava che le vendemmie erano terminate e che l'inverno s'avvicinava.
Maria e Sabina chiacchieravano e ridevano: la prima specialmente sembrava allegra
e serena: dalla sua bella gola dorata il riso sgorgava come il canto dalla
gola d'un uccello.
Anche Sabina scherzava e rideva: raccontava che il suo ex-padrone le aveva
fatto la corte e per sedurla le aveva promesso un paio di scarpe.
"
Molto splendido, davvero!"
"
Aspetta, ora ti racconterò. Io gli dissi: "Me le faccia dunque
vedere queste scarpe". Ed egli mi fece vedere un paio di scarpe di sua
moglie!", diceva Sabina, sollevando ogni tanto la mano bianca di pasta
per raccogliere sotto il fazzoletto i capelli che le coprivano la fronte.
Qualche volta, per il troppo ridere, le due cugine rallentavano il lavoro;
allora zia Luisa apriva la piccola bocca sdegnosa e diceva severamente:
"
Le fanciulle oneste non si vantano di certe cose, fossero pur vere".
"
E che sono disonesta, io?"
"
Io non so niente: so che una fanciulla di buona famiglia, come sei tu, non
apre la bocca senza prima averci pensato bene."
"
Zia Luisa mia, la mia bocca si apre senza che io me ne accorga."
Oppure la severa principalessa minacciava le fanciulle col matterello.
"
O la finite o vi bastono!"
Ma le due cugine continuavano a ridere: ogni tanto Maria balzava in piedi,
guardava se la pentola bolliva e riattizzava con un lungo bastone il fuoco
del forno.
Mentre le tre donne impastavano la farina con la sapa per farne dei piccoli
pani dolci, rientrò zio Nicola, ch'era stato alla bettola per bere il
solito bicchierino di acquavite, e portò una notizia interessante:
"
Ho visto passare un prete che recava la santa Comunione ad un malato, laggiù,
al Corso. Ho domandato chi era il malato grave e mi dissero: zia Tonia Benu".
"
La zia di Pietro!", esclamò Sabina, sollevando le mani gialle di
sapa.
"
E lui non sa niente?"
"
E anche se lo sa, credi tu che gliene importi niente?", disse zio Nicola,
voltandosi e rivoltandosi davanti alla bocca del forno.
"
Eh, dicono abbia dei soldi, quella donna!"
"
Davvero?", chiese Maria.
"
Sciocchezze", gridò zio Nicola. "Favole da donicciuole."
"
Il marito di zia Tonia era un ladro famoso: morì in reclusione",
affermò zia Luisa. "Dicono che abbia lasciato alla moglie un recipiente
pieno di monete d'oro."
"
Donnicciuole!", rispose zio Nicola, battendo il bastone contro il forno. "Storielle!
Intanto quella povera vecchia ha solo una catapecchia e un pezzetto di terreno
con due macchie di lentischio."
"
Ad ogni modo l'erede sarà forse Pietro!", disse vivacemente Sabina.
"
Allegra, dunque!", le sussurrò Maria, ridendo maliziosamente.
Sabina, alquanto turbata, la urtò col gomito.
"
Tu sta zitta!"
"
Pietro! Pietro! Un corno! E gli altri nipoti, che son forse delle immondezze?",
gridò zio Nicola, curvandosi per riattizzare il fuoco del forno. "E
poi Pietro rifiuterebbe forse l'eredità: l'eredità di un ladrone! È onesto,
Pietro!"
"
Ma egli vive con la zia, quando non è al servizio", osservò Maria. "Ma
lasciate stare il fuoco, babbo; ecco che il fumo vien tutto fuori."
Sabina non osava più parlare, per timore che zio Nicola s'accorgesse
del suo turbamento. Sì, ella voleva sempre bene a Pietro, sebbene egli,
dopo il breve colloquio nella vigna, l'avesse trascurata e quasi disprezzata.
Però, chi mai conosceva l'avvenire? Forse Pietro, diventando erede di
una piccola casa e di un pezzetto di terra, avrebbe pensato ad ammogliarsi.
Sabina sperava.
Zio Nicola prese uno sgabello e sedette davanti al forno, attizzando ogni tanto
il fuoco, nonostante le proteste di Maria. Fra le altre cose egli raccontò la
storia del marito di zia Tonia Benu, un vecchio ladro morto venti anni prima
in "quei luoghi" tristi, dove gli uomini si riducono a far la calza
e lavorare all'uncinetto.
"
Sì, era un famoso ladro; l'anima sua non fu accolta neppure nell'inferno,
ed ora vaga per il mondo, assieme con altri sette spiriti di preti malvagi,
coi quali talvolta penetra nel corpo di qualche creatura innocente. Una volta,
parlando appunto per bocca di un fanciullo indemoniato, disse che per redimere
l'anima sua bisognava celebrare mille messe e cento processioni. Basta, certo è stato
un ladro astuto, spauracchio di proprietari e di pastori. Tutto ciò che
vedeva era suo.
Passava vicino ad un gregge, adocchiava la più grossa pecora e il giorno
dopo questa spariva; pareva che egli rubasse con gli occhi. Una volta passò vicino
ad un ovile e adocchiò una grossa pecora nera di razza spagnola: il
pastore lo vide e per sottrarre la pecora nera agli artigli del ladro, la uccise,
la sventrò e l'appese ad un ramo della capanna. Ma il ladro trovò il
modo di farla sparire egualmente."
"
Pietro non gode buona fama appunto perché parente d'un simile avvoltoio",
osservò zia Luisa, intenta a fare dolci di pasta e di uva passa, ai
quali dava forme strane: anelli, scacchi, piramidi, croci e persino cappelli
da prete.
Zio Nicola s'arrabbiò, batté il bastone contro il forno.
"
Venga davanti a me qualcuno che osi parlar male di Pietro Benu; venga avanti,
se può; venga avanti, se ha fegato! Venga; gli risponderò io
con questo qui."
E brandì il bastone, pronto a colpire i calunniatori del suo servo.
Verso il tramonto le donne smisero di lavorare dopo aver deposto il pane e
i dolci entro i canestri d'asfodelo; la cucina calda odorava di sapa e d'uva
passa cotta.
"
Ora dovrei andare alla fontana", disse Maria, scuotendo l'anfora vuota. "Se
vuoi venire, Sabina, passeremo davanti alla tua casa; tu prenderai la tua anfora
e andremo assieme."
Indossò la tunica [5], mise sul capo l'anfora rovesciata e uscì con
la cugina, alla quale zia Luisa aveva colmato di pane e dolci il grembiale.
Nella casetta di Sabina la vecchia nonna filava, badando alla piccola mola
tirata da un asinello grigio bendato e silenzioso.
La pietra della macina, l'asinello e il viso affumicato di zia Caderina avevano
lo stesso colore cenerognolo, e parevano d'una medesima sostanza; e in realtà formavano
una stessa cosa. I pensieri della vecchia erano sempre corsi dietro l'asinello
e l'asinello aveva sempre tirato la mola; la mola ogni giorno sgretolava un
quarto di frumento e rendeva così mezza lira: tanto bastava a zia Caderina.
Sabina lavorava e si sosteneva da se.
"
Come va?", chiese Maria alla vecchia, mentre Sabina attorcigliava uno
straccio per farne un cercine.
"
Si cammina, si cammina...", rispose la donnina, accennando una strada
invisibile.
"
Andiamo", disse Sabina, chinandosi per passare sotto la porticina.
L'asinello s'era fermato, come per ascoltare, e zia Caderina gridò invano: "Va,
va!".
Solo quando le due cugine furono uscite l'animale riprese il suo giro paziente
intorno alla mola.
"
Andiamo dunque alla Funtanedda", disse Maria.
Andarono. L'una a fianco dell'altra, slanciate ed eleganti, vestite nello stesso
modo, con le anfore rovesciate sul capo, le due cugine parevano due sorelle
bibliche, Rachele e Lia, Marta e Maria, dirette alla fontana.
Chiacchierando scesero sino allo stradale di Orosei, lo stesso che Pietro aveva
percorso ritornando dalla vigna.
Qualche borghese passeggiava, lento e tranquillo, respirando l'aria profumata
della valle; qualche donna scendeva alla fontana, qualche paesano conduceva
i buoi o i cavalli all'abbeveratoio: fuochi di dissodatori che incendiavano
le brughiere cominciavano a rosseggiare nello sfondo azzurrastro dei monti
d'Oliena.
Sabina e Maria, giunte alla fonte, sedettero su un masso aspettando che altre
donne prima arrivate colmassero le loro anfore. La sera calava splendida e
molle; l'Orthobene sorgeva al di sopra dello stradale, grigio e roseo sul cielo
cinereo; l'ombra si addensava in fondo alla valle, i profili delle ultime case
di Nuoro e della cattedrale fantastica spiccavano sul cielo d'oro.
"
Vorrei una pala [6] di velluto in colore di quel cielo", disse Maria,
guardando in alto.
Ma Sabina guardava l'ombra in fondo alla china, e ricordava... Che faceva ora
Pietro, al di là della valle e dell'altra valle ancora? Ricordava la
promessa di "dire una cosa" alla povera serva? O si era pentito e
pensava ad un'altra donna meno povera?
Intanto le donne chiacchieravano intorno alla fontana: una piccola bruna, con
un occhio bendato, si lavava i piedi nel rigagnolo e imprecava contro la padrona
lontana; dall'alto del muraglione un monello, arrampicato sul paracarri dello
stradale, sputava sulle donne che sollevavano la testa e gli mandavano energiche
maledizioni. Un uomo scendeva alla fonte per abbeverare tre porcellini di latte.
Le tre graziose bestioline dal pelo morbido a strisce nere e gialle come quelle
dei cinghiali, col musino roseo imbrattato di terra, si rincorrevano, grugnivano,
rotolavano; e giunte presso il rigagnolo annusarono i piedi della piccola serva
bruna, poi, invece di bere, continuarono a rincorrersi fra i cespugli. Il guardiano
cominciò a fischiare per richiamarli; il monello cessò di sputare,
e così le donne finirono di riempire le anfore, e venne il turno delle
due cugine. Poi anche loro se ne andarono, con le anfore colme dritte sul capo;
e la fontana gorgogliò nel silenzio vaporoso del crepuscolo.
Sabina continuava nel suo sogno sentimentale. Quando tornava Pietro? Avrebbero
occasione di incontrarsi ancora? Ah, se ella avesse potuto aver le ali come
un uccello e volare vicino a lui per scrutarne i pensieri!
"
Se la zia muore, egli tornerà, non è vero?"
"
Chi?"
"
Ma Pietro Benu!"
"
Ah, tu pensi a lui! Chi sa se tornerà! Ad ogni modo glielo manderò a
dire. Ma credo che quella vecchia sia sempre inferma, e di tanto in tanto si
confessi e comunichi."
"
Andate d'accordo con Pietro?"
"
Certo", disse l'altra sorridendo un po' sdegnosa. "Egli è un
buon servo; io sono una buona padrona!"
"
Ma non è bravo davvero?"
"
Sicuro, un bravissimo giovine."
Sabina si sentiva tanto felice quando qualcuno lodava Pietro Benu; il che veramente
non accadeva troppo spesso.
"
Ad ogni modo", insisté, "egli tornerà presto?"
"
Ma non so. Egli disse che sarebbe tornato solo a lavoro finito. Del resto tu
dovresti saperlo meglio di me."
"
In fede mia, no!", affermò Sabina, timidamente. "Io non so
niente. Egli non mi disse più nulla dopo quel giorno, ti ricordi? Credo
abbia soggezione di voi."
"
Egli non è un uomo da aver soggezione di nessuno."
"
Allora non so perché non m'ha più cercata, mentre son certa che
mi vuol bene."
"
E tu? e tu?", domandò Maria, volgendosi con curiosità verso
la cugina.
"
Ma... anch'io...", mormorò Sabina, incoraggiata dalla benevolenza
di Maria e dal silenzio e dal crepuscolo che la circondavano. "Dopo quel
giorno... ho sempre atteso. Quando lo sento nominare, vedi, il cuore mi batte
forte. Se egli almeno si spiegasse!..."
"
E poi?", insisté Maria.
"
E poi? Se egli mi vuol veramente bene, ci sposeremo..."
Maria tacque. E per la prima volta la sua cugina, povera e semplice, che si
contentava di così poco, di nulla quasi, ma che poteva diventar felice
così facilmente, le destò un senso d'invidia non scevro però di
compassione.
"
Perché taci?", domandò l'altra. "Dispiacerebbe a te
e agli zii se avvenisse... ciò che io spero? Io sono povera. Che aspetto?"
"
Ma no, anzi!", esclamò Maria, pensierosa. "Pietro è un
bravo giovine. E poi è anche bello! E poi, se la zia gli lascia il suo
avere..."
"
Che mi importa? Io voglio lui, non i beni della zia!"
"
Ebbene, se lo vuoi, prenditelo! Ma parla piano, bella mia!"
Dopo un breve silenzio Maria riprese:
"
Ma sei proprio sicura che egli ti voglia bene?".
"
Sì", rispose Sabina, quasi offesa.
Intanto erano giunte. Attraverso una fessura illuminata della porticina si
vedeva la vecchia nonna che filava ancora e il vecchio asinello che girava
sempre intorno alla mola.
Maria sentì un impeto di compassione, rivedendo il melanconico quadretto.
"
Povere creature!", pensò, guardando la vecchia e l'asinello; "stanno
sull'orlo della fossa e lavorano ancora. Che triste cosa esser poveri! È vero,
però, che si contentano di poco, come Sabina..."
"
Addio", disse quest'ultima, chinandosi sotto la porticina. "Stanotte
dormirò come un sacco. A domani."
"
Addio. Addio, zia Caderina."
"
Addio", rispose la vecchia, mentre l'asinello si fermava ancora per ascoltare.
"
Voglio aiutare Sabina; parlerò con Pietro per vedere se veramente le
vuol bene", pensò Maria, allontanandosi a passi tranquilli, nella
oscurità sempre più densa della sera.
Le pareva di prender la cugina e il servo sotto la sua protezione, con benevola
pietà da regina.
E avrebbe arrossito se le avessero detto che in quell'ora medesima, nella melanconia
dell'altipiano selvaggio, Pietro Benu pensava a lei, non a Sabina. Le sarebbe
anzi parso impossibile. Poteva mai l'asinello di zia Caderina scorgere, attraverso
la sua maschera di stracci, nello sfondo della sua strada interminabile, un
lontano sogno di gioia?
VI.
Pietro ritornò a Nuoro dopo circa cinque settimane d'assenza, e precisamente
la vigilia di Natale.
Avanti, avanti, per gli aspri sentieri che scendevano in fondo alla vallata
e poi risalivano fino a Nuoro, egli pungeva i buoi con crudeltà, spingendoli
rapidamente al ritorno. Il vomero era consumato, il carro colmo di radici di
lentischio.
Nonostante la sua fretta e la sua ansia, il giovine servo avrebbe voluto arrivare
alla casa dei padroni a notte già fatta. Sentiva un vago timore del
primo incontro con Maria; aveva paura che ella gli leggesse sul volto i sentimenti
che lo agitavano: il braccio gli cadeva inerte, il pungolo cessava la sua opera
crudele; allora i buoi rallentavano il passo e Malafede frugava qua e là per
le macchie imbrullite, nere e rosse come mucchi di carboni semispenti.
Soffiava la tramontana acuta; il cielo basso e plumbeo prediceva la neve; ma
Pietro sentiva un calore interno ardergli il petto: le sue mani nere scottavano,
una vena gli pulsava forte forte alla tempia sinistra.
Gli pareva di aver la febbre; desiderava cantare, ma le labbra aride, serrate,
rifiutavano di aprirsi, un cerchio ardente gli stringeva la fronte, e la pulsazione
continua alla tempia sinistra sembrava il picchiare di un martello che fermasse
quel cerchio invisibile.
Egli camminava, desideroso di incontrare qualcuno con cui parlare, ma la strada
selvaggia era più che mai deserta; tutta la valle, con le sue macchie
rugginose, le pietre lividognole, gli sfondi grigi, pareva morta sotto quel
gran cielo oscuro e pesante.
Arrivato davanti alla chiesetta della Solitudine, nella strada dominante le
due vallate, Pietro si scosse dal suo sogno febbrile. Ecco, Nuoro era lì,
vicina, circondata dal vento, nella sera tetra. Le sue prime case apparivano
già; qualche donna avvolta nella tunica, con l'anfora sul capo, e contadini,
coll'immancabile cavallo o coi buoi sonnolenti, passavano spinti dal vento.
Pietro volse le spalle ai monti velati di nebbia, alla vallata fumosa, e rientrò in
paese. Nonostante il suo desiderio di attaccar discorso con qualcuno, non si
fermò, non salutò i pochi passanti, finché non giunse
alla porta dei suoi padroni. Il roteare del suo carro riempì la straducola
con un rumore di torrente. Malafede si slanciò in avanti, con la coda
dritta, e abbaiò.
Passando davanti alla bettola illuminata, Pietro intravide, dietro il banco,
il viso soave e ardente della bella Francesca, e una fiamma di desiderio gli
brillò negli occhi; ma subito pensò a Maria e per la prima volta
in vita sua si vergognò d'aver desiderato una donna di mali costumi.
Oh, no: anche se Francesca lo avesse chiamato, egli non sarebbe più andato
da lei; gli sarebbe parso di tradire Maria.
Il portone era chiuso: egli picchiò col pungolo, e subito, nel silenzio
improvviso, s'udì, al di là del muro, la voce fresca della giovine
padrona.
"
Dev'esser Pietro!"
"
Dev'esser Pietro!" Come ella lo diceva! pareva che lo aspettasse! Solo
questa supposizione, che pure egli sentiva vana, gli riempì il cuore
di gioia.
Malafede fiutava e raspava il portone: e come tardavano ad aprire cominciò a
guaire, sollevandosi e cercando di introdurre una zampa in una fessura. Qualcosa
di simile all'impazienza e alla gioia del cane fremeva nel cuore di Pietro.
Finalmente zia Luisa aprì, e Pietro intravide Maria ritta sul primo
gradino della scala; ma non osò guardarla subito.
"
Buona sera", disse, spingendo i buoi dentro il cortile.
E solo quando zia Luisa si volse per chiudere il portone, egli guardò la
giovine padrona e le chiese:
"
Ebbene, che nuove abbiamo?".
"
Buone, grazie a Dio. Fa freddo, ma la nostra pelle non è fina come quella
dei signori..."
"
Qual migliore signora di te!", egli disse, sospirando.
"
Ma tu, Pietro, sei stato ammalato? Sei magro e giallo", osservò zia
Luisa, quando egli, slegati i buoi e rimesso a posto il carro, entrò in
cucina, dove Malafede fiutava ogni angolo.
"
Macché! macché! Ho avuto un po' di febbre, queste ultime sere,
ma, come dice Maria, la mia pelle non è fina tanto da risentirsi di
simili cose. E il padrone dov'è?"
"
Febbre! febbre! Febbre interna, forse!", esclamò Maria, un po'
benevola, un po' beffarda. "Star cinque settimane senza veder l'innamorata...
ecco la febbre!"
Pietro la guardò, ma tosto chinò gli occhi, tanto il sorriso
di lei gli faceva male. Ah, quanto, quanto ella era lontana da lui! Lontana
come una donna savia da un pazzo, al quale ella rivolge la parola solo per
compassione!
Ridiventato triste, egli sedette davanti al fuoco, accanto a zia Luisa, e cominciò a
ragguagliarla sull'andamento del suo lavoro.
Maria andava e veniva per la cucina, preparando la cena di magro della vigilia
di Natale.
Fuori le campane suonavano l'Ave con rintocchi di gioia.
Zio Nicola non tardò a rientrare; anch'egli era dimagrito e pallido,
insolitamente melanconico; ma appena vide Pietro, che si era alzato rispettoso
e sorridente, rise e batté il bastone per terra.
"
Ah, bravo", disse, sedendosi al posto di zia Luisa, e battendo la mano
aperta sul ginocchio di Pietro, "ti aspettavo! Stanotte veglieremo e canteremo
a disputas. Se le donne vogliono andare alla messa, vadano pure; per me ci
rinunzio con piacere. La messa di mezzanotte è per me stata sempre odiosa,
perché tutti ci vanno per divertirsi, per fare degli scandali. Tu non
vorrai andarci, spero..."
"
Io no", disse Pietro, lusingato. "Vi farò compagnia, giacché lo
volete, sebbene pensi che voi potreste passare questa notte coi vostri amici."
"
Alla larga!", gridò il padrone, allargando le braccia. "Gli
amici vengono, oggi per bere il vostro vino, e parlar male di voi domani. Il
miglior amico è il servo fedele. Ed anche il cane, non dico: qua Malavì!
Diavolo, sei brutto come un cane!"
Malafede gli si era rifugiato fra le gambe e gli leccava le mani.
"
Qui, da bere, donne", disse poi zio Nicola.
Maria s'avvicinò, con la caraffa e il bicchiere.
"
Tu non andrai alla messa?", domandò Pietro.
"
Io? Io no, davvero! Me ne vado subito a letto, appena avrò cenato. Io
non ho da incontrare nessuno, alla messa. E anche voi, babbo, fareste bene
d'andare a letto..."
Pietro non udì ciò che il padrone rispose. Maria non aveva dunque "chi
incontrare alla messa". Ella dunque non aveva un amante, un fidanzato
più o meno segreto. Ah, come ella era buona! Egli la guardò con
riconoscenza, e bevette quasi con voluttà il vino offerto da lei.
"
Le donne vanno a letto; tanto meglio", riprese il padrone. "Di notte
le donne non devono far altro che andare a letto; questa è la mia opinione.
Noi, dunque, Pietro Benu, chiuderemo il portone e non apriremo neanche se viene
il diavolo. Accenderemo un gran fuoco, metteremo accanto a noi una bottiglia
di vino, e canteremo..."
"
Ma io non so cantare", osservò Pietro. "Invitate qualche altro..."
"
Ma sei sordo? Non ascolti le parole che ti dico?", gridò allora
zio Nicola, irritandosi. "Ti dico che gli amici miei sono il servo, il
cane, il bastone! Sì, anche il bastone! Ecco però un amico che
l'anno scorso non avevo!", concluse, rattristandosi e chinando il capo.
Ma tosto lo sollevò, scosse il barbone. "Ebbene, se anche tu non
vuoi restare, va pure! Canterò da solo!"
"
Resterò, resterò!", disse Pietro, ridendo.
Le donne, infatti, dopo cena, si ritirarono. Pietro avrebbe voluto che Maria
restasse; egli non osava guardarla, ma la sola presenza di lei gli dava un
dolce piacere. Non era l'ebbrezza ch'egli provava allorché, pur essendo
lontano da lei, credeva di vedersela davanti viva e palpitante; ma ella era
così bella, la sua voce così armoniosa, la sua persona emanava
tale fluido di giovinezza e di piacere, che egli sentiva la sua presenza come
in quella sera fredda sentiva il calore piacevole del fuoco.
Ecco, il servo mise tre grossi tronchi sul focolare, e spiegò due stuoie
di giunco sul pavimento caldo; il padrone preparò due bottiglie di vino,
una delle quali, più rossa dell'altra, risplendeva riflettendo la fiamma;
e la scena omerica cominciò.
Zio Nicola e il servo sedettero sulle stuoie, e il padrone sollevò una
delle bottiglie, guardandola attraverso la fiamma. Poi guardò così anche
il bicchiere, entro il quale al riflesso del fuoco il vino scintillava come
un rubino; e cominciò a cantare.
"
Questo è il sangue ardente della botte, e bevendolo noi scaldiamo il
nostro cuore. Beviamo, dunque, e riscaldiamoci, poiché fuori cade la
neve ed anche su di noi cade la neve degli anni. Non fidarti, tu, giovinotto;
anche per te passeranno gli anni, il tuo cuore diventerà freddo e occorrerà molto
vino per riscaldarlo. Che cosa ne dici tu?"
Pietro rispose:
"
Il mio cuore è già freddo, perché io sono un povero servo
e nessuna donna mi guarda, e nessun piacere può sorridermi. Io bevo,
ma neppure il vino può riscaldare il mio cuore".
"
Tu sei un bugiardo e un vanitoso", rimbeccò zio Nicola, nella sua
seconda ottava dai versi più o meno sbagliati, "e mentisci affermando
che le donne non ti guardano e i piaceri non ti sorridono. Ora ti proverò il
contrario..."
Fuori soffiava una violenta tramontana; grandi nuvole, chiare e dense come
enormi blocchi di neve, s'avanzavano dai monti d'Orune: qualche falda di neve
cominciava a cadere; nessun rumore, tranne il soffio rabbioso del vento, giungeva
fino ai due cantori.
Talvolta Zio Nicola, infervorato, si alzava a sedere, e con un cenno della
mano indicava a Pietro di non interromperlo: e invece di una componeva due
e persino tre strofe, una peggiore dell'altra.
Pietro lo ascoltava religiosamente, poi anch'egli cantava la sua ottava, e
beveva e beveva.
Verso le undici, mentre le campane suonavano con una letizia esagerata, tanto
che parevano scrollate dal vento pazzo, servo e padrone cantavano ancora; le
bottiglie erano vuote; e il loro splendore era passato negli occhi dei due
cantori.
Qualche volta Pietro riusciva a comporre delle ottave con argomenti così vivaci
e stringenti che zio Nicola si dichiarava vinto. Ma invece di offendersi guardava
l'avversario con una certa ammirazione, e gli diceva:
"
Bravo! Così ti voglio".
Continuarono a bere, ma cessarono di cantare.
Verso mezzanotte gli occhi del padrone, che al riflesso del fuoco parevano
di cristallo, s'aprivano e si chiudevano incoscienti; quelli del servo, pieni
di languore, si smarrivano dietro sogni e visioni inverosimili.
"
Pietro, figlio mio, tu canti bene ed io ti voglio bene. A che pensi? Dimmelo,
su, tanto lo immagino..."
Diceva proprio così? E Pietro, doveva parlare, dire veramente ciò che
pensava?
"
Ah, padrone mio, se sapeste! Se sapeste che serpente ho nel cuore! Voi dite
di volermi bene; ma se sapeste che io penso a vostra figlia vi gettereste sopra
di me come un cane arrabbiato."
"
Eh, anch'io...", disse a un tratto zio Nicola, sollevando la testa.
E ricominciò a raccontare in prosa le avventure che aveva già ricordato
nelle sue ottave. Oramai Pietro le sapeva a memoria; quindi cominciò a
distrarsi, e in breve le parole del padrone gli arrivarono confuse alle orecchie,
come un ronzio di api.
Tuttavia gli pareva di non essere ubriaco, e che non lo fosse neppure il padrone;
e la confidenza che zio Nicola gli dava lo rendeva felice e ardito. E perché no?
Ecco, ora apriva la bocca e parlava. Tutto era facile, tutto possibile. Sì,
sì, bisognava parlare; ma prima occorreva cercar le parole adatte.
Nascose il viso fra le mani, pensò a lungo: d'un tratto staccò le
mani dal volto ardente e fissò come un pazzo, attraverso le dita aperte,
lo splendore rosso del fuoco... Le parole venivano:
"
Zio Nicola, io non sono ricco, ma se voi mi aiuterete lo diventerò.
Mia zia sta per morire e so che ha fatto testamento in mio favore... È poca
cosa, lo so; una casetta in rovina e un pezzetto di terra, ma io venderò subito
ogni cosa e col piccolo capitale metterò su un negozio di buoi. Me ne
intendo io, di buoi, sapete. Chi lo sa? potrò fare fortuna. Anche voi,
padrone mio, avete cominciato con niente. Datemi Maria, zio Nicola, datemela
in moglie. Vedrete, diventerò ricco... Padrone, zio Nicola?..." chiamò dolcemente,
abbassando le mani.
Ma zio Nicola, col capo reclinato sulla mano, non rispose. Pietro lo guardò e
si accorse che il padrone dormiva.
Allora avvenne in lui una brusca reazione; come spesso gli accadeva, arrossì fino
alle orecchie e sentì una profonda umiliazione.
"
Sì, sono davvero ubriaco", pensò, scrollando il capo col
suo gesto sprezzante. "Dormiamo, dormiamo..."
Si sdraiò sulla stuoia, poi si sollevò e guardò ancora
il padrone.
"
Non sarebbe meglio svegliarlo e dirgli che vada a letto?... Ma no, che s'aggiusti
da sé..."
Ancora una scrollatina di capo, poi si sdraiò nuovamente: le orecchie
gli ardevano, le palpebre, sebbene pesanti, non volevano chiudersi del tutto:
strisce rosse solcavano le pareti, il tetto, il pavimento, e su queste straducole
luminose passavano lunghe file di chiocciole verdastre mettendo fuor del guscio
le piccole corna rosee tremolanti: poi tutto scoppiava e si sperdeva in mille
e mille scintille d'oro.
Era il fuoco che scoppiettava.
"Che bel cantare avete fatto stanotte, Pietro", disse Maria l'indomani,
con una smorfia di disgusto.
"
Bellissimo. Che hai da dire?", rispose Pietro, fissandola.
"
Ah, sì, vi siete ubriacati come due animali! Io non posso soffrire gli
uomini viziosi. Pazienza mio padre, poveretto: egli ha molti dispiaceri e naturalmente
cerca di svagarsi... Ma tu, Pietro! Vergogna! Sembravi un cane, quando sono
entrata qui, stamattina: un cane davvero, buttato di traverso sulla stuoia,
coi piedi sulla cenere."
Pietro s'accorse ch'ella esagerava, ma si pentì d'aver bevuto e nello
stesso tempo sentì piacere per l'interesse ch'ella gli dimostrava.
"
Che t'importa se io bevo o no?", le disse, sollevando la testa col suo
gesto sprezzante. "Bada a te, piuttosto; bada, con tutta la tua superbia,
di non prender per marito un ubriacone, più ubriacone di me"
"
Gesù!", ella esclamò, digrignando i denti, "me lo mangio!
Meglio un bandito che un ubriacone!"
"
Ebbene", disse con tristezza il servo, guardandola, "io non mi ubriacherò mai
più, te lo prometto!"
Questa promessa non commosse Maria, ma Pietro la mantenne. Quel giorno, infatti,
egli andò alla bettola, ma non bevette e non guardò la moglie
del bettoliere: stette lì a chiacchierare e a difendere i suoi padroni,
dei quali il toscano parlava male.
Nei giorni seguenti egli lavorò in un orto che i Noina possedevano vicino
al paese: all'imbrunire rientrava a casa e cenava coi padroni. Nei momenti
ch'egli stava a casa, zia Luisa si serviva di lui per certe piccole faccende
domestiche, e una sera lo mandò persino alla fonte con l'anfora sull'omero.
Egli, che in altri tempi si sarebbe ribellato, poiché un servo contadino
lavora soltanto la terra, obbediva, e si umiliava con gioia, pur di far piacere
a Maria.
Non sapeva perché, da qualche tempo si sentiva buono: talvolta triste,
d'una tristezza dolce, ma più spesso allegro come un fanciullo. Certe
volte si abbandonava tutto al suo sogno, come nella sera di Natale. Ecco, una
sera egli rientrava a casa tardi e trovava Maria sola, seduta accanto al fuoco:
anch'egli si sedeva davanti al focolare e guardava con insistenza la giovine
padrona. "Perché mi guardi così, Pietro?" "Perché mi
piaci, Maria." Ella rideva, egli balzava in piedi, le si curvava sopra,
le arrovesciava la testa e la baciava.
Questo sogno bastava per renderlo felice, di una felicità ardente, e
di giorno in giorno si mutava in progetto, in idea fissa.
Egli s'era poi procurato un pettine ed uno specchio tascabile, e appena si
trovava solo non rifiniva di lisciarsi i capelli e la barbetta, guardandosi
a lungo gli occhi, le labbra e la fronte.
Si trovava bello, e se ne rallegrava.
VII.
Di solito i padroni andavano a letto presto; qualche volta, però, se
un bel fuoco ardeva nel focolare, zia Luisa e Maria s'indugiavano nella cucina,
e chiacchieravano con Pietro. Seduta su un'alta scranna, la vecchia padrona
filava: la luce gialla azzurrognola del lume ad olio dava un placido risalto,
quasi una tinta di biacca, al suo largo viso bianco. Maria invece, un po' stanca
dopo una lunga giornata d'attività, si rannicchiava in un angolo del
focolare, e parlava poco, invasa dal torpore del caldo e del riposo. Così seduta
per terra, spesso coi piedi scalzi, ella pareva una serva, ma non cessava di
essere meravigliosamente bella. Pietro la guardava alla sfuggita, e ogni volta
che incontrava gli occhi di lei sentiva uno smarrimento di desiderio.
Discorsi quasi puerili si svolgevano fra la vecchia padrona e il giovine servo:
zia Luisa vantava la sua roba, Pietro si divertiva a lodare la roba degli altri.
"
Ho visto oggi il servo di Franziscantoni Careddu: scendeva all'abbeveratoio
coi buoi del padrone. Quelle sono bestie! Hanno la schiena lucida come specchio
e sono forti come leoni."
"
Cosa dici? Ma se volevano venderli a me, quei buoi? Non li ho voluti perché troppo
vecchi. È da paragonarsi col mio giogo [7], forse, quello lì?"
"
Mi pare più bello del vostro!..."
"
Tu sei pazzo. Si vede che non distingui il bestiame bello dal bestiame brutto.
Il mio giogo, devi sapere, costa cento scudi sonanti..."
Ed ecco zio Nicola rientrava trascinando la sua gamba e battendo il bastone
per terra: al solito era mezzo brillo e pretendeva che Pietro cantasse con
lui una gara estemporanea. Per contentarlo Pietro cantava, ma si seccava, tanto
più accorgendosi che anche le donne si annoiavano.
"
Fatemi il santissimo piacere di finirla", disse Maria una sera, sollevando
il viso, indispettita. "Almeno tu, Pietro, finiscila!"
"
Donnicciuola!", gridò zio Nicola, sollevando il bastone.
Maria glielo strappò di mano e si mise a ridere. D'un tratto però vide
che Pietro, improvvisamente ammutolito, le guardava il collo con uno sguardo
da pazzo: e portandosi la mano al petto s'accorse d'aver la camicia sbottonata.
Senza dubbio Pietro vedeva il neo bruno con tre peli d'oro, grande quanto una
lenticchia, che ella aveva un po' sotto la fossetta della gola. Ella rimise
entro l'occhiello il bottone d'oro della sua camicia, ma Pietro non cantò più,
nonostante le preghiere e le minacce del padrone.
I giorni passavano; una sera zio Nicola uscì con Pietro e lo condusse
nella bettola del toscano. Solo Maria Franzisca con la sua figura di madonna
un po' sciupata animava la melanconica osteria: appena vide i due uomini s'avvicinò premurosa
e sorrise a Pietro.
"
Eh, ti piace questo giovinotto?", chiese zio Nicola, battendo la punta
del bastone sulle spalle di Pietro.
"È
un bel giovine, certo!"
"
E io non sono un bell'uomo? Dov'è tuo marito?"
"È
andato ad Oliena per provvedersi di vino."
Zio Nicola non scherzò oltre; chiese del vino forte e bevette due bicchieri
uno dopo l'altro. Maria Franzisca era tornata al banco, ma Pietro s'accorse
che il padrone fissava la donna con occhi lucenti, senza curarsi di lui.
"
Pietro Benu", disse infine zio Nicola, "mi sono scordato di mandarti
da Salvatore Brindis per dirgli che domani lo aspetto a casa, per l'affare
delle capre. Va: dopo puoi fare quel che vuoi."
Subito Pietro s'alzò e andò via, ma invece di recarsi da Salvatore
Brindis s'avviò verso casa. Gli pareva d'esser ubriaco: pensava a Maria
come nei primi giorni della sua passione, quando l'istinto incosciente lo spingeva
a desiderarla con un desiderio quasi crudele.
Rientrò e trovò la giovine padrona sola in cucina, seduta al
posto di zia Luisa, sull'alta scranna vicina al lume ad olio. Era un'illusione
del suo desiderio? Ella cuciva tranquillamente e non accennava a ritirarsi.
"
E la padrona?", domandò Pietro, attaccando il suo cappotto al solito
chiodo.
"
Si sentiva stanca, è andata a letto. E il babbo dov'è?",
domandò Maria serenamente, senza neppure sollevar la testa.
"
Rientrerà fra poco; l'ho lasciato con Salvatore Brindis", mentì il
servo, staccando il cappotto dal solito chiodo per appenderlo allo spigolo
della porta.
Egli non sapeva che fare per nascondere il suo turbamento; si sentiva impallidire
e tremare, quasi stesse per compiere un delitto; e la tranquillità di
Maria, la cui mano si sollevava e si abbassava lentamente, col ditale di argento
sulla punta del dito medio, aumentava la sua commozione.
Uscì nel cortile e cautamente chiuse il portone, affinché zio
Nicola, rientrando, non sorprendesse il colloquio pericoloso che egli voleva
aver con Maria.
La notte invernale era limpida e fredda; la luna illuminava il cortile, dove
le zappe e i vomeri brillavano come fossero d'argento; l'orologio di Santa
Maria suonò le ore, con lunghe vibrazioni tremolanti: tutto era silenzio
e gelo. Solo il cuore di Pietro ardeva e tumultuava.
Egli afferrò un grosso tronco nero coperto di musco gelato, lo sollevò sul
suo petto, rientrò in cucina e lo depose sul focolare. Quello sforzo
fisico lo calmò alquanto; sedette per terra, con la solita posa pittoresca,
batté le mani una sull'altra per pulirle dai fili di musco lasciati
dal tronco, si accomodò e poi si levò la berretta. Ma non seppe
che dire.
Pensava confusamente che gli sarebbe stato facile alzarsi, balzare sulla giovine
padrona e cogliere sulle sue labbra il bacio che egli desiderava come il febbricitante
desidera un frutto fresco; ma non osava muoversi.
Per un po' i due giovani tacquero; poi Maria, vedendo Pietro seduto quasi ai
suoi piedi, disse una cosa che lo colpì e lo turbò maggiormente.
"
Pietro, ti aspettavo. Ho da parlarti."
Egli sollevò il viso e la guardò; ma ella continuava a cucire,
con gli occhi fissi sull'ago e le ciglia abbassate, e non vide lo sguardo lampeggiante
di lui.
"
Senti, Pietro. Volevo parlartene prima, ma non ho mai avuto l'occasione. Devi
però promettermi che, qualunque cosa tu possa decidere, non dirai mai
che io te ne ho parlato. Me lo prometti?"
Egli scosse la testa col suo gesto sprezzante: intuiva già quanto ella
voleva dirgli. Tuttavia rispose:
"
Te lo giuro sulla mia coscienza".
"
Senti, Pietro: che pensi di Sabina? Ti sei spiegato con lei? Ti hanno raccontato
qualche storia sul conto suo, che l'hai così trascurata? Ella ti vuol
bene... Che dici tu?"
Maria non smise il suo lavoro; parlava con calma, e non dimostrava d'interessarsi
oltre misura alla causa da lei perorata; neppure si scosse per il prolungato
silenzio di Pietro.
Egli non sapeva che dire; pareva colto da stupore e fissava gli occhi quasi
smarriti sulla fiamma che cominciava a bruciare il tronco, del quale aveva
già incendiato la scorza muschiosa.
Che dire? Sabina gli voleva bene? Chi se ne ricordava più? Quell'amore
era stato per lui simile alla fiamma fugace del musco secco, mentre l'ardore
che ora lo bruciava era come il fuoco che si sarebbe spento solo dopo aver
incenerito il tronco.
Finalmente Maria sollevò la testa, ma senza troppa curiosità.
Prese il rotolo del refe, fece scorrere il filo attraverso le dita, lo ruppe
coi denti, e mentre infilava l'ago sollevandolo verso la fiammella del lume,
domandò:
"
Non dici nulla, Pietro? Parla".
Pietro aveva anch'egli sollevato gli occhi e la investiva da capo a piedi con
uno sguardo disperato. Quella sera Maria era più bella del solito, o
almeno tale appariva al servo. La tela ch'ella cuciva le copriva il grembo
e cadeva fino al pavimento; la camicia di lei, bianchissima, aveva riverberi
di neve; fra tutto questo candore il collo di lei pareva più roseo,
e il viso più affascinante; e la fiamma del lume e il chiarore del fuoco
la circondavano d'una luce suggestiva.
Gli angoli della cucina si perdevano nell'ombra: fuori era notte e silenzio,
e in quello sfondo di mistero la figura di Maria appariva a Pietro come gli
appariva nel sogno, vicina, sua, solamente sua.
Egli non aveva che a stender le braccia per stringerla a sé.
"
Ma non parli, dunque? Perché mi guardi così, Pietro?", ella
domandò, cominciando a inquietarsi.
"
Che vuoi che ti dica? Che cosa vuole da me tua cugina?", egli chiese allora
con accento sincero. "Io non le dissi mai di volerle bene; io non le voglio
bene. Che vuole da me?"
"
Pietro Benu!", esclamò con orgoglio la cugina ricca, offesa per
la cugina povera. "Non si parla così! Non si tratta così una
ragazza onesta! Non mentire; io stessa vidi, laggiù nella vigna, che
tu la corteggiavi e le parlavi in segreto!"
Ma Pietro ebbe un'astuzia da innamorato.
"
Le parlai in segreto? Ebbene, sì, è vero", disse, chinando
gli occhi e prendendo in mano il bastone di ferro, bucato, che serviva per
soffiare e attizzare il fuoco.
"È
vero, sì? Vedi dunque, Pietro..."
Egli fece un segno sulla cenere con la punta del bastone.
"
Sì, dissi a Sabina che dovevo confidarle una cosa... ebbene, sì,
il mio amore... ma non per lei, per un'altra donna. Volevo chiederle un parere."
"
A chi? A Sabina? E perché a lei?", domandò meravigliata
Maria.
Pietro fece un altro segno di croce sulla cenere: in quel momento egli si sentiva
astuto, eppure timido come un fanciullo.
"
Perché? Perché Sabina è parente dell'altra."
"
Dell'altra!" ripeté Maria.
Tacquero. Lo sguardo di lei s'oscurò, le sue mani si fermarono.
"
Una parente... una parente di Sabina?", domandò come a se stessa,
pensierosa, chinando il capo, col gomito sul ginocchio e il dito col ditale
sulle labbra.
Pietro provava un'angosciosa sensazione di paura; eppure in quel momento non
ricordava affatto zio Nicola, zia Luisa, e che egli era il servo della donna
alla quale stava per svelare la sua passione insensata. Maria si batté tre
volte i denti col ditale.
"
Una parente? Una parente? Una parente?"
"
Ebbene, sei tu!", egli disse, quasi irritato.
Ella lo guardò senza stupore, senza indignazione; ma arrossì e
rise.
"
Scherzi, Pietro Benu?"
Egli riacquistò subito il senso della realtà; ricordò ancora
il padrone, la padrona, la distanza sociale che lo separava dalla bella fanciulla
beffarda, alla quale aveva finalmente aperto il suo cuore; ma non ebbe più paura.
Oramai erano di fronte: il segreto non li separava più.
"
Ebbene, sì, tu! Perché ridi? perché son povero e servo?
E se son povero e servo non posso volerti bene lo stesso? più degli
altri, anzi, Maria; perché gli altri possono guardarti con secondo fine,
per sposarti, per avere i tuoi beni, mentre io ti guardo così come si
guarda una cosa che non si può toccare; io ti voglio bene per te sola,
senza altra speranza che di esser ben voluto da te. Del resto, chi lo sa che
anch'io non possa diventar padrone, chi lo sa che anch'io non possa diventar
ricco..."
"
Senti", disse Maria, seria, troppo seria, "tutto questo è pazzia!
Io ho riso, così, non per offenderti, ma perché... ti sei spiegato
in un modo curioso! Se tu sei povero, che colpa ne hai? Siamo tutti eguali
davanti a Dio."
Egli capì che ella parlava così perché aveva paura d'irritarlo;
ma si fece più ardito.
"
E allora, dunque? Perché..."
"
Ebbene, sii savio, Pietro. Pensa che se anch'io volessi, gli altri non vorrebbero..."
"
Ma tu... ma tu?..."
"
Io non posso volerti bene."
"
Vuoi bene ad un altro?"
"
No, non voglio bene a nessuno; non penso di voler bene a nessuno."
"
Dici così perché non sai che cosa voglia dire voler bene, vedi",
egli insisté, con coraggio disperato. "Ma potrai volermi bene,
vedi; ora che sai come io ti amo, ora mi guarderai con occhi diversi..."
Maria allora guardò con la coda dell'occhio, presa da un vago terrore.
Egli s'animava troppo.
Era forse diventato pazzo? Che pretendeva da lei? Ella lo ascoltava benevolmente,
un po' per paura, un po' anche perché ci provava gusto, ma ora bastava.
Egli parlava bene, questo sì; mai nessuno le aveva diretto una più calda
e viva dichiarazione d'amore, ma ella aveva troppa coscienza del suo dovere
per permettersi oltre il gusto di ascoltarlo.
Con ostentata lentezza ripiegò la tela, ficcò l'ago nel rotolo
del refe, si tolse il ditale e si dispose ad andarsene.
Un velo oscurò gli occhi di Pietro. Ella si ritirava; egli non l'avrebbe
veduta mai più così, sola davanti a lui, nel silenzio e nell'ombra
della notte.
Con uno slancio balzò e sedette vicino a lei, e le afferrò una
mano.
"
Resta: ho da parlarti ancora..."
"
Lasciami!", gridò Maria, scuotendosi tutta con fiero sdegno. "Lasciami
o chiamo la mamma. Rimani al tuo posto!"
Egli ricevette la frustata in pieno viso.
Lasciò subito libera la mano di Maria, e sentì come uno spasimo
di pianto, e forse si sarebbe umiliato e avrebbe domandato scusa alla fanciulla,
se ella, d'improvviso, non fosse balzata su, tentando di scappare.
D'un balzo fu anch'egli in piedi, la rincorse e l'afferrò quasi brutalmente.
"
Non gridare", le disse però con voce supplichevole. "Non voglio
farti del male. Voglio solo che tu mi ascolti. Ti tengo, appunto per dirti
che tu non devi aver paura di me... Ecco, vedi, ti potrei far del male, ma
non voglio, non ci penso neppure."
"
Lasciami, allora, lasciami, Pietro", ella disse minacciosa, svincolandosi.
Egli le recinse la vita con un braccio, avvicinò il viso di lei al suo
e la baciò sulle labbra; poi la lasciò.
Tremava tutto, e come in sogno sentì ch'ella piangeva convulsa e diceva: "Vile,
vile... dirò al babbo... ti farò mandar via...".
E quando si trovò solo nella cucina silenziosa, davanti alla fiamma
cigolante del tronco che pareva cosa viva, ripeté a voce alta le parole
di Maria:
"
Vile, vile... dirò tutto al babbo... ti farò mandar via...".
Tutto era perduto. Era forse meglio andarsene prima di venir cacciato via come
un cane. Che avrebbe fatto dopo? Dove sarebbe andato? La sua vita, oramai,
non aveva più scopo.
Rimise in ordine il cucito di Maria, ch'ella nella fuga aveva lasciato sparso
per terra, e sedette sulla scranna, aspettando il ritorno del padrone.
"
Appena rientra gli racconto tutto, poi vado via. Ebbene, egli forse mi perdonerà.
Gli dirò: sono un uomo anch'io; la passione mi ha tolto il senno. Voi
che siete uomo di mondo, padrone mio, voi che stasera stessa avete peccato,
scusatemi e perdonatemi se ho baciato vostra figlia... Baciata! L'ho baciata!",
pensò rianimandosi.
E un brivido di voluttà, come non l'aveva sentito nell'atto del bacio,
gli serpeggiò per tutta la persona. Allora, nonostante tutti i suoi
timori e le sue incertezze, chinò il viso fra le mani e si sprofondò in
un sogno di amore: aveva qualche cosa da ricordare, e fra il ricordo e il desiderio,
entrambi disperati, la sua passione diventava più che mai forte e feroce.
VIII.
Maria pianse di rabbia e d'umiliazione, ma poi il sonno profondo della giovinezza
la vinse e le raddolcì il cuore.
Svegliandosi, la mattina all'alba, ella ricordò subito la scena della
sera avanti, e le parve di aver sognato.
Ma sì, aveva anche sognato: era scesa nella vigna, dove Pietro guardava
l'uva. Faceva caldo, ma una vegetazione primaverile copriva le chine, e l'erba
e la vitalba fiorita invadevano la vigna, nascondendo le viti cariche di grappoli
già neri. Ella aveva sgridato Pietro:
"
Che fai dunque? Perché non strappi via tutta quest'erbaccia? Vedi, bisogna
curvarsi e cercar l'uva come si cerca un oggetto smarrito...".
Si curvava, infatti, quando due forti braccia l'avvinsero, la sollevarono,
la strinsero. Era Pietro. Come aveva fatto la sera prima, egli avvicinò il
viso di lei al suo, tenendole la testa ferma con la mano, e la baciò sulle
labbra...
Uno, due, infiniti baci. Ella avrebbe voluto gridare, ma non poteva; d'altronde
nessuno l'avrebbe sentita, nella solitudine della valle deserta. Egli la baciava
e taceva, e teneva gli occhi chiusi: ella aveva paura, ma a poco a poco le
ginocchia le si piegavano, l'ardore delle labbra di Pietro si comunicava al
suo sangue; le pareva di dover morire...
Svegliandosi e ricordando che Pietro l'aveva veramente baciata, ella confuse
l'impressione della realtà con quella del sogno; un senso di dolcezza
mai provato le invase il cuore. Ma subito dopo sopraggiunse la reazione.
Pietro Benu, il suo servo, l'aveva baciata! Ella era stata baciata da un servo!
Vergogna suprema! Non esistono imprecazioni e insulti che ella fra sé e
sé non prodigò quella mattina al servo sfacciato e vile. Come
gli sarebbe ricomparsa davanti? Oramai egli poteva guardarla con occhi da padrone
e mancarle ogni momento di rispetto. Via, via, cacciamolo via, come un cane
appestato... Egli però potrebbe vendicarsi; potrebbe spargere calunnie
sul conto dei suoi padroni, far loro dei dispetti e dei danni, tagliare gli
alberi della vigna, ammazzare i buoi, incendiare le messi. Un uomo offeso è più terribile
della tempesta e del fuoco. Eppoi, non si sa mai, gli uomini sono tanto imprudenti
e focosi! Che farebbe zio Nicola sapendo... Dio ne liberi, potrebbe provocare
uno scandalo, forse un fatto di sangue...
Meglio tacere, essere prudenti, evitare i guai, con la dolcezza si ottiene
ciò che non si ottiene con la violenza.
Eppoi... Le parole di Pietro le ritornavano in mente: "Vedi, non voglio
farti del male. Se volessi...".
Infatti avrebbe potuto; invece s'era contentato appena di baciarla una volta
sola. Sì, laggiù nella vigna - poiché era innamorato di
lei fin da quel tempo, almeno così egli affermava, - quante volte non
avrebbe potuto farle del male? Quante volte non s'erano trovati soli, nella
valle deserta, nei recessi dell'orto, dove nessuno sguardo umano poteva arrivare?
Egli l'aveva sempre rispettata... Ora bisognava evitare le occasioni: intanto
ella avrebbe trovato un mezzo per farlo congedare senza scandalo.
Maria si alzò, aprì la finestra e stette lungamente a guardare
nel cortile silenzioso. Nuvole scure salivano sull'orizzonte e coprivano il
cielo freddo e chiaro; un gallo cantava, Malafede abbaiava nel cortile.
Ella si sentì triste e contrariata, dimenticando alquanto la sua sgradevole
avventura per ricordarsi che doveva fare il bucato! Con quel tempaccio lì!
Venisse una buona volta il bel tempo; il cortile ritornerebbe pulito e gaio
come una sala, la campagna rifiorirebbe. E Pietro non sarebbe più in
paese; ritornerebbe in campagna, passerebbe il tempo a mietere e raccogliere
il grano: ella, certo, non andrebbe più a trovarlo!
Sospirò, ricadendo nel ricordo della scena accaduta la sera prima, e
quasi per sfogare il suo dispetto si mise a rifare il letto e a rimetter in
ordine la sua camera, pestando i piedi nervosamente.
"
Hai i diavoli in corpo, stamattina?", gridò zio Nicola dalla camera
attigua.
Allora ella uscì nella scaletta e scese nel cortile. Lo sportello della
porta di cucina era aperto, ma non si sentiva alcun rumore. Che Pietro fosse
uscito?
L'idea che il giovine, per non subire lo sfratto minacciato da lei, se ne fosse
già andato, le sollevò il cuore. Ma entrando in cucina, trovò Pietro
addormentato in una posa insolita, seduto per terra e col capo appoggiato ad
una sediolina. Egli doveva aver passato una notte insonne e tormentosa, non
aveva neppure spiegato la stuoia, e al barlume livido che penetrava dal finestrino
il suo viso appariva pallido come il viso di un malato.
"
Egli non ha dormito", pensò Maria; e, suo malgrado, provò pietà di
lui.
Le parole di Pietro le tornavano in mente. "Non sono un uomo come gli
altri?... Perché son povero?..."
"
Ecco, egli mi ha baciato qui, proprio qui", ella pensava. "Egli mi
ha baciato perché volevo fuggire... Che farà ora, svegliandosi
e vedendomi?... S'egli balzasse su e m'afferrasse e mi baciasse ancora, come
nel sogno?"
Dispetto, umiliazione, pietà, desiderio di vendicarsi, desiderio di
non provocare il servo, ed anche una certa soddisfazione d'amor proprio, le
agitavano il cuore: guardava con disprezzo il viso pallido del dormente; ma,
senza volerlo, i suoi occhi si fermavano sulle labbra di lui, e sentiva ancora
sulla bocca il gusto dei baci ch'egli le aveva dato in sogno.
Intanto accudiva silenziosamente alle faccende solite; non voleva svegliare
il giovine, ma non sapeva se per vergogna di farsi vedere da lui, o per non
interromperne il sonno...
Ma Pietro dovette sentire la presenza di lei, perché, mentr'ella frugava
fra la cenere cercando una brage, egli si svegliò di soprassalto e la
guardò spaurito.
"
Perché hai lasciato spegnere il fuoco?", disse Maria, senza guardarlo.
Egli si sollevò, s'inginocchiò e si curvò per riaccendere
il fuoco.
"
Poco fa ardeva ancora... non so come s'è spento; ora lo riaccendo, aspetta,
non inquietarti", balbettò, ancora assonnato, ma timido e quasi
pauroso di lei.
"
Poco fa ardeva ancora... Egli dunque non ha mai dormito fino all'alba",
pensò Maria, ferma ritta presso il focolare.
Egli batté l'acciarino sulla pietra focaia e riaccese il fuoco, poi
balzò in piedi e si scosse tutto.
"
Maria", disse, "ti prego di scusarmi se... sono stato pazzo. Non
dir niente a tuo padre. Me ne andrò appena troverò una scusa.
Tu sei tanto buona e mi perdonerai: io non solleverò più gli
occhi per guardarti..."
Ella gli volse le spalle, e per il momento Pietro non disse altro.
Ma egli non mantenne le sue promesse, e tanto meno pensò ad andarsene.
Per qualche settimana non osò veramente sollevare gli occhi davanti
a Maria e non le rivolgeva la parola se non interrogato. Lavorava nella vigna,
e spesso non ritornava in paese neppure alla sera.
Una domenica, però, agli ultimi di carnevale, egli si trovò solo
con Maria nel cortile caldo e allegro di sole.
Entrambi si disponevano ad uscire, Maria vestita a festa per andare alla predica,
egli bellissimo in un costume nuovo fiammante.
"
Dove vai?", ella domandò, allacciandosi il corsetto.
"
Io vado a veder le maschere."
"
Faresti meglio ad ascoltar la predica."
Pietro la guardò; i suoi occhi ardevano e la fissarono a lungo, insistenti
e avidi. Ella ne arrossì.
"
Se tu vuoi, vengo... Non mi importa niente del carnevale, Maria. Dove non sei
tu io non vivo..."
"
Comincia a finirla, Pietro..."
Egli la guardava sempre con occhi fascinatori. Maria s'allontanò rapidamente
da lui e uscì, e Pietro ebbe l'impressione ch'ella fuggisse.
Altri giorni passarono; la primavera, la grande complice degli amanti, sopraggiungeva
tiepida, eccitante. Dopo quella domenica di carnevale Pietro continuò a
rivolgere qualche frase ardente alla sua giovine padrona, ogni volta che si
trovavano soli; ed ella non si sdegnava più, non fuggiva più.
Pareva si fosse abituata a considerar Pietro come un suo fervido ammiratore,
e non avesse più timore di lui.
Del resto, ella non aveva altri adoratori o almeno adoratori coi quali potesse
avere un contatto immediato e pericoloso. Era nota a tutti i ricchi paesani
scapoli di Nuoro la superbia della bellissima Maria Noina; tutti dicevano:
"
Ella pretende per marito un borghese, un avvocato, non un uomo vestito di pelli".
I giovinotti poveri non osavano sollevar gli occhi fino a lei, e per i borghesi,
per gli avvocati, ella non era abbastanza ricca.
Solo un proprietario di buona famiglia, Francesco Rosana, paesano ricco e intelligente,
ma assai brutto, guardava con insistenza la bella figliuola di Nicola Noina.
Ella lo sapeva, ma per più d'un anno aveva atteso invano una dichiarazione
amorosa da parte di Francesco, ed ora non l'aspettava più. D'altronde
il giovine proprietario non le piaceva affatto; le piaceva di più un
giovinotto alto e svelto, ricco pastore, che però doveva sposare una
fanciulla orfana, meno bella, ma più ricca di lei.
Un giorno il giovine fidanzato venne a cercare zio Nicola, e guardandolo bene,
Maria provò una strana impressione; le parve che egli rassomigliasse
a Pietro. Non seppe perché, ella sospirò, e per tutto il giorno
provò una vaga tristezza.
Sogni d'amore turbarono allora le sue notti, e in quei sogni era sempre la
figura di Pietro, e a volte anche quella del paesano fidanzato, che la stringevano
e la coprivano di inesprimibili carezze.
Quasi sempre sfondo a questi sogni era la vigna silenziosa e verde, lontana
dal mondo pieno di pregiudizi, come un'oasi dove l'amore soltanto regnava,
l'amore che domanda la bellezza e la forza, la dolcezza e il piacere, e non
la ricchezza e le altre vane doti dell'uomo.
Una sera ella attendeva che zio Nicola rientrasse dalle solite scorribande
per le osterie del vicinato, quando udì picchiare al portone. Uscì e
domandò chi era.
"
Io", rispose la voce di Pietro.
Maria credeva che egli tornasse la sera del sabato, e nel sentire improvvisamente
la sua voce si turbò. Aprì subito ed egli entrò.
La notte era oscura, ma tiepida e stellata; non giungeva al cortile silenzioso
alcun rumore, alcuna luce.
"
Perché sei tornato?", domandò Maria con voce cauta, quasi
indovinando già la risposta.
"
Son tre giorni che non ti vedo...", egli disse, immobile accanto a lei. "Son
venuto per vederti soltanto. Se vuoi, me ne vado via subito."
Ella non seppe che cosa rispondere, ma istintivamente si avviò verso
la scaletta. Egli la seguì, ma timido e rispettoso.
"
No, fammi vedere almeno il tuo viso, Maria; vieni un momento in cucina, poi
me ne andrò..."
Ella non rispose; Pietro allora, vinto un'altra volta dalla sua passione, la
prese per la vita e la trascinò, un po' riluttante, ma silenziosa, fin
verso la cucina, la cui porta era socchiusa.
"
Non c'è nessuno?", mormorò.
"
No", ella rispose sottovoce.
Entrarono, e alla luce del lume egli la guardò come un pazzo, così vicina
a lui, palpitante e quasi smarrita, ma non osò baciarla: anzi la lasciò e
disse:
"
Ora sono contento; se vuoi, vado via".
"
No, è meglio che tu resti; possono averti veduto. Aprirai tu, quando
il babbo ritorna... Buona notte."
Ella uscì, e appena fu nella sua camera cominciò a tremare senza
rendersi ragione del suo turbamento.
Passò una notte agitata, sognò, si svegliò che era buio
ancora e non poté riaddormentarsi. Ma una gioia fino allora ignota le
gonfiava il cuore al pensiero che fra pochi istanti avrebbe riveduto Pietro.
Ella non sapeva bene il perché di questa gioia, né si domandava
che cosa sarebbe accaduto, ma il pensiero di corrispondere alla passione del
servo era ben lontano da lei. Solo... lasciarsi amare, ebbene sì, che
male c'era? Pietro era così buono e rispettoso: la presenza di lui non
solo non le dava più timore, ma le procurava un acuto piacere.
Bastava mostrarglisi gentile per renderlo mansueto e tremante come un agnello;
e perché non dargli questa felicità, che procurava anche a lei
tanto piacere?
All'alba si vestì, si pettinò accuratamente e scese: il cuore
le batteva d'ansia e di un desiderio che ella non voleva confessare a se stessa.
Pietro era già in piedi, pronto a partire, ma pareva l'aspettasse.
"
Vado", disse; "oggi è davvero una bella giornata. Perché non
vieni più, laggiù, Maria?"
"
Che vengo a farci, ora?", ella rispose, con finta durezza. "Verrò quando
sarà tempo di venire."
"
Allora verrai?"
"
Sicuro verrò: perché non dovrei venire?"
Intanto accudiva alle solite faccende.
"
Bene, buon giorno", diss'egli, avviandosi.
Ella non rispose, ma quasi senza accorgersene si volse.
Egli le si avvicinò, acceso di desiderio.
"
Maria, dammi almeno la mano."
"
Ma va; tu diventi pazzo davvero! Lasciami una buona volta tranquilla!"
"
Non adirarti, Maria! No, io non voglio turbarti; ebbene, non stringermi neppure
la mano, se vuoi. Ma la mia mano non è sporca, no, Maria! Solo è la
mano di un povero, e tu perciò..."
"
Taci, taci, vattene", ella pregò, indicando la porta e allontanandosi
da lui.
"
Guardami almeno! Perché chini gli occhi?... Almeno uno sguardo, Maria!
Perché, perché son povero?", egli insisté, avvicinandosele. "Sì,
per questo. Ma te lo dissi, Maria: chi sa che anch'io non diventi ricco!...
D'altronde... che cosa ti domando io? Niente; ma non trattarmi male, ma dammi
almeno uno sguardo. Solleva la testa..."
Maria pareva affascinata. Sì, ecco, era questa la gioia che ella agognava;
sentirsi adorata umilmente e supplicata d'un solo sguardo.
Pietro le prese una mano, gliela strinse forte; un brivido li investì entrambi,
al solo contatto delle loro mani.
"
Addio; verrai alla vigna?"
"
Chi sa!"
Egli partì, ma l'aspettò invano, e il sabato sera rientrò nella
casa dei padroni con l'ansia e la febbre di un affamato che cerca di rubare
un pane. I padroni però vegliavano e si ritirarono tutti insieme.
Egli attese l'alba attraverso un sonno pieno di inquietudini e di sussulti.
No, non poteva più lottare; non poteva più vivere così.
O Maria si abbandonava al suo amore, o lui... che avrebbe fatto lui?... Non
sapeva; ma era deciso a tutto.
Ella scese più tardi del solito.
Pareva tranquilla, impassibile: appena entrata si curvò sul focolare
e mise la caffettiera sul fuoco.
"
Perché non sei venuta? Ti ho aspettato, ti ho aspettato sempre. Il tempo
era bello... Hai avuto paura di venire?"
"
Non ho avuto tempo", ella rispose con voce fredda.
Ma d'improvviso si animò, lo guardò, parve prendersi il perfido
gusto di provocarlo, di fargli sentire che non aveva paura di lui.
"
Verrò quest'altra settimana. Ci devono essere dei finocchi e verrò a
coglierli. La vigna è già lavorata? Hai cominciato a potare?"
"
Sì, sto a potare. No, tu non verrai, me ne accorgo..."
"
Ma cosa vuoi che venga a fare?"
"
Così, per vederti, per... vederci... Perché anche tu mi vuoi
bene, lo so, sì, ora mi vuoi bene; dimmelo..."
Ella scosse la testa un po' con sdegno, un po' con tristezza.
"
Anche se io ti volessi bene..."
"
Ebbene?"
"
Niente."
Egli s'alzò; ella s'avvicinò alla porta e guardò fuori;
il sole batteva già sul muro del cortile; zia Luisa poteva scendere
da un momento all'altro.
Cautamente Pietro si avvicinò a Maria e l'abbracciò.
"
Se tu mi volessi bene... ebbene, ebbene?...", insisté. "Che
t'importa degli altri?... Ma tu... tu mi vuoi bene?"
"
Lasciami, Pietro, lasciami... Possono vederci..."
"
Sì, ti lascio, subito; ma dimmi prima che mi vuoi bene.
"
Lasciami andare, Pietro..."
Ella diceva così, ma non si dibatteva più. Non sembrava più Maria
Noina, e Pietro credeva di sognare.
"
Sì, ti lascio... te lo prometto; ma prima dimmi..."
"
Sì, ti voglio bene."
Ma egli non mantenne la promessa.
IX.
Per qualche mese Pietro Benu visse come in un sogno, al quale però finì d'abituarsi.
I primi giorni, specialmente, visse stordito, febbricitante, sospeso fra cielo
e terra. Si svegliava e si addormentava sempre con la stessa gioia in cuore:
non era stato mai così felice, e neppure aveva mai sognato tanta fortuna.
Maria si mostrava tenera e ardente, nei brevi convegni che seguirono dopo il
primo colloquio d'amore; ella gli si abbandonava quasi completamente, con passione
spontanea e fiduciosa.
Oh, ella non dubitava di lui, ed anch'egli non era geloso, non diffidava, ma
si sentiva sempre un po' timido, sempre un po' servo davanti a lei.
Del resto passavano intere settimane senza che essi potessero rivedersi; e
rivedendosi davanti a persone estranee, assumevano un contegno gelido quasi
ostile. Maria anzi coglieva ogni occasione per lamentarsi di lui, e sgridarlo
per cose da nulla; egli la rimbeccava, e spesso si bisticciavano così bene
che zio Nicola interveniva e quasi sempre prendeva le parti del servo.
Tutto questo, però, oscurava alquanto la gioia di Pietro. Gli pareva
che Maria, così tenera e affascinante nelle ore d'amore, volesse poi
ricordargli in qualche modo la sua condizione e la distanza che li separava.
Ah, egli lo sapeva bene d'essere un servo, ma sperava sempre! L'amore può far
miracoli.
"
Mia zia ha finalmente fatto testamento in mio favore", egli disse una
notte a Maria, nella cucina ov'ella era scesa cauta e vibrante. "Vedrai,
mia zia è tanto vecchia. Ah, se tu vorrai aspettarmi! Io venderò subito
la casetta, la terra, tutto, e farò il negoziante. Vedrai... vedrai..."
Maria si lasciava baciare, ma non incoraggiava le speranze di Pietro. Fra loro
non si parlava mai apertamente di matrimonio, ma ad ogni modo Maria prometteva
fedeltà al suo giovine innamorato. Qualche volta un'ombra turbava le
loro ore di dolcezza; Pietro si rattristava, Maria s'irrigidiva.
"
Che hai, cuore mio?"
"
Nulla, Pietro. Ma sono di malumore, stanotte. Non badarci."
"
Anch'io."
Non osavano dire ciò che pensavano, ma si scambiavano baci che avevano
un sapore di lagrime. Poi dimenticavano la loro tristezza per godere istintivamente
l'ora presente, l'attimo che fuggiva per non ritornare più.
Si vedevano quasi sempre di notte, e durante il convegno chi più tremava
d'una sorpresa era Pietro. Ogni tanto egli s'affacciava alla porta e spiava,
e in quei brevi istanti Maria pareva ritrovasse il senso della realtà perché cambiava
fisionomia, s'oscurava, qualche volta piangeva.
"
No, io non sarò mai sua", pensava. "Che faccio io qui? perché lo
inganno?"
Ma egli ritornava verso di lei e la riavvolgeva nel fascino del suo sguardo
e delle sue parole.
Ella era abbastanza intelligente per comprendere che Pietro non era un seduttore;
vedeva benissimo ch'egli stesso era stato travolto dalla passione e l'aveva
trascinata con sé, in un vortice pericoloso, spintovi da una forza fatale;
tuttavia qualche volta ella si ribellava a questa potenza misteriosa e incolpava
il giovine servo d'essersi fatto amare.
"
Che vuole da me?", si domandava. "Io non posso sposare un servo...
Egli stesso lo sa, tanto che non osa parlarmene. Egli non è onesto,
no; non si tenta così una ragazza di buona famiglia. Egli mi avrebbe
corteggiato anche se avessi avuto marito..."
Egli invece la rispettava perché di giorno in giorno cresceva in lui
la speranza di farla sua moglie; e voleva sposarla pura, o almeno baciata solo
da lui. Non osava parlarle di matrimonio anche perché temeva ch'ella
credesse il suo amore interessato.
E di giorno in giorno, mentre in lui la passione diventava calma e profonda,
e la sua anima si rasserenava davanti alla luce di un avvenire felice, il capriccio
di Maria s'intorbidiva, si mutava in passione fosca.
La curiosità di sapere che cos'era l'amore l'aveva spinta verso l'uomo
giovine e bello; e l'amore si era rivelato, avvincendola ma non penetrandola
fino al cuore.
Era lei che non sapeva, o non voleva sapere lo scopo della sua passione. In
fondo al suo cuore regnava una nebbia torbida; i sentimenti perfidi dei quali
accusava Pietro vibravano invece in lei.
Un giorno ella scese nella valle, dove Pietro finiva di coltivare la vigna.
Si rividero sotto i peri, dove per la prima volta egli aveva notato la bellezza
di lei.
Il cielo era azzurro, la valle tutta verde e morbida come una immensa culla
di velluto; tutto invitava all'amore, e per un momento Pietro si credette perduto.
Maria lo aveva attirato dietro la roccia ov'egli aveva sognato di baciare Sabina;
l'edera odorava, due passeri s'amavano su una fronda. Gli occhi di Maria diventavano
incoscienti; Pietro tremava, soffriva, ma ricordava la sua promessa:
"
Non ti farò del male...".
No, non voleva ch'ella si pentisse di averlo amato: ma ebbe il torto di farglielo
capire.
Maria ripartì, e quando fu sola nello stradale rabbrividì pensando
al pericolo scampato.
"
Egli crede sempre di potermi un giorno sposare; vuol essere ben voluto dai
miei genitori; ed io... io non oso dirgli che è pazzo. Oh, Dio mio,
Dio mio, son io la pazza; oh, la mia povera testa; che faccio io? Perché sono
venuta oggi qui? Non sarebbe tempo di finirla? Sì, bisogna finirla.
Stanotte glielo dico: 'Pietro, smetti ogni speranza, non tormentarmi più'.
Fra giorni egli va lontano, va a trasportare carbone e cenere da una foresta
alla riva del mare; dopo cominceranno le messi, e così non ci vedremo
che una o due volte ogni tre mesi ed egli potrà dimenticare. Sì, è tempo
di finirla."
Per tutta la sera ella stette inquieta e triste; si buttò sul letto,
in attesa che i genitori si addormentassero, e pianse di rabbia e d'amore.
Si morsicava le labbra e sentiva ancora il fuoco delle labbra di Pietro; si
ficcava le unghie nelle palme delle mani fino a sentire una pulsazione dolorosa,
ma ricordava le carezze di Pietro.
"
No, vattene, Maria mia; non facciamo del male; vattene per carità..."
Ella se n'era andata, e avrebbe voluto non rivederlo mai più; ma ancora
una volta bisognava rivederlo.
"
Non facciamo del male..."
E non facevano già del male? Era forse bene che si amassero, così,
senza speranza? Finalmente ella si accorgeva d'essere in peccato; peccato di
desiderio, di menzogna, di disubbidienza verso i genitori, d'inganno verso
il suo inferiore. Ma Dio era grande e misericordioso: con una buona confessione
l'anima si lava come un panno alla fontana. Però bisognava prima troncare
la relazione disonesta e indegna di lei; ora, subito. Si alzò e uscì nella
loggia sopra la scaletta. Pietro attendeva in cucina, ansioso, fiducioso, buono
e carezzevole... Povero Pietro!
Per un momento Maria esitò, s'appoggiò alla ringhiera, sotto
il raggio pietoso della luna.
Poi rientrò nella sua cameretta e pianse ancora. Perché egli
era un servo? E perché aveva osato innalzare gli occhi fino a lei? Se
ora soffrivano entrambi, la colpa era tutta di Pietro. Pazzo, spensierato,
sciocco! Ebbene, che il male ricada sopra di lui. È tempo di finirla.
Riassalita da un impeto di collera, Maria ritornò fuori, scese, entrò nella
cucina. Pietro aspettava, ancora tutto commosso per la visita di lei e dei
baci che si erano scambiati dietro la roccia; appena la vide la prese fra le
sue braccia e la baciò. Ed ella dimenticò i suoi perfidi proponimenti:
ma da quella sera più che mai, la lotta tra i suoi sensi e la sua ragione
si fece aspra e felina.
Giunse un momento in cui ella non si domandò più che cosa voleva;
non osò più esplorare i bassi fondi del suo cuore e si abbandonò agli
eventi, sperando che un giorno o l'altro l'avvenire si schiarisse. Di Pietro
non aveva più timore: egli era un fanciullo, non un uomo; era anzi un
servo, umile e obbediente anche in amore.
Ma da qualche tempo Maria dimagriva, si sciupava, non era più una massaia
interessata e meticolosa; distrazioni inesplicabili intorpidivano le sue mani,
oscuravano i suoi occhi.
Zio Nicola le rimproverava sovente il disordine in cui ella teneva ora i registri
e le carte; zia Luisa ricordava la sua giovinezza, e pensava:
"
Maria ha bisogno di marito; è tempo che qualcuno si decida".
E poiché gli avvocati e i ricchi borghesi non si decidevano a domandar
la mano di Maria, zia Luisa parlava male di loro e cominciava a lodare i ricchi
paesani.
"
Gli avvocati! Pezzenti, imbroglioni: uomini di mala fede, che vendono l'anima
loro per un pugno di soldi: chi di loro è degno di legar le scarpe a
Francesco Rosana? Soldi ci vogliono, in una casa per bene, non chiacchiere
e scarpe lucide sopra e rotte sotto. Francesco Rosana, e qualche altro, quelli
sì, sono uomini: uomini forniti di tutto; di sapienza e di beni; gli
avvocatucci e i piccoli borghesi muoiono di fame."
Le chiacchiere di zia Luisa arrivavano fino al Rosana, il quale non cessava
di guardare Maria quando l'incontrava in chiesa o per la strada.
Quell'anno Maria non fece neppure il precetto pasquale; non aveva la forza
di confessarsi, e temeva che il sacerdote non l'assolvesse dal peccato di amare
e baciare un uomo che ella non intendeva sposare.
"
Io sono doppiamente peccatrice", ella pensava, "poiché inganno
i miei genitori e inganno Pietro."
Intanto arrivò il tempo della mietitura. Pietro stette lunghe settimane
lontano, ma ottenne da Maria la promessa che ella sarebbe andata a trovarlo
lassù, sull'altipiano, ove il suo cuore si era aperto all'amore come
la terra alla semente. Maria mantenne la promessa, e Pietro poté vedere
la bella persona di lei ergersi fra l'oro delle spighe come un papavero fiammante.
La valle esultava di messi, all'ombra dei monti selvaggi; il cielo ardeva;
i mietitori curvi, stanchi, ma compresi da una gioia quasi religiosa, tagliavano
le spighe e tacevano. Solo qualche fanciulla cantava e rideva, e il gorgheggio
del suo riso fondevasi col canto delle quaglie, col trillo delle cicale.
Maria stette qualche giorno lassù, nella sua terra, della quale pareva
un fiore vivente, e il sole abbronzò e indorò anche il suo viso.
Fra le mietitrici c'era anche Sabina, che in quel tempo perdé l'ultima
speranza dell'amore di Pietro.
Nel silenzio del meriggio, quando le falci abbandonate sui covoni brillavano
come d'argento, e tutto il paesaggio, giallo di messi e di sole, pareva assopito
in una sonnolenza febbrile, e le montagne lontane si fondevano con le vaporosità bluastre
dell'orizzonte, i mietitori dormivano all'ombra delle macchie, dispersi qua
e là, stanchi, frustati dalla fatica e dal caldo.
Un giorno Sabina, che s'era anch'essa addormentata con le sue compagne, all'ombra
di una macchia, si svegliò di soprassalto, e si guardò attorno.
Maria non c'era.
Un pensiero, prima vago e informe, passò in mente alla mietitrice innamorata.
Silenziosa strisciò fra le stoppie, salì le chine, cauta come
una lucertola, nascondendosi ogni tanto fra le macchie, e vide, non vista,
che Pietro e Maria, dietro il muro della capanna, si baciavano perdutamente,
obliosi d'ogni prudenza. Pareva che si fossero rifugiati là solo per
l'ombra.
E soli, nel cerchio del paesaggio fiammeggiante, essi coglievano i baci, l'uno
sulle labbra dell'altra, al cospetto del cielo e della terra come i mietitori
coglievano le spighe mature.
X.
La notte tra il sette e l'otto settembre un gruppo di fanciulle nuoresi percorreva
i sentieri mal tracciati che, attraverso tancas, pascoli aperti e boschi di
querce, conducono dalle campagne di Nuoro al monte Gonare.
Le graziose pellegrine notturne si recavano a piedi al santuario che sorge
sulla cima del monte Gonare; alcune intendevano di sciogliere un voto, altre
domandare una grazia, le più volevano semplicemente divertirsi. L'indomani
si celebrava la festa: gente di ogni paese del circondario sarebbe salita a
Gonare; c'era da vedere, da ballare, da divertirsi.
Ciascuna delle pellegrine portava seco un piccolo involto con la colazione
e il desinare, e teneva gettata sul braccio o sull'omero la tunica di gala
da indossarsi solo lassù nel luogo della festa. Alcune camminavano scalze,
per voto; una aveva i capelli sciolti sulle spalle e un cero dipinto in mano.
Era Maria Noina, che scioglieva un antico voto.
I lunghi capelli neri le ondeggiavano sulle spalle, inumiditi dalla rugiada;
la brezza talvolta glieli scompigliava, gettandoglieli sul viso, ma questo
fastidio le veniva poi compensato dalla soddisfazione di sentirsi lodare dalle
sue compagne di viaggio.
"
Sembri una fata, Maria Noina, coi tuoi capelli sciolti."
"
Sembrano i capelli di Mariedda, i tuoi capelli, Maria Noina."
Mariedda è la fanciulla delle favole, rapita dall'orco; i suoi capelli
erano così lunghi ch'ella gittò la sua treccia dalla finestra
e il figlio del re se ne servì come d'una corda per salire fino a lei.
"
Dio guardi i tuoi capelli, Maria Noina: lascia ch'io li tocchi Per evitarti
il malocchio..."
"
Preghiamo", propose Rosa S'ispina, invidiosa delle lodi che le compagne
rivolgevano a Maria.
Questa guardò una stella che tremolava sopra il santuario del monte
Gonare, e intonò a voce alta il rosario.
Ma la prima a ridere scioccamente fu Rosa, e le compagne non poterono proseguire.
Allora Maria propose che ciascuna pregasse per conto proprio, e tutto fu silenzio.
La luna illuminava il vasto paesaggio desolato, le grandi tancas inaridite
dall'estate e qua e là annerite da recenti incendi. Qualche fuoco di
pastore perduto in quelle solitudini melanconiche appariva misterioso come
un fuoco fatuo, come una lingua rossa emergente dalla terra nera, dietro i
muricciuoli o fra le stoppie rase e l'asfodelo secco; e in lontananza, da qualche
piccola palude formatasi dopo le prime piogge di settembre, saliva una nebbiolina
azzurrastra che pareva l'alito della terra febbricitante. Intorno, pel vastissimo
circolo dell'orizzonte, le montagne svanivano azzurre nella vaporosità lunare,
e su tutte le cose arcanamente tacite vegliavano le stelle, vive sul cielo
chiaro e profondo.
Le ragazze camminavano e camminavano, bianche di luna, silenziose e raccolte;
i capelli di Maria volavano alla brezza, e pareva volessero staccarsi, seguire
il soffio che li accarezzava; ma poi ricadevano sulle spalle della giovine
donna, come stanchi e pentiti del loro capriccio.
D'un tratto le ragazze si fermarono, ascoltando. Nel profondo silenzio che
precedeva l'alba s'udiva il trotto di parecchi cavalli. Un'eco di voce umana
giungeva con la brezza. Chi sarà, chi non sarà? Ecco, sull'ultima
linea azzurrognola della tanca si profila una lunga macchia nera che a poco
a poco s'avvicina, si divide; ombre di cavalli e di uomini s'allungano sulle
stoppie illuminate dalla luna.
"È
gente che va alla festa", disse Maria.
Uomini e donne in costume, i primi con l'archibugio ad armacollo, le altre
sedute sulla groppa o in sella o a cavalcioni di piccole achettas [8], apparvero
e circondarono le ragazze ferme fra le stoppie.
Nella carovana si distingueva fra tutti un giovine paesano, che montava una
calabrina [9] bianca, alta, irrequieta, dalla testa fina e la coda abbondante.
Il giovinotto non era bello, ma aveva una cert'aria di fiera distinzione: col
cappottino nero di orbace e di velluto, dal cappuccio rigettato sulle spalle,
il fucile scintillante alla luna, la cintura ricamata, gli sproni sopra le
ghette che disegnavano due gambe nervose, la sua figura ricordava i cavalieri
erranti, o i boriosi hidalghi spagnuoli.
Era infatti un principale, cioè uno di quei ricchi paesani che formano
tutta una razza caratteristica, vantano una certa nobiltà di sangue,
ed anche un po' di coltura.
"
Salute, le nuoresi", cominciarono a gridare i sopraggiunti, fermando i
cavalli vicino alle fanciulle.
"
Salute, Nuoro!"
"
Volete venire in groppa? Volete da bere?", chiese un vecchio galante,
piegandosi su un fianco per estrarre dalla bisaccia una zucca piena di vino.
"
Grazie", disse vivacemente Maria. "Il vino bevetelo voi, o datelo
alle vostre donne, che possano cascare dalla groppa dei vostri cavalli! Così al
ritorno potrete pigliar noi."
"
Brava!", gridò il vecchio. "Vedi che seguo il tuo consiglio!" E
mise la zucca sulla bocca e arrovesciò la testa fin sulle spalle per
bere meglio, mentre le donne sedute sui cavalli rimbeccavano Maria con parole
argute.
"
Salute, Maria Noina; vai tu pure alla festa?", chiese il giovinotto dalla
cavalla bianca, curvandosi sulla sella, e parlando piano. "Che bel manto
ti copre le spalle; Dio guardi i tuoi capelli. Mi dispiace non poterli toccare."
"
Salute, Francesco Rosana", ella disse, sollevando il viso e scuotendo
indietro i capelli che le arrivarono fino alle anche. E finse di veder solo
allora il giovine.
Egli la guardava dall'alto con due occhi avidi; ma incontrando lo sguardo un
po' malevolo e beffardo di lei, si fece timido, si raddrizzò in sella
e rallentò il freno alla cavalla.
"
Franziscu", disse allora Maria, provocandolo, "al ritorno mi prenderai
in groppa al tuo cavallo?"
Francesco si volse di scatto e gridò con impeto:
"
Magari subito! Vieni?".
"
Ora no: al ritorno."
"
Va bene! Buona festa, ragazze", egli disse, raggiante di felicità.
La cavalla sparava calci, si sbatteva la coda sui fianchi, mordeva il freno.
Francesco dovette allontanarsi, seguire i suoi compagni; ma per lungo tratto
tenne il viso sorridente rivolto verso Maria.
"
La cosa è fatta!", disse malignamente Rosa.
"
Che cosa?"
"
Il matrimonio. Non vedi che egli è innamorato come una donna?"
"È
brutto", disse Maria.
"
Chi disprezza compra."
"È
consigliere comunale."
"È
ricco."
"
Ha quattro tancas: fra poco ne attraverseremo una."
"È
brutto, è brutto. Ha gli occhi belli, ma non guarda mai in viso: ha
il naso che sembra il becco d'un avvoltoio."
"
Chi disprezza compra..."
Maria pensava a Pietro, lontano, solo là nella vigna. E sentiva che
era giunto il momento di sacrificarlo, e provava pietà di lui, ma come
d'una vittima necessaria. Che colpa ne aveva lei? Sapeva forse lei che Francesco
Rosana le sarebbe apparso quella notte in mezzo alle tancas, mandatole incontro
dal destino?
Cammina, cammina. Ecco, così si cammina nella vita, senza sapere chi
si deve incontrare nella propria strada.
L'alba di cristallo perlato risplende dietro le creste lontane dell'Orthobene,
dietro le azzurre montagne d'Oliena; lentamente si colorisce di rosa, e le
stoppie cominciano a scintillare umide di rugiada: la brezza tace, l'allodola
canta nascosta fra le macchie.
Le fanciulle tacevano, e si fermarono ancora una volta nella tetra spianata
che circonda la vecchia e misteriosa chiesetta dello Spirito Santo; alcune
si lavarono nell'acqua di una pozzanghera stagnante fra giunchi umidi, poi
ripresero la via, sempre silenziose, avvolte dal vago splendore dell'ora mattutina.
Cammina, cammina. Maria pensava sempre a Pietro ed a Francesco: il primo s'allontanava
dietro di lei, sempre più, sempre più, nello spazio silenzioso;
Francesco s'avvicinava, la chiamava, l'aspettava, lassù sulla montagna,
avido e avvincente come un avvoltoio.
Così ella seguiva sognando le sue compagne, senza guardare il paesaggio.
Attraversarono campi coperti di macchie di rovi e di prugni selvatici, cariche
le prime di more lucenti e le altre di bacche violette: passarono fra gruppi
di rocce enormi dalle cime forate, battute dal luminoso chiarore dell'aurora.
Maria si scosse quando vide le falde della montagna, coperte di boschi che
ondeggiavano dorati dal sole nascente. In cima al monte il santuario si profilava
grigio fra le rocce rosee di sole, sul cielo azzurro.
Le ragazze s'inginocchiarono e fecero una breve preghiera.
Maria trasse di tasca un pettine, e aiutata dalle compagne si districò e
lisciò i capelli; poi ripresero tutte assieme la salita e s'internarono
nel bosco di querce rade e nane.
Soltanto allora cominciarono a incontrar gente: gruppi d'uomini, donne, fanciulli
di Bitti e d'Orune, a piedi o a cavallo, scendevano dopo aver ascoltato la
prima messa e ritornavano ai loro paesetti lontani, perduti fra i monti selvaggi
al nord di Nuoro. Gli uomini, scuri in viso, con fieri occhi neri, vestiti
di orbace, di saia, di cuoio, ricordavano i mastruccati, ladroni di Cicerone;
le donne indossavano costumi ruvidi, di orbace e di panno giallo, non privi
però d'una primitiva eleganza.
"
Salute, Nuoro!", dissero i bittesi con la loro pronunzia latina.
"
Salute, Orune; salute, Bitti", risposero le ragazze.
Più in alto incontrarono gente di Olzai, paese noto per il caratteristico
sentimento religioso dei suoi abitanti; una donna olzaese, pallida e severa
come una monaca, raccontava a una deliziosa fanciulla di Gavoi, dal cappuccio
rosso, la leggenda di Santa Barbara.
"
La Madonna di Gonare e la nostra Santa Barbara (in nome del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo, così sia)", diceva l'olzaese, segnandosi, "si
sono incontrate proprio qui, in questo punto. Si guardarono, si strinsero la
mano, poi la Madonna disse:
Barbaredda de Orzai,
Ube nos an a ponner
No nor bidimus mai [10]"
Infatti il santuario della Madonna di Gonare si vede da tutto il circondario
fuorché dalla chiesa di Olzai, dov'è Santa Barbara.
A poco a poco la montagna si popolava; su per i sentieri saliva una folla variopinta:
i paesani, le donne, i pastori d'Orane, il villaggio più vicino, formavano
quasi una processione.
Sotto le querce nane, nel bosco un po' arido e selvatico, risuonavano mille
voci, dall'alto arrivavano grida di fanciulli, di venditori ambulanti, di gente
allegra.
Maria si trovò fra la calca, in mezzo a un gruppo d'uomini che ammirandola
oltre il necessario le rivolgevano frasi galanti e scherzavano a proposito
dei suoi capelli sciolti.
"
Sembrano la coda della mia cavalla nera; guarda, Predu Maria, guarda."
"
Custa pizzinna [11] sembra davvero la tua cavalla quando le mosche la molestano."
"
Peccato che non si lasci mettere il freno."
"
Predu Maria, prova a montare in sella."
Maria arrossiva, ma fingeva di pregare, e non rispondeva.
La folla aumentava: da tutti i sentieri, da ogni sfondo di bosco, affluivano
cavalli, pedoni, carri tirati da buoi, cani, mendicanti; era gente della Barbagia,
erano nuoresi superbi, belle fanciulle di Orane, rosee nella loro benda bianca,
donne di Mamojada dal corsetto rosso, pastori d'Orgosolo col costume lanoso
e primitivo dei Sardi pelliti: erano azzimati Dorgalesi dai lunghi riccioli,
e donne d'Oliena con gl'immancabili cavalli carichi di vino. E salivano anche
i Baroniesi dalle calzature di pelle, e tra la folla si distingueva qualche
donna del Goceano, pallida e coi grandi occhi arabi, e qualche donna del Campidano,
col fazzoletto giallo spiegato sul capo, dorata e rosea in viso come una Madonna
bizantina.
Il sole era già alto e penetrava nel bosco quando Maria e le compagne
arrivarono all'accampamento dei venditori, intorno alle catapecchie ove qualche
famiglia di Nuoro e di Orane passava il tempo della novena.
Prima di fare l'ultima salita fino alla chiesa le fanciulle deposero i loro
fardelli e sedettero a piedi d'un albero. Maria guardò se vedeva Francesco,
ma fra i numerosi cavalli legati agli alberi non vide la calabrina bianca.
Allora si distrasse alquanto, scosse indietro i capelli e si guardò attorno.
Il luogo non era bello; gli alberi gettavano ombre rade sulla china sparsa
di macchie aride, di cespugli grigiastri; fra queste ombre e queste macchie
tutto un popolo si agitava, e credeva di divertirsi soltanto perché era
convenuto lassù.
I venditori ambulanti vigilavano le loro mercanzie di latta, e gridavano i
prezzi e lanciavano scherzi grossolani alle ragazze che passavano; donne di
Tonara, strette fasciate in un ruvido costume, insensibili al sole e ai rumori
della folla, misuravano nocciuole o segavano e vendevano i loro torroni bianchi
che si scioglievano al caldo.
Sotto capanne di frasche i negozianti esponevano le loro stoffe d'occasione;
lo scarlatto sanguinava al sole, i broccati scintillavano; tutta una flora
inverosimile sbocciava sui fazzoletti e gli scialli paesani.
E intorno alle botti e alle bottiglie dei liquori si accalcavano comitive d'uomini,
di amici nuovi e d'amici vecchi incontratisi per caso lassù, e fra i
quali spiccava con bizzarro contrasto la figura di qualche borghese. E il vino
e i liquori rallegravano l'anima dei fieri paesani: e l'acquavite odorava con
un profumo di fiore fatale.
Maria e le compagne mangiarono e poi indossarono la tunica e si avviarono nuovamente
verso la chiesa.
Il sentiero s'allargava, aspro, a scalinata, quasi tutto tagliato sulla roccia,
fra massi enormi e macchie e alberi sempre più selvaggi e contorti.
I costumi colorati delle donne sfolgoravano sullo sfondo luminoso della salita;
le voci si perdevano nel silenzio puro delle cime incoronate d'azzurro.
Ma intorno a sé Maria continuava a sentire delle frasi sciocche, qualche
volta indecenti; i giovinotti correvano per vederla, si fermavano, la fissavano;
era tutta un'esplosione di ammirazione primitiva, che offendeva e lusingava
la bella dai capelli sciolti.
Qualcuno domandava:
"
Di dove è quella ragazza?".
"
Di Nuoro."
"
No, è d'Orane."
"
No, è d'Orotelli."
"
Di dove sei, bella?"
"
Di casa del diavolo", rispose Rosa, seccata e invidiosa.
Tutti risero e si misero a gridare:
"
Viva Nuoro!".
I mendicanti, fermi presso le croci che sorgevano di tratto in tratto ai lati
del sentiero, tendevano la mano e cantavano con voce cadenzata una specie di
lamentazione dolorosa. Nessuno ascoltava le loro parole, ma quasi tutti buttavano
monete nei berretti deposti per terra.
Maria gettava anch'essa una moneta ad ogni mendicante.
Appena raggiunta la vetta, le ragazze nuoresi entrarono nella vecchia chiesa,
già gremita di fedeli, e Maria poté appena aprirsi un varco tra
la folla e arrivare fino all'altare.
Il caldo era intenso, e il volto della fanciulla ardeva, bellissimo nella cornice
dei capelli sciolti.
Francesco Rosana, appoggiato alla balaustrata dell'altare, si scosse tutto
nel vederla, e la fermò toccandole dolcemente il braccio.
"
Sei arrivata adesso?", le domandò con voce sommessa.
"
Adesso", ella rispose, avanzandosi senza guardarlo.
Depose il cero, s'inginocchiò e volle pregare.
"
Maria mia di Gonare, ecco sciolto il voto che feci quando mio padre cadde da
cavallo. Tu lo hai salvato, Maria, ed io sono venuta scalza ed a capelli sciolti,
e ti ho portato un cero di tre libbre... Maria di Gonare, sii lodata..."
Non seppe dir altro, sebbene nel cuore le fremesse un'onda di preghiera. Ma
non osava formulare gli oscuri desideri del suo cuore. Avrebbe voluto chiedere
alla Madonna di Gonare la grazia di farle dimenticare subito Pietro ed amare
colui che la fissava ardentemente, lì, pochi passi distante; ma non
osava.
Tre sacerdoti vestiti di bianco e d'oro intonarono la messa: un adolescente
con una giubba rossa si mise vicino a Maria, col turibolo acceso che oscillava
e fumava.
Allora la folla si accalcò fin sui gradini dell'altare, e Maria dovette
alzarsi in piedi. Qualcuno le sfiorò la mano; ella si volse, vide Francesco
alle sue spalle e sorrise; allora egli fece di tutto per mettersele vicino,
e quasi la cinse e l'abbracciò.
La folla aumentava sempre. Volgendosi, Maria scorgeva un'ondulazione di teste
variopinte, e attraverso la porta spalancata, in un quadro di luce vivissima,
vedeva altra folla, altra folla ancora, stretta, pigiata sulla spianata della
chiesa e sui dirupi intorno. Ella non aveva mai veduto uno spettacolo più importante,
un quadro più luminoso e colorato, neppure nei giorni della settimana
santa nella cattedrale di Nuoro. Erano costumi e tipi di quindici o venti villaggi;
vecchie teste ieratiche di pastori; figure di nobili, aristocratiche come figure
di duchi autentici; profili bronzini di isolani delle montagne; lunghe capigliature
preistoriche; visini di cammeo, occhi saraceni neri e profondi come la notte;
bocche rosse e guance pallide; teste avvolte in bende gialle, nere, bianche,
coperte da cappucci, acconciate all'orientale, nascoste da larghi fazzoletti
frangiati, velate di merletti, inquadrate da bende dure inamidate.
Qualche altra donna coi capelli sciolti appariva tra la folla, ma nessuna aveva
la magnifica chioma di Maria: quando, all'Elevazione, ella si inginocchiò,
spingendosi verso il sacrista rosso, i suoi capelli sfiorarono il suolo.
Francesco non cessava un momento di guardarla, e talvolta i loro occhi s'incontravano.
Ella pensava sempre a Pietro; nei momenti di distrazione e di sogno vedeva
davanti a sé i dolci occhi chiari che l'avevano guardata come nessun
altro uomo avrebbe saputo più guardarla; ma volgendosi incontrava gli
occhi neri e vivi di Francesco e li fissava con abbandono e con tristezza.
Sì, il sogno era finito; la realtà cominciava. D'altronde ella
si sentiva triste, ma non molto. Francesco era brutto, ma aveva una fisionomia
dolce, buona, che inspirava confidenza.
Tutto non si può avere, nella vita: bisogna sapersi contentare...
I fedeli cantavano i Gosos [12], con un motivo melanconico che pareva il lamento
di un popolo abbandonato:
Sas roccas distillan perlas,
Sas mattas grassias e donos;
Cun milli boghes e tonos
T'acclaman sas aes bellas
Sas relughentes istellas
Falan prò t'incoronare. [13]
XI.
Appena uscita dalla chiesetta, Maria raccolse i capelli in due grosse trecce,
che attortigliò sulla nuca, e s'avvolse la testa con un fazzoletto scuro.
Francesco la seguiva e vedendo che le compagne di lei s'erano smarrite tra
la folla le disse:
"
Vieni con me, laggiù, fra quelle rocce. I Nuoresi sono tutti laggiù.
Guarderemo la corsa dei cavalli".
Maria accettò l'invito, e sorrise quando egli ricominciò a farle
la corte. Scesero assieme fino alle rocce, un po' al di sotto della spianata,
e trovarono un gruppo di Nuoresi intenti a guardare i cavalli che correvano
nel sottostante altipiano. Da quell'altezza i cavalli sembravano topi, montati
da fantini lillipuziani. La folla s'era sparsa sulla spianata e fra i dirupi;
grida selvagge risuonavano intorno. Tutti parlavano dei premi, consistenti
in buoi, denaro, drappi di velluto e di broccato.
Maria si divertiva assai; vicino a lei alcune donne d'Orotelli si porgevano
di mano in mano una fiala, nella quale introducevano il dito mignolo che poi
si passavano religiosamente sulle palpebre.
"
Cos'è?", domandò Maria.
"È
il miracoloso olio della lampada di Nostra Signora, che preserva dal mal d'occhi",
rispose Francesco con ironia.
Ma ella non rise: anzi chiamò una delle Orotellesi.
"
Mi dai quella fiala d'olio benedetto? Mia madre soffre spesso mal d'occhi."
"
No, bella mia, non posso; se vuoi, puoi servirtene tu, ora..."
"
I suoi occhi non han bisogno di medicine", disse Francesco. "Non
vedi come son belli; o sei cieca?"
"
Ti do una lira", insisté Maria.
"
Anche se tu mi dessi mille scudi non accetterei, bella mia..."
"
Va in pace, allora..."
"
Maria", disse Francesco, "vuoi che domandi il binocolo a quel signore?
Guarderemo verso Nuoro."
"
Ma sì, Francesco", ella rispose, sorridendogli.
Francesco domandò il binocolo e lo avvicinò agli occhi di lei;
e mentre ella guardava le cinse le spalle con un braccio e le disse:
"
Guarda: quel villaggio qui sotto è Sarule; vedi quel bosco più in
là? Due anni fa, io ci stetti tre mesi, in quel bosco, dove pascolavano
le mie vacche. Guarda da questa parte lontano: vedi, quella è la pianura
di Macomer. Peccato che oggi ci sia un po' di nebbia; la giornata si guasta.
Ma un altro anno verremo assieme, non è vero?".
Ella non rispose.
Le compagne di viaggio le si avvicinarono e cominciarono a scherzare e fare
allusioni maliziose. Poi tutta la comitiva dei Nuoresi ridiscese verso il bosco.
A metà strada Maria si fermò presso un masso calcareo, sul quale
si appoggiavano alcune donne di Alà; altre avvolgevano in pezzetti di
carta e serbavano religiosamente alcuni pizzichi di polvere che raschiavano
dal masso.
"
Qui", spiegò una vecchietta, cieca di un occhio, "qui s'è appoggiata
Nostra Signora Santissima quando saliva la montagna. L'appoggiarsi su questo
masso preserva dai dolori alle spalle, e la polvere qui sopra raccolta guarisce
la febbre."
"
Se non erro", disse allora Francesco, parlando in italiano, "questo è il
monte dei miracoli."
"
Miscredente!", esclamò Maria, appoggiandosi al masso.
Ma vedendo che anche lui s'appoggiava vicino a lei, cominciò a ridere
e domandò:
"
Ma insomma, credi o non credi?".
"
Credo in te, Maria, e vado dove tu vai."
Questa galanteria le piacque molto; sì, certo, Francesco era grazioso
e gentile.
Da quel momento non si lasciarono più.
Ritornati nel bosco, i Nuoresi s'indugiarono alquanto intorno a una comitiva
di paesani che ballavano il ballo sardo; poi fecero alcune compre e s'avviarono
al ritorno, proponendosi di fermarsi ancora a metà strada, nella tanca
di Francesco Rosana.
Come aveva promesso, Maria sedette sulla groppa del cavallo di Francesco, e
cinse col suo braccio la vita del cavaliere. E la comitiva si avviò.
Il giovine proprietario sentiva il busto di Maria appoggiarsi lievemente alle
sue spalle, stringeva nella sua la mano cara, e si sentiva felice come non
lo era stato mai.
"
Mi sembra d'essere ubriaco", disse sottovoce; "meno male che tu mi
sostieni..."
Rosa S'ispina, in groppa a un ronzino montato da un vecchio paesano, guardava
ogni tanto la cavalla bianca di Francesco e faceva una smorfia maligna.
Prima di arrivare alla chiesetta dello Spirito Santo tutti smontarono e pranzarono
all'ombra di un boschetto di querce.
"
Guarda", disse Rosa a una compagna, additandole Maria e Francesco, "fanno
all'amore in modo scandaloso."
"
Sei gelosa?", chiese l'altra.
"
Di chi? Di quel porco spino?"
"
Chi è il porco spino?", domandò uno della comitiva.
"
Tu", rispose la ragazza.
Maria indovinò di chi si trattava e arrossì di stizza. Sì,
Francesco era brutto davvero; più lo guardava meno le piaceva, così pallido,
terreo, con le mascelle sporgenti e la rada barbetta nera, la fronte bassa,
corrugata, il naso aquilino che gli dava un'aria d'uccello da preda. Ma i suoi
occhi eran dolci, il sorriso buono; eppoi egli vestiva con eleganza, calzava
stivaletti signorili, portava l'orologio, il fazzoletto bianco con la cifra;
era insomma un giovine distinto, un uomo ricco, e Rosa poteva ben schiantare
d'invidia.
Inoltre le tancas vastissime che circondano la chiesetta dello Spirito Santo
appartenevano a Francesco; era suo il bosco dove la comitiva s'indugiava a
meriggiare, suo il ruscello, sue le vacche pascolanti; e tutto questo formava
come una magnifica cornice intorno alla figura non bella del giovine possidente.
Il sole cominciava a declinare quando la comitiva riprese il viaggio. Il pasto,
il vino, l'ora, rendevano allegri, ma d'un'allegria alquanto sentimentale,
i cavalieri e le fanciulle. Queste, sedute in groppa ai cavalli un po' stanchi,
si abbandonavano mollemente sulle spalle dei giovinotti, e questi stringevano
loro la mano con dolcezza.
Il sole calava sul cielo turchino; una dolcezza ardente era nel paesaggio deserto,
sul cui sfondo dorato le ombre degli alberi e delle macchie spiccavano vivamente;
i ruscelli e le acque stagnanti riflettevano i roveti e i giunchi della riva
e sprizzavano scintille verdi al passar dei cavalli.
Francesco spronava la sua bella calabrina e precedeva sempre i compagni di
viaggio; poi, con la scusa di attenderli, fermava la cavalla e si volgeva indietro
per guardare. E i suoi occhi si fermavano sempre sul viso di Maria, ardenti
e avidi. Ella chinava gli occhi, ma spesso rideva, e le fossette delle sue
guance finivano di entusiasmare l'innamorato cavaliere.
Finalmente Francesco, durante un'ultima tappa prima d'arrivare a Nuoro, dichiarò il
suo amore alla fanciulla.
"
Maria", disse, "vorrei farti una domanda. Oggi tu sei stata così gentile
con me, che finalmente ho il coraggio d'aprirti tutto il mio cuore."
"
Parla", ella rispose semplicemente.
La voce però le tremava alquanto, e un velo di tristezza le copriva
gli occhi.
"
Senti Maria, e scusami se oso tanto. Sei libera? Hai qualche impegno amoroso?"
Ella pensò a colui che, sebbene scacciato, tornava sempre nell'anima
sua. E un impeto di pietà e di umiliazione la assalì: pietà per
lui, umiliazione per se stessa che si era abbassata ad amare un servo. Che
avrebbe detto Francesco Rosana s'ella confessava la verità?
Ma ella taceva e il giovine le strinse la mano, sollecitando la risposta. Ella
si morsicò il labbro inferiore, guardò lontano, e per un istante
ebbe l'idea generosa di confessare la sua passione disgraziata; ma subito arrossì di
questa idea pericolosa.
"
Sono libera", rispose.
"
Vuoi allora diventare mia sposa? Lo dirò subito a tuo padre."
"
Francesco", ella disse con serietà, "io ti ringrazio molto
dell'onore che mi fai, ma capirai che non posso subito darti una risposta.
Lasciami un po' pensare; fra due settimane ti farò sapere qualcosa."
"
Quindici giorni!", egli esclamò. "Quanto sono lunghi! Ma sia
pure."
Egli non disse altro; ma strinse forte la mano che ella teneva sempre appoggiata
alla cintura di lui, e sospirò più volte.
Sì, egli le voleva bene, forse quanto gliene voleva quel disgraziato
servo... Ella chinò il viso, e due lagrime di dolore caddero sul suo
seno commosso. Ma fu un istante. Già si scorgevano le prime case di
Nuoro, nel luminoso crepuscolo di settembre. I paesani che attraversavano lo
stradale si fermavano e salutavano Francesco con rispettosa deferenza; i compagni
di viaggio spronavano i cavalli e si riunirono per rientrare tutti assieme
in città.
Maria scosse la testa, quasi per scacciarne i pensieri tristi, e sollevò fieramente
il viso. La comitiva rientrò trionfalmente in città, e Francesco
propose ai cavalieri di condurre a cavallo fino alle rispettive case le donne
che li avevano onorati della loro compagnia. Così egli attraversò tutta
la città, e poté passare davanti alla sua casa.
"
Vedi", egli disse, additando a Maria una casa bianca con quattro finestre
aperte, "tu sai che quella è la mia casa. Dietro c'è l'orto
con un bel mandorlo, un melograno, un pergolato. Ti piace?"
"
Non l'ho mai visitata, la tua casa", ella rispose, guardando le finestre.
"
In estate c'è fresco nell'orto", egli riprese. E aggiunse, sottovoce:
"
Prenderemo il fresco sotto il pergolato, non è vero, Maria?".
"
Non so ancora...", ella rispose timidamente.
"
Ma la casa ti piace, non è vero? La strada è bella; di carnevale è sempre
piena di maschere e di gente allegra..."
"
Salude sos festaresos", salutavano le vicine di Francesco, uscendo sulle
porte. "Vi siete divertiti? Ci avete portato del torrone?"
"
Comare mia, l'abbiamo perduto per via, poiché i sorci hanno bucate le
nostre bisacce!", diceva scherzando il giovine proprietario, mentre Maria
salutava col capo, sorridendo alle sue future vicine.
Intanto zia Luisa aspettava, filando, ritta sul limitare del portone.
Qualcuno passò e le annunziò che Maria ritornava, seduta in groppa
alla cavalla di Francesco Rosana. Un lieve rossore colorì il viso scialbo
di zia Luisa: poi ella si toccò il corsetto, per assicurarsi che era
allacciato, si ricompose la benda intorno al volto, strinse le labbra e attese,
solenne e imponente. Appena vide i due giovani e distinse la mano di Francesco
posata su quella di Maria, disse a se stessa che il matrimonio era bell'e concluso
e si sentì giustamente assalita da un impeto di gioia.
"
Salude sos festaresos", salutò agitando il fuso . "Non smonti
dunque, Francesco Rosana?"
"
No, è tardi", egli rispose, aiutando Maria a smontare. "Verrò un
altro giorno."
"
Ebbene, ti degnerai almeno di attendere un momento? Accetterai un bicchiere
di vino?"
"
Date pure."
Zia Luisa andò a prendere il vino, e Maria rimase ancora un momento
sola con Francesco.
"
Fra due settimane, non è vero?"
"
Fra due settimane..."
XII.
Le due settimane passarono.
Francesco Rosana frequentava la casa di Maria, andava spesso in giro con zio
Nicola, passava qualche volta nella via. Era veramente innamorato, tutti
se ne accorgevano ed egli non lo nascondeva.
Ma, trascorsi i quindici giorni, Maria ne chiese altri sette per decidersi.
"
Ancora!", disse Francesco, quasi offeso. "Ma questo è un martirio."
Credeva però che Maria lo tormentasse così per provare il suo
amore: e attese, sempre più impaziente. Già i regali fioccavano,
da casa Rosana a casa Noina; quasi ogni giorno le vicine e il bettoliere curioso
vedevano arrivare una donna di servizio, che teneva sul capo un canestro ben
coperto da un tovagliolo bianco.
"
Sarà un canestro di frutta", diceva il bettoliere, scacciando le
mosche dalla sua botteguccia.
"
No, saranno dei biscotti con la cappa [14]", rispondeva una vicina dalla
porta di contro.
"
Scommettiamo?"
"
Peccato non sia in paese Pietro Benu; lui avrebbe saputo dirci qualche cosa.
Perché poi, dopo tutto, non si sa nulla: non si sa se si sposano o no."
"
Maria ha domandato un mese di tempo per decidersi", diceva il bettoliere,
che pareva molto bene informato. "Non si capisce perché quella
donna non si decida. Voglio domandarglielo."
Un giorno infatti entrò dai Noina per comprare una misura di grano e
chiese a Maria:
"
Zia, quando vi sposate?".
"
Dio solo lo sa."
"
Come Dio? Voi lo dovete sapere. Francesco Rosana si consuma, aspettando la
vostra risposta."
"
Come sapete ciò?", chiese l'altra, meravigliata.
"
Me lo ha detto un uccello! Anche gli uccelli lo sanno! Chi non conosce il segreto?...
Misurate bene il grano, zia!"
Ella pensò a Pietro, che in quei giorni si trovava nella vigna. Sapeva
anche lui? Un lieve involontario spavento l'assalì.
"
No, no", disse, versando il grano polveroso nella sacca del bettoliere. "Io
non mi sposo, non mi sposerò mai. La gente chiacchiera, ma io non so
nulla."
"
Chi volete dunque per marito, se Francesco Rosana non vi piace? Così ricco,
così simpatico, così gentile? Sembra un cavaliere vestito in
costume. Degno di voi, zia! Una coppia così bella! Decidetevi, decidetevi..."
Anche gli altri vicini, specialmente le donnicciuole, lodavano continuamente
Francesco, e consigliavano Maria d'accettarlo per sposo.
Intanto Pietro aveva compiuto il suo anno di servizio e rinnovato il contratto
per un altro anno.
Maria, veramente, aveva cercato di convincere il padre a non rinnovare il contratto,
ma zio Nicola l'aveva guardata da capo a piedi con disprezzo e meraviglia.
"
Come sono sciocche le donne! Sciocche tutte! Perché vuoi licenziare
quel servo? Dove ne troverai uno migliore? Se Pietro Benu è la perla
dei servi? Ecco, tu sei come colui che cercava del pane migliore del pane di
frumento..."
Pietro lavorava nella vigna e sognava. Qualche voce vaga, sul possibile fidanzamento
di Maria, era giunta fino a lui, ma già altre volte egli aveva sentito
chiacchiere e notizie false, a proposito del matrimonio di Francesco con la
sua giovine padrona, e non credeva più a nulla. Egli era cieco e sordo;
viveva tutto della sua passione, lontano dalla realtà, come relegato
in un'isola di sogni.
Il tempo era dolce, sereno; la vigna maturava all'ombra della montagna cinerea
sulle cui falde i lentischi abbruciati da qualche incendio sembravano melanconiche
macchie di ruggine.
Pietro guardava sempre in su, verso lo stradale, con la speranza di veder giungere
Maria; Maria invece pensava a lui quasi con odio. Perché si era fatto
amare, quel servo? Perché si era messo sulla sua via, come una pietra
che bisognava saltare con pericolo?
Spesso, bisogna dirlo, bastava il ricordo degli occhi e dei baci del povero
servo perché Maria rivolgesse il suo rancore contro Francesco; quel
ricordo destava in lei un tumulto di passione e di rimorso, la incatenava al
passato, la faceva piangere di angoscia e di desiderio. Ma poi una vicina veniva
per comprare orzo o frumento o mandorle, guardava sorridendo servilmente la
giovine proprietaria e le diceva:
"
L'hai visto passare?... Fa pena davvero! È diventato magro... Eh, via,
sei più dura di queste mandorle: hai il cuore nero, tu! E dire che egli è così ricco,
così grazioso! Il più bel giovine di Nuoro; il più ben
vestito! Bada di non pentirti Maria!".
Ed ella ricadeva nei suoi sogni ambiziosi.
Vennero i giorni della vendemmia. Pietro ritornò in paese, e a mala
pena ottenne da Maria un breve colloquio notturno.
"
Sono malata", ella gli disse. "Ho la febbre: senti come brucio. Ho
paura di morire."
Scottava davvero, era pallida e tremava. Pietro la fermò un momento,
poi la pregò di ritirarsi, di mettersi a letto e di curarsi.
Ella s'avviò barcollando: quando fu vicina alla porta si volse e disse:
"
Pietro, bisogna esser prudenti. In questi giorni ho rifiutato un grosso partito,
e mio padre e mia madre sospettano che io abbia qualche passione in cuore.
Sarai prudente? Farai tutto quello che vorrò io?"
"
Tutto, tutto, cuore mio! Dimmi di buttarmi sul fuoco, dimmi di tagliarmi le
mani..."
"
Non tanto! Basta che non cerchi di vedermi e di parlarmi spesso..."
"
Come tu vorrai", egli esclamò, esaltato.
Avrebbe voluto chiederle chi era il "grosso partito" rifiutato, ma
pensò a Francesco Rosana, e non osò trattenerla più a
lungo. Poveretta, aveva la febbre.
La seguì con gli occhi, mentre ella attraversava il cortile illuminato
dalla luna, e gli parve che ella piangesse.
Per segreta suggestione di Maria, zia Luisa fece partir Pietro subito dopo
la vendemmia.
Come l'anno passato, egli si recava sull'altipiano, per la seminagione: il
suo carro era carico di sementi e di provviste; il vomero intatto brillava
sulla punta dell'aratro.
Era una sera di luna, una sera di ottobre, dolce e tiepida. Pietro era ripartito
senza aver riabbracciato Maria, e spasimava d'amore e di tristezza. Ella non
era più la stessa, no; ella era mutata, sofferente, infelice. Tutto
per lui, sì, tutto per lui. Perché egli se n'era ben accorto:
zia Luisa e zio Nicola la trattavano con freddezza sdegnosa perché ella
non voleva accettare la domanda di matrimonio di Francesco Rosana.
"
Per paura dei suoi genitori ella non mi ha più permesso di vederla durante
la notte", pensava Pietro. "Ed ora passerà tanto tempo..."
No, egli non poteva proseguire la strada. Si fermò in un podere, raccomandò ad
un contadino il suo carro ed i buoi, legò il cane perché non
lo seguisse, e rifece la via...
Camminava come un sonnambulo, spinto da una forza misteriosa. Il cuore gli
batteva d'angoscia e di amore. S'aggirò cautamente intorno alla casa
dei padroni, vide zio Nicola nella bettola, batté al portone. Maria
venne ad aprire.
"
Pietro!", ella disse con spavento. "Perché sei tornato?"
"
Non ho potuto... non ho potuto proseguire...", egli rispose anelante e
fremente. "Perdonami: non ho potuto. Son tornato per vederti... Dimmi
che cosa succede, Maria, dimmelo subito .. Dimmi che hai, e perché non
possiamo vederci più come prima..."
Supplicava e basiva e pareva dovesse cader fulminato ai piedi di lei.
Ella lo guardava, tremante di paura e di pietà. Ah, sì, il povero
servo la amava, la amava più che non l'amasse il ricco proprietario;
ma che poteva ella fare? Per un attimo ebbe l'idea generosa di rivelare a Pietro
tutta la verità; ma il coraggio le mancò. Mentì ancora,
mentì sempre.
"
Ma non lo sai, dunque", disse con voce dolce, "non lo sai che i miei
genitori vigilano? Non te lo dissi già? Ho rifiutato più d'una
proposta di matrimonio... e loro dubitano che io sia innamorata... Innamorata
di te... Vattene, Pietro, sii prudente; non farmi soffrire..."
"
Mai; vorrei piuttosto morire che farti soffrire...", egli disse fervidamente. "Ma
ho bisogno di vederti, qualche volta, Maria; ho bisogno di te come del pane
e dell'acqua. Ritornerò, qualche volta. Qualche volta, Maria!"
"
No, no, in segreto mai! Sii buono, Pietro, non farmi soffrire. Ed ora vattene,
vattene..."
Ella lo spingeva, davvero paurosa che venissero sorpresi; ma egli non poteva
allontanarsi, non poteva muoversi. Avrebbe voluto morire, sentiva una grande
sventura pesargli sul capo.
"
Lascia almeno, Maria! È tanto tempo..."
Con impeto folle la strinse a sé; la baciò sulle labbra con l'avidità di
un affamato. Ella non poté resistere; lo baciò e pianse disperatamente.
Da circa due settimane Pietro aveva ripreso possesso del melanconico altipiano,
e lavorava alacremente.
Una sera, ai primi di novembre, passò di là un giovine contadino
nuorese che gli portò un cestino di provviste.
Pietro lo invitò ad entrare nella capanna ed a riposarsi accanto al
fuoco; anche Malafede s'aggirava intorno al viandante, fiutandogli le vesti
e leccandogli le mani. Ma il giovine aveva fretta. Curvo sull'apertura della
capanna, porgeva il cestino e salutava.
"
Dammi almeno qualche notizia dei miei padroni", disse Pietro.
"
Maria s'è finalmente decisa a fidanzarsi con Francesco Rosana. Il toscano
dice ch'è stato lui a convincerla", rispose l'altro, ridendo.
"
Cosa mi racconti?", gridò Pietro, slanciandosi violentemente contro
il viandante.
"
Oh, come, non lo sapevi?...", disse una voce.
Oh, che era? Una voce umana, o la voce del vento, o il latrare del cane? Pietro
non seppe: sentì un urlo, poi un rumore stridente, come d'una sega che
gli aprisse il cranio, che gli penetrasse fino alla gola, al petto, alle viscere...
Le sue labbra si schiusero, fredde e pesanti come labbra di marmo; i suoi occhi
videro l'ombra d'un mostro che gli si avventava addosso per strozzarlo.
Fu un attimo. Il viandante non finiva di pronunziare la frase "come, non
lo sapevi?" che già la vertigine era cessata.
"
No, non è possibile", egli mormorò come fra sé; "tu
t'inganni. Maria ha rifiutato Francesco. Lo disse a me."
L'altro aveva fretta d'andarsene; nella penombra non aveva veduto il viso sconvolto
di Pietro, e quindi rispose tranquillamente:
"
Non so. Certo è che tutte le sere Francesco Rosana va a visitare Maria,
e quasi ogni giorno manda regali. Tutti dicono che gli è stata concessa
l'entrata [15] in casa Noina. E del resto, cosa c'importa? Addio. Mettiti a
bagno" [16].
Il viandante s'allontanò, ma Pietro fischiò per richiamarlo.
"
Senti, tu! Mi dimenticavo. Io volevo stasera ritornare a Nuoro per un mio affare;
se zia Luisa t'interrogherà, le dirai che io ero già partito,
quando tu sei passato. Hai capito? Così dirò che ritorno per
rifornirmi di viveri."
"
Va bene, buona notte."
Pietro s'avviò, più cieco e triste della notte. Perché andava?
Dove andava? Che avrebbe fatto? Egli non lo sapeva, ma andava. Andava come
l'ariete che spinto dal prurito della sua testa rosa da un verme va a sbatterla
contro una pietra, un tronco, un ostacolo qualunque.
Bisognava camminare, vedere, cercare un sollievo peggiore del male.
Per un buon tratto di strada camminò così, spinto da un impulso
cieco: le tempie gli battevano forte, gli pareva di sentire un galoppo di cavalli
su una strada rocciosa; vedeva grandi macchie violette volteggiare nell'aria
fredda della notte.
Ma a poco a poco si riebbe. Guardò il cielo, per indovinare l'ora dal
corso delle stelle, vide Giove, verde e brillante, poco alto sull'orizzonte
cristallino, e pensò:
"
Saranno le sette: fra un'ora e mezzo sarò là. Oggi è sabato.
Se la notizia è vera trovo Francesco Rosana ancora là... Se lo
trovo mi metto su di lui e lo strozzo... No, Maria non lo ama, non lo vuole!
Ella non può tradirmi, così, come Giuda tradì Cristo.
Dev'essere stata la famiglia a imporle il fidanzamento. Ed ella, timida e paurosa,
ha ceduto... Come ella deve soffrire! Chi sa, forse è stata lei a farmi
avere la notizia, ed ora mi aspetta...
Più andava, più il dubbio del tradimento si dileguava dalla sua
anima smarrita: in fila serrata i ricordi gli ripassavano nella mente; ogni
sguardo, ogni promessa, ogni parola di Maria gli ritornava nella memoria, destandogli
un sentimento di profonda tenerezza.
In meno di due ore attraversò e risalì la valle; correva, ansava,
smaniava; gli pareva di andare verso un luogo pericoloso, per salvare Maria
da un incendio, per strapparla ad un destino abbominevole. Stendeva le braccia
in avanti, e stringeva i pugni quasi per misurare la sua forza ed esercitarsi
per la prossima lotta contro un nemico ignoto. Tutti gli istinti dell'uomo
primitivo risorgevano in lui.
"
Lo ucciderò... lo strozzerò, lo getterò a terra e come
un albero schiantato dall'uragano. Lo ucciderò, lo ucciderò!..."
Per lungo tratto di strada non fece che ripetere queste parole: gli sembrava
di urlarle, le sentiva ripetute dal rumore dei suoi passi, dal palpito delle
sue tempia, dalla pulsazione violenta del suo cuore e della sua gola.
E più s'avvicinava a Nuoro più sentiva di odiare Francesco, più Maria
gli appariva come una vittima...
Giunto davanti alla chiesetta della Solitudine si fermò di botto, ripreso
bruscamente dal senso della realtà. Là, davanti a lui, Nuoro
stendeva le sue casette nere e silenziose; qualche fanale rosso brillava nel
buio; una campana annunziava il coprifuoco, l'ora del riposo, dei sogni e dei
delitti...
"
Dove, dove vado io?", si domandò Pietro.
Un soffio di vento veniva giù dall'Orthobene nero; gli batté alle
spalle, gli gelò il sudore, lo avvolse tutto come in un lenzuolo funebre.
Sì, dove andava? Fra pochi istanti sarebbe arrivato, sarebbe rientrato
nella casa dei padroni. Francesco Rosana forse era già partito; ma fosse
pure ancora là, che avrebbe fatto egli, il povero servo? Avrebbe salutato,
niente altro che salutato...
"
Ebbene", pensò, avviandosi, "io non rientrerò: spierò,
e dopo aver visto uscire quell'immondezza cercherò di rientrare e di
riveder Maria. Bisogna prima intenderci con lei; poi vedrò che cosa
conviene fare".
Ma d'un tratto sentì un respiro ansante, un anelito quasi umano, e prima
ancora ch'egli avesse avuto tempo di voltarsi, Malafede lo raggiunse e gli
passò avanti.
"
C'è il cane", egli disse a voce alta; "come si fa ora?"
Imprecò, fischiò, ma il cane, tutto fremente di gioia e di stanchezza,
correva dritto verso il paese.
Allora Pietro pensò che doveva rientrare subito a casa: ma a misura
che s'avvicinava il cuore gli tornava a battere forte, e i pensieri gli si
confondevano nella mente.
"
Se io lo trovo là lo uccido, mi getto sopra di lui come un cane arrabbiato.
Come si fa? È meglio che aspetti fuori; non voglio perdermi... no...
perché Maria, ne son certo, mi ama ancora... Devo, devo frenarmi, devo
vincermi... per amor suo."
Davanti alla casa dei padroni si fermò. Malafede raschiava il portone
e guaiva; egli lo afferrò per il collare e lo trascinò fino allo
svolto del muro.
Il cane si scuoteva tutto e abbaiava; Pietro, curvo e ansante, lo accarezzava,
lo supplicava:
"
Sta zitto, diavolo; sii buono, sta zitto...".
Quanto tempo lui e il cane stettero lì dietro il muro, agitati da una
lotta innocua ma ostinata? Egli non calcolò il tempo, ma gli parve lunghissimo.
D'improvviso un quadrato di luce rossastra tremolò sulla via, davanti
al portone che si apriva: un uomo uscì, si fermò un momento,
finì di dire qualche cosa, poi salutò:
"
Buona notte, Maria".
"
Addio, Francesco."
Pietro si sentì morire: il cane gli sfuggì di mano; egli si rizzò,
s'avvicinò, si fermò anche lui sul quadrato di luce, e vide come
in un sogno la figura di Maria. Ella teneva la candela in mano; vedendo Pietro
impallidì e lo guardò spaventata, ma il cane era già in
cucina e zio Nicola s'affacciava alla porta gridando:
"
C'è qui Malafede! Oh, che diavolo vuol dire? Ah, ci sei anche tu, bello
mio?".
Pietro non l'ascoltava: guardava Maria, e Maria si allontanava dal portone.
Non una parola fu scambiata; ma egli intese che tutto per lui era finito. Entrò e
chiuse il portone.
"
Buona notte", disse poi, attraversando il cortile. "Ah, voi non m'aspettavate
certo?"
Maria sentì che egli si rivolgeva a lei: ebbe paura; istintivamente
spense la candela e si rifugiò in cucina, dietro le spalle di Zio Nicola.
Ma Pietro non le rivolse più neppure lo sguardo.
Egli entrò e sedette accanto al fuoco, nell'angolo dove aveva trascorso
tante ore felici, sullo sgabello forse abbandonato dal suo rivale... Sentiva
un desiderio feroce di urlare, di rompere e devastare tutto intorno a sé;
avrebbe voluto prendere un tizzone ardente dal focolare, scuoterlo in giro,
appiccare il fuoco a tutto, a tutti, perire in questo incendio d'odio e di
disperazione. E non mosse una mano, non sollevò gli occhi. Il dolore
lo paralizzava.
"
Tu sembri un cadavere", disse zia Luisa, guardandolo con uno sguardo meno
indifferente del solito. "Sei malato?"
"
Sì, sono malato. Son tornato per ciò. Ho la febbre. Datemi del
chinino e ripartirò subito."
"
Hai fatto bene. Ma giacché sei qui, riposati: ripartirai domani mattina.
Sì, ti darò il chinino; ne ho comprato giusto una boccetta; anche
Maria ha avuto la febbre."
"
Anche lei!", disse Pietro, come fra sé.
Sollevò gli occhi, si guardò attorno. Nulla era mutato intorno
a lui: le figure erano sempre le stesse, zia Luisa filava, zio Nicola stringeva
il bastone fra le gambe, Maria volgeva le spalle, riordinando alcuni bicchieri
in un vassoio deposto sopra il forno.
Ma egli aveva l'impressione di trovarsi in un mondo nuovo, in un luogo triste
e quasi lugubre: gli pareva di esser morto; sì, qualcuno lo aveva percosso
con una pietra, sul cranio, e l'aveva ucciso; il Pietro che ora respirava in
lui era un altro, e riviveva in un luogo di morte e di dolore.
"
Sì, tu sembri un cadavere", ripeté zia Luisa. "Prendi
subito un po' di chinino. Avrai fame, anche."
"
Vi dico che ho la febbre: non ho fame."
"
Febbre d'amore", disse zio Nicola, battendo sul pomo del bastone la tabacchiera
di corno turata con un tappo di sughero intagliato.
"
Vi dico che ho la febbre", ripeté Pietro, irritato.
"
Eh, diavolo, mi pare che hai anche il delirio, bello mio! Non gridare così!
Se hai la febbre, coricati", disse il padrone. "Ma almeno un bicchiere
lo bevi, eh? Da' qui da bere, Maria. Voltati dunque; oh che vedi ancora la
figura di Francesco Rosana dentro quel bicchiere?"
Maria si scostò, ma non si volse: allora Pietro vide i bicchieri in
uno dei quali doveva appunto aver bevuto Francesco. E respinse con ribrezzo
quello che Maria venne lentamente a porgergli.
Ah, il cuore gli si infrangeva: avrebbe dato tutto il resto della sua vita
per trovarsi solo con Maria e domandarle la spiegazione di quello che a lui
pareva un abominevole mistero.
Ma ella porse il bicchiere a zio Nicola, poi si allontanò ancora, fece
lentamente il giro della cucina, uscì e non rientrò più.
"
Ha paura di me", pensò il servo. "Perché, perché ha
paura? Che posso farle io? Non ho giurato di non farle mai del male? Ella è vile; è vile,
vile; ma io l'amo più di me stesso e se ella mi domandasse perdono..."
Non sapeva perché, pensando a lei diventava debole come un bambino;
ma d'improvviso sentì nuovamente come un lontano galoppo di cavalli,
una fiamma gli bruciò il viso, una nube rossa gli passò davanti
agli occhi.
Uccidere, uccidere! Bisognava uccidere qualcuno, bisognava bere un po' di sangue
umano per estinguere la sete terribile che gli bruciava la gola.
"
Stanotte strangolo zio Nicola, questo cinghiale rosso e sciocco..."
Ma dopo che zia Luisa si fu ritirata, il padrone sollevò il bastone
e lo batté lievemente sulle spalle del servo.
Pietro trasalì; parve svegliarsi da un sogno.
"
Che c'è?"
"
Buone notizie", disse zio Nicola, con voce ironica. "Ora te le racconto."
Spiegò un gran fazzoletto turchino, lo scosse sul fuoco, poi si soffiò rumorosamente
il naso.
"
Sì, buone notizie, almeno si dice così. - Prendi tabacco, Pietro
Benu? No? Allora, buona notte! Sì, anch'io ho cominciato a prender tabacco:
invecchio. E lasciamo andare! Dunque mia figlia Maria sposa Francesco Rosana."
Pietro ascoltava e taceva. Le ultime parole del padrone lo colpirono come bastonate.
Ah, ebbene, sì, fino a quel momento egli aveva sperato d'ingannarsi!
"
Come si fa?", proseguì zio Nicola. "Si poteva aspettare ancora,
si poteva sposare un bel giovine; ma alle donne, oramai, credi pure, piacciono
gli uomini brutti. Tu sei un bel giovine, per esempio; ma credi tu che piacerai
alle donne? Passati quei tempi, bello mio! Il cuculo non canta più...
Sì, bello mio, zia Luisa lo vuole, Maria lo vuole, tutto il mondo lo
vuole..."
"
Chi?"
"
Chi? Sei sordo? Non ho nominato Francesco Rosana? Giovine ricco, spaccone,
consigliere comunale. È vero che Maria poteva sposare un borghese, un
medico, un avvocato; ma gli avvocati, dice zia Luisa, sono spiantati. Dunque,
sai tu chi ha fatto la domanda di matrimonio? Indovina un po'."
Pietro sollevò il capo, fece il suo solito gesto sprezzante.
"
Il sindaco, bello mio; il sindaco in pelle ed ossa", annunziò il
padrone: e voleva essere ironico, ma non riusciva a nascondere una certa soddisfazione
vanitosa. "Benissimo", proseguì, levandosi la berretta e rimettendosela
un po' di sbieco sul testone arruffato. "Faremo come vorrete voi. Soldi
ci sono, in casa Rosana! E Maria pare fatta apposta per contar denari."
"
Dicono però...", cominciò Pietro; ma ripeté il suo
gesto sprezzante e s'interruppe.
"
Dicono? Che cosa dicono? Rispondi, eh! Dicono?..."
"
Dicono che Maria non è innamorata di Francesco..."
"
Innamorata? Peuh, chi lo sa? Le donne, ti ripeto, non s'innamorano più.
Però nessuno la costringe. Lei lo vuole, lei se lo piglia. Io non ho
neppure tentato d'esprimere la mia opinione."
"È
finita!", pensò Pietro.
L'accento sincero e le confidenze del padrone gli mostravano le cose nella
loro brutta realtà. Maria lo aveva tradito volontariamente: e chi sa
da quanto tempo ella covava il tradimento!
Sì, ella lo aveva tradito baciandolo, come Giuda aveva tradito il Signore.
Tutto era finito.
Rimasto solo, Pietro si abbandonò tutto alla sua rabbia e alla sua
disperazione. Uscì nel cortile e s'avvicinò alla scaletta; s'aggirò qua
e là, spiando il modo di poter arrivare fino alla camera di Maria. Impossibile;
tutto era chiuso, tutto era silenzio. Sopra il muro del cortile una stella
verdognola, luminosa come una piccola luna, forse la stessa che aveva accompagnato
col suo raggio la corsa pazza di Pietro attraverso la vallata di Marreri, scintillava
e pareva ridesse di lui e delle sue smanie.
Egli rientrò nella cucina e si buttò per terra. I ricordi lo
stringevano, lo soffocavano. Lì, proprio lì, accanto al sacro
focolare, davanti al fuoco che pareva cosa viva, Maria lo aveva baciato, aveva
promesso, aveva spasimato... Come ogni cosa poteva svanire?
Chiudendo gli occhi, egli credeva di sentire ancora la voce sommessa di lei:
la cara mano si posava ancora sulla sua... Tutto il resto era un sogno crudele.
Ma d'un tratto la voce mutava; diventava quella d'un uomo, una voce alquanto
nasale che pronunziava parole ricercate; sì, il rivale era lì,
seduto davanti al fuoco; un sogghigno di scherno gli sollevava il labbro superiore,
l'ombra del suo profilo aquilino vagava sulla parete come il profilo d'un uccello
di rapina.
Maligne visioni apparivano: ecco, zia Luisa rideva di gioia; il suo insolito
riso aveva qualcosa di lugubre, quasi d'osceno; il suo fuso cigolava, emetteva
uno stridio misterioso come di porta che s'apra lentamente sui cardini arrugginiti:
zio Nicola raccontava le sue antiche avventure amorose, con particolari licenziosi,
e Pietro si sentiva ardere di desiderio. Ma d'improvviso tutto taceva: le figure
dei padroni sparivano, il fuoco si spegneva a poco a poco. E nella penombra
rossastra si delineava un gruppo: un uomo e una donna avvinti, con le labbra
unite.
Erano loro: Maria e Francesco.
Pietro balzò coi pugni stretti, si slanciò attraverso il focolare,
verso l'insopportabile apparizione.
Ma dal pavimento alla parete sprazzata dal chiarore rosso del fuoco semispento
si mosse solo, gigantesca e deforme, un'ombra che parve battere e spezzarsi
la testa contro il tetto.
Pietro tornò a sedersi per terra e si portò le mani alla testa:
sì, gli pareva davvero d'aversela fracassata. Di nuovo sentì il
galoppo lontano di molti cavalli, un rumore di pietre cadenti su pietre; e
il sangue gli velò ancora gli occhi.
Un lieve rumore nel cortile lo richiamò in sé.
"È
lei? Oh, se venisse, se mi dicesse: è tutto un sogno, Pietro: eccomi,
son tua ancora..."
Ella non venne, ma bastò questo momento di speranza per intenerire il
cuore del disgraziato. Perché disperarsi così presto? Dopo tutto,
il matrimonio non era celebrato ancora! Eppoi, fosse anche tutto finito con
Maria, non esistevano altre donne nel mondo?
"
Potrò dimenticare; son giovine, son forte..."
Ricordò Sabina, ripensò a tante altre fanciulle povere che avrebbero
potuto amarlo perdutamente. Perché impazzire per una che lo tradiva?
Ma al pensiero del tradimento di Maria il dolore riafferrò l'anima del
tradito: e Maria era l'amata, era l'unica; era l'aria che egli respirava, il
sangue che lo animava, il dolore che lo urgeva. Senza di lei nulla esisteva,
tutto era tenebre.
Le ore passarono. Egli fece anche un severo esame di coscienza, domandandosi
se aveva commesso qualche colpa, qualche errore che giustificasse il tradimento
di Maria. Nulla. Egli non aveva fatto altro che amarla.
E neppure nei momenti di rabbia poté indovinare la vera ragione del
repentino mutamento di lei. Egli l'aveva collocata tanto in alto, tanto in
alto, come una stella; non ne vedeva quindi che lo splendore.
"
Ella mi lascia perché non mi ama più", pensò. "Mi
lascia perché tutti davanti a lei hanno lodato Francesco Rosana, ed
ella ha cominciato ad amarlo... Francesco è brutto", pensò poi, "ma è istruito, è astuto,
sa parlare come un avvocato. Chi sa quali arti seduttrici, quali malie di sguardi
e di parole avrà egli adoperato per rubarmi il cuore di Maria. Ah, quella
festa di Gonare, mai non fosse arrivata! Maria è donna e debole: me
l'hanno rubata, me l'hanno ammaliata; mi hanno assassinato. Che siano tutti
maledetti! Guai, guai a loro! guai a Francesco Rosana, falco maledetto, assassino,
guai..."
Mille progetti di vendetta gli attraversarono la mente.
"
Lo ammazzerò qui, qui, davanti a questo sacro focolare", disse
a voce alta, stendendo la mano verso il fuoco. "Qui, qui, il giorno delle
nozze, prima che ella diventi sua! Sangue e lagrime: di questo ho bisogno."
Di nuovo un rombo di rovina gli risuonò entro le orecchie, e una nuvola
di sangue gli passò davanti agli occhi: poi tutto tacque, tutto sparve.
Il ricordo dei giorni oramai spariti per sempre gli raddolcì il cuore.
Ed egli scoppiò in pianto.
Dopo la morte di sua madre non aveva più pianto: e queste furono le
ultime lagrime della sua vita.
XIII.
L'indomani mattina egli attese invano Maria. Scese zia Luisa, gli diede un
po' di chinino e lo incitò alla partenza.
"
Anche Maria ha avuto la febbre, stanotte. Non ha riposato un momento."
"
Febbre d'amore", disse Pietro, accingendosi alla partenza. "Spero
mi farete ritornare per le nozze."
"
Va là, per le nozze faremo il pane col grano che tu semini!"
"
Allora io sarò morto", disse Pietro, avviandosi.
"
Curati; hai davvero una brutta cera, figlio caro", rispose zia Luisa,
senza che il suo viso scialbo esprimesse la minima espressione di affetto per
il servo sofferente. "Curati, hai capito? Per lavorare occorre della gente
sana."
Per via Pietro fu ripreso dalle sue smanie. Dunque Maria si nascondeva: era
decisa a non accordargli più un colloquio. Come fare?
"
Ritornerò, qualche altra volta; ma ella starà in guardia. Ah,
se sapessi scrivere! Che lettera le manderei, scritta col mio sangue!... Come
farò dunque?", pensava, disperato. "Come farò, come
vivrò?"
Gli venne in mente di nascondersi in qualche casa vicina, e di là mandare
a chiamar Maria.
"
Ma come scusarmi coi vicini? Eppoi ella starà in guardia, non verrà,
e si offenderà del mio procedere."
Ma poi ricordava le parole della padrona vecchia: "Per le nozze di Maria
faremo il pane col grano che tu semini", e un barlume di speranza gli
rischiarava la mente.
"
C'è tempo, dunque. Aspettiamo."
E così ritornò al suo posto di lavoro, e seminò con amarezza
il grano che "doveva servire per fare il pane delle nozze".
Ah, avrebbe voluto avvelenare o gettare al vento la semente!
I giorni passarono, lenti, eguali, tristissimi. Nei violacei crepuscoli dell'altipiano
la figura del servo tradito appariva sempre più cupa, dura e nera; quando
egli si fermava su qualche roccia e scrutava l'orizzonte con occhi melanconici
e selvaggi sembrava la statua dell'odio.
Odiava tutti: zia Luisa, la grassa adoratrice del denaro, per la quale un uomo
povero era un essere incompleto; zio Nicola, che aveva saputo conquistare con
la sua bellezza e la sua audacia una donna come sua moglie; Francesco, "l'avvoltoio",
Maria, che s'era lasciata afferrare da questo uccello di rapina. Anche lei,
sì; lei più di tutti, in certi momenti; ma anche durante questi
impeti d'odio, che gli ricordavano i suoi primi giorni d'amore quando aveva
desiderato Maria con l'ardore selvaggio di un predone, la passione lo dominava,
feroce. Allora egli ritornava l'uomo primitivo: tutto quanto v'era di generoso
in lui, e quell'istinto di bontà quasi femminea che lo aveva ingentilito
durante il periodo felice del suo amore, tutto cadeva, come al cessare della
primavera cadono le ali delle farfalle. Resta solo il bruco, immondo e devastatore.
Sogni tormentosi turbavano il suo riposo: le sue notti erano più tristi
dei suoi tristi giorni.
Quasi sempre sognava un corteo di nozze che attraversava l'altipiano e calpestava
il grano nascente: egli s'adirava, prendeva un fucile e colpiva lo sposo. Una
notte, poi, sognò una lunga strada grigia, fra due siepi nere; una via
senza fine, che attraversava tutto il mondo. Egli la percorreva, con un fascio
di legna sulle spalle, come usava portarlo da bambino, quando per aiutare in
qualche modo sua madre andava a raccogliere rami d'elce sulla montagna.
Cammina, cammina, veniva la notte, la strada non terminava mai. Egli aveva
fame, sudava, tremava di stanchezza; la strada non finiva, e d'altronde egli
non sapeva dove era diretto.
Laggiù, in fondo, dove il cielo scuro confinava con le siepi nere, si
nascondeva un fantasma terribile come i fantasmi dei quali egli aveva paura
da bambino, al cader della sera, quando scendeva col suo carico di legna dall'Orthobene.
Dopo questi sogni da febbricitante si sentiva debole, languido; ma allora gli
pareva di diventare astuto, la sua mente si affinava, progetti da delinquente
esperto gli fermentavano nella mente.
Appunto in uno di questi momenti di languore fisico, dopo aver ucciso Francesco
Rosana in sogno, egli previde ciò che sarebbe accaduto dopo.
"
Mi arresteranno, mi condanneranno; passerò la vita in reclusione. A
che servirà la vendetta? Sarà peggiore della sventura. No, bisogna
essere astuti; astuti come le donne. Vedi", diceva a se stesso, "vedi
come è stata furba e maligna Maria? Mi ha tradito, ha tessuto la sua
tela senza farmi sospettare di niente. Io non riuscirò neppure a chiederle:
'perché hai fatto così?'. Eppure mangio il suo pane e dormo sotto
il suo tetto. Mi ha tradito senza che io me ne accorgessi. Bisogna che anch'io
diventi maligno, calcolatore, astuto..."
E diventava maligno, calcolatore, astuto; e il suo dolore aumentava, cresceva
nella solitudine, liberamente, come era già cresciuto il suo amore:
come una pianta selvatica...
Una notte egli ritornò in paese: questa volta però non lo spingeva
un impulso cieco, ma un desiderio angoscioso di riveder Maria, di muoversi,
di combattere contro il destino.
Legò il cane e partì; arrivò in paese verso le nove. Il
portone dei Noina era chiuso. Egli picchiò, con la speranza che aprisse
Maria; un barlume infatti illuminò la facciata della casa, al di sopra
del muro del cortile, ma subito si spense: nessuno venne ad aprire.
Senza dubbio Maria, uscita nel cortile, indovinando chi era che picchiava,
si era ritirata senza aprire.
Un impeto di rabbia assalì Pietro: gli venne il desiderio di abbattere
il portone a colpi di pietra; ma poi pensò:
"
A che serve? Uno scandalo inutile. Bisogna essere astuti. Vedi come è astuta,
lei? Ah, come è astuta!".
Allora s'avviò verso la casetta delle zie, evitando i radi passanti
per non essere riconosciuto. Anche la casetta delle sue parenti era circondata
da un cortile aperto; le due vecchie vegliavano ancora nella cucina appena
illuminata da un fuocherello di sarmenti.
Pietro conosceva la casa a menadito: salì cautamente la scaletta esterna
ed entrò nella cameretta da letto che dava sul ballatoio di legno. Al
buio trovò l'arca di legno nero, ove le due vecchie riponevano i loro
stracci. Egli l'aprì e cercò la pistola del bandito.
Zia Tonia conservava quest'arma come una reliquia; Pietro gliela portò via
senza scrupolo. Fu il suo primo passo.
Ma, non seppe perché, quando si trovò nella valle, lungo i sentieri
selvaggi appena rischiarati dal fantastico chiarore della luna che or sì or
no appariva fra grandi nubi livide, egli ricordò vagamente il sogno
della via grigia senza fine, animata da fantasmi.
"
Dove andrò, dove finirò?", si chiese istintivamente.
La strana notte autunnale, in quella valle nuda e desolata, rinnovava la misteriosa
suggestione del sogno. Pietro palpava la pistola e a momenti, fermandosi dietro
qualche macchia, aveva l'impressione che il suo rivale gli passasse davanti,
nel chiarore vago del sentiero silenzioso: egli sollevava l'arma e sparava.
Un grido interrompeva il silenzio pauroso della valle; poi di nuovo tutto taceva.
Egli sentiva il cuore battere violentemente: gli sembrava di aver già commesso
il delitto. Ma poi si scuoteva, si svegliava dal suo sogno malvagio e riprendeva
la via.
"
Che accadrà di me? Dove andrò? Dove finirò?"
E camminava, camminava, sotto quel cielo misterioso e macchiato: camminava
su pei sentieri selvaggi, ora bui, ora illuminati da un chiarore azzurrognolo
di luna fuggente. Anche nella sua anima regnava una luce vaga, che talvolta
si estingueva completamente: e davanti a lui si stendeva, interminabile e misteriosa
come nel sogno, la via del male.
L'indomani, dopo aver esaminata l'arma ancora servibile, la nascose fra due
pietre concave, in una macchia folta e inesplorata. E riprese il lavoro. Gli
pareva di essere un altro, di essersi svegliato da un lungo sogno.
"
Come ero stupido!", pensava. "Avrei potuto esser felice e non ho
voluto. Ah, il giorno in cui ella venne nella vigna! Avrei potuto diventare
il suo amante, costringere i suoi parenti a lasciarci sposare, e invece...
invece sono stato stupido come un fanciullo... Ma guai, guai! Io ero simile
al cane che dorme: voi mi avete svegliato con una sassata... Ah, tu non hai
voluto aprire la tua porta, Maria Noina: è giusto, tu sei la padrona,
io sono il servo. Ma bada a te, donna: tu ti sei presa gioco di me, ti sei
divertita; hai voluto i miei baci, ed ora mi chiudi la porta. Furba sei stata,
ma adesso m'insegni... Sarò astuto anch'io..."
Ma mentre pensava così sperava ancora. Ah, se avesse saputo scrivere!
"
Ritornerò", pensava. "Verrà l'inverno, dormirò ancora
sotto quel tetto fatale. Riuscirò a parlarle, le dirò tutto ciò che
mi rode il cuore..."
Intanto lavorava. Era una giornata triste, livida e fredda. Verso sera soffiò il
vento di tramontana, ed egli volle accendere il fuoco. Ma si accorse di aver
smarrito l'acciarino, probabilmente durante la sua gita a Nuoro, e si avviò verso
una capanna di contadini nuoresi che lavoravano un terreno attiguo al terreno
seminato da lui.
Voleva domandare in prestito un acciarino o farsi dare un tizzone ardente.
La notte era fredda e buia; giù dai monti di Orune la tramontana gelata
soffiava con impeto pazzo. Pietro trovò i contadini riuniti intorno
ad una fiammata di ginepro, al cui profumo si mischiava un odore di grasso
bruciato.
Il fumo riempiva la capanna, scossa da un vento furioso che pareva volesse
portarla via: i contadini, seduti accanto al fuoco, facevano arrostire due
intere cosce di pecora infilate in lunghi schidioni di legno.
Vedendo Pietro si confusero alquanto, ma poi risero e lo invitarono a cena.
"
Che odore di carne rubata", egli disse, prendendo un tizzone.
E stava per andarsene, ma i contadini dissero:
"
Se non accetti il nostro invito crederemo che vuoi farci la spia. Resta: la
carne rubata fa ingrassare. Eh, che, non abbiamo il diritto di mangiar bene
anche noi, qualche volta? Solo i padroni devono mangiar bene?".
Pietro rimase. I contadini dissero d'aver rubato la pecora da un ovile poco
distante. Ma uno esclamò:
"
No, è venuta fin qui; pareva dicesse: "prendetemi e mangiatemi".
Mangia, Pietro Benu; hai un viso d'affamato. Perché diventi così magro?
Non ti danno da mangiare i tuoi padroni?".
Poi parlarono di Maria.
"
Ah, se l'avessi qui", diceva uno, strappando coi denti da lupo lunghi
brani di carne dalla porzione che teneva fra le mani. "Se l'avessi qui
me la mangerei come questo pezzo di carne. Io non ho mai veduto una donna più bella!
Ah, Pietro, se fossi al tuo posto!"
Pietro fremeva, ma taceva. Ah, egli era stato così stupido, invece!
Anche dopo il pasto pantagruelico egli rimase nella capanna: si sdraiò vicino
all'apertura otturata con rami e con pietre, e finì con l'addormentarsi.
Ogni tanto si svegliava, sembrandogli di sentire Malafede ad abbaiare; tendeva
l'orecchio, pensava:
"
Qualcuno può rubare i miei buoi. Ebbene, che li rubi pure: qui c'è caldo,
non mi muovo. Dopo tutto i buoi sono dei padroni maledetti. Vadano tutti al
diavolo".
E si riaddormentava.
Ma verso l'alba si svegliò di soprassalto. Questa volta s'udiva davvero,
attraverso il vento, il caratteristico urlo di Malafede: pareva una voce umana,
rauca e lamentosa, e Marianedda, la piccola cagna dei contadini, simile ad
una volpicina, tremava e abbaiava furiosamente.
"
Che c'è?", gridò Pietro inquieto.
Strappò i rami dall'apertura della capanna e impallidì: quattro
carabinieri, rigidi e bruni nel primo chiarore cinereo dell'alba, salivano
l'erta.
Egli balzò fuori, ma ancor prima che si rendesse conto esatto del pericolo
a cui voleva sfuggire, si trovò preso.
Anche gli altri contadini furono subito arrestati; la carne cruda e cotta,
avanzo della malaugurata cena, venne sequestrata, avvolta nella pelle della
pecora rubata, e messa sulle spalle ad uno dei colpevoli.
Pietro urlava, si morsicava le mani. Invano egli e i suoi compagni protestavano
la sua innocenza.
"
Cammina, intanto", gli disse uno dei carabinieri, urtandolo col calcio
del fucile. "Se sei innocente si vedrà."
Egli dovette avviarsi: gli pareva di fare un brutto sogno. Rifaceva la strada
tante volte percorsa così dolorosamente, e imprecava come un dannato.
"
Sono dunque maledetto?", si domandava. "Chi mi ha scomunicato? Che
diranno i miei padroni quando sapranno? E lei? Mi crederà davvero un
ladro?"
Più giù incontrarono il padrone della pecora, il quale aveva
avvertito i carabinieri.
"
Bobòre", gridò Pietro, minacciando e supplicando, "io
sono innocente! Fammi rilasciare o te ne pentirai! Io non ti ho mai offeso,
Bobòre, te lo giuro, come è vero Dio. Lasciami libero: io sono
un uomo perduto."
"
Pietro", disse il pastore, "io ti credo, ma non ho colpa se ti hanno
arrestato. Io sono un povero diavolo: è la terza pecora che questi demoni
qui mi hanno rubato; ora non ne potevo più."
I contadini dissero:
"
L'abbiamo trovata morta, vicino alla siepe... Morta di mal di Dio...".
"
Che il diavolo vi impicchi; questo si vedrà."
"
Io sono innocente", gridava Pietro.
"
Cammina, intanto", ripeteva il carabiniere, spingendolo col calcio del
fucile.
"
Bobòre", supplicò Pietro, "va almeno dai miei padroni;
va, per l'anima di tua madre, e racconta come sono andate le cose..."
Per fortuna giunsero presto a Nuoro, e quasi nessuno li vide.
Interrogati dal giudice, i contadini dissero che Pietro era innocente; tuttavia
egli attese invano, per tutto il giorno, l'ora della liberazione.
Zio Nicola, avvertito, si mise in moto: andò dal giudice, consultò un
avvocato.
"
Che volete", rispose l'uomo della legge, "i cavilli della Giustizia
sono intricati come i capelli di Medusa..."
"
Va al diavolo, con le tue parole difficili", disse zio Nicola fra sé;
e continuò a darsi attorno.
Ma verso sera Pietro fu dalla camera di sicurezza condotto in carcere.
Vi rimase tre mesi.
Pietro sapeva benissimo che un accusato, anche se gli indizi del reato son
vaghi, soffre spesso una lunga prigionia preventiva: ma non poteva rassegnarsi;
l'ingiustizia gli pareva enorme. Di giorno in giorno cresceva nel suo cuore
un tumulto di ribellione e di cattivi istinti. V'erano giorni in cui egli credeva
di impazzire. Che faceva Maria? L'idea che ella forse si sarebbe sposata mentre
egli languiva in carcere, inacerbiva la sua pena e la sua ira.
Da casa Noina gli mandavano qualche volta un po' di cibo e bottiglie di vino:
zio Nicola spinse la sua benevolenza fino ad ottenere un colloquio col carcerato,
e lo confortò e gli raccontò storielle allegre. Egli aveva dovuto
far surrogare il servo, ma disse a Pietro:
"
L'anno venturo ti riprenderò al mio servizio".
Pietro non rispose, cupo e triste; pensava a Maria, alle nozze che zio Nicola
diceva prossime, e la sola idea di dover rientrare in casa Noina e assistere
alla felicità degli sposi lo rendeva folle.
Qualche giorno dopo fu introdotto nella camerata di Pietro un nuovo prigioniero,
non nuorese. Era un giovine svelto, sbarbato, con una fisionomia da ragazzo
maligno e intelligente. Si chiamava Zuanne Antine. Appena entrato nella camerata
salutò i compagni di sventura, stringendo loro la mano, chiedendo il
loro nome ed informandosi minutamente dei loro affari.
Pareva volesse scegliersi un compagno, un amico, e Pietro fu quello.
"
Dimmi", gli chiese l'Antine, "hai tu rubato davvero?"
"
No", rispose Pietro.
"
Hai fatto male! Se tu avessi rubato, ora non avresti sofferto. Così avresti
avuto l'utile e il conforto."
Pietro sorrise.
"
Chi non ruba non è uomo!", rispose l'altro. "Dimmi una cosa.
C'è o non c'è Dio? se c'è, ed è giusto, egli deve
aver fatto il mondo perché gli uomini se lo godano. Quindi tutta la
roba che c'è nel mondo appartiene a tutti gli uomini: basta sapersela
prendere, la roba..."
"
Ma vedi", osservò Pietro, "poi ci mettono in prigione."
"
Bisogna essere astuti, perciò", disse l'Antine; "bisogna sapersela
prendere, la roba!"
"
Ma anche tu ti sei lasciato prendere", rispose Pietro, al quale i discorsi
del compagno, metà seri metà scherzosi, riuscivano ripugnanti
e divertenti nello stesso tempo.
L'Antine socchiuse gli occhi maligni.
"
Che ne sai tu", disse, "che io non mi sia lasciato prendere apposta?
Io uscirò dal carcere più bianco d'una colomba. Io sono innocente
del reato del quale ora mi accusano, e proverò la mia innocenza; un'altra
volta potrò essere davvero colpevole, ma potrò dire al giudice: "Io
sono perseguitato, io sono odiato e calunniato: sono innocente come lo ero
l'altra volta e confido nella giustizia imparziale". E il giudice mi crederà,
in fede mia, mi crederà."
"
Ma io potrò deporre contro di te, e ripetere quanto tu ora mi dici!",
esclamò Pietro.
L'altro lo fissò e sorrise; i suoi bellissimi denti scintillavano nella
penombra della camerata, come denti di lupo in agguato.
"
Tu sarai mio amico e non mi tradirai!", disse l'Antine. "Gli uomini
sono tutti fratelli e devono aiutarsi a vicenda, non tradirsi e offendersi."
Pietro non rilevò le contraddizioni delle selvagge teorie dell'Antine.
D'altronde pareva che il giovine carcerato scherzasse; e poi egli era così simpatico
ed insinuante, col suo visino da bimbo malizioso, coi suoi occhi furbi, con
la sua voce sonora, che tutti l'ascoltavano volentieri, quasi lasciandosi suggestionare
da lui.
Poco dopo il suo arrivo egli incominciò a raccontare storie terribili
di banditi, colorandole poeticamente; gli altri carcerati gli si raccolsero
intorno, silenziosi e attenti.
E Pietro sentiva il suo cuore palpitare, acceso da un ardore feroce. Così gli
uomini primitivi dovevano infiammarsi ascoltando i racconti di guerra, le gesta
epiche, le narrazioni favolose dei padri selvaggi.
L'Antine si vantava di conoscere tutti i latitanti del Nuorese (allora infestato
dai banditi), e fece vedere, estraendola dalla suola della scarpa, una lettera
del famoso Corbeddu, che gli dava un appuntamento su una cima dei monti d'Oliena.
Gli altri carcerati provarono un senso d'invidia, e cominciarono anch'essi
a vantarsi d'avere relazioni coi banditi.
La lettera del Corbeddu passò di mano in mano; qualcuno non sapeva leggere,
tuttavia esaminava attentamente il foglio del bandito e lo toccava con rispetto.
Anche Pietro guardò lungamente la lettera e sospirò.
"
Questo è un uomo!", disse battendo due dita sul foglio.
E parve volesse aggiungere qualche cosa, ma improvvisamente tacque e si fece
cupo.
"
Ah", pensò, "quest'uomo, questo Corbeddu, non si sarebbe certamente
lasciato offendere come mi sono lasciato offendere io! Egli avrebbe spazzato
ogni ostacolo, come il vento spazza la paglia. Mentre io... io sono vile!"
"
Ecco", disse, restituendo la lettera, "bisogna che anch'io impari
a leggere e a scrivere, perché se diventerò bandito avrò bisogno
di scrivere qualche lettera!..."
Egli scherzava: ma l'Antine tornò a fissarlo stranamente.
"
Se vuoi", gli disse, "poiché qui ci avanza tempo, ti insegnerò a
scrivere e a leggere!"
Pietro accettò con entusiasmo, e la nuova occupazione, a cui egli si
dedicò con intensità profonda, gli rese meno lunghe le ore, lo
assorbì, lo confortò.
Un vecchio guardiano, al quale l'Antine dava qualche bicchiere di vino, fornì ai
carcerati l'occorrente per scrivere, e un sillabario e qualche numero di giornale.
In pochi giorni Pietro fece progressi meravigliosi.
Alla vigilia della sua liberazione egli poté leggere e capire un'intera
colonna di giornale e scrivere il suo nome e quello di Maria.
E ne provò una gioia velenosa; gli parve d'aver acquistato un'arma,
buona per difesa e per offesa!
I giorni intanto passavano monotoni ed incerti; Pietro perdeva quasi la nozione
del tempo; a momenti gli pareva d'essere in carcere da pochi giorni, a momenti
gli pareva di essere recluso da anni ed anni.
Di notte, nel silenzio lugubre del carcere, rotto soltanto dalla voce sonora
del vento e dai gridi acuti delle sentinelle, ricordava le notti passate accanto
al fuoco, nella calda cucina dei padroni. E nel sonno rivedeva Maria, la baciava,
spasimava d'amore.
Signore! Era dunque tutto passato, tutto finito davvero? Svegliandosi pensava
a Francesco Rosana con un delirio d'odio: pronunziando il nome del rivale digrignava
i denti. Accusava Francesco persino della sua presente disgrazia, pensando
che se non fosse tornato una notte a Nuoro per rubare la pistola della zia,
non avrebbe smarrito l'acciarino e non sarebbe andato poi in cerca di fuoco
dai contadini, coi quali l'avevano arrestato.
Una rabbia cupa e concentrata, un rancore profondo, un istinto di ribellione
contro il mondo e contro la sorte gli fermentavano in fondo all'anima. E sul
terreno vergine di quest'anima sconvolta, le perverse teorie del compagno di
carcere cadevano come semi di erbe velenose, e germogliavano subito.
"
Gli uomini, siamo tutti uguali!", diceva l'Antine, talvolta scherzoso
e talvolta serio, "siamo tutti eguali come i figli d'uno stesso padre.
Dio è il padre di tutti, e quando fece il mondo disse agli uomini: "Ecco,
figli miei, io ho fatto una focaccia: a ciascuno la sua porzione: prendetevela,
figli miei". Gli uomini sono stati in parte astuti ed in parte stupidi,
perché gli uni si son presa una porzione grossa, gli altri sono rimasti
senza. A questi ultimi, poi, quando si lamentano, Dio dice: "Arrangiatevi,
figli miei; ognuno per sé e Dio per tutti! Peggio per chi non si arrangia!"."
"
Ma", osservò allora Pietro, "non basta aver della roba per
esser felici."
"
Chi te l'ha detto?", esclamò l'altro con disprezzo. "Te lo
sei immaginato tu, idiota? Io ti dico invece che chi ha roba ha tutto: è rispettato,
amato, temuto. Persino le donne, che tante volte non capiscono niente, amano
e preferiscono gli uomini che posseggono qualche cosa, anche se essi sono brutti,
loschi, sciancati..."
"È
vero!", disse Pietro, poi domandò:
"
Perché tutto questo?".
"
Perché siamo stupidi, perché non vogliamo capire che siamo tutti
eguali e che il mondo appartiene a tutti. Guarda, per esempio, gli uccelli
dell'aria; essi sono tutti coperti all'istesso modo e prendono il cibo dove
lo trovano e fanno il nido dove loro piace. Perché gli uomini non dovrebbero
imitarli? Perché gli uomini sono più stupidi degli uccelli, ecco
tutto!"
"
Ma infine c'è chi è astuto, come tu dici, e c'è chi è stupido.
Io, per esempio, sono stupido; mi lascio offendere senza reagire, e non sono
capace di prendere il bene dove lo trovo. Che colpa ne ho io? Ah sì!",
disse Pietro con rabbia, pensando che se avesse voluto avrebbe potuto posseder
Maria e goderne l'amore e la fortuna. "Sì, sono stato stupido sempre."
"
Si può diventare astuti, però."
"
Come si fa?"
"
S'impara. Hai visto come s'impara a leggere ed a scrivere? Così!"
E a volte Pietro era tentato di rivelare all'Antine la sua passione disperata;
ma non osava. In fondo conservava un barlume di speranza.
Speranza e sogno che un ostacolo qualunque potesse sorgere ed impedire il matrimonio
di Maria: Francesco poteva ammalarsi e morire; Maria poteva pentirsi, ricordare,
ritornare al passato. Ma intanto l'ordine di scarcerazione non arrivava mai!
Perché tanta ingiustizia nel mondo?
La notizia che Maria e Francesco dovevano sposarsi presto mise il colmo al
calice amaro che Pietro cercava invano di allontanare dalle sue labbra. Egli
diventò furente; scosse con violenza l'inferriata del carcere quasi
volesse infrangerla, e gli parve di soffocare.
Lo avessero almeno liberato! Avrebbe potuto fare, tentare qualche cosa; avrebbe
pregato, minacciato, ucciso...
L'ultima settimana che passò in carcere fu un continuo martirio di rabbia.
Fuori pioveva, pioveva sempre: dalla finestruola sbarrata egli non vedeva che
una fetta di cielo livido, uniforme, dove solo passava qualche corvo dal grido
rauco.
"
Non v'è Dio! Non v'è Dio!", pensava il carcerato. "Se
ci fosse non farebbe soffrire così un innocente!"
Un giorno, però, la giustizia riconobbe il suo errore, ed egli fu rilasciato
libero.
"
Appena anch'io uscirò dal carcere verrò a cercarti", gli
disse l'Antine. "Ti proporrò un affare. Sta allegro, divertiti
e ricordati di me."
Quando Pietro rivide le note strade gli parve di destarsi da un brutto sogno,
e provò la gioia del convalescente che è stato vicino a morire.
Coi nervi vibranti e il volto sbiancato dalla prigionia e dal dolore, egli
s'avvicinò a casa Noina. Maria non c'era; zia Luisa lo accolse un po'
freddamente, e gli annunziò che le nozze della figlia erano vicine.
"
Rientrerai al nostro servizio?", ella chiese. "Ho sentito dire da
Francesco ch'egli ha bisogno di un servo."
Pietro fremette. Servo di Francesco Rosana? Mai!
"
Dov'è Maria?", domandò.
"
Non so; credo sia andata alla novena... Bevi dunque, Pietro: sei bianco come
un agnello. Bevi; il vino ti ridonerà un po' di colore. Verrai alle
nozze?"
Egli bevette, ma il vino gli parve veleno.
Uscì e attese Maria girovagando attorno alla casa, ma ella non tornò e
l'ombra della sera cadde sulle cose e sull'anima di lui.
"
Ella doveva essere a casa, e non mi ha neanche voluto vedere!", pensò amaramente. "Tutto,
tutto è finito davvero."
Ricordò i suoi progetti di vendetta, l'idea di uccidere Francesco prima
delle nozze: e pensò che avrebbe potuto farlo quella stessa sera, mettendosi
in agguato dietro il portone dei Noina...
Ecco, gli pareva di veder giungere il fidanzato, felice e sicuro; bastava un
po' di coraggio per gettarsi sopra di lui e strangolarlo. E poi ancora il carcere,
la reclusione, il buio eterno in questo e nell'altro mondo. Ah, no!
L'idea di ritornare in carcere era così spaventosa, che vinceva la passione
e l'odio di Pietro. Egli ricordò le parole di Antine: "Bisogna
aspettare l'occasione e profittarne!..."
"
Sì", ripeté a se stesso, "bisogna aspettare!..."
E col cuore gonfio e l'anima avvolta d'ombra, si allontanò dalla casa
fatale.
XIV.
Era la vigilia delle nozze di Maria.
La facciata e le stanze della casetta erano state imbiancate e messe a nuovo.
Nella cucina le masserizie splendevano, accuratamente pulite; le casseruole
sembravano d'oro e i coperchi d'argento, così almeno affermava zia
Luisa.
Anche la balaustra della scala e del ballatoio, strofinata con cenere ed olio,
luccicava al riflesso del tiepido sole di febbraio.
Dopo le ultime piogge, il tempo s'era raddolcito; si sentiva già la
primavera, e nel cortile e nella casetta gaia degli sposi l'aria pareva ancor
più tiepida, piena di carezze e di promesse.
Nel focolare e sui fornelli le caffettiere grillavano, nelle stanze superiori
della casa spandevasi un forte profumo di dolci e di liquori; sui tavolini,
sui letti, sulle sedie, su tutti i mobili stavano grandi vassoi contenenti
torte dai vivi colori e gattòs, specie di piccole costruzioni moresche
di mandorle e miele.
Nel cortile e nelle stanze terrene era un continuo viavai di gente; ogni momento
il portone s'apriva per lasciar entrare donne in costume, attillate, che recavano
sul capo torte e gattòs e soprattutto corbe d'asfodelo ricolme di frumento,
dal cui oro polveroso emergevano bottiglie di vino rosso e giallo turate con
mazzolini di fiori.
Questi presenti venivano mandati agli sposi dai parenti, dagli amici e dai
servi dei Noina e dei Rosana.
Sabina prendeva garbatamente i vassoi e le corbe, e mentre un'altra parente
dei Noina conduceva le donne in una stanza dove venivano serviti dolci e liquori,
ella entrava nella dispensa e vuotava il grano, riponeva le torte, e nei recipienti
da restituirsi ai donatori metteva un bel pezzo di carne bovina, un cuore di
pasta dolce e di mandorle ed altri pasticcini in forma di uccelli, di fiori,
di triangoli.
Una ragazza dai capelli rossi, seduta davanti ad una tavola ingombra di pezzi
di carne e di mazzolini di fiori, scriveva su una striscia di carta i nomi
dei donatori.
Sabina entrava, dettava, vuotava il frumento ed il vino:
"
Zia Maria Rosana una torta di mandorle".
"
Il signor Antonio Maria Zoncheddu un presente di grano."
"
Donna Grazia Casula un presente di grano e un gattò... presto, scrivi,
svelta, Caderiné; sembri una gatta morta."
Caderinedda scriveva con calma e non rispondeva: ma appena si trovava sola
balzava di qua e di là, rubacchiava quanti più dolci poteva e
se ne riempiva le tasche, il seno, le calze...
Maria in quei giorni aveva l'obbligo, per lei intollerabile, di non far niente:
tutta vestita a nuovo, con una camicia bianca come la neve, un fazzoletto a
fiorami, e un cordoncino nero intorno al collo, ella se ne stava seduta accanto
ad un braciere colmo di brage e chiacchierava con le parenti dello sposo.
Le donne che recavano i doni le stringevano la mano, si curvavano su lei augurandole "tanti
punti di buona fortuna quanti chicchi di grano le portavano", poi andavano
a bere il caffè.
Maria ringraziava con sussiego, dicendo fra sé che non tutti gli auguri
erano sinceri; zia Luisa invece riceveva le donne con affabilità aristocratica,
costringendole a servirsi abbondantemente di dolci, caffè e liquori.
Maria disapprovava questo "fare splendido" della madre; anzi a un
certo momento attirò zia Luisa nella camera attigua e le disse:
"
Ma lasciate che prendano quel che vogliono e non vuotate il vassoio nel loro
grembiale!".
"
Lascia fare, figlia", disse zia Luisa, accomodandosi la benda intorno
al capo. "Questi son giorni rari nella vita: bisogna festeggiarli..."
Non aggiunse che giusto in quei giorni occorreva "mostrarsi splendidi" per
far capire alla gente che la famiglia Noina era ricca; ma la sposa lo indovinò e
non insisté.
"
Maria", chiamò una graziosa fanciulla, cugina del fidanzato.
Maria le andò incontro e le strinse la mano, poi l'accompagnò fino
alla scala, la seguì con gli occhi e la vide fermarsi a chiacchierare
con Sabina.
"
Sei lieta, Sabina", disse la fanciulla.
"
Sicuro che son lieta", l'altra rispose.
"
Eh, domani verrà anche Pietro Benu."
"
Lascia che venga", disse Sabina con finta indifferenza.
"
Non ti fa piacere che venga?"
"
Venga o no, per me è la stessa cosa!"
"
Come sei furba, Sabì! Come sai fingere bene..."
Sabina sorrise, poi andò incontro ad un'altra donna, prese la córbula
[17], entrò nella dispensa. Un'ombra le oscurò il viso. Pietro
sarebbe venuto? Perché? Che voleva?
"
Ah", pensava Sabina, "vorrò ben vederlo!"
Pietà, paura, rancore e speranza la animavano. Ella non osava confessare
a se stessa che, dopo il fidanzamento di Maria, la speranza e la pietà avevano
di nuovo acceso in lei la fiamma di un amore pronto al perdono ed all'oblio.
Per un tacito accordo il nome di Pietro non era più stato pronunziato
fra lei e Maria; e Sabina scusava la ricca cugina per il suo breve errore,
e perdonava perché sperava.
Ora egli tornava. Da mesi Sabina non l'aveva più riveduto. La notizia
della sua visita ai padroni, nel giorno delle nozze di Maria, la inquietava,
ma in fondo al cuore le ridestava una vaga speranza. Ella sarebbe stata là pronta
a guardarlo con occhi pietosi; forse egli sarebbe ritornato a lei.
Con questi pensieri per la mente ella continuò fino a tarda sera a raccogliere
i presenti; le toccava anche di segnarli perché la ragazzetta, sazia
e imbottita di dolci, aveva abbandonato il suo posto.
Verso l'imbrunire giunse il fidanzato. Sbarbato, attillato, con le scarpette
che scricchiolavano, le brache bianchissime. Sembrava quasi bello: i suoi occhi
splendevano di gioia e di desiderio.
Ma la sposa era alquanto turbata e lo accolse quasi con freddezza.
La notizia della visita di Pietro l'inquietava e la rattristava. Che voleva,
che veniva a fare il disgraziato?
Dopo la sera della sua scarcerazione Pietro non era più tornato. Con
sua grande meraviglia Maria aveva un giorno ricevuto, per mezzo del bettoliere
toscano, una lettera, con la quale Pietro la supplicava di dargli un convegno.
"
Tutte le sere, alle undici, io passerò davanti al tuo portone; aprimi,
se hai ancora un cuore di donna."
Ella non aveva risposto, non aveva aperto: egli non s'era più lasciato
vedere. Che veniva ora a fare? Che voleva? Si era rassegnato, o coltivava progetti
di vendetta?
"
Forse", pensava Maria, "forse era meglio lasciarmi vedere, convincerlo,
domandargli scusa... D'altronde, se egli avesse voluto vendicarsi avrebbe potuto
farlo prima. Forse domani neppure verrà: sarà stato uno scherzo
di Tatana a Sabina."
Ma intanto aveva paura e suo malgrado un pensiero poco pietoso le attraversava
la mente:
"
Ah, non potevano tenerlo dentro ancora un po'? Come c'è stato tre mesi
poteva starci quattro. Non per desiderargli del male... ma per la pace di tutti...
Se usciva di carcere dopo le mie nozze, forse si sarebbe rassegnato più facilmente".
Ecco, quattro mesi di lontananza avevano finito di smorzare il fuoco indegno
che le aveva acceso disgraziatamente il cuore. Non amava Francesco, ma le pareva
d'aver dimenticato Pietro: il suo cuore, guarito dal terribile male dell'amore,
sonnecchiava con dolcezza, come un convalescente.
"
No", diceva a se stessa, "non devo aver paura. Pietro non è capace
di fare del male. Io, meglio d'ogni altro, lo so."
Mille piccole cure, d'altronde, la occupavano e la distraevano. Dopo lunghe
discussioni, ella e Francesco avevano deciso di restare presso la famiglia
di lei: in tal modo la casa dello sposo, affittata, poteva rendere un centinaio
di scudi, e Maria, restando presso i parenti, avrebbe goduto meglio la sua
felicità. C'era l'utile e il dolce.
Francesco finì con l'accettare.
La camera di Maria fu rimessa a nuovo, tinta d'azzurro e di rosa: il letto
nuziale fatto venire da Sassari, le sedie, i quadri, lo specchio, formavano
la meraviglia di tutto il vicinato.
Per mesi e mesi non si parlò d'altro.
Del resto la fama della camera e del corredo di Maria varcò i confini
del misero vicinato; destò persino l'invidia e le critiche dei borghesi,
tanto più che le cose venivano esagerate: si diceva che la sposa di
Francesco Rosana avrebbe indossato il costume delle dame paesane, cioè gonna
di panno ricamata in oro, e corsetto con bottoni d'oro; e che si sarebbe messa
i guanti e su junchillu [18].
Tutto ciò era falso; ma queste dicerie lusingavano Maria. Ella viveva
di queste piccole vanità.
La mattina delle nozze ella si alzò più presto del solito e
si lavò tutta, chiudendo forte la bocca per non inghiottire qualche
goccia d'acqua, poiché doveva comunicarsi durante la cerimonia nuziale;
poi si vestì, e calzò un paio di stivaletti lucidi, che le strinsero
un po' i piedi, ma glieli resero piccoli ed eleganti.
E per qualche momento stette a guardarseli con compiacenza infantile, poi chiamò Sabina
e sollevò alquanto le sottane.
"
Guarda come sono bellini i miei piedi", le disse, con la sua solita voce
un po' ironica.
Sabina spalancò la finestra e si volse pensierosa a guardare la cugina.
La luce di una limpida giornata inondò la vasta camera rosea; i paesaggi
incrostati di madreperla, dipinti sulla testiera del magnifico letto, si tinsero
d'un riflesso d'aurora. Nel cortile garrivano le rondini, i galli cantavano
ancora. Tutto annunziava pace e letizia.
Nella camera attigua zio Nicola sbadigliava rumorosamente. E già qualcuno
picchiava al portone.
"
Presto, puliamo la camera", disse Sabina, già rimettendo in ordine
ogni cosa. "È una bellissima giornata. Buon augurio."
"
Senti come scricchiolano", riprese la sposa, intenta ai suoi stivaletti. "Sembrano
le scarpe di Francesco. Come sono stretti, però! La gente mormorerà,
vedendomi calzata con stivalini lucidi! Che ne pensi?"
Sabina sorrise, un po' sdegnosa. Possibile che Maria non avesse altre preoccupazioni,
quella mattina? Perché era così leggera? Beata lei che poteva
dimenticare, e vivere di piccolezze!
Ma no; d'un tratto il bel viso calmo e sorridente della sposa si oscurò,
i suoi occhi diventarono quasi tristi. Sabina la guardò e le chiese
con ironia:
"
Ti fanno male i piedi?".
"
No, ma pensavo..."
"
A che pensavi? Tira un po' la coperta, così: ecco il guanciale. Non
s'è visto mai un più bel letto di sposi."
"
Pensavo... Francesco vuol condurmi al suo ovile, in primavera. Resteremo là una
quindicina di giorni. Verrai tu a tener compagnia a mia madre?"
"
Vedremo. Togliti di lì che spruzzo d'acqua il pavimento. Presto, presto;
levati di lì. 'Sciú, 'sciú [19]..."
Sabina spazzò e Maria passò nella camera attigua. Zio Nicola
intanto s'era alzato, aveva indossato il costume delle feste, e già andava
e veniva, attraverso il cortile e la cucina, strascicando il suo bastone e
dando ordini e contrordini che non venivano eseguiti. In cucina zia Luisa,
più impassibile e solenne del solito, chiacchierava con qualche donnicciuola
del vicinato.
"
Che meraviglia di presenti, zia Luisa", le dicevano queste vicine, adulandola; "non
s'è mai visto una cosa simile. Ma che "trattamento", il vostro,
anche! Siete veramente splendidi."
"
Eh, queste occasioni capitano raramente nella vita. Eppoi, quando la roba c'è,
perché mostrarsi avari? Grazie a Dio la roba c'è."
"
Ah, certo, Dio ve la benedica."
Rimesse in ordine le camere, Maria e Sabina scesero in cucina, inseguendosi
per le scale e ridendo come bambine. Le vicine ammirarono subito i piedi della
sposa.
"
Sembrano due penne da scrivere, tanto sono piccini", dissero chinandosi
per veder meglio.
Sabina offrì scherzando a Maria una tazza di caffè e latte.
"
Non lo vuoi? Allora lo bevo io."
E siccome Maria sbadigliava, una vicina le disse maliziosamente:
"
Va là, stanotte non digiunerai".
Ella arrossì e scappò via. Ritornò nella sua camera e
cominciò a preparare le vesti da sposa. Intanto zio Nicola e un fratello
di zia Luisa erano andati a prendere lo sposo per condurlo in casa della fidanzata.
Le sorelle di Francesco, che dovevano vestire Maria, non tardarono a giungere,
e benché fossero vestite da spose, con ricche tunicas pesanti e cinture
e corsetti strettissimi, e con le mani coperte di anelli, compirono il loro
obbligo.
Ritta davanti allo specchio, Maria non rifiniva di guardarsi, girandosi e rigirandosi,
torcendo il collo per vedersi alle spalle; ma la luce dello specchio era falsa,
rendeva l'immagine rimpicciolita e irregolare, ed ella non rimaneva soddisfatta
della sua bellezza ed eleganza.
Ma più che lo specchio, ne la persuase lo sposo quando, entrando d'improvviso,
si fermò a guardarla con occhi scintillanti.
"
Come sei bella!", esclamò.
Vestita da sposa, coi fianchi prominenti, la vita fortemente stretta da una
cintura d'oro, e il busto ben disegnato dal corsetto di raso bianco ricamato,
ella era davvero d'una bellezza splendente: la benda bianca che lasciava trasparire
il colore roseo della cuffietta, e non nascondeva i lunghi pendenti di corallo,
le circondava il viso come di un'aureola lunare.
Solo un'altra volta Francesco l'aveva veduta altrettanto bella, sebbene d'una
diversa bellezza: la notte di Gonare.
E glielo disse, avvicinandosele, carezzevole, e aggiustandole con le mani un
po' tremanti il nastro del ricco grembiale.
"
Che matto!", ella rispose, dandogli un colpettino sulla mano con la medaglia
d'oro del suo rosario di madreperla.
"
Andiamo", disse la sorella di Francesco. "Scherzerete dopo."
Ma egli cinse la vita di Maria, e volle baciarla.
"
Ah", ella disse, svincolandosi, "tu vuoi dunque comunicarti in peccato
mortale?"
"
Se i baci sono peccati, quanti ne faremo!"
Ella s'avviò: un'ombra le oscurò nuovamente il viso: il ricordo
dei baci di Pietro le attraversava la mente. Ma subito altre cure la richiamarono
alla realtà, e il sorriso della sposa felice tornò a illuminarle
gli occhi. Il corteo nuziale fu ordinato da zia Luisa.
"
Prima voi", ella disse, consegnando ad un bambino e ad una bambina in
costume due ceri adorni di nastri azzurri.
"
Avanti, camminate, come due sposini; e non litigate, eh!"
Poi veniva la sposa fra le due cognate, poi Francesco fra zio Nicola e il fratello
di zia Luisa. Seguivano altri parenti ed amici.
Zia Luisa, ferma sul portone, guardò allontanarsi il corteo, poi rientrò in
cucina, e col lembo della benda si asciugò una lagrima.
Nelle straducole che le vicine avevano accuratamente spazzato per la circostanza,
le donnicciuole, i bimbi, le galline, i cani e i gatti fecero ala al corteo:
ma nelle altre vie poco animate la gente arrivava in ritardo per godersi lo
spettacolo.
Suo malgrado Maria si turbava sempre più: non vedeva, non sentiva più nulla:
le gambe le tremavano e il cuore le saltava in gola. Ecco, aveva voglia di
piangere e di ridere nello stesso tempo. Pensava che fra un'ora avrebbe ripercorso
quelle vie, non più libera, non più fanciulla, ma legata eternamente
ad un uomo che non amava. Eppure non si sentiva infelice; ma un arcano sentimento
di paura le faceva battere il cuore.
E inoltre temeva di veder da un momento all'altro ricomparire la figura minacciosa
e dolente di Pietro Benu. Ma il corteo arrivò felicemente in chiesa;
ed ella si rasserenò. Le parve che la pace silenziosa delle grige arcate
scendesse nell'anima sua: sì, tutto oramai era finito; non c'era più nulla
da temere; il passato era morto.
Dai finestroni della chiesa deserta pioveva qualche chiazza di sole sulle panche
polverose; si sentivano gli uccelli garrire nell'aria tiepida e pura.
Maria e Francesco s'inginocchiarono sui gradini dell'altare, sotto gli sguardi
severi d'un Padre Eterno dipinto sulla vôlta: un Padre Eterno che pareva
un vecchio pastore sardo, circondato di nuvole verdicce. Maria si raccolse,
pregò, promise a Dio d'essere una buona moglie; disse il sì con
voce ferma e forte, e solo quando furono usciti di chiesa osò guardare
lo sposo.
Sua, per tutta la vita. Il suo nome non era più Maria Noina, era Maria
Rosana. Amen.
Quasi felice, camminò a fianco dello sposo che non cessava di guardarla.
"
Parla, Maria", egli le diceva dolcemente. "Dimmi qualche cosa, sorridi;
vedi, tutti ci guardano..."
Ella sorrise e rispose:
"
Non so cosa dire: sono tutta turbata".
La gente, intanto, sapendo che doveva ripassare il corteo, s'affacciava alle
finestre, alle porte, usciva nelle vie. Una torma di monelli circondò gli
sposi. E all'uscita dal Municipio cominciò per questi e per il loro
seguito uno strano tormento.
Dalle finestre e dalle porte pioveva su loro una fitta gragnuola di frumento,
di confetti, di fiori; e ciò non bastando le donne scaraventavano davanti
alla sposa qualche piatto che si frantumava con fracasso. Quest'atto, che ha
un significato, e non si compie davanti alle spose vedove o non vergini, faceva
arrossire Maria e sorridere Francesco.
Nelle straducole del vicinato dei Noina, la pioggia di grano e il fracasso
dei piatti diventarono furiosi; grida di donne e di fanciulli risuonarono:
"
Buona fortuna! Buona fortuna!".
Zia Luisa attendeva davanti al portone; appena vide gli sposi cominciò a
piangere, e piangendo li abbracciò e li baciò.
Anche lungo la guancia di Maria scese una lagrima; il lembo della benda l'assorbì lentamente,
e la piccola macchia non era peranco asciugata che la sposa sorrideva di nuovo.
XV.
Spinto dal suo destino Pietro rientrò in casa Noina. Da giorni e giorni
egli combatteva contro l'ossessione di riveder Maria sposa, Maria irreparabilmente
perduta per lui. Perché rivederla? Neppure lui lo sapeva. Così,
per disperazione.
Egli adesso viveva presso le sue vecchie zie e lavorava nel loro piccolo podere.
La mattina delle nozze di Maria si svegliò prestissimo e si mise a lavorare
con più ardore del solito; ma il suo pensiero volava lontano, penetrava
nella casa degli sposi, li accompagnava alla cerimonia. Egli vedeva Maria vestita
da sposa; vedeva Francesco sorriderle; seguiva il corteo rumoroso e lieto.
Maria splendeva di bellezza, Francesco di felicità. Ed egli... egli
era là, curvo sulla terra che alle prime carezze primaverili s'adornava
come una sposa; egli era là, solo, schiavo tradito e dimenticato...
Un sudore freddo gli bagnava la nuca; le tempia gli pulsavano; il desiderio
di ritornare in paese e di recarsi in casa degli sposi lo vinceva come una
suggestione maligna.
"
Ho la febbre, non posso più lavorare", disse fra sé, per
scusare la sua debolezza. Si tastò il polso, s'asciugò il sudore;
poi s'avviò. Ma giunto a Nuoro, invece di coricarsi si lavò,
indossò il costume delle feste e si diresse al luogo fatale. Un impulso
cieco lo spingeva; egli ritornava nella casa dei Noina come l'assassino ritorna
nel luogo ove ha commesso il delitto.
Arrivato davanti al portone esitò ancora un momento, poi scosse la testa
col suo solito gesto sprezzante ed entrò: ma si fermò sotto la
tettoia. Era circa la una: il sole inondava il cortile; dalla cucina usciva
un acuto odore di carni arrostite e di caffè tostato. S'udivano risate,
tintinnii di bicchieri, tutto il chiasso del banchetto nuziale.
Pietro guardava verso il ballatoio con occhi ardenti. Doveva salire? Doveva
entrare in cucina, sedersi al suo posto di servo? I ricordi gli affluivano
al cuore, con impeto angoscioso; per un momento rivisse nel passato, ricordò il
primo convegno d'amore, e strinse i denti quasi per reprimere un grido di rabbia
e di dolore.
Una donna apparve sulla porta della cucina, con in mano un gran piatto bianco
che scintillò al sole.
"
Oh, Pietro", ella salutò gaiamente, "buon giorno. Vieni avanti.
Vieni su."
"
C'è molta gente?", egli domandò, attraversando il cortile.
"
Non tanta. Vieni: zio Nicola sarà contento di vederti!"
Egli la seguì su per la scala.
"
Guardate chi viene", disse la donna, entrando nella stanza del banchetto.
E tutti lo guardarono. Egli si toccò la berretta, poi s'avvicinò a
zio Nicola e gli mise una mano sulla spalla.
Il padrone, già mezzo brillo, si scostò e lo fece sedere accanto
a lui; poi gli pose un piatto davanti e gli disse qualche parola.
Pietro non sentì: non vedeva, non udiva nulla: gli pareva d'essere penetrato
in un luogo sconosciuto, tra una folla di ignoti, e sentiva solo il battito
del suo cuore. Ma a poco a poco si calmò: vide davanti a sé il
piatto, lo spinse, poi si guardò attorno.
I convitati erano circa una trentina fra uomini e donne: sedevano intorno a
tavole apparecchiate alla buona, con piatti variopinti e bicchieri di diverse
forme, certo presi a prestito da qualche famiglia amica.
Gli sposi mangiavano nello stesso piatto, seguendo l'uso nuziale sardo, e Francesco
serviva Maria con esagerata premura.
Ella aveva smesso il costume da sposa, ma sotto il bustino di broccato conservava
la splendida camicia ricamata; un fazzoletto scuro, dipinto di rose e di giacinti,
le avvolgeva la testa. Era bellissima, e Francesco, ebbro d'amore e anche un
po' di vino, pareva non vedesse altro che lei, sordo alle chiacchiere e alle
grida dei convitati. Parve non accorgersi dell'arrivo di Pietro: anche Maria
non batté palpebra, non smise di sorridere.
"
Ella non mi vede neppure: perché son venuto?", si domandò Pietro.
"
Eh, sei ancora bianco come una donnicciuola", gli disse zio Nicola, rimettendogli
il piatto davanti. "Il carcere ti ha fatto
diventar bello! Ma perché diavolo non vuoi mangiare?"
"
Ho già mangiato. Ah, son diventato bello, dunque? Meglio: così le
donne mi verranno dietro ancor più di prima..."
"
Ah, donnaiuolo!", gridò zio Nicola, "ora mi alzo e ti bastono."
Maria volse rapidamente gli occhi in giro, guardò per un attimo il viso
ridente di Pietro, poi abbassò le palpebre e si chinò sul suo
piatto.
"
Egli non pensa più a me: è venuto per farmelo capire. Va bene",
pensò; ma non seppe perché, aggrottò le sopracciglia.
La mano ardente di Francesco si posò sulla sua; ella sollevò la
testa e rise, egli le cinse la vita col braccio...
Pietro adesso non poteva staccare gli occhi da loro: ah, ecco, la visione intraveduta
e respinta nei momenti più acerbi della sua disperazione, era diventata
realtà; quello che un giorno gli pareva impossibile persino in sogno,
ora accadeva davanti ai suoi occhi.
Dunque era vero? Tutto era finito per lui; tutto, tutto era passato... Ed egli
non reagiva? A momenti sentiva ancora entro le orecchie quel rombo lontano
che pareva un galoppo sfrenato di cavalli, e un velo sanguigno gli cadeva sugli
occhi.
Ma solo Sabina badava a lui, e s'accorgeva dello sguardo selvaggio che egli
rivolgeva agli sposi. Pallida, quasi sofferente, ella non nascondeva la sua
ansia e la sua delusione. Aveva atteso Pietro; l'aveva sentito venire: adesso
s'accorgeva che egli era venuto per disperazione.
"È
finita", pensava anche lei, "non c'è più speranza.
Egli l'ama sempre e neppure si accorge di me. Come la guarda! I suoi occhi
sembrano di vitriolo: mi fanno paura."
"
Che hai, cuore mio?", le chiese un giovinotto. "Perché sei
così pallida? Che hai veduto?"
Ella alzò le spalle: il giovinotto girò lo sguardo attorno, ma
non vide che volti sorridenti e rosei.
La festa era al colmo; tutti ridevano e parlavano, con le labbra lucenti di
grasso, gli occhi lustri, le mani sollevate; barzellette amene, frasi equivoche
guizzavano da un capo all'altro della mensa; qualcuno imprecava.
Ritto accanto alla sposa, col volto color rame a metà lumeggiato da
un raggio di sole, un pastore alto, dai capelli rossastri e la barba selvaggia,
tagliava destramente a piccoli pezzi un bel porchetto arrostito. Il coltello
a serramanico, che egli aveva tratto dalla sua saccoccia, e quasi spariva nella
sua mano nodosa enorme, trovava ogni giuntura, tagliava ogni nervo, scorreva
scricchiolando sulla crosta rossa del porchetto. Quando questo fu trinciato,
il pastore si leccò con disinvoltura le dita, pulì il coltello
col tovagliuolo, poi sospirò e si guardò attorno soddisfatto.
Qualche invitato lo applaudì. Lo sposo si rivolse a guardarlo e gridò,
in lingua italiana:
"
Ma bravo! Bravo, compare; se il re fosse qui presente vi eleggerebbe scalco
dei suoi gatti".
Tutti risero, fuorché Sabina per dolore, zia Luisa per decoro e Maria
per dispetto; sì, ella cominciava a stizzirsi nel veder Francesco bere
un po' troppo. Pietro ne avrebbe certamente riso.
Il largo piatto col porchetto fece il giro della tavola; e Francesco, frugandovi
a lungo, trovò i rognoni che tagliò a pezzetti, coprì di
sale e offrì a Maria.
Ella respinse con grazia la forchetta che egli le porgeva.
"
Non ho voglia: basta."
Ma egli le mise in bocca un pezzetto di rognone: ella dovette mangiarlo, ma
si stizzì alquanto.
"
Va, lasciami in pace!"
"
Maria, ti sei offesa?", egli le chiese, fingendo un grave dispiacere. "Maria!..."
"
Eh, non piangere per questo! Piuttosto...", ella mormorò, fermando
la mano ch'egli tendeva verso il bicchiere, "mi farai il piacere di non
bere oltre..."
"
Ah, tu hai paura che m'addormenti?", egli disse, guardandola maliziosamente. "Ebbene,
no, non berrò più. Più, per oggi, più, più!"
E mise la sua mano su quella di lei, e non volle più mangiare né bere,
ma aveva già bevuto abbastanza, e i suoi occhi si socchiudevano, appannati
dal vino e dal desiderio.
D'un tratto si sollevò e disse in italiano:
"
Evviva l'amore!", e baciò prima una vecchia parente sedutagli accanto,
poi Maria.
Di nuovo tutti risero e applaudirono.
"
Com'è allegro quel Francesco; un mattacchione", disse zia Luisa
alla sua vicina di tavola.
Pietro guardava Maria, e Sabina guardava Pietro; entrambi pallidi e cupi, parevano
intorno a quella mensa i cui vini e le vivande succulente avevano colorito
persino il viso scialbo di zia Luisa, due spettri convenuti al banchetto per
portarvi il malaugurio. Ma i convitati non badavano a loro; Pietro usciva dal
carcere, Sabina era una povera servente malaticcia; chi poteva occuparsi della
loro tristezza? L'allegria degli altri aumentava; i piatti delle vivande si
seguivano, facevano il giro della tavola, sparivano senza che alcuno pensasse
più a servirsi; le parenti di Francesco, che contavano le portate, fecero
scorrere due volte le dita delle mani: sì, venti portate, non c'era
male.
Ecco finalmente il caffè ed i liquori: le donne che servivano a tavola
si fermarono dietro le sedie degli invitati, e presero parte alla conversazione.
Ed ecco, ad un tratto, un giovine istranzu, cioè d'un paese vicino,
si alzò, col bicchiere in mano. Tutti aspettarono un brindisi, ma il
giovinotto sollevò il bicchiere, mosse la mano sinistra con la punta
dell'indice e quella del pollice unite, e cominciò a declamare una strofa
del poema: Su triunfu d'Eleonora d'Arborea, d'un poeta sardo:
Cando s'amore cun sas frizzas d'oro,
Sa prima olta m'hat fertu su sinu...
"Che matto", disse Maria, nascondendo il viso nel tovagliuolo, per
non lasciarsi scorgere a ridere. "È ubriaco."
Zio Nicola s'alzò, fece un cenno al giovine istranzu, e questo tacque.
Allora il padre della sposa sedette a cavalcioni sulla sua sedia, batté il
bastone sulla tavola, e cominciò la disputa nuziale. Invitò i
poeti presenti a rispondergli, poi fece un brindisi agli sposi e inneggiò al "santo
matrimonio e alle sue gioie".
Rispose un giovine poeta estemporaneo, assai noto per le sue poesie improvvisate.
Egli cominciò a lodare la bellezza della sposa e le virtù dello
sposo; zio Nicola mise una mano sull'orecchio e stette ad ascoltare, preparandosi
a rispondere.
Dalla porta spalancata penetrava il sole al declino; si scorgevano sul cielo
intensamente azzurro gruppi di nuvolette bianche che salivano lente sull'orizzonte,
come agnellini su per una china, e davano al pomeriggio una dolcezza, una calma
soave.
A poco a poco i commensali, annoiati dalla disputa dei poeti estemporanei,
si alzarono e scesero nel cortile. A tavola rimasero solo i cantadores, due
vecchi contadini e un fanciullo, Pietro e un giovine proprietario.
Questi due ultimi parlavano a voce bassa, senza por mente ai poeti.
"
Sì", diceva Pietro, "ho un piccolo capitale e fra poco comprerò dei
buoi che rivenderò. Ho anche un socio, un proprietario assai ricco;
hai tu qualche coppia di buoi da vendere?"
Il possidente non si meravigliava che l'ex-servo possedesse un "piccolo
capitale". Pietro non aveva famiglia da mantenere e la sua vecchia zia
era da tutti creduta una donna denarosa nonostante la sua apparente miseria.
"
Sì, ho da vendere parecchie coppie di buoi e di giovenche", rispose
il proprietario.
"
Vedremo", disse Pietro, pensieroso; "in aprile forse non avremo tutto
il denaro necessario, ma combineremo lo stesso. Dove hai le vacche?"
"
Nella Serra. Come si chiama il tuo socio?"
"
Giovanni Antine: un giovine svelto."
"
Diavolo, lo conosco! Ma ora è in carcere."
"
Oh, per cosa da niente; ha bastonato una guardia daziaria", disse subito
Pietro. "Ma uscirà a giorni."
"
Così, zia tua ha scovato l'aschisorju [20]", esclamò l'altro. "Diventerai
ricco, Pietro. Te l'auguro perché lo meriti."
"
Grazie", disse Pietro, "ma, credi pure, io non ho trovato alcun aschisorju:
son quindici anni che faccio il servo, ed ho risparmiato qualche cosa: ecco
tutto."
Egli mentiva, e non sapeva perché: d'un tratto s'alzò, rise,
gli parve d'esser diventato allegro.
"
Andiamo giù anche noi", propose.
Affacciandosi sul ballatoio vide che nel cortile gli invitati ballavano il
ballo sardo. Seduta sui gradini della scala, una bella fanciulla in costume
suonava la fisarmonica e guardava il circolo dei ballerini che saltellavano
tenendosi per mano.
Ma quando Pietro e il giovine proprietario scesero nel cortile, la suonatrice
rallentò le note, sollevò il mento roseo che teneva appoggiato
alla fisarmonica, e gridò:
"
Ohè, chi suona, ora? Voglio ballare anch'io".
"
Continua, Paska; ballerai poi", la supplicarono; ma ella si alzò,
depose lo strumento sullo scalino, e afferrò la mano del giovine proprietario;
poi si unì con lui al circolo dei ballerini, e cominciò a saltellare.
Allora Sabina sollevò gli occhi tristi e guardò Pietro.
"
Un tempo tu sapevi suonare", gli disse con serietà. "Suona,
Pietro."
Pareva gli domandasse un favore molto triste; ma egli neppure rispose.
"
Suona, Pietro Benu; ti fa male la pancia che sei così di malumore?",
gridò il giovine istranzu ubriaco.
"
Non so suonare", egli rispose allora, infastidito.
"
Ebbene, al diavolo la fisarmonica: cantiamo", propose un ballerino anziano,
un bell'uomo roseo dalla lunga barba nera.
"
Almeno ballerai", ardì mormorare Sabina, afferrando la mano di
Pietro.
Egli si lasciò trascinare nel circolo saltellante, ma la sua mano senza
vita pareva a Sabina la mano di un morto.
Tre giovinotti riuniti nel centro del cortile intonarono a voce il motivo del
ballo sardo; la nota del tenore, d'una sonorità selvaggia, pareva venir
di lontano, da una foresta primordiale, ove un fauno s'era svegliato cantando.
Intorno ai cantori, il circolo dei ballerini eccitati dalla caratteristica
musica vocale, saltava e strisciava, serpeggiante, ora restringendosi, ora
allargandosi; qualche giovinotto emetteva di tanto in tanto un grido selvaggio,
di gioia un po' beffarda, e i cantori proseguivano il loro strano:
Bimbaràmbàra mbài, bimbarambòi
Ma a misura che il sole declinava dietro il portone e l'ombra invadeva il
cortile, gl'invitati diventavano pensierosi; ognuno d'essi ricominciava a pensare
ai fatti suoi e pareva svegliarsi dall'ebbrezza di quel giorno di nozze. A
poco a poco il ballo, i canti, i suoni cessarono; molte persone partirono.
Francesco attirò Maria in un cantuccio; sedettero ed egli le prese la
mano. Il moto del ballo e la digestione avevano fatto svanire la mezza sbornia
dello sposo: ora egli tornava ad esser galante e innamorato, ma coi suoi soliti
modi insinuanti e un po' affettati.
La gente andava e veniva: le giovinette e qualche adolescente si divertivano
a stringer patti di fede e d'amicizia [21], annodando e snodando sette volte
le cocche d'un fazzoletto e stringendosi poi la mano, dandosi del voi e chiamandosi
compari e comari; nelle camere di sopra si udiva il tintinnio dei bicchieri
e le voci rauche ed allegre degli amici di zio Nicola, ma nell'angolo ove s'erano
ritirati gli sposi, sotto la vôlta della scala, regnava una pace soave,
quasi triste. Il sole era scomparso: l'ombra aveva invaso il cortile; sul cielo
limpidissimo si stendevano i primi veli rosei del crepuscolo; non un alito
di vento, non un canto di uccello, non una nuvola, turbavano l'armonia melanconica
e dolce di quell'ora, e gli sposi si sentivano vagamente turbati. Maria era
diventata un po' pallida; i suoi occhi sembravano più grandi del solito.
"
Ti diverti?", domandò Francesco, palpando con un dito le pietre
degli anelli che le coprivano le mani.
"
Se non mi diverto oggi, quando potrei divertirmi?", ella disse, con lieve
ironia.
Francesco le cinse la vita col braccio, la guardò negli occhi con desiderio
ardente. Com'ella era bella così, un po' languida e stanca, con gli
occhi smarriti, rivolti al cielo roseo! No, nessun re della terra poteva esser
felice come in quel momento si sentiva felice Francesco Rosana. Egli fremeva
lievemente, come l'albero accarezzato dalla brezza; guardava la bocca della
sposa e provava la gioia dell'assetato che avvicina le labbra allo zampillo
della fontana...
Ma ella guardava lontano, ed i suoi occhi splendevano d'una luce vaga, che
sembrava il riflesso del cielo e forse era il riflesso d'un sogno triste...
Pietro intanto era risalito nella stanza ove zio Nicola s'ostinava a tentare
ancora qualche verso.
"
I tempi cambiano", disse il contadino anziano dal viso roseo e la barba
nera. "Un tempo si cantava fino alla mezzanotte, o almeno finché gli
sposi si ritiravano, e si ballava molto, anche. Ora i giovani son fiacchi,
la gente è stanca e non ama divertirsi. Le nozze sembrano funerali."
"
Ho anche osservato una cosa", disse il pastore che aveva trinciato il
porchetto arrostito. "Un tempo si usava baciare la sposa sulle guance,
e qualche burlone la baciava anche sulla bocca. Ora niente: pare si abbia paura.
Nessuno ha baciato Maria."
"
Voglio baciarla io", esclamò il contadino, battendo le mani. "È vero
che bisogna baciarla mentre le si fa un dono. Il dono io gliel'ho già fatto,
ma il bacio lo voglio ancora..."
"
Ebbene, se la baci tu la bacio anch'io", disse il giovine proprietario.
"
Francesco Rosana vi romperà le costole."
"
Un corno! E che non è usanza antica? Sua madre, quando si sposò,
fu baciata da tutti gl'invitati."
"
Vuoi farmi un piacere?", disse allora Pietro al giovine possidente. "Devo
anch'io regalare una moneta alla sposa: non mi piace darle una carta da dieci
lire. Potresti cambiarmela e darmi due scudi d'argento?"
"
Fai le cose a dovere, perdio!", osservò l'altro. "Mi dispiace,
però, non ho gli scudi".
Ma Pietro ebbe un'idea felice, chiamò zia Luisa in disparte e le domandò se
poteva cambiargli in argento le dieci lire.
"
Se vuoi anche in oro, figlio mio", disse zia Luisa. "Tutto quello
che vuoi."
"
Bene, datemi mezzo marengo."
Zia Luisa cambiò il denaro e Pietro tenne entro il pugno la monetina
d'oro.
"
Andiamo", disse poi al giovine proprietario. "Addio, zio Nicola."
"
Come, te ne vai, Pietro? Bevi almeno."
"
Ebbene, date qua."
Bevette un bicchiere di vino forte, poi si avviò, seguito dal suo nuovo
amico. Nel cortile si fermò un momento, ridendo; sentiva una dolce vertigine,
e gli pareva che dentro il suo pugno la monetina d'oro palpitasse forte come
cosa viva.
"
Addio, zia Luisa", gridò, mettendo la testa entro la porta di cucina.
"
Addio, Sabina bella..."
"
Addio", rispose Sabina, correndo come una pazza fino al limitare della
porta.
Ma quando fu là, ella vide una scena strana. Pietro e il compagno s'avvicinavano
agli sposi: Francesco, che si era alquanto chinato su Maria, si sollevò e
sorrise. Il giovine proprietario disse qualche parola, e si chinò e
baciò la sposa sulla fronte.
E subito dopo Pietro l'imitò, ma invece di baciare Maria sulla fronte
la baciò sulla guancia, quasi all'angolo della bocca; poi le strinse
la mano dandole la moneta d'oro.
Sabina sussultò le parve di svenire.
I due giovinotti attraversarono il cortile e se ne andarono: Maria mostrava
a Francesco la monetina donatale da Pietro; egli sorrideva e diceva scherzando:
"
Ah, me l'hanno fatta! Guai però se gli altri cercano d'imitarli!".
"
Stupido", pensò Sabina, voltando le spalle agli sposi. "Il
bacio di Pietro è stato il bacio di Giuda; e tu sorridi!"
Pietro vagò tutta la sera in compagnia del suo nuovo amico. Andarono
nella bettola del "forestiere" e la bella Maria Franzisca li inebbriò di
vino e di sguardi provocanti.
Poi il toscano s'avvicinò e sedette accanto a loro.
"
Che belle nozze", esclamò, "come è vero Dio, non se
ne vedranno più, in questo vicinato, nozze così di lusso."
"
Abbiamo baciato la sposa", disse il giovine proprietario. "Io non
ci ho trovato nessun gusto, però..."
"
Ci troverà più gusto lo sposo", disse la moglie del bettoliere,
alla quale il marito voltava le spalle; e il suo sguardo nero, scintillante,
attirava con una specie di fascino magnetico gli occhi di Pietro. Egli taceva
e la guardava.
Per la prima volta s'accorse che la giovine donna, della quale soltanto la
voce un po' rauca riusciva sgradevole, rassomigliava a Maria.
E mentre il toscano e il giovine possidente parlavano male di Francesco, burlandosi
delle sue maniere affettate, l'ex-servo si alzò e s'avvicinò al
banco per pagare.
"
Che fai?", gridò l'altro.
"
Lascia", egli rispose. "Hai da cambiarmi cinque lire, Maria Franzisca?"
Ella aprì il cassetto e disse con intenzione:
"
Stanotte mio marito va ad Oliena. Ho messo tutti gli spiccioli nella sua borsa".
Pietro s'era chinato sul banco e quando ella si sollevò le fece un cenno
cogli occhi. Ella contava gli spiccioli e fece cenno di sì.
Fino a tarda sera Pietro e il compagno vagarono per le bettole; poi l'ex-servo
incontrò altri suoi conoscenti e tutti assieme andarono a cantare davanti
alle porte delle fanciulle delle quali più o meno erano innamorati.
La notte era dolce, tiepida. Pietro, ubriaco, pensava sempre agli sposi e per
stordirsi cantava, e di tanto in tanto si sfogava con quel grido caratteristico,
col quale talvolta i paesani nuoresi vogliono esprimere la loro gioia. Ma sembrava
un urlo di angoscia dispettosa.
Tutta la notte egli fece baldoria.
Maria Franzisca lo attese a lungo, e quando egli arrivò ed ella lo accolse
ubriaco fra le sue braccia, lo sentì gemere e lamentarsi come un malato.
XVI.
Passarono due mesi.
In casa Noina tutto era rientrato nell'ordine e nella pace di prima; le rendite
s'erano triplicate: zia Luisa scoppiava di pinguedine e di boria; anche Maria
ingrassava e pareva felice. Adesso non andava più scalza e non accudiva
alle più basse faccende domestiche: era diventata quasi una signora.
Aveva una fantesca svelta e diligente; altre donne venivano a lavorare in
casa, quando si doveva preparare il pane d'orzo per i servi di Francesco.
Nel cassetto del canterano Maria serbava una scatola colma di biglietti di
banca e un piccolo cestino di monete; tutte le donne dei principali nuoresi
la guardavano con invidia quando la domenica ella si recava, splendidamente
vestita, alla messa di mezzogiorno. Insomma tutti i suoi sogni s'erano avverati.
Francesco, sempre più innamorato, la circondava di cure e di adorazione,
cortese fino alla noia.
Nelle belle giornate di primavera gli sposi montavano sulla magnifica cavalla
bianca, che già li aveva ricondotti dal monte Gonare a Nuoro, e visitavano
l'oliveto, la vigna, l'ovile di Francesco.
Nell'ovile, anzi, avevano divisato di passarci tutto il mese di maggio, come
usano certi pastori nuoresi allorché si sposano.
Francesco veramente non era un pastore: era un possidente ed aveva una discreta
rendita; ma siccome il bestiame e i pascoli rappresentavano la sua più grossa
proprietà, egli passava buona parte del suo tempo nell'ovile, coi suoi
pastori, i suoi cani, le belle vacche alte e fiorenti che lo riconoscevano
e che pareva lo amassero in modo speciale. Anche lui le amava, le chiamava
con nomi poetici, le accarezzava, s'accorgeva se stavano più o meno
bene.
Queste vacche pascolavano liberamente tutto l'anno nelle ubertose tancas [22]
di Francesco: si abbeveravano nell'acqua corrente d'un ruscello, meriggiavano
sotto i boschetti di querce millenarie, e la sera si ritiravano entro una mandria
circondata di siepi. Nessun riparo per l'inverno: durante le lunghe nevicate
i pastori nutrivano il bestiame con la sida, cioè con le fronde e le
foglie della quercia.
Maria batté infantilmente le mani alla proposta di passare il maggio
nell'ovile, tanto più che cominciava ad annoiarsi della sua vita sfaccendata
di sposa ricca.
"
Sono troppo felice, ho fin quasi paura", pensava, mentre trapuntava una
collana [23] per il suo Francesco, con una pazienza ed un'abilità da
Aracne. "Non mi manca niente. Mio padre ora sta bene, mia madre anche:
entrambi vanno d'accordo ed amano Francesco come un loro figlio. Tutto va bene;
l'annata si promette buona, abbiamo provviste e danari, non siamo tormentati
né da liti né da inimicizie. Tutti ci vogliono bene. Anche quel
disgraziato non s'è fatto più vivo; mi ha dimenticata, non pensa
più a me. Sia lodato Iddio."
Ella ricamava, seduta all'ombra del portone: zia Luisa e la serva lavoravano
in cucina. Francesco era in campagna, zio Nicola nella bettola.
La casa dei Noina, più che mai tranquilla e sicura come una piccola
fortezza, dominava sul povero vicinato, nelle cui viuzze l'erba cresceva fresca
ed alta, nei cui cortiletti, invasi dalla farinella, dal giusquiamo e dalle
euforbie, i pergolati e le siepi fiorivano con la melanconica poesia delle
cose umili e abbandonate.
"
Una sola cosa manca", pensava la giovine sposa, sollevando la testa per
infilare l'ago; "ma verrà anche quella! È presto ancora:
due mesi appena! Verrà, verrà..."
E provava un impeto di gioia al pensiero di poter presto diventar madre.
"
Senza figli, Maria Santissima, a che serve la vita, il benessere, il denaro?"
Ah, senza confessarlo apertamente, ella finiva col dire a se stessa che qualche
cosa le mancava: la scatola dei biglietti, il cestino delle monete, le vesti
di lusso, i servi, l'invidia delle donne della sua classe, non bastavano dunque
a riempire la sua vita.
E l'amore dello sposo, dunque?
"
Mi vuoi bene, Maria?", egli le domandava, nei momenti della sua più ardente
adorazione. "Sei contenta, sei felice come sono felice io?"
"
Sì, sì", ella rispondeva.
"
Non hai voluto bene ad altri uomini?"
"
Mai ad altri", ella affermava, ed i suoi occhi si velavano.
Una statua si sarebbe commossa più di lei alle carezze dello sposo:
ma lo sposo l'amava, la voleva appunto così, casta e ignara, con gli
occhi coperti da un velo di pudore.
Una mattina di maggio i due sposi montarono dunque a cavallo e presero la
via dell'ovile.
Era la stessa strada, i medesimi luoghi da loro attraversati pochi mesi prima
nel recarsi al monte Gonare. Ora però le campagne, inondate di sole,
si stendevano verdi e fiorite; sulla pianura, arsa d'estate e pantanosa d'inverno,
ondulava alla brezza una vegetazione selvaggia, un mare d'erbe alte, di cardi
dal verde argenteo, di asfodeli dai fiori lucenti di rugiada; le ferule innalzavano
i loro ombrelli diafani; manti di fiori rosei coprivano le macchie; il puleggio
e la rosa selvatica imbalsamavano l'aria tiepida e pura.
Le montagne lontane coronavano il panorama come d'un immenso diadema di zaffiro,
più azzurro del cielo stesso.
Maseda [24], la cavalla, procedeva tranquilla per i sentieri aperti fra l'erba
delle tancas; benché non fosse tormentata da mosche, si sbatteva la
coda ora su un fianco, ora sull'altro, annusando l'erba ogni volta che Francesco
rallentava il freno. Pareva sentisse la gioia della bella giornata, il piacere
dell'aria libera; quando attraversava qualche piccolo corso d'acqua, vicino
al quale i narcisi e la menta esalavano un profumo eccitante, apriva le narici
e fremeva tutta; e rispondeva con un nitrito se qualche vacca sporgeva il muso
bianco e nero sulla muriccia della tanca e muggiva bonariamente.
Maria, abbandonata sulle spalle di Francesco, si lasciava cullare dal passo
tranquillo e cadenzato della cavalla, e provava una dolcezza quasi triste:
il tepore del sole, il profumo delle erbe, e tutto quel fascino di solitudine
e d'azzurro, le davano un torpore voluttuoso di sogno.
Tra le fratte coperte di rose selvatiche ella udiva gli uccelli trillare d'amore,
le vacche muggire, qualche mosca iridata ronzare ebbra di sole e di miele;
vedeva le piccole farfalle diafane, verdi e rosse, nere e violacee, che parevano
nate dai fiori, incrociarsi e amarsi pazzamente per aria; e un filtro d'amore,
un desiderio indistinto la illanguidiva tutta. Eppure la stretta ardente della
mano di Francesco non riusciva a far divampare il fuoco del desiderio che le
covava entro il cuore; s'egli si fosse voltato e l'avesse baciata, ella avrebbe
pianto di tristezza.
Ma finalmente giunsero all'ovile: Maria si scosse, scivolò svelta dalla
groppa di Maseda, e guardò se il sudore della cavalla le aveva macchiato
la sottana.
"
Mi pare d'aver dormito", disse, facendo qualche passo per sgranchirsi
le gambe.
Francesco si mise ad armacollo il fucile che aveva sempre tenuto sul davanti
della sella, e fischiò per avvertire del loro arrivo il pastore.
Ben presto giunsero, saltando ed abbaiando, i cani dell'ovile, e tutta la tanca,
poco prima silenziosa, risuonò di voci amiche. Le giovenche muggivano,
quasi indovinando l'arrivo del padrone; i cani degli ovili vicini rispondevano
all'abbaiare dei cani di Francesco; i pastori accorrevano.
Maria s'avviò verso la capanna.
La vasta tanca era chiusa da muricce assiepate; al nord s'elevavano grandi
rocce, al di là delle quali, coperto da alti rovi e da querce selvagge,
insinuavasi un sentiero che pareva un antro.
La capanna e le mandrie, fatte con muri a secco e coperte di rami e di frasche,
sorgevano quasi nel centro della tanca, addossate ad una roccia e circondate
da una breve radura.
Maria si curvò per entrare nella capanna, della quale conosceva già l'interno.
Una pietra fissata al suolo serviva da focolare; qualche primitivo sgabello
di ferula, fatto dai pastori, formava tutto il mobilio dell'abitazione preistorica.
Sopra un'asse disposta sotto il tetto di frasche, stavano le provviste del
pastore; dai rami sporgenti pendevano vasi di sughero col manico di legno pieghevole,
ed altri arnesi necessari per la confezione del formaggio e della ricotta;
qualche tagliere di legno, qualche spiedo, unghie di pecora ridotte a cucchiai,
formavano le masserizie dell'abitazione ove gli sposi volevano veder tramontare
la loro luna di miele.
Maria guardò e frugò in ogni angolo; mise tutto in ordine, poi
sedette su uno sgabello, finché arrivò il servo pastore, verso
il quale ella nutriva un'istintiva antipatia.
Era un grosso e rozzo giovinotto dal nome duro: Zizzu Croca, e dal nomignolo
poco rassicurante: Turulia [25] - una figura di uomo primordiale, con grossi
occhi azzurri iniettati di sangue, in un viso nero, arso e aquilino d'arabo:
la mastrucca [26], completava il suo aspetto d'uomo selvaggio.
Nonostante questo aspetto, Zizzu Croca aveva maniere garbate ed una voce dolce,
quasi femminea.
"
Lasciate fare a me", disse, poiché Maria e Francesco si preoccupavano
per il giaciglio, "vi farò un letto più bello del vostro
letto di sposi. Io dormirò fuori sotto la siepe, o costruirò un'altra
capanna: qui, in quest'angolo, faremo un bel giaciglio di felci, sulle quali
stenderemo il materasso, i cuscini e le coperte che arriveranno da Nuoro."
Infatti s'avviò verso il ruscello, sulle cui rive le felci spiegavano
i loro ventagli dentellati, ne falciò un mucchio e prima di portarle
nella capanna lasciò che il sole ne assorbisse la rugiada.
Verso mezzogiorno arrivò il servo con un carro carico di roba: materassi,
cuscini, coperte, provviste.
Maria mise in ordine ogni cosa: Poi i due sposi se ne andarono a veder le vacche
e a visitare tutta la tanca. Il sole quasi ardente inondava i pascoli; le alte
querce scintillavano; i prati coperti di reseda e di ranuncoli parevano spruzzati
d'oro; ogni cosa brillava nella luminosità di quel limpido e silenzioso
meriggio. Le locustelle saltellavano sui rovi fioriti; farfalle in colore dei
fiori, insetti in colore dell'erba, animavano la solitudine divina del bosco.
Nei ceruli sfondi, dietro le rocce e i muricciuoli verdi di musco, il cielo
pareva un mare lontano: un mare di sogni.
Francesco Rosana aveva un sentimento istintivo della natura. Col suo modo d'esprimersi
un po' affettato, diceva alla sua giovine sposa, cingendole la vita col braccio,
e guardandola con occhi amorosi:
"
Una volta ho visto una Bibbia con le figure colorate: c'era il paradiso terrestre
con alti alberi e campi fioriti, così come in questa tanca. Adamo ed
Eva camminavano sull'erba; ecco, mi pare che anche noi siamo nel paradiso terrestre.
Quante volte ti ho desiderata, qui, quando ero scapolo. Ah, vedi, mi pare un
sogno ora...".
E la stringeva a sé, quasi pauroso di vederla sparire. Ella lo lasciava
fare, calma e sorridente come una dea; e passava calpestando i fiorellini e
gli insetti, e strappando le rose selvatiche che le sfioravano la mano.
E le giovenche bianche macchiate di nero, i tori rossi dai grandi occhi umidi
e come sognanti, i vitellini color caffè-latte, col muso roseo e le
corna nascenti, volgevano lentamente il capo e scuotevano la coda, quasi salutando
i loro giovani padroni.
Anche Maria si sentiva contenta di quella vita idilliaca, e avrebbe voluto
che quel maggio durasse eternamente.
Si levava all'alba, quando le cime delle querce rabbrividivano alla brezza,
inargentate dal riflesso del cielo chiaro, e assisteva con Francesco al mungere
delle vacche e alla confezione del formaggio, aiutando i pastori a versare
il latte ed a preparare i recipienti. Le vacche uscivano una dopo l'altra dalle
mandrie, e si fermavano accanto al pastore quando Francesco le chiamava per
nome. Dalle grandi mammelle rosee il latte pioveva tiepido e fumante entro
il paiuolo di rame o nei recipienti di sughero.
Attraverso la siepe i vitelli guardavano curiosi, coi grandi occhi attenti,
e dall'estremità della radura anche gli alti steli dell'avena, le ombrelle
della ferula, gli occhi d'oro dei ranuncoli, umidi di rugiada, pareva guardassero,
commossi e tremuli, quella funzione così sacra e solenne nella sua semplicità.
Più tardi Maria passava nuovamente al fuoco il formaggio dopo averlo
lasciato alquanto fermentare, e lo riduceva a caciuole dalla forma di pera.
Ella era molto graziosa quando sbrigava questa faccenda; si rimboccava le maniche
della camicia fino al gomito, ripiegava sulla sommità del capo i lembi
del fazzoletto, in modo che si scorgevano i suoi pendenti di corallo, si piegava
sul focolare acceso e rimescolava destramente il formaggio entro la casseruola
di rame. E quando il cacio diventava tutto una pasta elastica e giallognola,
ella lo estraeva, lo metteva entro un piatto concavo, gli dava, lisciandolo
con le mani bagnate, la forma di una grossa pera e lo gettava nell'acqua fresca:
poi ne cominciava subito un altro.
Francesco ed il pastore eseguivano anch'essi, col cacio così ridotto,
graziosi formaggelli in forma di uccelli, di piccole vacche, di cinghiali,
di cervi; ed anche trecce e statuine che parevano idoletti indigeni, e microscopici
cavallini con sella e briglia e relativo cavaliere.
Questi giocattoli mangiabili venivano poi da zia Luisa regalati ai bambini
degli amici e dei parenti.
Maria preparava il pranzo, ed il pastore veniva spesso ammesso alla mensa patriarcale
dei padroni; il più delle volte pranzavano all'aperto, sotto una quercia,
e dopo il pasto i due sposi vagavano per la tanca, visitavano gli ovili vicini,
talvolta si spingevano fino alla chiesetta dello Spirito Santo, solitaria e
nera come una roccia tra il verde dei campi silenziosi.
Se non si allontanavano dal loro ovile, Maria e Francesco meriggiavano nel
bosco, e talvolta finivano coll'addormentarsi sotto le querce scosse dalla
brezza e indorate dal sole, sopra un letto di fieno e di margherite, davanti
a quegli sfondi così azzurri e luminosi che davano l'illusione di un
mare lontano.
Quando si svegliava Maria preparava il caffè, poi sedeva davanti alla
capanna, all'ombra della roccia, e trapuntava una camicia, mentre Francesco
leggeva un numero arretrato della Nuova Sardegna, o il poema sardo Su triunfu
d'Eleonora d'Arborea, del poeta Dore di Posada.
La solitudine era dolce e profonda; i cani sonnecchiavano; sul prato, in fondo
alla raduna, i vitellini si rincorrevano e giocavano; s'udiva qualche fischio,
qualche voce lontana; l'ombra delle querce si allungava sull'erba e il sole
declinava con dolcezza infinita.
Verso l'imbrunire Maria preparava la cena; poi, se la sera non era troppo fresca,
i due sposi vagavano ancora un po' qua e là. Qualche lucciola brillava,
immobile sull'erba, come un misterioso fiore notturno, e pareva riflettesse
lo splendore verdognolo delle prime stelle tremolanti sul cielo ancora violaceo.
Tutto taceva e odorava; le estreme foglie delle querce tremolavano, vicine
agli astri; il pastore dalle vesti selvagge, accoccolato davanti alle mandrie,
recitava il rosario. Poi i due sposi si raccoglievano nel loro letto di felci,
e la notte soave spiegava le ali di velo sulla natura addormentata.
Così i giorni passavano.
Uno dei pastori, il più giovine, un ragazzo malaticcio e silenzioso,
recava ogni sera a Nuoro il prodotto giornaliero delle vacche, e la mattina
dopo ritornava con le provviste che zia Luisa mandava agli sposi. Ogni giorno
zio Nicola mandava a dire che sarebbe presto venuto, ma non arrivava mai.
Nulla turbava l'idillio primaverile dei due sposi: solo qualche pastore vicino
veniva a visitarli e qualche viandante nuorese s'indugiava un momento nel loro
ovile. Però Turulia, il pastore anziano, litigava spesso con Francesco
per cose da nulla. Con Maria si mostrava affettuoso e premuroso, lamentandosi
spesso con lei per la pedanteria e le esigenze del padrone: di notte si accovacciava
sotto un riparo di frasche, a pochi passi dalla capanna, e vigilava come un
cane.
Una sera, nel ritirare le vacche, Francesco si accorse che ne mancava una.
Al solito, una breve questione sorse tra padrone e servo, poi entrambi s'allontanarono
per cercare la vacca. Maria rimase per la prima volta sola nell'ovile: Francesco
però le aveva promesso di ritornare presto; e per ingannare il tempo
ella s'avanzò fino alle rocce che dominavano il sentiero.
La luna illuminava già la tanca; ad occidente il cielo conservava una
tinta rossa infocata.
Appoggiata ad una roccia, Maria vedeva ai suoi piedi il viottolo assiepato
e più in là un angolo del sentiero che attraversava la tanca
limitrofa.
D'un tratto le parve di udire i passi di un uomo in fondo al viottolo; credendo
fosse Francesco, si sporse alquanto, ma non vide nessuno: i passi cessarono.
"
Franziscu?", ella chiamò.
Nessuno rispose. Allora Maria sollevò gli occhi, e guardando di nuovo
verso la tanca vicina vide un uomo alto e snello che attraversava rapidamente
il tratto di sentiero che si scorgeva dalla roccia. Ella credette di riconoscerlo,
e se un fantasma le fosse apparso in quell'istante non le avrebbe causato più spavento.
Istintivamente si nascose dietro la roccia, e per qualche momento stette immobile,
fredda, palpitante; mille confusi pensieri di terrore le passarono nella mente.
Che cercava Pietro da quelle parti? Le pareva d'averlo ben riconosciuto; sì,
era lui, alto e svelto, con la sua sopravveste di pelle giallognola; nessun
altro paesano nuorese aveva il portamento fiero di Pietro Benu, ed ella poteva
ben riconoscerlo anche al chiaro di luna e in lontananza.
Ma dopo un momento si scosse, guardò ancora, ascoltò. Niente,
nessuno. La pace infinita della notte lunare stendevasi sulle tancas solitarie:
all'ombra delle macchie le lucciole verdognole splendevano: fra l'erbe i grilli
trillavano la loro interminabile serenata.
"
No, mi sono ingannata", pensò Maria; e ritornò verso la
capanna.
Una vaga inquietudine la spingeva: accese il lume e preparò tutto per
la cena, ma ogni piccolo rumore la turbava.
Francesco non tardò a ritornare.
"
Nessuna traccia della vacca", disse, adirato. "Vedrai che non si
ritroverà. Ah, la finiremo male con Turulia; egli è veramente
un nibbio."
"
Che colpa ne ha lui?"
"
Che colpa? Glielo spiegherò io. Girano certe figure da queste parti!"
Maria non osò dire che aveva creduto di veder Pietro.
Francesco disse:
"
Anche ai pastori vicini sono stati, in questi ultimi tempi, rubati tori e vacche.
Ci deve essere una vera associazione: banditi e malfattori che se la intendono
con qualche servo pastore, e naturalmente anche con questo famoso nibbio...".
"
Oh, e tu che intendi di fare?"
"
Lascia che passino questi giorni; quando saremo ritornati in paese vedrai."
Ma a notte alta il servo ritornò con la vacca zoppicante e disse di
averla trovata in fondo ad una perca [27].
Altri giorni passarono: da tre settimane gli sposi trascorrevano la loro luna
di miele nella pace dell'ovile; zio Nicola era venuto un giorno a trovarli;
un altro giorno eran venute le parenti di Francesco.
Il tempo mantenevasi sereno; il cielo conservava quella limpidità luminosa
che talvolta, in Sardegna, diventa implacabile e fatale; già l'erba
ingialliva, l'acqua dei ruscelli diminuiva sempre più.
Un giorno anche Sabina, in groppa al cavallo del servo giovinetto, venne a
trovare gli sposi.
"
Ti faccio sapere che ho un pretendente", disse a Maria. E accorgendosi
subito che un'ombra passava negli occhi della giovine sposa, si affrettò a
soggiungere: "Sì, lo conosci, è un contadino, Giuseppe Pera:
non è bello, ma è buono, ed ha anche qualche po' di terra al
sole. Suo fratello ha l'ovile qui vicino".
"
Buona fortuna, allora."
"
Non così presto: io non gli voglio bene", disse Sabina; e se ne
andò fra le macchie in cerca di fiori, dai quali succhiava il miele.
Durante il meriggio ella si sdraiò fra l'erba, e nel silenzio profumato
del bosco udì gli sposi ridere e baciarsi sotto un albero.
Ricordò i baci di Maria e di Pietro, lassù, fra le distese di
grano maturo, nel silenzio dell'altipiano, e fremette.
Spezzò coi denti uno stelo d'avena e pensò a Pietro: ella lo
amava sempre, lo amava più che mai; perché egli non ritornava
a lei, ora che Maria dava i suoi baci ad un altro?
XVII.
Il giorno dopo altre due vacche mancarono dalla tanca.
Francesco non s'incollerì, ma diventò pallido, e guardò il
servo con occhi torvi.
"
Andiamo", gli disse; "anche questa volta le vacche saranno precipitate
nel burrone! Va da quella parte: io vado da questa. Maria", aggiunse,
rivolgendosi alla moglie, "vado fino all'ovile dei Pera per domandare
se han visto le vacche: torno subito."
Servo e padrone partirono. Maria preparò la cena, poi uscì fuori
della capanna e attese. Si sentiva un po' inquieta per l'affare delle vacche,
ma sperava che tutto procedesse come l'altra volta e che Francesco non la lasciasse
sola più d'una mezz'ora.
Seduta davanti alla capanna, ella guardava davanti a sé, al di là della
radura, verso il bosco, dal quale Francesco doveva tornare.
Pensava:
"
Fra due o tre giorni ritorneremo a Nuoro: è tempo: ora comincia a far
caldo: cominciano le raccolte: è tempo di lavorare e di far la buona
massaia. Mia madre sarà stanca, poveretta; sì, bisogna ritornare".
Ricordi vaghi, ombre fuggenti, le sfioravano il pensiero. Sì, un anno
era trascorso, dopo le ultime mietiture... Quante cose in un anno! Come s'invecchia
presto! Sì, l'anno scorso ella era sventata e capricciosa come una fanciulla
di quindici anni; adesso si vergognava delle sciocchezze commesse: si vergognava,
ma non si pentiva. Dopo tutto, chi non è stato giovine? Chi non ha cercato
di aprire il misterioso libro dei sogni?
"
Chi è senza peccato scagli la prima pietra", pensava Maria, che
s'era portata nell'ovile anche la Filotea. "Dopo tutto, ora sono una moglie
fedele, sono savia come una vecchia: che volete di più?"
Eppure, mentre pensava così, guardava davanti a sé, e dimenticava
le vacche smarrite, i sospetti di Francesco, e che la mezz'ora dell'assenza
di lui era trascorsa.
La sera cadeva, dolce e profonda, una sera quasi estiva; il cielo aveva già perduto
la trasparenza primaverile: incurvavasi un po' denso e cinereo sulle querce
immobili, e sembrava di velluto, qua e là trapuntato dalle prime stelle.
Quel silenzio melanconico, quell'estrema luce smorta che rischiarava la cima
grigia della roccia sovrastante alla capanna, cominciarono a inquietare Maria.
Già le lontananze s'offuscavano, il bosco diventava sempre più nero
sotto il cielo cinereo, e Francesco non tornava. A poco a poco, ai pensieri
dolci e vaghi seguì in lei un sentimento di tristezza, di paura quasi
infantile.
Perché Francesco non tornava? Egli aveva promesso: chi lo tratteneva?
"
Io son qui sola, egli lo sa: se non torna vuol dire che qualche cosa glielo
impedisce."
Si alzò, attraversò la radura, fissò gli occhi in lontananza.
Nessuno. Il grosso cane dell'ovile abbaiò: il suo latrato di cane giovine,
chiaro come una voce umana, riempì per un momento il silenzio profondo
della sera calda. Maria si rattristò ancora di più.
"
Francesco? Francesco?"
La sua voce si perdé, piccola, nella vastità della radura. Ella
s'inoltrò fra l'erba, si fermò ancora, si guardò attorno.
Non aveva mai, come in quella sera, sentito il mistero del crepuscolo, delle
ombre invadenti. Che accadeva laggiù, dietro i boschi già neri?
Che vedevano le pietre posate con misterioso equilibrio sopra le rocce, ancora
lievemente chiare nell'estremo barlume del crepuscolo? Perché l'erba
ed i fiori scuri e l'asfodelo sussurravano al suo passaggio?
"
Nostra Signora mia del Monte, Nostra Signora mia del Monte, che è accaduto?"
Ella camminò, camminò, varcò il ruscello, attraversò il
bosco. L'ombra s'addensava sotto le querce, nera, quasi palpabile. Ella provava
una strana impressione: le pareva che dei veli si squarciassero al suo passaggio:
e il zirlare dei grilli che s'interrompeva d'improvviso, e qualche gemito indistinto
di uccello notturno, le sembravano deboli voci emesse dalle querce addormentate.
Così arrivò al confine della tanca, saltò la muriccia,
attraversò un altro prato: il suo turbamento cresceva, il cuore le batteva
violentemente.
"
Francesco? Francesco?"
Silenzio. Un punto rosso brillava in lontananza. Ella si diresse verso quel
punto; ogni tanto si fermava, sembrandole di udire voci e passi umani. Un cane
abbaiò, un altro rispose in lontananza.
"
Francesco deve essere tornato all'ovile: non ci siamo incontrati. Ho fatto
male a muovermi."
Ma giacché era avviata, proseguì verso l'ovile di Antonio Pera.
"
Antoni, Antoni", cominciò a gridare.
Il punto rosso per un momento si spense: una figura nera attraversò di
corsa il prato.
"
Chi è?"
"
Sono io, Antoni Pera", ella gridò con voce ansante.
"
Maria! Che è accaduto?"
"
Ah, Antoni, che paura! Francesco non è venuto al tuo ovile? Dov'è andato?
Ho tanta paura."
"È
venuto qui, mezz'ora fa, circa: è ripartito subito, dicendo che faceva
il giro della tanca e poi ritornava subito da te. Sarà già all'ovile.
Andiamo, ti accompagno."
Tornarono indietro, ma nonostante le parole del pastore Maria si sentiva assalita
da un tremito nervoso.
"
Non aver paura; forse han trovato le tracce dei ladri, e tardano per questo."
"
Come possono veder le tracce, con questo buio?"
Nella capanna non c'era nessuno: il cane abbaiava furiosamente, e Maria credette
di sentire qualcosa di triste e di lugubre in quel latrato.
"
Che fare? Che fare? Andiamo, cerchiamo", ella disse, disperata. "Deve
essere accaduta una disgrazia."
"
Ma no, Maria; che ti salta in mente? Forse Francesco è ritornato, ed
ora ti cerca."
Allora Maria ritornò nella radura e ricominciò a gridare:
"
Francesco? Francesco?"
Solo i cani rispondevano.
Il pastore accese il fuoco nella capanna, poi uscì e disse:
"
Se non hai paura di star sola un momento, vado e guardo se posso trovarlo".
"
Va, va, per l'anima dei tuoi morti, va!"
Il pastore s'allontanò a grandi passi. Maria sedette ancora sullo sgabello
di ferula, davanti alla capanna, e attese.
XVIII.
Passò qualche tempo prima che Antoni tornasse. Maria tendeva l'orecchio
ai minimi rumori della tanca, ed a misura che l'ora passava la sua tristezza
e la sua inquietudine crescevano.
La luce del fuoco descriveva un semicerchio rossastro al di fuori dell'apertura
della capanna: sopra la nera linea dei boschi brillavano le stelle.
I cani s'erano calmati; soltanto uno, in lontananza, abbaiava ancora.
Finalmente il pastore tornò.
"
Dev'essere proprio come ho detto io: devono aver trovato le tracce e inseguono
i ladri", disse; ma la sua voce era incerta.
"
No, no, dev'essere accaduta una disgrazia; lo sento", gemette Maria, balzando
in piedi e torcendosi le mani con disperazione.
Il pastore cercava di rassicurarla, ma ella non sentiva le parole di lui: e
aveva un'angosciosa impressione, le pareva d'esser cieca o che la notte dovesse
prolungarsi eterna. A chi rivolgersi per implorare soccorso? Le pietre, l'erba,
le piante, non si sarebbero mosse; gli uomini non potevano nulla contro il
fato mostruoso che doveva avvolgere Francesco.
"
Francesco? Francesco?"
Egli non rispondeva: nessuno rispondeva.
"
Se non mi avesse promesso di ritornare! Ma egli ha promesso; e poi, forse che
una vacca può premergli più di me? Egli sa che sono qui sola,
di notte..."
Il pastore sentiva che ella aveva ragione, ma la confortava:
"
Non è poi tardi: guarda le stelle; saranno le dieci. Perché ti
disperi così? Non sei poi una bambina".
"
Andiamo, cerchiamo ancora; voglio venire anch'io."
Ritornarono verso l'ovile di Antoni: Maria barcollava e il pastore doveva sostenerla.
Nella capanna trovarono un pastore anziano, il quale persuase Maria a riposarsi
e a stare tranquilla.
"
Vedrai", disse, "fra poco Francesco sarà di ritorno. Perché hai
paura? Certo, egli ha fatto male a lasciarti sola; ma chi sa, il puntiglio
o l'idea di acciuffare i ladri gli ha fatto dimenticare il suo dovere. Per
punirlo, sta qui: così quando egli ritorna nel vostro ovile e non ti
ritrova proverà un po' d'inquietudine. Sdraiati qui, su questo sacco.
Antoni andrà ancora in giro, io veglierò. Non aver paura; chi
può far del male a Francesco Rosana?"
Maria sedette sul sacco; il suo viso sembrava di cera.
Chi poteva far del male a Francesco Rosana? Ella sola lo sapeva.
"
Oggi", disse il pastore mentre Antoni si allontanava ancora, "oggi
ho sentito Francesco questionare col servo. E che, non vanno d'accordo?"
"
No; ed è appunto di Turulia che io temo. Francesco diceva che questo
brutto ceffo ha cattive relazioni, e che probabilmente è d'accordo coi
ladri delle vacche. Ve lo dico in confidenza..."
"
Sta tranquilla; non lo ripeterò; ma anche gli altri pastori hanno sentito
Francesco e Turulia litigare."
Maria tacque e chiuse gli occhi.
Il pastore la credette assopita e uscì fuori. Ma ella non dormiva; la
disperazione cresceva in lei, la invadeva tutta, l'affogava, come un'acqua
silenziosa che salisse, salisse implacabile.
"
Francesco è morto, ed è Pietro che lo ha ucciso... Ed io devo
tacere..."
Questo pensiero non l'abbandonò più; tuttavia ella sperava d'ingannarsi,
ed aspettava, aspettava... A momenti le sembrava di udire il passo leggero
di Francesco avvicinarsi; apriva gli occhi e guardava, ma al barlume giallognolo
del fuoco scorgeva solo il profilo nero del pastore che vigilava seduto accanto
all'apertura della capanna.
"
Zio Andria, non si vede nessuno?"
"
Nessuno ancora. Sta tranquilla e dormi; verranno fra poco."
Ella richiuse gli occhi, mentre grosse lagrime ardenti le solcavano il viso
e le bagnavano le labbra tremanti.
"
Sta tranquilla e dormi", che ironia!
Sì, Francesco doveva esser morto; forse era soltanto ferito, forse chiedeva
aiuto. Ed ella era là, immobile, coi denti stretti e le unghie ficcate
nelle palme delle mani pulsanti... Perché non si muoveva? Perché non
gridava?... Ah, le pareva che il rimorso la
paralizzasse tutta.
"
Francesco è morto, e la colpa è mia...", pensava.
Riaprì gli occhi lagrimosi.
"
Zio Andria, non si vede nessuno? Bisogna muoverci, andiamo: io muoio se sto
qui... Voglio andare in paese, avvertire mio padre..."
"
Ma va, sei pazza? Dove vuoi andare?... Ora verranno vedrai. Sta tranquilla.
Verranno!"
Ah, se ciò fosse. Se tutto non fosse che un brutto sogno!
Ora tutto taceva: l'oriente s'imbiancava, il bosco rabbrividiva lievemente,
in attesa della luna, le stelle parevano più grandi e più brillanti,
e la notte seguiva il suo corso, insensibile al dolore delle creature smarrite
nella terra silenziosa.
Maria piangeva e pensava:
"
Che accadrà se Francesco è morto, come io temo? Io devo tacere,
per il mio, per l'onore della sua memoria. Le mie labbra non devono aprirsi,
e questo sarà il mio più terribile castigo. Ma che accadrà,
mio Dio, che accadrà? Ah, avevo ben ragione di temere: ero troppo felice!".
E ricordava tutti i particolari del suo romanzo d'amore, tutti i baci che Pietro
le aveva dato, la promessa del giovine servo: "io non ti farò mai
del male".
"
A me no, ma a lui, a Francesco... Ah, che giorno funesto fu mai quello in cui
si decise di accogliere Pietro nella nostra casa... Però, e se io m'inganno?
Forse ha ragione zio Andria: nessuna disgrazia è accaduta. All'alba
Francesco tornerà; che dirà non trovandomi nel nostro ovile?..."
La stanchezza la vinceva: il sonno cadeva su lei come una coperta di velluto,
morbida e tiepida.
"
Bisogna che io vada", ella pensava; ma non poteva muoversi.
D'altronde, dove andare? La luna non era spuntata ancora; Antoni non tornava,
il pastore anziano andava e veniva dalla capanna alla muriccia della tanca.
"
Zio Andria, zio Andria, nessuno viene; che notte dolorosa", mormorava
Maria, quando la figura del pastore appariva sull'apertura della capanna. "Io
voglio muovermi, cercare, andare a Nuoro..."
"
Ma dormi, figlia mia! Se nessuno viene, buon segno. Vuol dire che sono tutti
sulle tracce dei ladri."
"
Ritorniamo nel nostro ovile", ella propose.
"
Aspetta almeno che sorga la luna."
Ella chinò ancora la testa e s'assopì.
Le parve di aver dormito appena un momento, ma quando si scosse vide la luna
alta sul cielo, e balzò in piedi rabbrividendo.
"
Zio Andria! Zio Andria..."
Nessuno rispose. L'avevano dunque lasciata sola, l'avevano abbandonata! Sentì voglia
di gridare come una bambina smarrita, ma poi si scosse, uscì fuori della
capanna, si guardò attorno e s'avviò.
La luna, al suo ultimo quarto, illuminava le tancas con un barlume giallognolo,
quasi funereo.
"
Se anche zio Andria s'è allontanato deve essere accaduta una disgrazia",
ella pensò.
E d'un tratto sentì un coraggio supremo animarla: affrettò il
passo, varcò la muriccia, si inoltrò nel bosco e seguì il
piccolo sentiero sul quale la luna, attraverso i rami delle querce, gettava
un ricamo giallognolo, un chiarore vago e triste.
Spinta dal suo dolore e dal coraggio della disperazione, Maria camminava sotto
il bosco, nella notte morente, come una figura da leggenda; le cose più tragiche,
il chiarore della luna calante, le ombre misteriose, la paura, il presentimento,
il rimorso, la disgrazia e il delitto la circondavano; ma ella passava fra
tutte queste cose con quella sua forza di volontà inconsapevole che
formava il suo carattere e la guidava attraverso la vita come attraverso un
bosco tenebroso.
Non piangeva più: voleva sapere, voleva convincersi: il suo maggior
dolore era l'incertezza.
Arrivò davanti alla capanna e si fermò qualche tempo ad ascoltare.
La radura taceva; tacevano i prati d'un grigio verdastro sotto la luna; taceva
il bosco e tutta la tanca: la luna saliva, saliva e l'oriente diventava chiaro,
vitreo.
Maria si diresse verso l'altra estremità della tanca, a nord, dov'era
il cancello. Le pareva di udire, a intervalli, una voce lontana; attraversò il
letto del ruscello, dove correva un filo d'acqua giallo sotto lo smorto chiarore
della luna, e si fermò ancora, ascoltando, con gli occhi fissi ad oriente
come per invocare la luce.
La sfumatura bianca dell'orizzonte diventava sempre più lucida: la stella
del mattino tremolava come una lagrima d'argento sopra i monti lontani. E la
brezza finalmente scuoteva la melanconica serenità del paesaggio; l'erba
e le foglie si svegliavano; un'allodola cantò in lontananza, sopra le
rocce, e le sue note parvero unirsi al tremolio della stella del mattino.
Maria riprese il suo triste viaggio: si sentiva tutta umida di rugiada, tutta
fredda di angoscia e di stanchezza, ma la volontà la sosteneva, la spingeva.
Di nuovo udì qualche voce lontana: i cani ricominciavano ad abbaiare,
la tanca si svegliava.
Quando arrivò al cancello sentì le voci vibrare più distinte
ma ancora lontane, e le parve che giungessero dal sentiero assiepato.
Allora si mise a correre, s'inoltrò nel sentiero ed arrivò allo
svolto, sotto le rocce dalle quali un giorno aveva creduto scorgere la figura
di Pietro Benu.
Tre uomini stavano fermi fra le pietre e l'erba: nel sentire i passi di lei
si volsero, emisero esclamazioni di sorpresa e di dolore, poi si unirono tentando
d'impedirle il passo. Ma ella vedeva...
Non gridò, non disse parola: respinse uno degli uomini che la teneva
per le braccia, s'avanzò e cadde in ginocchio.
Francesco Rosana era là, steso sull'erba calpestata, col viso quasi
del tutto nascosto da un cespuglio d'asfodelo. Si scorgevano solo le sue orecchie,
la nuca, i capelli irti, una guancia bianchissima. Larghe chiazze di sangue
nerastro macchiavano le sue vesti, le pietre e l'erba; anche la sua mano destra,
con la palma rivolta in su, era coperta di sangue.
Accorgendosi ch'egli era morto i pastori non l'avevano mosso, in attesa delle
Autorità che uno di loro era andato ad avvertire.
La luce argentina dell'alba penetrava attraverso le querce ed i rovi; sulla
siepe già i fili dei ragni, sparsi di gocce di rugiada, brillavano simili
a fili di perle; e l'allodola proseguiva il suo canto, e dall'alto delle rocce
la luna pareva vigilasse il cadavere, come un cero funebre.
XIX.
L'indomani, verso le dieci del mattino, una ventina di donne, sedute in circolo
nella cucina dei Noina, piangevano e bisbigliavano, aspettando che i sacerdoti
venissero a portar via la salma di Francesco. La sventura ed il lutto erano
piombati come fulmini sulla casa dei felici; e le cose tutte, in quell'ambiente
già così tranquillo e ordinato, pareva ne restassero sbalordite.
Il disordine regnava in tutte le camere; levate le tende, velati gli specchi;
chiusi gli scurini delle finestre, i pavimenti polverosi. Nella camera degli
sposi, intorno alla cassa mortuaria foderata di velluto nero e di trine d'oro,
ardevano otto lunghi ceri: nella camera attigua, dove s'era dato il pranzo
nuziale, zio Nicola, col viso terreo e gli occhi cerchiati, riceveva le condoglianze
dei parenti e degli amici. La penombra giallastra della camera chiusa rendeva
più tristi i volti bruni, tragicamente pensierosi, di quegli uomini
fieri che non mentivano il loro dolore.
Tutti avevano amato Francesco; la sua morte pareva a tutti un sogno spaventoso.
Qualcuno piangeva silenziosamente, cercando di nascondere le lagrime, che non
stanno bene negli occhi di un uomo coraggioso; nessuno osava parlare forte,
e i gridi e i singulti delle donne riunite in cucina giungevano affievoliti,
come da un luogo remoto. E fuori il sole di maggio splendeva, avvolgendo con
la sua gioia la casa tragica, dove tutti soffrivano come dentro un luogo di
pena.
Nella cucina si svolgeva la ria, l'antica scena funebre, resa più caratteristica
dal chiaroscuro dell'ambiente. Il focolare era spento, la finestra chiusa;
solo dalla porta entrava un filo di luce, e un sottile raggio di sole si ostinava
a penetrare per una fessura del finestrino, descrivendo una striscia di pulviscolo
nel vuoto e andando a finire in un occhio d'oro sulla parete opposta.
In fondo alla cucina, nell'angolo più buio, stava la giovine vedova
vestita di nero, con un costume preso a prestito da una vicina: era pallidissima,
aveva gli occhi gonfi; sembrava invecchiata di vent'anni, stordita da un male
più fisico che morale. Zia Luisa e le più strette parenti del
morto la circondavano; le altre donne sedevano per terra, con le gambe incrociate,
tutte avvolte nelle loro pesanti tuniche e il viso seminascosto dalle bende
nere e gialle di lutto.
Ogni tanto la porta s'apriva. La viva luce del mattino inondava la cucina,
illuminava le donne piangenti, alcune delle quali guardavano fuori con occhi
foschi, quasi meravigliate che il sole splendesse ancora e il cielo fosse ancora
puro; entrava qualche altra parente che aveva cura di richiudere subito la
porta e tutto ritornava più triste e grigio di prima.
La nuova arrivata attraversava in punta di piedi la cucina, e chinandosi sulla
vedova le diceva quasi in tono di comando:
"
Ma! Abbi pazienza! Son cose del mondo, e Dio solo è padrone della nostra
vita. Abbi pazienza, Maria!".
"
Dio sì, non gli uomini! Ah, me lo hanno ucciso come un agnello",
rispondeva Maria; e piangeva, e ricominciava a raccontare alla nuova venuta,
come già l'aveva dovuta raccontare alle altre donne, la storia della
sua sventura.
Oramai tutte sapevano questa storia, e la vedova la raccontava sempre con le
stesse parole, come una spaventosa lezione; tuttavia una specie d'accompagnamento
di singulti e un triste mormorio si levava ogni volta che Maria parlava. Nell'angolo
dietro la porta due donne commentavano a bassa voce il racconto della giovine
vedova.
"
Com'è stata coraggiosa! Io sarei morta mille volte se mi fossi trovata
in simili frangenti."
"
Sì, ma guardala bene: sembra una vecchia di cento anni; ella ha resistito
come la quercia alla bufera, ma ora ne risente..."
"
E quei pastori che l'hanno lasciata sola, là, nella capanna di Antonio
Pera! Era cosa da farsi?"
"
Ma credevano che dormisse: zio Andria quando non vide tornare nessuno, si allontanò un
momento, esplorando anche lui i dintorni. Dice che gli parve di sentire un
grido; quando ritornò verso la capanna Maria era già uscita..."
"
Lo so, lo so", disse l'altra; "ma egli non doveva lasciarla sola
un momento. Così ella non avrebbe veduto il cadavere..."
"
Oh, l'avrebbe veduto egualmente: non è donna da lasciarsi ingannare,
Maria! E che coraggio, dopo! Volle aspettare le Autorità, e disse loro
tutto ciò che sapeva."
"
Questa mattina ho sentito dire che Turulia è stato arrestato mentre
fuggiva verso le foreste di Orgosolo, voleva unirsi con altri banditi."
"
No, non è vero; non è stato ancora raggiunto, purtroppo..."
"
Ah, assassino, immondezza..."
"
Ma non v'è alcun dubbio?", insinuò l'altra, mentre Maria
raccontava i sospetti che Francesco nutriva contro il servo.
"
Eh, no, sorella cara! Ci sono i pastori che li hanno sentiti questionare. Vedendosi
scoperto, il servo ha ucciso Francesco. Le ferite sono del suo coltello, che
fu rinvenuto in fondo al sentiero..."
"
Zesús, Zesús [28]", sospirò l'altra, e si asciugò gli
occhi con la
manica della camicia.
In quel momento s'udì il canto funebre dei sacerdoti che venivano per
portar via la salma; una campana squillava, lenta e lugubre, in lontananza.
Nella cucina le donne si misero a piangere con frenesia: due parenti del morto
cominciarono sos attitidos [29]. Cantavano una per volta, e ad ogni versetto
le donne rispondevano con un coro di gemiti, singulti e grida.
Maria diventò livida: le sue labbra ed i suoi occhi si chiusero; e quando
i sacerdoti si fermarono salmodiando nella via, e la bara fu portata giù,
ella si piegò e cadde come morta sulle ginocchia di zia Luisa.
I gemiti e le grida raddoppiarono; molte donne si avvicinarono alla giovine
vedova svenuta, altre uscirono nel cortile. Solo zia Luisa conservò il
suo contegno solenne; sputò lievemente sul viso cadaverico della figlia
e le slacciò il corsetto.
La vedova rinvenne subito, si sollevò, rigida, ma accorgendosi che il
suo sposo veniva portato via per sempre, cominciò a mandare acute grida.
Nel cortile Sabina, col viso bianchissimo circondato da una benda nera, distribuiva
i ceri alle persone che volevano seguire il funerale. Altre donne l'aiutavano
in questa pietosa faccenda. Ben presto i sacerdoti, sui cui paludamenti neri
le trine d'oro scintillavano al sole, s'allontanarono salmodiando; la bara,
portata da confratelli vestiti di bianco, sparve all'angolo della via; il portone
fu chiuso. Sulla casa tragica risuonante di grida, sul cortile, sulla scala
fiorita, il sole giocondo brillava sempre più caldo, e le rondini si
posavano sul muro o s'inseguivano stridendo. Sabina rientrò in cucina
e s'accoccolò dietro l'uscio. Non piangeva, non si guardava attorno:
un pensiero fisso e tetro le offuscava gli occhi già così dolci.
Nonostante la perizia dei medici, l'affermazione dei testimoni, le conclusioni
della giustizia illuminata, ella sola scrutava, col suo mite sguardo, il mistero
della tragedia, e sentiva la triste verità.
Colta da un altro svenimento, Maria fu portata nella sua camera e stesa sul
suo letto. In cucina allora le donne ricomposero la ria e proseguirono i canti
funebri, abbandonandosi, ora che la vedova non era più lì, a
tutta la foga della loro inspirazione poetica.
Le prefiche erano due: la balia e una zia del morto; la prima era un piccola
vecchia vestita di nero, con due grandi occhi azzurri in un visino bianco e
molle; l'altra vestiva con lusso, e la cintura d'argento sul bustino di velluto
verde si sprofondava nella sua vita grassa.
Questa prefica aveva una bella voce sonora, e godeva fama pei suoi attitidos;
finché Maria aveva assistito alla ria le due donne s'erano limitate
a ricordare le virtù del morto, le sue nozze recenti, l'infanzia lontana.
Ora invece descrivevano la scena orribile della sua morte, la desolazione della
vedova; invocavano vendetta e imprecavano contro l'assassino.
"
Nostra Signora del Monte", cantava la balia che sembrava molto commossa
e si asciugava ogni tanto gli occhi con la manica della camicia, "tu che
sei misericordiosa coi buoni, sii implacabile coi malvagi. Punisci in questa
vita e nell'altra colui che ha assassinato l'uomo più mite della terra,
il mio figlio di latte, il garofano mio."
"
Francesco Rosana", diceva la zia del morto, "oh, tu che eri il più bel
sogno di tutte le fanciulle nuoresi, tu che eri il fiore dei giovani, quando
baldo e fiero sulla tua cavalla bianca attraversavi le tue tancas e facevi
mille progetti per l'avvenire, pensavi che tu saresti morto in modo così orribile?
Ma chi di ferro ferisce di ferro perisce. Maledetto colui che ti ha colpito;
maledetto."
"
Maledetto: quante gocce di latte ho dato al morto, tante ferite ti trapassino
il cuore, assassino! Ah, figlio mio di latte, tu dunque non rivedrai più la
tua sposa; tu non cullerai i tuoi figli, come io, che non ero tua madre, ti
ho cullato..."
"
Oh, sorte tremenda; i nipoti ricorderanno la morte di Francesco Rosana, imprecheranno
contro l'assassino. Non vedeste? Ieri il sole era pallido e le nubi coprivano
i monti, perché anche il cielo piangeva la morte di questo giovine amato
e generoso.
"
Eri giusto e fedele, eri l'orgoglio della tua stirpe, l'appoggio e la stella
dei tuoi parenti. Ora la tua sposa piangerà, vestita di nero come la
Madonna dei Sette dolori, ed i tuoi parenti cammineranno a testa china per
tutto il resto della loro vita."
"
Ma perché sei tu andato nel tuo ovile, conducendovi la tua sposa che
doveva poi ritornare sola alla sua casa desolata?"
"
Invano ora le tue terre ed i tuoi armenti e i tuoi pascoli ti attenderanno;
la messe ingiallirà, ma il padrone non benedirà più col
suo sguardo l'abbondanza della raccolta."
"
Eri onesto e giusto, bianco come l'agnello appena nato; perciò ti hanno
sgozzato, ed il tuo sangue colorì i rovi dello Spirito Santo."
"
Persino i banditi s'inchinavano davanti a te; eri onorato da tutti, o gioiello
d'oro, bellissima viola, che lasciasti tutti i cuori spezzati...
"
Noi ci strappiamo i capelli, chiedendo vendetta al cielo. Sia maledetto il
latte che nutrì il tuo assassino; spuntino rovi sul suo cammino; che
la giustizia lo afferri e ne faccia strazio."
"
Con sette colpi di pugnale bucarono il tuo cuore come si buca un pezzo di sughero;
settanta anni ed altri sette duri la pena di colui che ti ha ucciso a tradimento."
"
Dio è buono; egli chiamò a sé il padre tuo e la madre
tua prima di questo giorno nefasto; ma chi conforterà la tua sposa,
o nipote mio bello, o fiore mio, o nipote mio, che non rivedrò mai più?"
Verso mezzogiorno la gente cominciò ad andarsene; anche Sabina che
aveva ottenuto mezza giornata di permesso dalla sua padrona, dovette lasciare
la cugina e gli zii. Rimasero presso la vedova alcuni parenti del morto.
Il fuoco non fu quel giorno acceso in casa Noina e nessuno pensò a preparare
il pranzo: ma verso mezzogiorno tre donne portarono tre grandi cestini, entro
i quali i parenti e gli amici dei Noina mandavano il desinare bell'e pronto.
Zia Luisa ringraziò, solenne e maestosa nel suo dolore; tutti finsero
di non toccar cibo, ma i cestini furono egualmente vuotati.
Maria aveva la febbre; al coraggio ed al sangue freddo, che l'avevano sostenuta
nei giorni prima, seguiva in lei un accasciamento quasi morboso. Le pareva
d'essere ancora nella tanca, accoccolata entro la capanna dei pastori amici;
aspettava Francesco, ma sapeva ch'egli non sarebbe ritornato mai più.
Visioni terribili la tormentavano; vedeva Francesco assalito dall'assassino;
il coltello si affondava nelle carni dell'infelice, il suo sangue sprizzava
lontano...
Un buio misterioso e denso come un velo nero avvolgeva la figura dell'assassino.
Chi era? Il servo o Pietro Benu? Questo mistero era il maggior tormento della
vedova.
Poi ella si scuoteva, si guardava attorno, cercava di rientrare nella realtà.
Ora le pareva di aver amato Francesco di vero amore; ricordava i suoi occhi,
i suoi baci, le sue carezze.
Come egli era stato buono!
Sì, avevano ragione le prefiche; egli era stato buono come un agnello,
e come un agnello era stato sgozzato.
Da chi? Da chi?
La figura misteriosa dell'omicida vagava nel buio; a momenti però i
ricordi della vedova si schiarivano; ella rivedeva la figura di Pietro Benu,
in una chiara sera di maggio, nello sfondo del sentiero che attraversava le
tancas... Egli aveva in mano un coltello e procedeva cauto come un bandito...
Nei suoi sogni tormentosi ella faceva ipotesi spaventevoli: Pietro aveva ucciso
il servo, poi, col pugnale di questo, aveva compiuto la sua vendetta... Egli
aveva dei complici; forse i banditi, che non mancavano in quei dintorni; forse
gli stessi pastori che si fingevano amici...
Un delirio di sospetti, di dubbi, di pensieri atroci, di rimorso e di terrore,
la tormentò per giorni e giorni. Ma le sue labbra rimasero chiuse; ella
non accusò nessuno, e non imprecò contro il servo scomparso.
La fama della sua bontà, del suo coraggio, del suo dolore rassegnato,
la cinse di un'aureola poetica.
Per tre giorni una lunga processione di gente sfilò davanti alla giovine
vedova. Tutti le ripetevano:
"
Abbi pazienza, fatti coraggio", ed ella finì col convincersi che
bisognava aver pazienza e farsi coraggio.
Poi tutto ritornò calmo intorno a lei: il focolare venne riacceso, zio
Nicola, serio e triste come un vecchio fauno annoiato, riprese le sue gite,
le sue visite alle bettole, i suoi brontolii, trascinando la sua gamba malata
e annusando la sua tabacchiera di corno.
Le donne ripresero le loro faccende: comprarono bende e fazzoletti neri per
tutte le parenti povere che volevano portare il lutto per Francesco; distribuirono
copiose elemosine in suffragio dell'anima dell'assassinato. E attesero la luna
nuova per tingere di nero, con polveri e scorza di ontano, le vesti di Maria.
Durante l'interlunio la tintura non riesce bene!
Le finestre ed il portone rimasero lungo tempo chiusi.
XX.
Una sera, otto o nove giorni dopo i funerali di Francesco, mentre zia Luisa
e Maria stavano in cucina aspettando che zio Nicola rientrasse, qualcuno picchiò al
portone.
Fu zia Luisa che uscì nel cortile per aprire.
Poco dopo rientrò seguita da Pietro Benu.
"
Ave Maria", egli salutò con voce ferma, avanzandosi.
Un vivo rossore colorì il viso pallido di Maria: Pietro prese uno sgabello,
sedette e la guardò fisso.
"
Perdonatemi", disse con voce sommessa, ma calma. "Non venni prima
perché ero troppo lontano. Viaggiavo; ero assente da oltre quindici
giorni. Solo oggi, al ritorno, seppi della disgrazia; ne rimasi stordito. Ma
come, come accadde?"
Maria sollevò gli occhi, li fissò negli occhi di Pietro. Una
freccia non avrebbe ferito come feriva lo sguardo di lei, cupo e profondo;
ma il giovine non si turbò.
Stavano seduti entrambi nel medesimo posto ove s'erano scambiati tanti baci,
chiusi dalla medesima cerchia ove s'era svolto il loro romanzo di passione;
qualche cosa del passato gravava nell'aria: la fiamma del focolare, che strideva
come cosa viva, e tutti gli oggetti intorno, fedeli testimoni, ricordavano
e ripetevano ai due antichi innamorati ciò che era accaduto...
"È
mai possibile ch'egli mentisca così?", si domandava Maria. "Qui,
qui, dov'egli ha giurato di non farmi mai male?..."
"
Sì", ella ricominciò a raccontare, ripetendo la triste lezione,
della quale oramai non cambiava più una parola, "sì, me
lo hanno sgozzato come un agnello! La sera del ventidue maggio egli uscì per
recarsi all'ovile vicino."
Mentre raccontava, non cessava di fissare lo sguardo su Pietro.
Anche lui la guardava, ma i suoi occhi erano freddi e indifferenti, e Maria
sentiva in cuore un grande sollievo.
Pensava:
"
Si, egli non mi ama più; mi ha da lungo tempo dimenticata. Il mio dubbio è stato
un delirio".
Pietro era mutato anche fisicamente; sembrava più alto, più vecchio;
scarno, coi capelli irti e gli occhi freddi e indifferenti: il suo viso abbronzato
era quasi duro, aveva una espressione che Maria non conosceva ancora.
Ma a misura che ella raccontava lentamente, con voce bassa ancora un po' rauca
per il lungo pianto, e rievocava con particolari suggestivi la terribile scena
della scoperta del cadavere di Francesco, il viso di Pietro pareva rammollirsi,
la bocca esprimeva una pietà quasi infantile, un desiderio di pianto,
e gli occhi vitrei s'accendevano come al riflesso del fuoco.
Maria lo guardava e sempre più si convinceva dell'innocenza di lui.
Egli era sempre il fanciullo d'una volta, apparentemente fiero, buono e pietoso
in fondo. La sua fisionomia, fosse quella d'un uomo indifferente o quella d'un
amico pietoso, non era la fisionomia d'un colpevole. Ella aveva sognato.
Dopo quella sera egli ritornò spesso dai suoi ex-padroni.
Un giorno anzi acquistò da Maria, che aveva ereditato solo una parte
del patrimonio di Francesco, alcuni tori e un paio di buoi. Per combinare l'affare
egli venne in compagnia di un giovine istranzu, Zuanne Antine, che presentò come
suo socio.
A proposito di vacche l'Antine ricordò il servo Turulia. In quel tempo
tutti credevano che il presunto assassino di Francesco si fosse rifugiato con
altri banditi, sulle montagne della Corsica.
"
Una volta ho acquistato una vacca, da questo Turulia. Me la vendette a buon
prezzo, tanto ch'io dubitai fosse rubata; ma egli mi presentò due testimoni",
disse l'Antine.
"
Chi erano?", domandò Maria.
Egli nominò due giovani nuoresi; e realmente più tardi il fatto
da lui narrato risultò vero, e tutti i proprietari ai quali erano stati
rubati tori e vacche ne incolparono il servo di Francesco Rosana e i suoi amici
latitanti.
Maria era convinta oramai che il vero assassino di Francesco era Turulia; tuttavia
qualche volta si sentiva assalita da scrupoli, da sospetti strani. Come fare
per liberarsene? Pietro continuava le sue visite, offriva i suoi servigi a
zio Nicola ed alla giovine vedova. Anche con zia Luisa andavano d'accordo.
Un giorno ella gli domandò:
"
Ebbene, come vanno i tuoi affari? Dicono che tu sei bene avviato".
"
E che volete?", egli rispose, scrollando la testa col suo solito gesto
sdegnoso. "Il bisogno, dicono, fa correre il vecchio. Tanto più dovrebbe
far correre il giovine! Ho avuto la fortuna d'incontrare un uomo che mi vuol
bene, e che ha voluto in me non un servo, ma un socio. Cammino per conto suo
ed un pochino anche per conto mio. Vado qua e là, per tutti i paesi
del circondario, tanto per guadagnare la vita..."
"
Come stanno le tue zie?"
"
Sempre peggio: sono tanto vecchie; c'è zia Tonia che va consumandosi
come una candela", egli rispose, fingendo una grande tristezza, e scuotendo
la testa come per togliersi una mosca dal naso. "Ma... siamo nati per
morire."
"
Sì, siamo nati per morire", convenne zia Luisa.
Tuttavia riprese a parlare d'affari:
"
Senti, Pietro; tu che ora giri, sapresti dirmi dove si potrebbe collocare qualche
migliaio di lire, con garanzie valide e discreti interessi?".
"
Lo dirò al mio socio: potremmo prenderli noi, i vostri denari",
disse Pietro, quasi con degnazione. "Garanzie? Tutte quelle che vorrete.
Oramai abbiamo del credito."
"
E quando ti ammoglierai?", chiese poi zia Luisa.
"
Oh, c'è tempo! Quando sarò ricco!", rispose scherzando il
giovine; ed i suoi occhi corsero a Maria.
Ella ascoltava e taceva, coi gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani.
Ogni parola di Pietro la colpiva.
"
Chi può sapere?", pensava. "Sì, egli può diventar
ricco: non è forse diventato ricco anche mio padre? Ah, forse era meglio
che io l'avessi atteso: Francesco non sarebbe forse morto, io non avrei sofferto
tanto... Ora tutto è finito..."
In quel momento la voce fresca e quasi infantile di Sabina risuonò nel
cortile.
"
Zia Luisa? Ci siete?"
"
Siamo qui, vieni."
Appena vide Pietro, la ragazza si turbò alquanto; ma la sua voce risuonò ancora
più alta e allegra, d'un'allegria forzata:
"
Sei qui, Pietro Benu? Come stai?... Zia Luisa, venite, datemi un litro d'olio.
Presto, la padrona m'aspetta, e poi devo andare a casa mia, dove m'attende
il fidanzato".
"
Tu scherzi?", chiese zia Luisa, alzandosi pesantemente.
"
In fede mia, no: vedrete fra pochi giorni se scherzo o no... Andiamo, fate
presto", ripeté Sabina, battendo lievemente sulla porta la bottiglia. "Addio,
ragazzi..."
Pietro e Maria rimasero soli, e istintivamente si guardarono; ma subito Maria
chinò la testa.
"
Pietro", disse con voce tremante, "devo chiederti un piacere. Da
tanto tempo desideravo parlarti a quattr'occhi. Senti. Sono convinta che la
morte del beato sia stata più che altro una disgrazia: l'impeto brutale
di Turulia mi ha reso vedova. Ma vedi, la notte non dormo, colta da sogni spaventosi:
sarà un delirio, ma non posso liberarmene. Un pensiero terribile mi
tormenta. Senti, Pietro: per l'anima dei tuoi
morti, giurami qui, su questa santa croce, che tu non hai consigliato, né fatto,
né voluto l'uccisione di Francesco..."
Sollevò la mano, tenendo sulla palma un rosario nero; ma non osò guardare
Pietro.
Ma poiché egli taceva, dopo un momento di ansia ella sollevò gli
occhi e lo vide così pallido che istintivamente ritirò la mano.
Pietro fu pronto ad afferrargliela e gliela strinse quasi ferocemente; ella
sentì i grani del rosario premerle la palma, conficcandosi fra la sua
e la mano del giovine.
"
Maria", egli disse a denti stretti, con voce anelante, "non ti credevo
così cattiva... No, non a questo punto... No..."
"
Appunto perché sono cattiva, ho paura..."
Egli si tolse rapidamente la berretta, fissò gli occhi ardenti negli
occhi di lei.
"
Ti giuro... ti giuro su quanto c'è di più sacro... Io non so
nulla. Dimmi che mi credi: dimmi..."
"
Sì, ti credo", ella rispose convinta.
E sospirò: le parve d'essersi liberata da un incubo.
Pietro le lasciò libera la mano, si rimise la berretta e proseguì:
"
Perché questo pensiero? Se avessi voluto fargli del male avrei potuto
farglielo prima. Dopo a che mi serviva? Tanto tu non sarai mai più mia:
io per te sarò sempre un servo...".
"
Taci, taci...", ella supplicò. "Non parliamone più."
Egli s'alzò e la guardò ancora, così ardentemente che
ella dovette di nuovo abbassare gli occhi.
"
Bisogna che me ne vada; altrimenti tua madre potrebbe accorgersi del mio turbamento...
Vedi come tremo... come un bamboccio... Tremo, perché il dolore che
tu ora mi hai dato supera tutti gli altri... Ah, no, non credevo... Ed io,
io che venivo qui, solo per vederti... perché questo è ancora
l'ultimo conforto che mi resta..."
"
Taci, taci", ella ripeté. "Non tormentarmi. Ti credo, ho detto;
ora sono tranquilla. Sì, vattene."
"
Sì, me ne vado. Se vuoi non ritorno più... Dimmelo, dimmelo..."
Ella non rispose, immobile nella posizione di prima. Egli raggiunse Sabina
che attraversava la viuzza, ma la salutò appena e passò oltre.
La fanciulla lo seguì con lo sguardo e scosse la testa.
E l'indomani mattina Sabina si recò ad un appuntamento che il suo pretendente
le aveva chiesto. Diceva a se stessa:
"È
tempo di pensare ai fatti miei; Giuseppe è un buon giovine, e qualunque
ragazza della mia condizione si chiamerebbe fortunata di sposarlo. Che altre
speranze ho io?".
Il dubbio che Pietro fosse complice nell'assassinio di Francesco la tormentava
ancora; in tutti i casi Pietro non pensava più a lei; perché dunque
ostinarsi in questa vana passione? Ma per quanto ella fosse mite e ragionevole,
un segreto desiderio di vendetta la spingeva. Il suo pretendente era fratello
di Antonio Pera, il Pastore il cui ovile era vicino all'ovile Rosana. Qualche
parola sfuggita a Giuseppe a proposito di Pietro Benu, aveva
destato la curiosità di Sabina, e aumentato i suoi dubbi.
"
Maria e Pietro non si sposeranno mai; no, non si sposeranno...", ella
pensava con triste soddisfazione.
Era appena l'alba, un'alba nitida e fredda di dicembre. Sabina, con l'anfora
sul capo, si diresse alla fontana di Gurgurigài, ma giunta davanti alla
chiesetta della Solitudine si fermò. Era il luogo dell'appuntamento.
Giuseppe non era ancora giunto, ed ella, alquanto vergognosa, pensò:
"
Che dirà? Che ho avuto fretta? Ebbene, pensi quel che vuole, tanto sarà mio
marito. Eccolo!".
Giuseppe Pera s'avanzava sul suo cavallino rosso. Appena vide Sabina balzò di
sella, legò il cavallo e corse sorridendo verso la fanciulla.
"
Non è più tanto giovine, ma ha l'aspetto d'uomo bonaccione: ha
bei denti e begli occhi", pensò Sabina; e anche lei sorrise.
"
Eccomi", disse gentile, ma non tenera; "che vuoi da me?"
"
Che voglio? Lo sai! Sai che devo partire. Ho finito di seminare il grano, e
vado a lavorare in una foresta; starò lontano due mesi. Sabina, non
mi dici niente?..."
Egli la guardava, ed i suoi occhi esprimevano un'adorazione profonda.
Sabina abbassò gli occhi: era davvero graziosa, col viso arrossato dall'aria
fredda, con l'anfora sulla testa e la tunica avvolta intorno alla persona snella.
"
Che vuoi che ti dica? Non ho già promesso di... volerti bene?"
"
Non basta, Sabina. Bisogna che tu prometta di essere mia moglie."
"
Ebbene, te lo prometto..."
"
Sabina, senti. Ciò non mi basta ancora. Bisogna che tu me lo prometta
davanti all'altare: ecco perché ti ho dato appuntamento qui: mi son
fatto dare la chiave della chiesa. Eccola..."
Sabina si scolorì lievemente in viso; mille pensieri le attraversarono
in un attimo la mente. La cerimonia proposta da Giuseppe è, per il popolino
nuorese, valida quasi quanto il matrimonio: orribili sventure castigano lo
spergiuro.
"
Lasciami pensare un momento", ella disse, passandosi una mano sulla fronte. "Va
ed apri la chiesa, intanto..."
"
Ah, tu dunque acconsenti?..."
"
Va, ti dico."
Egli andò verso la porta della chiesetta: Sabina depose l'anfora per
terra e guardò se si vedeva gente nella strada. Nessuno; solo il cavallino
rosso, immobile e paziente, aspettava il suo padrone. L'aurora disegnava già i
suoi archi rosei dietro la chiesetta solitaria.
La fanciulla raggiunse il fidanzato e con lui entrò nella povera chiesetta
grigia. Giuseppe si levò la berretta, se la gettò sull'omero,
si fece il segno della croce.
"
Giuseppe", disse Sabina, fermandosi in mezzo alla chiesa, "aspetta...
Ho da dirti una cosa. Io adesso giurerò; sarò d'ora in poi come
tua moglie; ma tu devi dirmi una cosa..."
"
Chiedi pure."
"
Tu devi dirmi, perché tu lo sai, chi ha ammazzato Francesco Rosana."
"
Io?", egli esclamò, balzando indietro come spaventato. "Tu
vaneggi..."
"
No, non vaneggio. Vedi, se tu non avessi saputo qualche cosa, avresti subito
pronunciato il nome di Turulia..."
"
Appunto, è lui..."
"
No, non è lui", disse Sabina, scuotendo la testa. "E tu e
tuo fratello e forse altri ancora lo sapete. Ed io pure lo so..."
"
Taci, taci, non parlare così."
"
No, lo dico solo a te. Anche a me, dopo tutto, non importa nulla e non voglio,
come non vuoi tu, come non vuole tuo fratello, come non vogliono gli altri,
aver delle seccature e crearmi degli odi. S'arrangi la giustizia; se essa non
trovò gli assassini, tanto meglio per questi... Nel mondo c'è posto
per tutti. Però..."
"
Però?..."
"
Però... dimmi... Ora non insisto; ma se ti domanderò il nome
dell'assassino, quando saremo marito e moglie, me lo dirai?..."
"
Te lo dirò", egli promise.
Allora Sabina insisté:
"
E anche prima, se occorre, non è vero? Per esempio, se Maria Noina e
Pietro Benu dovessero sposarsi...".
Il contadino spalancò gli occhi e strinse rapidamente le labbra, quasi
per impedire alla sua bocca di parlare; ma Sabina non aveva bisogno d'altro.
"
Ora taci pure; andiamo."
S'avvicinarono all'altare nudo e polveroso; Giuseppe accese due ceri, s'inginocchiò a
fianco di Sabina e le strinse la mano.
"
Io giuro che sarò tuo marito."
"
Io giuro che sarò tua moglie."
Null'altro; ma quando Sabina ritirò la sua mano, che la stretta del
giovine aveva riscaldato, si sentì triste fino alle lagrime. Ella non
si pentiva del giuramento, ma un velo funebre copriva l'anima sua, un tempo
così serena e buona.
XXI.
Passarono cinque anni.
Una dopo l'altra erano morte le due zie decrepite di Pietro e l'ex- servo abitava
adesso la loro casetta da lui ingrandita e restaurata.
"
Come mutano le cose di questo mondo!", dicevano le vicine invidiose.
"
E le cose passate si dimenticano!"
Infatti Pietro non era più un servo, ma un negoziante che faceva fortuna;
e tutti lo rispettavano, anche perché egli era un giovine serio, non
vanaglorioso, che non molestava nessuno. Contava adesso trentatré anni:
in tutto il vigore della sua giovinezza matura, sano, agile, meno scarno e
bruno d'un tempo, egli era bellissimo, e le domeniche, allorché tutto
vestito a nuovo e con l'orologio e il fazzoletto bianco in tasca si recava
alla messa di mezzogiorno, qualche ragazza benestante si degnava di guardarlo
teneramente.
Ma egli aveva una sola speranza in cuore, una sola ambizione. Gli pareva che
altro scopo non gli restasse nella vita; e per questo scopo egli da anni ed
anni combatteva, e quest'ambizione lo aveva reso astuto, paziente, fine.
Non frequentava le bettole, non andava in compagnia di persone sospette. Invano
la moglie del bettoliere toscano correva sulla porta ogni volta che egli passava
di là per recarsi dai Noina: egli non la guardava neppure. Passati quei
tempi! In casa dei suoi ex-padroni veniva accolto con deferenza, come un amico:
solo zia Luisa, pur mostrandosi affabile quanto il suo carattere solenne glielo
permetteva, non mancava qualche volta di ricordargli la sua origine e la sua
antica condizione.
Un giorno, poche settimane dopo la morte delle zie, mentre egli se ne stava
davanti alla sua casa, badando all'opera dei muratori che fabbricavano un muro,
venne a cercarlo l'Antine.
Il piccolo uomo intraprendente s'era vestito da borghese; aveva i capelli grigi,
ma il suo viso sbarbato conservava l'espressione giovanile che lo rendeva tanto
simpatico. Già da oltre un anno egli aveva sposato una ragazza povera,
ma di buona famiglia, e s'era stabilito a Nuoro, dove fra le altre cose faceva
lo strozzino.
Da qualche tempo Pietro e l'Antine avevano sciolto la loro società,
e ciascuno negoziava per proprio conto: ma non cessavano di vedersi e rendersi
dei servigi.
L'Antine si fermò con Pietro davanti al muro in costruzione: era una
bella giornata di febbraio, faceva piacere starsene al sole.
"
Mia moglie ha partorito: una bambina. No, non credevo che mia moglie mi facesse
questo torto!", esclamò l'Antine, un po' serio, un po' scherzoso.
"
Bisogna vedere se il torto è suo", rispose Pietro maliziosamente.
"
Sarai il padrino, come hai promesso?"
"
E la madrina chi è?"
"
Sceglila tu stesso..."
"
Ah, quella che io sceglierei non accetterebbe!"
"
Prova: ad ogni modo, pregala tu, Pietro; forse a te non darà un rifiuto.
Se ella vorrà, faremo il battesimo di sera. Sarà una buona occasione
perché la gente cominci a dire: "quei due si sposano!"."
"
Non amo che la gente dica queste cose: ci sono tanti invidiosi!", disse
Pietro a bassa voce. "Vuoi un bicchiere di vino?"
"
Beviamo pure! Ma perché fai costruire questo muro?"
"
Voglio fare una tettoia."
Entrarono in una stanzetta sporca e disordinata, e Pietro riuscì a mala
pena a trovare due bicchieri e una bottiglia.
"
Ecco", disse, curvandosi e sturando una damigiana, "ora la casa è tutta
in disordine: anche la servetta è andata via; i parenti non hanno voluto
lasciarla con un uomo solo... Sebbene..."
"
Non vantarti tanto: non sei uno stinco di santo, poi! Bene, versa pure dalla
damigiana, diavolo, non far complimenti."
Pietro versò il vino, un po' del quale si sparse per terra. L'Antine
esclamò:
"
Allegria! Dunque, domanderai a Maria Noina se vuol essere la madrina. Buona
fortuna".
Pietro scosse la testa e sollevò il bicchiere: il suo viso era diventato
triste.
"
Non scherzare, diavolo; sai che non mi piace... Piuttosto, dimmi: puoi prestarmi
altri duecento scudi?..."
"
Io volevo chiederli a te!"
"
Lasciamo gli scherzi", ripeté Pietro, "ho davvero bisogno
di denaro. Tu sai che il mio capitale è ben meschino, mentre la gente
crede ch'io stia per diventar ricco..."
"
Tu puoi diventarlo: perché non ti decidi a sposarla?... Ora parlo sul
serio, Pietro!"
"
Io? Ma io l'avrei sposata un milione di volte. Però ho paura. Non che
ella mi rifiuti! Oh, no; se io volessi! Ella è ora come la fogliolina
ancora piegata che aspetta un po' di sole per aprirsi", disse Pietro,
riunendo e poi spiegando le dita. "Se io volessi! Basterebbe guardarla,
e tante, tante volte io tremo vicino a lei, ma non oso... È presto ancora."
"
Bene, aspetta allora a quando la foglia sarà secca! A quando sarete
vecchi entrambi!... Vedi, tu mi fai rabbia, Pietro Benu", esclamò l'altro,
battendo il bicchiere sul tavolo. "Vedrai, anche questa volta ti accadrà...
come la prima volta. Tu mi hai raccontato quanto sei stato stupido..."
"
Non ricordarmelo...", disse Pietro, morsicandosi il pugno. "Taci."
"
Ah, sì, Pietro Benu, tu sei nato per aver fortuna e... invece! Basta;
tu sei un mezzo uomo, un uomo di ferula! Hai sempre avuto paura. Anche allora
avevi paura; invece tutto andò bene. Bei tempi erano quelli! Mi davi
ascolto, ti facevi coraggio, superavi te stesso: l'odio e la passione ti spingevano.
Poi tutto finì. Paura! Paura! Ecco, tu hai avuto sempre paura di tutto
e di tutti, anche di me, d'un tuo fratello! E te lo dissi tante volte: l'uomo
pauroso non sarà mai fortunato."
Pietro guardava fuori e scuoteva la testa.
"
Fortunato!", disse con voce triste e sommessa. "Non c'è stato
uomo più sfortunato di me. Io ero nato onesto e son diventato ladro.
Io non ero nato per uccidere ed ho ucciso... Eppoi, vedi, come dicevo, son
forse diventato ricco? Per poche migliaia di lire puzzolenti! E quanti pericoli
corsi; e quanta povera gente rovinata!"
"
E che! Se non volevi rubare qualche bue e qualche vacca, volevi rubare dei
milioni? Eh, i grandi furti non si possono fare che in Continente."
"
Basta", impose Pietro, che guardava sempre fuori della porta, pauroso
che i muratori potessero avvicinarsi e sentire qualche parola. "Non parliamone
più. Ora faremo questo battesimo: che nome daremo alla bambina?"
"
Maria. Insisto nella preghiera di rivolgerti a Maria Noina..."
"
In tutti i casi toccherebbe a te; per me, ti ripeto, non amo si facciano chiacchiere.
Maria una volta ricevette una lettera anonima, nella quale si diceva: "Sarebbe
molto bene che Pietro non frequentasse la tua casa". Dopo questo fatto
sono stato molto guardingo. Basta, usciamo; andiamo a veder la bambina."
Uscirono. Strada facendo l'Antine fece vedere a Pietro una lettera di uno speculatore,
il quale lo incaricava di reclutare scorzini e carriolanti per una lavorazione,
cioè per il taglio di una foresta in Algeria. "Vorrei anche delle
donne per la pulitura della scorza; potrebbero venire le mogli degli scorzini
e dei carriolanti. C'è alloggio sufficiente."
"
Può darsi", disse Pietro, "che qualche povera diavola voglia
seguire il marito. Possiamo cercare."
La moglie dell'Antine espresse anche lei il desiderio di veder la sua bambina
tenuta a battesimo da Maria.
Pietro, allora, per non destare sospetti nella giovine puerpera, promise di "esplorare
il terreno".
"
Dopo farò la richiesta ufficiale", disse scherzando l'Antine.
Uscirono di nuovo assieme e si avviarono verso la casa di zio Nicola.
"
Va là, fa tu da paraninfo ora; dopo lo farò io per te",
disse il piccolo negoziante. "Vedrai che finirai col darmi quest'incarico.
Deciditi, via. Sai che cosa mi ha detto l'altro giorno il Toscano? che Franzisc'Antoni
Mureddu frequenta la casa di zio Nicola... Attento, Pietro: ricordati la prima
volta..."
"
Maria ha rifiutato tanti partiti", disse Pietro, che si turbava ogni volta
che vedeva la casa dei Noina. "E ne rifiuterà ancora."
"
Sta attento, ragazzo. Può anche darsi che ella si stanchi di aspettare.
Eccoci arrivati. Ti aspetterò qui, nella bettola del Toscano. Va."
Pietro entrò dai Noina, senza neppure accorgersi che la moglie del bettoliere
correva sulla porta per guardarlo.
Maria, naturalmente, rifiutò di far da madrina alla bimba dell'Antine.
Benché fossero passati tanti anni, il lutto più stretto opprimeva
ancora la giovine vedova. Ella usciva di rado, passava nelle viuzze più solitarie,
sempre stretta nel costume nero di vedova. Anche coi parenti si mostrava seria
e spesso triste: le sembrava di aver fatto quasi un voto monastico, d'essersi
sottratta alla vita, mentre la giovinezza e il desiderio di amore le vibravano
nel sangue.
Qualche volta si domandava se voleva nuovamente bene a Pietro. Non sapeva,
o meglio non osava confessarlo; ma la presenza di lui le dava una gioia ardente.
Nessun altro uomo sapeva guardarla come la guardava lui; sotto il suo sguardo
ella si sentiva quasi mancare. La sua volontà, sempre così ferma
e vigile, si piegava solo davanti a lui.
La mattina del battesimo, una domenica gaia di sole e di scampanii argentini,
l'ex-servo entrò improvvisamente nella cucina dei Noina. Zio Nicola
e zia Luisa erano andati alla messa cantata nella chiesetta del Rosario, dove
si celebrava la festa di San Giuseppe; Maria preparava il desinare, sola, scalza
e modestamente vestita.
"
Buon giorno, Maria", disse Pietro entrando e avvicinandosele.
Ella si volse, un po' turbata. Egli era vestito con lusso; con la mano bianca
come la mano d'un borghese, si accomodava la berretta sul capo.
Maria s'affrettò a mettere i piedi dentro le babbucce nere; poi sorrise
e disse: "Mio padre è andato alla Messa del Rosario. Volevi parlare
con lui?".
"
No, voglio parlare con te."
"
Siediti dunque, avete fatto già il battesimo?", ella disse, prendendo
una sedia e spolverandola, sebbene l'avesse già spolverata fin dalla
mattina presto. "Siediti qui; ecco, non lì: puoi sporcarti."
Mise la sedia vicino alla porta e tornò verso i fornelli; non sapeva
come nascondere il suo turbamento.
Nella cucina pulitissima, il cui pavimento era qua e là spruzzato d'acqua,
regnava una dolcezza, un tepore di focolare acceso; una pace, un silenzio di
casetta tranquilla. Pietro si fece coraggio; ricordava solo i bei momenti vissuti
in quell'ambiente famigliare. Disse:
"
Maria, tu indovini perché son venuto... Vieni qui vicino, volgiti, ascoltami.
Quanto tempo è passato! Ma volgiti, vieni qui".
Ella si avvicinò.
"
Dammi la mano, Maria! No? Perché abbassi gli occhi? Perché non
vuoi darmi la mano? No, non aver timore; tu sai che ho giurato di non farti
mai del male. Vieni."
Ella scosse la testa, senza sollevare gli occhi.
"
Spiegati bene, Pietro; che vuoi da me?"
Allora Pietro afferrò con ambe le mani la spalliera della seggiola,
quasi per vincere la tentazione di stringere le mani di Maria; poi si chinò alquanto
e disse:
"
Cosa voglio da te? Tu lo sai. Voglio che tu diventi mia! È tempo! Credo
bene che tu non baderai al passato, che non ricorderai la mia bassa condizione
d'un tempo, come io non ricordo il tuo tradimento... Ricominciamo una nuova
vita. Io ti voglio bene, vivo per te, per te sola sono diventato ciò che
sono. Ed anche tu mi vuoi bene. Quante volte ce lo siamo detto con gli occhi!
Parla, guardami, almeno...".
Ella lo guardò: fremettero entrambi, ma egli seppe vincersi ancora.
"
Vedi", disse, stringendo nervosamente la spalliera della seggiola, "tu
mi vuoi bene; i tuoi occhi non mentiscono. Perché tormentarci oltre?
Io m'ero proposto di non parlarti d'amore finché non potevo domandarti:
Maria, ricordi ciò che ti promettevo? Ho tenuto o no la promessa?"
"
L'hai tenuta!"
Ella non sapeva più staccare gli occhi dagli occhi affascinanti di lui.
"
E dunque, mantieni anche tu la tua! Non rispondi? Perché? Hai paura?
Sì, tu hai paura di tua madre, che non vorrà per genero un suo
antico servo; hai paura della gente, hai paura di te stessa. O io mi inganno
o i tuoi occhi mentiscono. Non mi vuoi più bene? Non ricordi più niente?
Queste pareti, questo focolare, questo fuoco non ti dicono niente? Ricordati,
Maria: allora promettevi che mi avresti atteso anche dieci anni; invece ne
sono passati appena sette; e dunque mi respingi? Non mi vuoi? Non hai pietà di
me? Maria... Maria... Tu piangi?"
Le si avvicinò, le prese le mani, la scosse.
"
Parla! Parla! Perché piangi? Hai qualche grave motivo per disperarti
così?"
Ella scuoteva la testa: egli le mise una mano sulla fronte e la costrinse a
sollevare il viso ed a guardarlo. Anche lui era pallido, con le labbra gonfie
e tremanti di desiderio e di paura.
"
Hai qualche motivo? Hai qualche motivo?"
"
No", ella disse, chiudendo gli occhi come una fanciulla. "Ma io oramai
sono come una morta; perché vuoi risuscitarmi? Tu sei giovine... tu
puoi..."
"
Io voglio te sola", egli rispose con un anelito quasi selvaggio.
E la baciò, e si baciarono; e sulle loro labbra tremò quanto
v'è di più tragico e dolce al mondo: il rimorso e la voluttà,
l'ambizione e l'amore.
Nel pomeriggio di quella domenica, Pietro e l'Antine si trovarono assieme.
"
Voglio cominciare a cercare i lavoranti per lo speculatore d'Algeri; oggi è festa
e i contadini sono in paese", disse l'Antine.
Pietro l'accompagnò. Si fermarono davanti alla chiesetta del Rosario,
dove un gran numero di contadini e di artigiani assisteva alla scalata d'un
albero di cuccagna, tentata invano da parecchi monelli ed anche da qualche
uomo serio.
In cima all'albero, un altissimo fusto di pioppo, liscio e per di più levigato
col sapone, oscillava un cerchio, dal quale pendevano fazzoletti rossi e gialli,
formaggelli freschi, una borsa, un paio di scarpe. I fazzoletti svolazzavano
al venticello fresco del puro tramonto; parevano allegri di trovarsi lassù e
di attirare gli sguardi di tanta gente.
I monelli s'arrampicavano, su su, uno dopo l'altro, ma arrivati a un certo
punto scivolavano e non ritentavano più la scalata.
La gente urlava e rideva.
Quando Pietro e l'Antine giunsero nella piazzetta, un uomo piuttosto anziano,
coi piedi fasciati con stracci, s'arrampicava sull'albero.
In alto i fazzoletti non sventolavano più; solo le scarpe, la borsa
ed i formaggelli, illuminati ancora dal sole, oscillavano lievemente in attesa
della mano vincitrice.
Nonostante la passione e i gravi e dolci pensieri che lo occupavano, Pietro
s'interessò alla bizzarra scena, mentre l'Antine parlamentava qua e
là coi paesani di sua conoscenza.
Fra gli altri c'era Giuseppe, il marito di Sabina, vestito a festa, con la
barba già un po' grigia, ma accuratamente pettinata: i contadini e gli
artigiani suoi amici lo circondavano e lo incitavano a festeggiare il suo Santo
conducendolo a bere.
L'uomo dai piedi fasciati si arrampicava sempre più su; era giunto quasi
a metà del pinnóne [30]. Ma ad un tratto un grido risuonò tra
la folla:
"
Ha due pezzi di falce attaccati ai piedi: ed è perciò che non
scivola".
Tutti si misero a gridare ed a ridere; i monelli si strinsero intorno all'albero,
lo scossero, protestando e cercando di far cadere il campione fraudolento.
"
Oh, tu, diavolo! abbasso! Non bisogna far così. Giù, giù!..."
Ma l'altro continuava a salire; la sua persona magra ma non svelta si ripiegava
e s'allungava sul fusto con mosse lente, ma sicure. In alto il bizzarro trofeo
tremolava tutto, il cerchio s'aggirava intorno alla cima dell'albero e il sole
traeva ancora una scintilla dalla molla di metallo della borsa.
Fra le risate e gli urli della folla l'Antine faceva i suoi bravi contratti
coi carriolanti e i contadini, la maggior parte ubriachi.
S'avvicinò anche a Giuseppe.
"
E tu, di', vuoi andare alla lavorazione d'Africa?"
"È
molto lontana dalla costa?"
"
Non tanto. Vuoi condurre anche tua moglie? C'è l'alloggio."
"
Mia moglie non ha bisogno di raschiare scorza", rispose il contadino.
"
Tuttavia, vedremo... Glielo dirò."
"
Eccola là: domandaglielo subito, perché mi occorre sapere il
numero delle persone che vogliono andare alla lavorazione."
Sabina, infatti, con una bambina in braccio, guardava su pinnóne e chiacchierava
con altre donnicciuole.
Senza preoccuparsi delle proteste e dei fischi, l'uomo magro saliva, saliva
sull'albero; ancora uno slancio ed eccolo arrivato. Per un momento la folla
ansiosa tacque; il sole scomparve; il cerchio si fermò.
"
Bravo!", gridò l'Antine, agitando il braccio verso il vincitore,
che era arrivato a toccare il cerchio e ne aveva strappato la borsa.
Per reazione, allora, tutti applaudirono: l'uomo scivolò giù,
tirandosi dietro il cerchio, e arrivato a terra, nonostante le proteste, gli
spintoni, le grida dei ragazzacci che volevano esaminargli i piedi, strappò i
fazzoletti, i formaggelli, le scarpe, fece di tutto un fagotto e se ne andò.
L'Antine, seguito da Giuseppe Pera, s'avvicinò a Pietro, e lo guardò sorridendo.
"
Hai veduto?", gli disse con intenzione. "Così si fa!"
Pietro scosse la testa col suo gesto sdegnoso. "Così si fa!" Lo
sapeva. Le sue labbra, ancora ardenti dei baci di Maria, sorridevano; i suoi
occhi scintillavano di gioia.
Seguì l'amico e con lui e col contadino s'avvicinò a Sabina.
La giovine donna aveva perduto la sua freschezza d'un tempo; i capelli biondastri
le sfuggivano ancora, qua e là, sulla fronte e sulle orecchie, incorniciando
un visetto magro e giallognolo; il naso pareva trasparente; gli occhi soltanto,
limpidi e chiari, conservavano lo sguardo infantile d'un tempo.
Ella non era infelice, ma era povera. Mossiú Giuanne [31] non batteva
veramente alla sua porta, ma ella doveva lavorare, procreare, allattare, e
le donne che fanno tutte queste cose si sciupano presto. Dopo il suo matrimonio,
le sue relazioni con la famiglia Noina erano quasi cessate; ella non aveva
tempo di andare a trovare i parenti ricchi, e questi non si ricordavano di
lei.
Sabina aveva dimenticato il passato. Quando verso sera attendeva il marito,
seduta sul limitare della porta, e vedeva in fondo alla straducola avanzarsi
l'onesto contadino con la bisaccia sull'omero, seguito dai suoi buoi stanchi,
ella faceva battere le manine alla sua bambina, dicendo: "ecco babbo,
ecco babbo!" e le pareva di essere felice.
Eppure, nel veder Pietro avvicinarsele, un lievissimo rossore le colorì il
viso. Egli era così bello, così ben vestito, con gli occhi ardenti
di felicità! Quanti anni, quanti secoli erano trascorsi dopo quel giorno
d'autunno, in cui egli le aveva promesso di "dirle qualche cosa"!
Come il mondo cammina e le sorti umane mutano! Chi va su con le falci attaccate
ai piedi, arriva dove vuole; chi cerca di arrampicarsi a piedi scalzi, scivola
malamente! Basta; speriamo vi sia almeno giustizia nell'altro mondo: in questo
non ce n'è davvero.
"
Dunque", disse l'Antine, mentre Sabina baciava la sua bambina per nascondere
il lieve turbamento che la trionfante presenza di Pietro le destava; "vuoi
o no andare con tuo marito? Sei troppo giovine per restare sola tre mesi a
casa."
"
Ad ogni modo non cercherei te per farmi compagnia!", rispose pronta Sabina.
Poi s'informò se per il tempo della raccolta la lavorazione sarebbe
finita.
"
Tu hai seminato soltanto frumento", disse a Giuseppe. "Potremmo quindi
restar laggiù fino a luglio."
"
Va bene, fino a luglio", accettò l'Antine. E fece un segno sul
taccuino.
I lavoranti partirono pochi giorni dopo; con Sabina, altre povere donne seguirono i loro uomini.
XXII.
Il secondo matrimonio di Maria si combinava nel massimo segreto. Nessuno ne
sapeva nulla; neppure i più stretti parenti, neppure le vicine abituate
a veder Pietro andar tutti i giorni in casa dei suoi ex-padroni.
Da lungo tempo Maria aveva licenziato la serva, e neppure il bettoliere toscano
era riuscito, fino agli ultimi giorni, a sapere le novità di casa Noina.
Grandi meraviglie, quindi, e molti pettegolezzi, quando, verso i primi di maggio,
gli sfaccendati lessero le pubblicazioni di matrimonio attaccate alla porta
del Municipio.
"È
per questo!", osservò il bettoliere, che già ricominciava
a scacciar le mosche col pennacchio di carta. "Un giorno ho sentito la
zia Luisa e lo zio Nicola litigare aspramente. Sentivo pronunziare il nome
di Pietro Benu, e la zia Luisa diceva al marito: "È naturale che
ti sia simpatico. Corvo con corvo non si cavan gli occhi!". Voleva dire
che si somigliano. Si vede che la zia Luisa non vuole Pietro per genero."
Il bettoliere indovinava. Quando Maria aveva annunziato il suo fermo proposito
di sposar Pietro Benu, zia Luisa aveva arrossito. Poche volte in vita sua ella
aveva dimostrato così evidentemente la sua collera e la sua vergogna.
Dopo, madre e figlia, marito e moglie, s'erano bisticciati e ingiuriati. Zio
Nicola per poco non si disse onorato della domanda di Pietro; zia Luisa dimenticò il
suo "decoro" fino a piangere con vere lagrime.
"
Pietro Benu? Il mio servo, sposare mia figlia, la vedova di Francesco Rosana?
Pietro Benu, un uomo della peggiore linnía [32], un cane randagio che
ha finalmente trovato un osso da rosicchiare? Ma ti hanno ammaliata, Maria?
Che direbbe Francesco Rosana se risorgesse? Figliolino mio, fiore mio, ecco
che ti piango come se ti avessero ammazzato una seconda volta!"
"
Il diavolo ti pianga!", gridò zio Nicola, battendo il bastone per
terra. "Non lo hai pianto la prima volta e lo piangi la seconda!"
"
Lasciamo in pace i morti", disse Maria. "È inutile far scandali.
Ho deciso. Son tanti anni che ci penso, e se non fossi stata sicura del fatto
mio non avrei aperto bocca. Dunque è inutile gridare: voi conoscete
la mia volontà. Ci sposeremo subito; andremo via, se vorrete: fra poco
la casa di Pietro sarà ultimata."
"
La gente... che dirà la gente?...", singhiozzava la vecchia. "Non
per me... ma per la gente, per il decoro della famiglia!"
"
Calmati, madama reale", le disse zio Nicola che spesso la chiamava ironicamente
così. "Maria non deve sposarsi con la gente, deve sposarsi con
Pietro Benu, che è un giovine intraprendente e fortunato. Ecco, prendi
una presa di tabacco: uno starnuto ti farà bene."
Zia Luisa afferrò la tabacchiera e la scaraventò nel cortile.
"
Tacete tutti e due, svergognati! Vedremo come andrà a finire!"
Ma poi si rassegnò e pregò che le usassero almeno due favori.
Primo: che il matrimonio si facesse nel massimo segreto. Secondo: che Pietro
non l'annoiasse con visite frequenti.
D'altronde, fin dalla sua prima visita Pietro parlò chiaro:
"
Zia Luisa, so che la mia presenza vi dispiace. Non vi do torto; vi rispetto
e venero. Desidero che il matrimonio avvenga subito. Che dobbiamo aspettare?
Da tanti anni abbiamo atteso ciò che più premeva: il consenso
di Maria. Dunque? La mia casa non è ultimata, ma ci si può abitare.
Fra giorni io parto per Cagliari; là acquisterò i mobili per
la casa e i regali per la sposa: al ritorno faremo le pubblicazioni".
"
Benissimo: questi sono uomini che sanno parlare!", gridò zio Nicola.
Zia Luisa tacque.
Maria, che sedeva lontana dal fidanzato e quasi neppure lo guardava, pensò:
"
Vuol fare degli acquisti a Cagliari! Lo imbroglieranno certamente".
Ma non osò parlare.
Pietro fece altre due visite alla fidanzata, sempre di notte; ogni volta si
parlò di cose indifferenti.
Una sera Maria nominò per caso il suo defunto marito, e notò una
lieve espressione di disgusto sulle labbra di Pietro. Appena egli fu uscito,
zio Nicola le disse:
"
Bada, non si deve mai ricordare il primo sposo in presenza del secondo; non
farlo più."
"
Ma se prima ne parlavo sempre!"
"
Allora Pietro non era tuo fidanzato. Credi tu forse che un uomo libero sia
come un fidanzato? No, vedi; l'uomo è come un'arma, innocua se è scarica,
pericolosa s'è carica... Il fidanzato è un'arma carica: non bisogna
urtarla..."
Alla quarta visita "l'arma carica" insisté per fissare il
giorno delle nozze.
Ardeva e spasimava d'incertezza e di passione: ogni volta che entrava guardava
Maria con occhi avidi, scrutando se sul viso della giovine vedova appariva
qualche segno d'inquietudine.
Ella lo guardava appena alla sfuggita, ma bastava quello sguardo carico di
desiderio perché egli dimenticasse ogni altra cosa e vibrasse tutto
di piacere selvaggio. Dopo il primo colloquio non s'erano trovati più soli:
zia Luisa accompagnava Pietro fino al portone quando egli se ne andava, e pareva
vigilasse e si prendesse il gusto crudele di separare i due pericolosi fidanzati.
Una domenica mattina Pietro entrò all'improvviso, con la speranza di
trovar Maria sola; ma zia Luisa era già stata alla prima messa del Rosario.
"
Io parto oggi per Cagliari", annunziò Pietro. "Mi fermerò stasera
a Macomer per sbrigare un affare; fra quattro giorni sarò di ritorno.
Fa preparare le tue carte per le pubblicazioni, Maria."
Invece di quattro stette assente otto giorni. Maria si sentiva triste, inquieta;
pensava a lui come mai, neppure durante i primi mesi del suo amore, aveva pensato.
Qualche volta il suo antico orgoglio risorgeva: l'idea di dover sposare un
ex-servo, dopo essere stata la moglie di un ricco principale, la umiliava profondamente:
ma poi ella si riabbandonava tutta alla sua passione, al desiderio ardente
di un amore sfrenato. I lunghi anni di vedovanza avevano come rinnovellato
la sua verginità e smussato il suo carattere primitivo. Le pareva di
aver provato tutte le gioie e tutti i dolori, tranne l'amore. Era stata invidiata,
adulata; aveva pagato a caro prezzo il suo tradimento; ora i suoi trent'anni
ardevano di desiderio.
Ella smaniava di godere, voleva riacquistare tutto il tempo perduto, la giovinezza
sprecata inutilmente: ma in tutto ciò v'era qualche cosa d'impulsivo.
Il caldo primaverile, il benessere, la quiete della casa, la solitudine, acuivano
in lei questo improvviso trionfo dei sensi, questo risveglio della giovinezza
stanca di dormire.
Ma quando il desiderio non l'accecava, ella provava ancora un vago malessere;
un rimasuglio di rancore le fermentava in fondo all'anima: non poteva perdonare
a Pietro la sua origine volgare, e gli rimproverava ogni più piccola
mancanza. L'antica padrona risorgeva in lei, prepotente e beffarda.
Così si sdegnò perché al quarto giorno egli non ritornò da
Cagliari.
"
Eccolo che comincia a mentire! C'era bisogno di promettere, se non poteva mantenere?
Che fa ora laggiù? Si diverte, ecco tutto; chi sa...", pensava.
Il sesto giorno cominciò ad inquietarsi.
"
E Pietro che non torna e non scrive!... Deve essergli accaduta qualche disgrazia.
Stanotte ho sognato una lettera listata di nero, che non potevo leggere; mi
fece una triste impressione; mi svegliai tremando."
Quella sera ricevette infatti una lettera di Pietro. Prima di leggerla la palpò a
lungo, con una specie di voluttà; poi per leggerla si ritirò nella
sua camera. Egli le domandava perdono del ritardo e le esprimeva il suo amore
con frasi rozze ma ardenti. "Ti abbraccio e ti bacio mille volte, come
quella domenica; ti stringo forte, muoio dal desiderio di starti vicino e di
baciarti ardentemente."
Bastò questo perché ella ricadesse nel suo delirio amoroso.
"
Vedi, madama reale?", gridò zio Nicola, battendo lievemente la
punta del bastone sulla lettera che Maria teneva stretta fra le dita. "Egli
sa anche scrivere!"
"
Però, dove lo ha imparato!...", esclamò zia Luisa. Ed a
Maria, che le domandava consiglio se doveva o no rispondere a Pietro, la vecchia
disse con dignità: "Davvero; sei ammaliata! Perché vuoi
rispondere? Perché alla posta vedano la tua lettera? Un po' di decoro
almeno, figlia mia; serba almeno un po' di decoro".
Per serbare un po' di decoro Maria non rispose.
Pietro ritornò due giorni dopo: portò alla sposa magnifici doni,
ed a zia Luisa un corsetto di ricchissimo broccato; e questa gentilezza intenerì alquanto
la futura suocera.
"Ebbene", ella disse a Pietro, il giorno dopo le pubblicazioni, "come
faremo queste nozze? Inviterai i tuoi parenti?"
Egli scosse la testa sdegnosamente.
"
Io non ho parenti. Se volete invitare qualche persona, fatelo pure; per me
desidero si facciano le cose modestamente, in intimità."
"
Va benissimo", rispose zia Luisa; e si volse per nascondere le lagrime
che le inumidivano gli occhi al ricordo delle prime nozze di Maria.
Ora Pietro andava e veniva liberamente e rimaneva lunghe ore presso la fidanzata,
mentre si facevano gli ultimi preparativi per le nozze. Sebbene Maria serbasse
tutte le sue vesti da sposa, aveva acquistato un nuovo costume, molto modesto,
quale si conviene ad una vedova che riprende marito.
Siccome la casa di Pietro non era ultimata e le nozze erano fissate per la
seconda metà di maggio, zio Nicola ed anche zia Luisa avevano proposto
agli sposi di passare la luna di miele in famiglia. Dopo tutto zia Luisa non
era cattiva, e prima del denaro e del decoro della famiglia ella amava Maria
di sviscerato affetto. Le vicine poi, con le loro adulazioni, e Pietro, con
le sue continue gentilezze, l'avevano alquanto rabbonita.
"
Fate vedere il corsetto che Pietro vi ha regalato", le dicevano le vicine. "Gesù,
Maria, che bella cosa! È un broccato antico; un regalo degno di voi
e di Pietro Benu. E a quando le nozze?"
"
Ah, non sappiamo", rispondeva zia Luisa, ripiegando il broccato e avvolgendolo
nella carta velina.
Fino alla vigilia del matrimonio tutti ne ignorarono la data precisa: taceva
anche zio Nicola, che rispettava gli antichi usi e trovava giusto che una vedova,
in omaggio alla memoria del primo marito, non festeggiasse le seconde nozze.
Pietro era il più impenetrabile. Non parlava con nessuno del suo matrimonio,
sollecitava i muratori perché terminassero la casa, e soffriva all'idea
di passare la luna di miele presso i Noina e di occupare il posto del morto.
"
Nel suo letto...", pensava rabbrividendo.
L'antivigilia delle nozze Maria lo guardò sorridendo e gli chiese:
"
Ti sei preparato?".
"
A che?"
"
A confessarti!"
Egli non rispose subito, e come un'ombra gli offuscò gli occhi.
"
Sono molti anni che io non compio il precetto pasquale", disse con tristezza. "Ho
tanto sofferto che non credo più in Dio."
"
Tu sai che non bisogna sposarsi in peccato mortale", disse Maria con voce
insinuante. "Peccati ne avrai commessi in questi anni! È necessario
che tu ti confessi. Non dare quest'ultimo dispiacere a mia madre, Pietro..."
Egli si chinò, poi sollevò e scosse la testa.
"
Ebbene, sia. Ma anche tu mi devi fare un piacere: non ho osato domandartelo
prima. Per il tempo che abiteremo qui, nella casa di tuo padre, lascia che
faccia portare nella camera dove dormiremo il letto che ho acquistato a Cagliari."
A sua volta Maria si fece pensierosa e triste. Era la sposa che doveva fornire
il letto nuziale, e Pietro quasi la offendeva proponendole un letto suo; ma
d'altra parte egli aveva ragione. Ecco, la perspicacia di zio Nicola non aveva
preveduto il caso, e Maria, stordita dalla passione e dall'incalzarsi degli
avvenimenti, non aveva indovinato il giusto desiderio di Pietro di non dormire
dove Francesco Rosana aveva dormito.
Allora vennero ad un accordo: Pietro si sarebbe confessato e Maria avrebbe
messo un altro letto nella sua camera!
Un giorno di maggio, alle tre del mattino, nella chiesetta del Rosario, vennero
celebrate le nozze.
Maria non aveva chiuso occhio durante la notte. A un'ora era già in
piedi, pallida e stanca: le pareva di sognare; ricordava il chiasso, la magnificenza,
il lusso e l'allegria delle sue prime nozze; ora tutto procedeva in silenzio,
in segreto. Non era stata neppure ripulita la casa, non invitato un parente,
un amico, all'infuori dei due testimoni indispensabili.
Eppure questa volta il cuore della sposa palpitava di gioia, le sue mani tremavano
nel preparare il letto nuziale.
Scese in cucina, spazzò, accese il fuoco e preparò il caffè:
un lieve rossore le colorì il viso stanco.
Verso le due risalì nella sua camera e cominciò a svestirsi,
ed a misura che si levava e riponeva nella cassa gli indumenti da vedova provava
una strana emozione, un impeto di gioia e di tristezza. Sì, ella si
spogliava e si liberava d'una veste dolorosa; un triste periodo della sua vita
cadeva e spariva con quelle vesti nere che le avevano stretto il corpo e l'anima
tragicamente. Le pareva, strappandosi da quell'involucro funereo, di metter
le ali come la farfalla uscente dal bozzolo; ma quando sopra il corittu d'orbace
ripose il giubboncello di panno, e ripiegò la pala e chiuse la cassa
lievemente, quasi paurosa di svegliare qualcuno che dormisse nella penombra
della camera, lagrime di vero dolore le solcarono il viso.
S'inginocchiò, mise i gomiti sul coperchio della cassa e pregò.
Una visione tragica le apparve ancora una volta, con evidenza spaventosa: un
uomo abbandonato sull'erba, nella pace rorida del mattino primaverile, con
una mano insanguinata che pareva domandasse pietà... E un grido d'allodola,
puro e tranquillo come un raggio di luna, scendeva dalle rocce, tremolava sulle
siepi fiorite...
Un brivido la scosse; sì, un'allodola cantava davvero, di là dalla
casetta tranquilla: il cielo cominciava a schiarirsi: un passo d'uomo risuonò nel
cortile...
Ella balzò in piedi e cominciò a indossare il costume da sposa.
Per un po' la comitiva, composta dei due sposi, di una parente di Pietro,
dei testimoni e di zio Nicola, procedé in silenzio, per le viuzze solitarie
rischiarate dai primi barlumi dell'alba. Pareva che tutti avessero paura di
svegliare la gente e di esser veduti.
Ma ad un tratto Maria, che camminava appoggiandosi alla parete di Pietro, si
pose una mano sulla bocca e soffocò un piccolo scoppio di riso.
"
Che hai?", domandò lo sposo.
"
Ecco, rido perché sembriamo ladri", ella rispose senza voltarsi.
Da quel momento tutti cominciarono a ridere e chiacchierare, e così giunsero
davanti alla chiesetta silenziosa.
La cerimonia fu lunga. Il sacerdote, assistito da un vecchio paesano che sembrava
un apostolo, calvo come era e con una lunga barba giallastra, celebrò la
messa per gli sposi. Le sue parole lente e dolci risuonavano nel silenzio melanconico
della chiesetta profumata di rose, dove la luce dell'alba si fondeva col chiarore
dei ceri.
Inginocchiati sui gradini nudi dell'altare, gli sposi stavano muti e raccolti;
solo di tanto in tanto Pietro sollevava la testa, come scuotendosi da un sogno,
guardava Maria e poi ricadeva nel suo raccoglimento quasi triste. Quell'ora
solenne, che era stata il sogno e lo spasimo di tutta la sua giovinezza, non
lo commoveva troppo; gli pareva d'esserci arrivato così, naturalmente,
come qualsiasi sposo che ha scelto senza ostacoli una donna della sua condizione:
ma se la gioia profonda della vittoria non gli agitava il cuore, una dolcezza
profonda e un senso di pace lo rendevano felice.
Ecco, finalmente era giunto, come il viandante che dopo aver attraversato una
foresta piena di agguati e di pericoli, arriva stanco ad un luogo ospitale
e sicuro. Via ogni paura, ogni ricordo spaventoso; il fuoco brilla nel focolare,
il vino aromatico scintilla nel bicchiere capace: è tempo di riposarsi,
di bere e inebbriarsi.
Solo, di tanto in tanto, la voce cadenzata e dolce del sacerdote e la voce
profonda del vecchio apostolo lo risvegliavano dal suo sogno: memorie confuse
gli passavano allora in mente, vaghi terrori attraversavano la sua felicità un
po' melanconica; ma bastava ch'egli sollevasse la testa, come scacciando sdegnosamente
lontano da sé ogni timore, e guardasse il viso innamorato della sposa,
perché la gioia della realtà lo riavvolgesse tutto. Maria pregava:
anch'ella ricordava; rivedeva al suo fianco la triste figura dell'ucciso, ma
non si turbava per questo. Non l'aveva pianto abbastanza? Anche per lei era
tempo di risorgere e di godere. Vedeva Pietro senza voltarsi a guardarlo, lo
sentiva vicino a lei, giovine, forte, ardente.
Dio aveva voluto la loro unione: sia lodato Iddio! Tutto accade per suo volere.
Per riconoscenza verso questo Dio compiacente e buono, la sposa cercava di
assistere alla cerimonia con animo tranquillo; via i ricordi, i pensieri molesti,
le inquietudini! Resti solo l'amore, l'amore avido e ardente.
Anche al ritorno dalla chiesa il corteo passò inosservato: gli sposi
precedevano, silenziosi, commossi, a testa china; soffiava un leggero vento
di levante, che li avvolgeva col suo alito caldo e voluttuoso.
Erano belli e degni di stare assieme: una coppia perfetta. Gli accompagnatori,
la parente e zio Nicola li seguivano guardandoli con ammirazione. Anche il
prete diceva:
"
Dio li benedica; sembran due fiori dello stesso cespuglio".
Zia Luisa aspettava dietro il portone: non pianse né baciò gli
sposi, come l'altra volta, ma gettò su di loro una manata di grano e
augurò, senza scomporsi troppo:
"
Buona fortuna! Buona fortuna!".
Anche le due donne, che erano venute per aiutarla a servire il caffè e
i dolci, gettarono manate di grano sugli sposi; poi corsero a prendere i vassoi
e salirono nella camera di zia Luisa.
Il sacerdote, appena entrato, s'affrettò a benedire il letto, scambiandolo
per quello degli sposi. Zio Nicola provò un tale impeto d'ilarità,
che dovette piegarsi ed appoggiarsi al bastone: rideva fragorosamente.
"
Chi sa che faccia un altro figlio, ora, mia moglie! Ah, ah, un altro, ora!"
Tutti risero; Maria attirò il sacerdote nella sua camera:
"
Scusi, scusi, pride Pascale; venga di qui!".
XXIII.
Otto giorni trascorsero. Mai luna di miele fu più ardente e completa
di quella di Maria e di Pietro.
Zio Nicola e zia Luisa se ne andarono quasi tutti i giorni in campagna, dalla
mattina alla sera, per lasciare in libertà i due giovani sposi.
Maggio morente, con tutte le sue dolcezze ed i suoi ardori, completava l'idillio:
i due sposi si abbandonavano senza freno alla loro passione selvaggia, e si
amavano come dovevano amarsi le coppie primitive, nelle foreste giovani del
mondo appena abitato.
Una volta Maria ebbe quasi paura di Pietro, perché egli la guardava
con uno sguardo feroce, con gli occhi verdognoli, iridati come quelli della
tigre: ma quella paura del maschio, del predatore violento, la illanguidiva,
accresceva in lei il piacere della dedizione. Le pareva d'essere portava via
da un vento, da un turbine di voluttà; e diventava anche lei selvaggia,
perdeva facilmente la leggera scorza di civiltà che l'avvolgeva in tempi
ordinari; ritornava ad esser la ninfa ignuda che aspettava il fauno tra l'erba
a cui era ignota la falce.
Egli arrivava: un velo cadeva intorno a loro, spariva il mondo, la casa, il
passato e l'avvenire. Qualche volta Pietro si mostrava inquieto, melanconico,
specialmente se, rientrando, non trovava subito Maria pronta a sorridergli
ed a guardarlo con passione. La cercava, la chiamava, le domandava se avesse
veduto qualcuno durante la sua assenza. Ella cominciava a credere ch'egli fosse
geloso. Ma per lo più egli si mostrava tenero, dolce, quasi rispettoso;
pareva non avesse dimenticato la sua antica condizione di servo. Ed a lei piaceva
anche così: le sembrava di rivivere in tempi lontani, quando Pietro
non osava dimostrarle tutta la sua passione.
Ma dopo una settimana di ubriacatura violenta ella cominciò a sentirsi
stanca: la nebbia ardente che la circondava cominciò a diradarsi.
Un giorno ella se ne stava seduta presso la porta di cucina, all'ombra della
casa, e trapuntava una camicia di Pietro. Era sola. Zio Nicola e zia Luisa
erano andati alla vigna; Pietro sollecitava gli ultimi lavori della sua casetta.
Nel cortile pulito e innaffiato regnava la solita pace: si sentiva un gran
calore primaverile, un odor di garofani e di basilico, un incessante garrire
di rondini innamorate. Maria cuciva e pensava.
Sentiva un lieve peso alla testa, ma i suoi pensieri erano meno torbidi e il
suo respiro meno ansante del solito; ella ricominciava a curarsi dei suoi affari,
rivedeva le cose intorno, ripensava alle chiacchiere delle sue vicine.
Era come convalescente, ancora un po' languida e spossata, ma già libera
della febbre che l'aveva resa per tanti giorni incosciente.
"
Sì", pensava, "mia madre è già pentita del suo
proposito di mandarmi via, ma oramai Pietro è deciso. Sì, bisogna
cambiar casa, almeno per un po' di tempo. Dopo sono certa che ritorneremo qui.
Pietro non rassomiglia al beato: se stiamo qui ancora un po', egli finirà col
questionare con mia madre... Anche ieri sera, come egli si è offeso
perché mama disse, veramente con poca delicatezza: 'Se avrete un bambino
lo chiameremo Francesco!'. Sì, egli è ancora geloso del morto.
Ah, cosa succede in cucina?"
S'alzò e andò a vedere. Era il gatto che aveva fatto cadere un
coperchio: ella rimise tutto a posto, rincorse il gatto che attraversò di
corsa il cortile, poi sedette nuovamente e guardò fin dove arrivava
l'ombra della casa, per indovinare l'ora.
"
Sono le dieci: Pietro rientrerà forse a mezzogiorno."
Le pareva di vederlo: egli spingeva il portone, entrava e se non la vedeva
subito la chiamava. Ella gli andava incontro: si guardavano smarriti, come
due amanti al primo momento d'un convegno, e si baciavano perdutamente.
Per qualche minuto, al solo ricordo dello sposo, Maria ricadde in quella specie
di ossessione amorosa che da tanti giorni la turbava; un nodo le strinse la
gola, il suo respiro si fece ansante; ella si rimise a cucire, ma l'ago le
tremava fra le dita.
Da questo sogno la scosse un forte colpo battuto al portone.
Ella mise per terra la camicia, ed andò ad aprire.
Era il portalettere, un omone rosso dai grandi baffi gialli, che la guardò da
capo a piedi, quasi per assicurarsi che era lei. E quando se ne fu assicurato
trasse lentamente dalla borsa una lettera con cinque grossi sigilli, sui quali
si notava l'impronta d'un bottone a filigrana.
"
Una raccomandata per la signora Maria Noina vedova Rosana", egli disse,
leggendo l'indirizzo. "Viene dall'Algeria."
"
Dia", pregò Maria, porgendo la mano e pensando a Sabina che si
trovava ancora laggiù.
"
Firmi qui", disse l'altro, porgendole uno scartafaccio. "Ecco qui."
Ella dovette salire nella sua camera, firmò, guardò una firma
che seguiva la sua e si domandò:
"
Che cosa vorrà da me Sabina? Dei soldi, forse? Ella non sa ancora che
mi sono sposata?".
Ridiscese, richiuse il portone e aprì subito la lettera. Era senza firma;
ma ella riconobbe la calligrafia di Sabina. D'altronde la lettera cominciava
così:
Cara Maria,
tu sai chi sono; non mi firmo per prudenza, ma tu sai che io sono una persona
che ti vuol bene. Solo oggi, da una persona che arriva da Nuoro, ho saputo
del tuo prossimo matrimonio; voglio pregare Iddio che la mia lettera non
ti arrivi troppo tardi. Sarebbe un'orribile sventura per te, ed io scrivo
questa lettera solo per salvarti da questa sventura. Senti, Maria, non sposare
Pietro Benu: è lui che ha ucciso Francesco Rosana. Prima, egli e un
suo complice, che è Zuanne Antine, hanno ucciso Zizzu Croca, poi col
coltello di questo hanno ucciso Francesco. Il cadavere di Turulia fu nascosto
fra le rocce della tua tanca dello Spirito Santo, in un nascondiglio che
solo i pastori conoscono. Tu, se vorrai, potrai assicurarti ch'io dico la
verità facendo ricercare i miseri avanzi di Turulia. I pastori dei
dintorni, Antonio Pera, zio Andria ed altri, conoscono il segreto: essi videro
i due assassini, che sono pure due ladri, perché tutte le vacche scomparse
in quel tempo dagli ovili nuoresi furono rubate da loro. Così cominciò la
fortuna di Pietro Benu, e solo per questo fatto, anche se non esistessero
le prove del suo orribile delitto, egli non è degno di sposarti. I
pastori tacquero per paura, per viltà; anch'io avevo fatto voto di
tacere se tu non ti decidevi a sposare il tuo antico servo.
Prego Maria Santissima che questa lettera ti arrivi in tempo: fa quello che
credi, ma sii prudente, perché Pietro sarebbe capace di ucciderti se
si accorgesse che sai.
Senza avvedersene Maria attraversò il cortile e si lasciò cadere
sulla seggiolina dove poco prima stava seduta. Il suo viso si fece livido,
si contrasse; le sue mani e la sua testa tremarono. Per qualche tempo ella
rimase così, come sopraffatta da una leggera convulsione e da completa
incoscienza, poi sollevò il capo e si guardò attorno meravigliata.
In quei momenti d'incoscienza la sua anima s'era come assentata da lei e aveva
fatto un viaggio misterioso: era stata in un paese ignoto, dove aveva veduto
cose terribili e grandi, e ritornava mutata e vedeva intorno a sé ogni
cosa mutata e ne provava terrore.
Solo dopo qualche istante, pure convinta della verità terribile e come
stringendola nel pugno con quella lettera che era più inesorabile d'una
sentenza di morte, ella cominciò a dubitare. E nel suo smarrimento,
dimenticandosi di se stessa e delle sue forze già messe alla prova,
ella sentì un istintivo bisogno di protezione, di sollievo, e desiderò il
ritorno di Pietro.
"
S'egli venisse subito!", pensò, guardando la lettera. "Gliela
farei leggere e... tutto sarebbe finito. È una vendetta di Sabina, questa.
Sì, ella lo amava, un tempo, ed anche lui le voleva bene... Allora..."
In un attimo ella ricordò tutto il suo triste romanzo, cominciato come
un idillio e finito in tragedia. Ricordò tutto. Rivide Pietro che attaccava
il suo cappotto alla parete di cucina, dietro l'angolo della porta... Era una
giornata fosca e triste... Ella gli aveva versato da bere e lo aveva guardato
con diffidenza, poiché egli godeva cattiva fama, sebbene nulla giustificasse
allora le brutte voci correnti sul conto di lui.
Poi i giorni erano passati, così, come passano le nuvole nell'aria,
senza lasciar traccia... Che aveva ella fatto durante quel tempo? Aveva sognato:
era bella e beffarda, lo ricordava, sì, ed era superba come una figlia
di re.
Perché era poi caduta tanto in basso? Aveva ascoltato il suo servo,
ed a poco a poco s'era abbandonata a lui come l'ultima delle donne. Egli era
buono, allora; ella lo aveva creduto docile e mite come un bambino e ne aveva
fatto od aveva creduto farne un suo trastullo... Ma ora ricordava le parole
e le promesse di lui, in quel tempo.
"
Io diventerò ricco, io sarò fortunato... per te... Farò l'impossibile... "
Ah, fin d'allora egli doveva essere un ladro o pensava di diventarlo. E lei,
cieca, non vedeva; sorda, non udiva: sentiva solo il sapore dei baci di lui,
e non si accorgeva che quei baci le avvelenavano la vita.
Eppure, se egli tornasse! Se egli tornasse e con uno di quei suoi baci selvaggi
le facesse dimenticare quest'ora di spaventoso tormento!
"
Come, io dubito di lui?", grida una voce dal profondo dell'anima
sgomentata.
E una voce più forte e più profonda risponde:
"
Tu non dubiti; sei certa! La verità è nel tuo cuore".
Di secondo in secondo la lotta si faceva più aspra. Per la prima volta
ella considerava le cose passate con intensità di pensiero, e le pareva
che un velo cadesse dai suoi occhi. Ricordò l'inquietudine di Pietro,
ogni volta che egli rientrava in casa e non la trovava pronta a sorridergli.
Particolari minimi le ritornarono al pensiero: ricordò la figura dell'amico
di Pietro, di quel Zuanne Antine arricchitosi anch'egli misteriosamente: e
la testimonianza di lui, l'accusa contro il servo scomparso, le parve una rivelazione.
"
Egli è il suo complice", pensò, "non c'è dubbio..."
Non c'è dubbio! Sì, d'un tratto le parve di non dubitare più.
Quasi timidamente spiegò ancora la lettera e la rilesse. Ogni parola
la feriva come un pugnale.
Quando ebbe riletta l'ultima frase trasalì, colta da un nuovo sentimento.
Ebbe paura del ritorno di Pietro. Egli era capace di un nuovo delitto per coprire
gli altri.
Allora ella nascose la lettera nel seno e guardò con un vago terrore
la linea scura dell'ombra che si accorciava, avvicinandosele ai piedi. L'ora
passava, correva col sole; quella linea d'ombra lentamente mobile aveva qualche
cosa di vivo, era un nemico che s'avanzava...
E una domanda echeggiò finalmente nell'anima sua.
"
Che fare? Che fare?"
Fra poco egli sarebbe rientrato. Ella lo vedeva, come l'aveva veduto pochi
momenti prima nel suo sogno amoroso: egli la chiamava, s'avvicinava, si gettava
su di lei, e il suo abbraccio la soffocava... Ecco, egli aveva perduto la sua
spoglia di amante; appariva nel suo vero aspetto d'omicida e di ladro...
Che fare? Che fare?
Di nuovo ella diventò incosciente. S'alzò, pensò di fuggire,
di correre alla vigna per domandare protezione a suo padre; s'avanzò fino
al portone, ma la stessa frase della lettera, che aveva destato il suo delirio
di paura, le ritornò in mente e la calmò. "Maria, sii prudente."
Chiuse il portone con la spranga e si aggirò intorno al cortile come
una belva assediata nel suo covo dal cacciatore inesorabile.
Che fare? Che fare?
I ricordi la riassalirono con violenza, sovrapponendosi, mischiandosi ai suoi
terrori, alla sua angoscia, alla sua speranza, e rendendo più torbido
il caos della sua mente.
Ella rivedeva la figura di Pietro, nel crepuscolo lunare, in fondo al sentiero
della tanca; ricordava tutti i particolari della morte di Francesco, tutti
gli avvenimenti dei suoi anni di vedovanza; i dubbi che l'avevano tormentata
dopo la tragedia; il giuramento di Pietro, la sua lunga attesa, la sua evidente
astuzia, la sua crescente fortuna, il desiderio di tener nascosto il loro matrimonio,
la ripugnanza a sentir nominare l'ucciso, ad abitare dove Francesco aveva abitato,
a dormire nel letto dove Francesco aveva dormito...
Ma, giurando, egli era parso così sincero, così offeso, che nel
ricordare quella scena Maria sentiva ancora un impeto di gioia sollevarle il
cuore. Allora respirava, per un attimo, come il naufrago che riesce a metter
la testa fuori delle onde; ma poi ricadeva nel mare pauroso dei dubbi, nella
disperazione che la affogava.
"
Egli ha giurato, sulla santa croce ha giurato... ed io l'ho creduto! Perché,
Signore, perché avete ritirato da me il raggio di luce che mi rischiarava
l'anima? Che ho fatto io per meritarmi questo castigo?"
Ella agitava in alto le mani intrecciate, fissando disperatamente quel profondo
cielo di primavera che un'ora prima rallegrava i suoi sogni di sposa felice;
ma dall'alto non rispondevano al suo grido che i garriti, quasi beffardi, delle
rondini in amore.
E il sole proseguiva il suo corso, e la linea dell'ombra s'avanzava sempre,
fatale.
Pietro poteva tornare da un momento all'altro, anche prima di mezzogiorno.
Che fare? Che fare? Come fingere, come sfuggire al suo sguardo, al suo bacio
mostruoso?
Fu picchiato al portone.
Eccolo, è lui! Per qualche istante Maria stette immobile, senza respiro;
ma una voce di bambina gridò:
"
Zia Luisa, aprite. Eh, che, siete tutti morti o malati?".
Maria non aprì, ma le parole della bambina le suggerirono l'idea di
fingersi ammalata per non insospettire Pietro col suo turbamento. Levò la
spranga e lasciò il portone chiuso come al solito, col solo saliscendi,
poi si ritirò nella sua camera. Nello scorgere il letto, bianco nella
penombra della camera silenziosa, un impeto di pianto la soffocò.
Alla paura e all'istinto di difesa, che fino a quel momento avevano reso il
suo dolore feroce, seguì la disperazione per il bene perduto. La sua
angoscia si fece più cosciente e più profonda.
Ella si buttò ginocchioni davanti ad un quadretto della Madonna del
Rosario, e agitando di nuovo le mani supplicanti, balbettò confuse preghiere.
Che voleva? Non sapeva bene. Voleva che Pietro fosse innocente, o desiderava
che le potenze divine l'aiutassero a vendicarsi, a liberarsi di lui? Non sapeva,
non sapeva.
La preghiera tuttavia riuscì a confortarla; si alzò, sollevata,
e le parve che tutto fosse un brutto sogno.
"
Ecco", pensò, palpandosi sul petto la lettera, "ora la strappo,
la butto via, e tutto è finito. È una calunnia, una menzogna.
Anche la finzione di chi l'ha scritta, di credermi ancora vedova, è una
perfidia... Come sono stata stupida a spaventarmi!"
Di nuovo ricordò la fama di violento e di poco scrupoloso che Pietro
godeva prima di entrare al loro servizio. Nulla, mai, aveva giustificato questa
mala fama di lui. Calunniato: allora come adesso.
Egli invece era così buono e mite!
Ella tirò fuori la lettera, calda e come palpitante, e la guardò.
E tutt'ad un tratto ripiombò nel suo terrore.
Quel pezzo di carta, quei cinque sigilli di un rosso cupo, color sangue coagulato,
le davano un'impressione misteriosa, erano come un segno mnemonico che le ricordava
orrende cose. Ella rivide il sangue di Francesco coagulato sull'erba e sulle
pietre del sentiero; rivide la mano rivolta all'insù, implorante pietà...
La paura e l'angoscia la riafferrarono tutta.
"
I morti risorgono", disse a voce alta, nascondendo la lettera in modo
che Pietro non potesse vederla. "Francesco è risorto: è lui
che ha inspirato questa lettera; è lui, l'agnello sgozzato..."
Lagrime di tenerezza le solcarono il viso al ricordo di Francesco. E quel ricordo
la turbò come forse mai; e per la prima volta, in quell'ora di verità spaventosa,
ella pensò a Francesco con giustizia e con affetto.
I versetti delle prefiche, le parole che ella aveva un tempo ripetuto come
una lezione, le tornarono in mente con insistenza e le parvero nuove, sgorgate
dal profondo dell'anima sua.
"
Egli era buono come un agnello e come tale lo hanno sgozzato..."
Come era tenero, casto, affettuoso!
L'anima gli traspirava dagli occhi: vivendo con lui si diventava buoni e leali.
Pietro invece bruciava dove toccava, portando con sé e spandendo intorno
a sé la maledizione del suo destino.
Se Francesco fosse vissuto ella lo avrebbe amato di vero amore, - ella pensava,
- di quell'amore comandato da Dio, casto e profondo, eterno come il tempo,
sempre eguale e sempre dolce, e non dell'amore carnale che l'aveva bassamente
unita ad un servo...
"
Egli, il servo vile, egli mi ha perduto, mi ha assassinato...", ella gemette,
gettandosi sul letto e affondando disperatamente il viso fra i guanciali. "Ha
ragione mia madre; egli mi ha stregato. Cosa son diventata io; io, Maria Noina,
io, Maria Rosana! Son diventata una donna perduta, la serva di un servo; ho
peccato contro mia madre, contro la memoria del morto, contro tutta la mia
razza; ho raccolto nel mio letto un servo, un'immondezza vile. Sono stata castigata
per questo? Oh, no, Signore, il castigo sarebbe troppo orribile... Che ho fatto
io?..."
Dalle tenebrose lontananze della sua coscienza, una voce accusatrice cominciava
a salire: ma ella si difendeva disperatamente e riusciva a farla tacere.
Pensava che Pietro aveva seguita la via del male per lei sola, ma che colpa
ne aveva lei? Era forse stata la prima a guardarlo?... Anche se ella non avesse
sposato Francesco, Pietro sarebbe diventato egualmente un ladro e all'occasione
un omicida, pur di raggiungere il suo scopo: arricchirsi, sposarla. Ah, sì,
ella ricordava bene le promesse che egli le faceva, nei primi tempi del loro
amore: "Io diventerò ricco, io cercherò la fortuna... farò di
tutto... per te!..."
E lo aveva fatto! Egli era nato col suo destino sulle spalle. Misera lei che
era caduta fra i suoi artigli come il passero fra gli artigli del nibbio!
L'ora passava. Ella piangeva e ricordava, e mentre in fondo all'anima sperava
ancora, i peggiori istinti di lei insorgevano e la dominavano.
Così le parve di ritornare a poco a poco padrona di sé, della
sua volontà, della sua astuzia.
Sì, ora le sembrava di veder Pietro nel suo vero aspetto, come tante
volte lo aveva confusamente intraveduto.
Ella era ancora la padrona: egli il servo, ma il servo ladro, grassatore, nemico;
era il servo che rubava al padrone, che lo uccideva per usurpargli il posto.
Anche in amore era un violento, un predatore; ed ella ora lo sentiva, e tutto
il suo rancore d'altri tempi, il suo profondo odio di razza si sviluppava in
lei come un male nascosto che finalmente aveva il suo sfogo.
"
Che fare, ora, che fare?"
Ed a misura che il male aumentava, la domanda risonava più forte.
L'idea di perdonare neppure le passò per la mente. Per lei non v'era
che la speranza dell'innocenza di Pietro: se egli era colpevole bisognava colpirlo.
Colpirlo? Ma come? Ma come, anzi tutto, riuscire ad assicurarsi del suo delitto?
Da sola, per quanto abile e astuta, ella non si sentiva capace di indagare,
cercare, scoprire. Bisognava o tacere o cercare un aiuto potente e colpire
Pietro a tradimento, prima che egli potesse difendersi e sottrarsi al castigo.
Ma a chi rivolgersi? A chi domandare consiglio? A sua madre? Per il decoro
della famiglia, nonostante il rancore nutrito contro Pietro, zia Luisa sarebbe
stata capace di consigliarle il silenzio. A suo padre? Egli era uomo, ma vuoto
e leggero: egli forse avrebbe riso di lei, rimproverandole di non aver sposato
Pietro prima di Francesco.
A chi dunque rivolgersi? Ella non aveva amici, non parenti di cui fidarsi.
Ma aveva molti denari. Aveva un cofanetto d'asfodelo colmo di monete d'oro
e d'argento...
Sì, col denaro si ottiene tutto. Col denaro ella poteva far parlare
anche le pietre della sua tanca, poteva scavare, trarre la verità dalla
sua profonda sepoltura. Col denaro si arriva a tutto. Ma poi?
Che fare, poi? Che fare? Che fare?
La parola che del resto le fremeva fin dal primo momento in fondo all'anima,
minacciosa e cupa come un tuono lontano, le salì finalmente alle labbra
amare di lagrime:
"
Andrò dal giudice".
Il giudice era la colonna, l'unica colonna del suo mondo crollato, contro
la quale ella potesse appoggiarsi.
Era il padre, l'amico, il difensore e il giustiziere; l'unico che non l'avrebbe
tradita. Egli solo, con la sua potenza formidabile, poteva far parlare i morti,
frugare tra le rocce, squarciare il mistero; egli solo poteva costringere i
vivi e i morti a pronunziare la verità e punire i colpevoli o salvare
gl'innocenti.
In un momento Maria fece il suo piano.
"
Andrò segretamente dal giudice. Dopo tutto egli è un uomo e capirà la
mia dolorosa posizione. Egli farà subito arrestare Pietro, e non dirà certo
chi ha fatto la denunzia. Se Pietro è colpevole sarà condannato.
E di me che accadrà?... E mia madre? E mio padre? Noi saremo disonorati
per tutta la vita; la gente si rallegrerà della nostra sventura. Ogni
persona più vile potrà buttare su noi la sua pietra."
D'un tratto fu riassalita da una cupa incertezza. Si gettò dal letto
e riprese ad aggirarsi disperatamente per la camera, come aveva fatto nel cortile.
Che fare? Che fare? Era mai possibile che lei, lei stessa, andasse dal giudice
ed accusasse Pietro, l'uomo che fino a poche ore prima ella aveva amato ciecamente?
Ogni oggetto, in quella camera bianca e tranquilla, piena di madonnine e di
santi rustici sorridenti dalle pareti, le ricordava quegli otto giorni di ebbrezza:
la sua carne ne fremeva ancora. Come fare? Come rinunziare alla gioia afferrata
avidamente come un frutto da tempo agognato?
Ella si gettò ancora per terra, davanti alla Madonnina rossa e gialla
che giocherellava col suo rosario di perle, e implorò ciò che
in fondo al cuore sentiva impossibile.
"
Fate che risulti la sua innocenza. Pietà di me, Maria Santissima."
E ripeté a voce alta:
"È
tutto un sogno. Non è vero niente: è una calunnia. Perché ho
creduto? Sono pazza?".
Si mise una mano sul petto e sentì la lettera, i cui cinque sigilli
pareva le marchiassero la carne: "... sii prudente, perché Pietro
sarebbe capace di ucciderti se si accorgesse che sai...".
Si alzò, ricominciò a vagare qua e là intorno alla camera,
si accostò allo specchio e quasi non riconobbe il suo viso alterato
e verdognolo. Sembrava una maschera.
L'ombra del dubbio la circondò ancora: e la figura del giudice cambiò aspetto,
da amica diventò nemica e minacciosa.
Il giudice è come lo scavatore d'un pozzo, che non riposa finché non
ha trovato la sorgente.
E per quanto ella si difendesse con se stessa, sapeva dov'era e quale era la
sorgente del suo male.
Troppe cose contro di lei potevano risultare, se il giudice investigava bene.
Gli uomini della giustizia potevano condannare Pietro; ma la gente avrebbe
condannato lei. La gente! No, la gente doveva ignorare il dramma come aveva
ignorato l'idillio: per la gente ella doveva sacrificarsi ancora, per tutta
la vita...
Sembrandole di nuovo che Pietro attraversasse il cortile si gettò ancora
sul letto, ripresa da un terrore infantile.
Le pareva di esser ridiventata bambina e di trovarsi sola nel letto, al buio,
nel mistero pauroso d'una notte invernale, con la mente ancora piena di storie
terribili udite accanto al focolare. Per lunghi anni, nella sua infanzia, l'essere
che più le aveva destato terrore era stato il "ladrone". Ella
se lo figurava alto come una quercia, con due grandi occhi di gatto e due mani
simili ad artigli di nibbio.
Egli viveva nelle grotte della montagna, dove nascondeva i suoi tesori; di
là scendeva, la notte, armato di sette coltelli, coi piedi enormi fasciati
per non destar rumore...
Passava tacito e lieve, rompeva le porte... penetrava nelle case dei ricchi...
Ma Pietro non viene, ed ella si calma di nuovo, pronta e vigile, decisa a
combattere da sola il nemico. Ella è nata per combattere, per lottare,
per ferire a tradimento. Ella ha sempre tradito. Ha tradito Pietro, tradito
i parenti, tradito Sabina. Anche Francesco ha tradito, non confessandogli la
verità. Forse egli non sarebbe morto se ella avesse parlato. Ma il mondo
tutto è pieno di tradimenti e d'insidie: l'uomo deve lottare con l'uomo
per avere la sua parte di sole e di terra! Che colpa ne ha lei se ha dovuto
lottare e se ancora deve lottare per non essere vinta e presa al laccio nell'agguato
terribile della vita?
Ecco, l'essere primordiale risorge in lei; non più per amare, come nei
giorni passati, ma per lottare e difendersi. Ed a misura che l'ora passa e
il pericolo si avvicina, ella si munisce di tutte le sue armi, che sono i suoi
istinti femminili, dominati però da una volontà implacabile.
Ella torna ad essere la donna che ha veduto intorno a sé i fantasmi
più misteriosi, le ombre spaventevoli della morte, del delitto, del
dolore; ed è passata come una figura leggendaria attraverso il bosco
nero, nella notte tragica, ed è andata incontro al suo triste destino,
pronta a sfidarlo.
Un passo nel cortile.
"
Maria, dove sei?"
Eccolo! Egli saliva, egli veniva, lieve e sicuro come una tigre: eccolo, egli
si avanzava, pronto all'assalto, egli il "ladrone".
Nel vederla a letto Pietro si spaventò. Le si curvò sopra, le
prese una mano.
"
Maria! Che hai? Che c'è? Perché sei a letto?"
La baciò, la guardò. I suoi occhi inquieti parevano gli occhi
di un bambino spaventato.
Ella lo guardò, lo respinse.
"
Mi sento male. Dolori... dolori di testa fortissimi: ora sto meglio... Lasciami."
Egli si guardò intorno inquieto, poi fissò di nuovo, su lei,
gli occhi chiari, pieni di un misterioso spavento.
"
Dolori di testa? Che sarà? E non hai chiamato nessuno. Non hai fatto
niente? Neppure un po' di aceto ti sei messa? Sei come una bambina! Ora vado...
prendo un po' d'aceto..."
Uscì: ella non disse nulla, non si mosse.
"
Egli ha paura", pensò. "Come mi ha guardato! Ha paura di me!"
Egli ritornò, con l'aceto. Cercò un fazzoletto, lo inzuppò,
e lo mise sulla fronte di Maria. Ella lo lasciò fare. Curvo, ansioso,
egli non cessava di guardarla, e parlava, parlava; ma parlava troppo, ma si
affannava troppo per un così piccolo male.
"
Ti senti meglio, ora? Un poco, sì, vero? Ma cosa è stato? Ma
cosa sarà? È da molto? Il fuoco è spento... Chi è venuto,
stamattina? Ti senti meglio?"
"
Sì, meglio. Va, lasciami. Va e cercati da mangiare. Va, lasciami, ora."
Ma egli insisteva: voleva sapere chi era venuto, quella mattina, e se il male
era cominciato da molto tempo, e che cosa poteva averlo causato.
D'un tratto, i suoi occhi sempre più inquieti s'illuminarono.
"
Che tu sii incinta, Maria?"
Ella chiuse gli occhi, scosse la testa: e non pronunziò parola, ma la
domanda di Pietro, che ella ancora non s'era fatta, le ricolmò nuovamente
l'anima di dolore furibondo.
Un figlio di lui! Bel rampollo doveva nascere! Eppure!...
Riaprì gli occhi, li fissò sul volto dell'uomo. E le parve che,
in un attimo, il viso di lui si fosse trasformato: s'era fatto docile, infantile,
con due occhi non più turbati, ma teneri, supplichevoli. Quando ella
lo aveva veduto così? Quando, quando? Non ricordava: forse in un giorno
lontano, nel tempo del loro primo amore; forse quel giorno, nella vigna, quando
egli avrebbe potuto farle del male, e invece l'aveva pregata di andarsene:
forse la prima sera, quando egli l'aveva abbracciata e le aveva detto: non
ti farò del male!
E invece, quanto gliene aveva fatto. Quanto gliene faceva e gliene farebbe
ancora! La sola sua presenza, oramai, le recava un mortale dolore. Ella non
aveva più paura di lui, e anzi sentiva che egli medesimo, con la sua
cieca passione, era per lei il miglior protettore. Egli l'avrebbe difesa anche
contro se stesso, egli che per arrivare a lei aveva percorso una via piena
di pericoli e di orrori.
Curvo su di lei Pietro le parlava con dolcezza, insistendo per sapere se ella
si sentiva meglio, proponendole di farsi visitare dal medico, di chiamare qualche
vicina che le preparasse un po' di caffè.
Ella rispondeva sempre no, con rabbia mal repressa. Non potersi liberare di
lui! Averlo sempre così vicino, attento, investigatore! Restare con
lui, sempre, come la bambina della favola nella tana del "ladrone".
Ella sentiva che questo era il suo maggior dolore: restare con lui! averlo
sempre vicino, sempre con sé, entro di sé, come un male fisico,
come un cancro inguaribile! S'alzò a sedere sul letto, si strinse con
le mani la fronte coperta dal fazzoletto bagnato: l'aceto le scorse sulle guance,
le bagnò le labbra, mescolato a lagrime d'ira affannosa. E le parve
che qualcuno le desse da bere il fiele e l'aceto, come a Gesù.
Pietro s'era scostato e la guardava sempre: ma il suo sguardo non era più desolato
e inquieto. Anche lui capiva, o credeva di capire. Il male di Maria era troppo
esagerato.
"
Piangi?", le disse, riavvicinandosele. "È così forte
il dolore? E non vuoi che chiami il medico!... Io vado, mando una vicina. Puoi
star sola un momento? Maria, rispondi!"
Col busto ripiegato, le mani intorno alla fronte, gli occhi fissi sul pavimento,
ella pareva intenta solo al suo terribile male. Pietro non osava più toccarla.
"
Vado?", ripeté.
Ella disse a denti stretti:
"
Va pure! Va tu; non chiamare le vicine".
Egli uscì. Ella pensò:
"
Egli ha paura: egli ha capito: egli non chiamerà il medico: nessun medico
della terra può guarire il nostro male. Dio mio, Dio mio, che faremo
noi?".
"Che faremo noi? " Per la prima volta, dopo quelle due lunghe ore
di incubo, ella associò al suo il dolore di Pietro. La presenza di lui,
per quanto odiosa ed insopportabile, le aveva ricordato molte cose. Lo sguardo
di lui tenero e selvaggio, sguardo da schivo e da condannato, le aveva spiegato
molte cose.
"
Che faremo noi?"
Ed ella previde lucidamente ciò che doveva avvenire. Ella avrebbe taciuto,
ella avrebbe sperato ancora; ma come un giorno era riuscita ad arrivare fino
al cadavere di Francesco, un altro giorno sarebbe arrivata a scoprire gli avanzi
dell'altra vittima ed a farli parlare. Sì, anche i morti parlano. Ed
anche i vivi, talvolta. Col denaro, e con la volontà si arriva a tutto.
Il denaro, ch'ella aveva amato tanto, amato più di se stessa, le avrebbe
dato almeno il conforto di arrivare fin dove ella voleva: fino alla verità.
"
Solo Pietro tacerà", ella pensava, morsicando il fazzoletto imbevuto
di aceto. "Egli fingerà e tacerà sempre. I morti, i vivi,
le pietre, gli alberi, ogni cosa potrà parlare, ma non lui! No, no,
egli non parlerà..."
E quando anche lui avesse parlato, ella non l'avrebbe certo accusato al giudice.
Come nessun medico poteva guarire il loro male, nessun giudice poteva condannarli
ad una pena maggiore di quella a cui erano condannati.
Ella ricordava appunto di aver veduto, una volta, una fila di condannati diretti
ad una colonia penale. Procedevano a due a due, incatenati assieme. Ella e
Pietro erano simili a quei disgraziati; legati da una stessa catena, diretti
allo stesso luogo di castigo.
Da anni ed anni essi procedevano assieme per una via grigia, vigilata dal fantasma
del male: ed erano giunti ad un crocicchio, adesso, intorno al quale s'aprivano
altre strade, tutte eguali, tortuose e buie.
Tanto valeva prenderne l'una o l'altra: tutte conducevano allo stesso luogo
di espiazione.
- FINE -
Note:
1 Le famiglie distinte del popolo.
2 Zucca. Rifiuto di domanda di matrimonio.
3 Il luogo dove si era.
4 "Uva passa comprate e fichi? Sapa comprate?"
5 Gonna di orbace orlata di nastro cremisino.
6 Bustino.
7 Coppia di buoi.
8 Cavalle.
9 Cavalla.
10 "Barbarina di Olzai
Dove ci metteranno
Non ci vedremo mai."
11 "Questa ragazza."
12 Laudi sacre in onore della Madonna.
13 "Le rocce stillano perle,
Le macchie grazie e doni;
Con mille voci ed accenti
T'acclamano i vaghi uccelli;
Le rilucenti stelle
Scendono per incoronarti."
14 Coperti di zucchero.
15 L'entrata, permesso di visitare la fidanzata.
16 Saluto scherzoso.
17 Corba.
18 Catena d'oro con orologio.
19 Voce per allontanare le galline.
20 Tesoro.
21 Comparia.
22 Pascoli.
23 Colletto per camicia.
24 Mansueta.
25 Nibbio.
26 Sopravveste di pelle lanosa.
27 Burrone.
28 "Gesù."
29 Canti funebri improvvisati.
30 L'albero della cuccagna.
31 La fame.
32 Lignaggio.