alla CONTESSA ELDA DI MONTEDORO in segno di affettuosa gratitudine queste modeste pagine dedica l'autrice
Fermarsi in un sito sconosciuto e montuoso dell'isola di Sardegna,
cogliere fra i lentischi e le roccie una timida rosa montana, nata all'ombra
degli elci e fra i profumi delle folte borraccine, - esaminarla foglia per
foglia, sino agli intimi più segreti ed olezzanti del suo calice, -
descivere le tinte rosee sfumate in diafani pallori o in porpore di fuoco,
i misteriosi profumi miti sotto le perle della rugiada, acri sotto ai raggi
ardenti del solleone, - ecco il modesto scopo del presente Racconto.
Chiunque da una novella sarda attende le solite storie atroci di sangue, di
odî feroci e di amori terribili, non legga questo povero lavoro, chè nulla
troverà di tutto ciò. Chi invece ama conoscere un poco i costumi,
le passioni, gli usi odierni, la vita e i paesaggi del centro della Sardegna
legga con pazienza e bontà queste modeste pagine, che tutto ciò descrivono
con fedeltà, secondo le poche forze della giovane autrice, - la quale
prega infine i suoi lettori Sardi di non offendersi se per caso trovano qualche
fortuita rassomiglianza di nomi, non intendendo alludere a nessuno col narrare
casi accaduti soltanto nella sua fantasia - e i colti lettori del Continente
di perdonarle gli errori e le imperfezioni, pensando che essa, ancora inesperta
nell'arte dello scrivere, ma sempre pronta a perfezionarsi col tempo, non conta
ancora venti anni.
I.
Siamo in Sardegna, nella parte montuosa della Sardegna, in una piccola città che
ci contenteremo di chiamare solo X***, benchè nella carta sia segnata
con un nome assai sonoro e lungo. X*** possiede la sua brava passeggiata, le
sue piazze, esenti ancora di fontane di marmo, e di statue, i suoi caffè splendidissimi,
il suo "club", e qualche volta anche a intervalli di due o tre anni,
si permette il lusso del teatro: tutto ciò però non impedisce
che vi si tragga la vita più noiosa di questo mondo, sicchè la
più piccola novità basta per mettere in fermento gli abitanti
pacifici e poco interessati nelle gravi questioni d'oltre monti e d'oltre mari,
Ai primi dell'anno 1881, la novità più saliente, la novità che
più dava di che pensare e di che dire nei crocchi, nei caffè,
nelle conversazioni private di X*** era una palazzina misteriosa che da circa
due mesi stavasi fabbricando all'estremità nord della città,
vicino alla casa di don Salvatore Mannu, ch'era l'ultima di X***, una palazzina
bianca, elegante, dai balconi di ferro verniciati a rosso, circondata da uno
spazio destinato a giardino. Gli studenti, che poco più o meno s'intendevano
tutti di francese, dicevano che quella casina di uno stile mai più conosciuto
in X***, le cui case erano tutte disadorne e ineleganti al di fuori - allora
- era uno "chalet", e che probabilmente lo faceva costruire qualche
ricco per venirsene in Sardegna nella bella stagione - qualche inglese, ben
sottinteso, molto eccentrico ed originale, dal punto che scieglieva la Sardegna
per luogo di villeggiatura... - Ma un negoziante che aveva viaggiato in Spagna
e abitato per tre settimane in Granata, un gran sognatore idealista che smentiva
la massima: "i commercianti son tutti gente positiva", asseriva che
lo stile della nuova palazzina era moresco, lo conosceva ben lui... e aveva
la sua idea fissa: doveva venir abitata, la palazzina s'intende, e non l'idea,
da un signore orientale, forse qualche pascià, gelosissimo e innamorato
di una bella fanciulla sempre velata, il quale venivasene lì, in fondo
al mondo, per nascondere a tutti la sua donna e vivere senza il timore d'essere
tradito da lei, ignara delle nostre lingue, ben custodita da eunuchi e da schiavi.
Sì, doveva essere così! Infatti, al pian terreno della palazzina,
le finestre venivano munite da grosse per quanto eleganti e ricurve inferriate
rosse, i balconi eran tutti velati da persiane, e uno dei muratori, interrogato
a proopsito dal negoziante sognatore, aveva detto che il giardino doveva venir
circondato da un muro di tre metri e chiuso da una porta foderata a lamine
di ferro.
Checchè fosse, nessuno riusciva a dire precisamente chi faceva costruire
la palazzina: gli operai lavoravano sotto la sorveglianza di un capo mastro
che aveva lui stesso, senza bisogno d'ingegneri, disegnato il tutto; venivano
pagati da lui, non sapevano oltre, nè chiedevano oltre...
Dunque, il gran segreto lo possedeva lui, il severo capo mastro piemontese,
che non parlava mai, fuori dello stretto necessario per farsi capire, che non
aveva amici a X*** e che faceva solo ciò che dovrebbero far tutti perchè il
mondo vada bene: i fatti suoi. - Fu interrogato il capo mastro, ma lui rispose
di saperne quanto gli altri; e quando, vista la assurdità della sua
risposta, i curiosi l'incalzarono vieppiù di domande, il brav'uomo li
mandò a farsi friggere, spiegando loro la santa sua massima di far ciascuno
i suoi affari. - In realtà neppur lui sapeva di chi era la palazzina.
- Chi ne doveva sapere qualche cosa era don Salvatore Mannu, chè appunto
lui aveva comandato al capomastro di innalzare la palazzina e somministravagli
i fondi, pregandolo però dal più profondo segreto; ma nessuno
pensava di interrogare don Salvatore, che ridendosela sotto i baffi, si mostrava
curioso al pari degli altri e si divertiva assai delle chiacchiere e della
curiosità che la palazzina destava. Agli ultimi di aprile fu completata:
era qualcosa di meraviglioso, coperta tutta da un terrazzo circondato di balaustrate
di ferro, gli ampi balconi delle persiane verdi, il muro del giardino tutto
a merli e torricelle come la cinta di una città fortificata, le quattro
facciate bianche, filettate da eleganti striscie di smalto azzurro. E giù giù ai
piedi, la vallata verde, ampia, ridente, chiusa dai monti bruni, selvaggi,
pittoreschi; su su il cielo azzurro e profondo, su cui essa si disegnava ardita,
leggera, aerea, come un brano di paesaggio svizzero o fiammingo.
Don Salvatore ne era incantato, e spesso, guardando la palazzina dall'orto
di casa sua, accarezzava il viso della sua piccola primogenita e le diceva:
Quando anche tu ti sposerai con un bel giovine ricco, nobile, laureato, ti
farò costruire un palazzo così.
Nel pubblico, intanto, la curiosità era arrivata all'ultimo grado; si
invigilava l'arrivo dell'omnibus, delle carrozze pubbliche e delle private,
pochine davvero, e ad ogni volto sconosciuto che si vedeva, si diceva: Ecco
che arriva! Ecco che arriva!...
Ma invano: arrivavano nuovi impiegati; operai italiani, che fanno più fortuna
emigrando in Sardegna che in America; arrivarono i nuovi soldati, i nuovi ufficiali,
i nuovi carabinieri, gli studenti dei villaggi, partiti per le vacanze di Pasqua;
arrivarono le rondini, il nuovo sotto prefetto, i fiori, un ingegnere con la
famiglia, uno scozzese viaggiatore, e tutti destarono un fremito nell'anima
degli abitanti di X***, ma nessuno andò ad abitare la palazzina misteriosa...
Alla fine ci si stancò di aspettare; i mesi passavano, nessuno veniva,
altri avvenimenti accadevano a X***, altre notizie e novità incalzavano.
Sicchè la palazzina fu posta in disprezzante oblio, e nessuno si accorse
che un giorno di luglio arrivò a X*** l'avvocato Marco Ferragna con
la sua giovane sposa, Lara Mannu, nipote di don Salvatore. Insieme a loro arrivò la
splendida mobilia per la palazzina di cui essi erano i padroni e che essi appunto
dovevano abitare...
II.
Il vero nome di Lara era Maura. Rimasta orfana da bambina, Maura, posta in
collegio a Sassari dallo zio don Salvatore, tutore e custode del piccolo patrimonio,
lasciatole da suo padre, era cresciuta a poco a poco in un ambiente se non
del tutto signorile e aristocratico, assai più civile e colto di quello
fra cui crescevano le signorine di X***; sicchè, divenuta una bella,
elegante, coltissima fanciulla, aveva fatto pazzamente innamorare di sè uno
dei più giovani e celebri avvocati del fòro sassarese. E Marco
Ferragna, ch'era lui, non ostante l'opposizione della famiglia, una delle più ricche
e aristocratiche di Sassari, un bel giorno se ne era venuto a X*** e aveva
chiesto a don Salvatore la mano della nipotina Lara, raccontandogli come l'avesse
conosciuta nelle campagne di Sassari, ove Lara trovavasi ancora, in villeggiatura,
presso una sua amica, come se ne era innamorato e come intendeva sposarsela
benchè la sua famiglia fosse contraria al suo matrimonio. Don Salvatore
ne fu sulle prime sbalordito. Ah, a X*** non si fanno così i matrimonî,
no, Dio buono; un giovane, specialmente se trovasi in buona posizione, prima
di decidersi a prender moglie, ci pensa su per due o tre anni... eppoi, dato
il caso che vi si decida, ascolta prima il parere non solo della famiglia,
ma del paese intero, e si comporta secondo il consiglio dei savi.
Così la pensava don Salvatore; ma siccome era uomo di senno e abbastanza
istruito, nella sua qualità di cavaliere e proprietario, pensava pure
che secondo i paesi i costumi; e i costumi di Sassari dovevano essere assi
diversi da quelli di X***, perchè Marco Ferragna, nel chiedere la mano
di Lara, vestito inappuntabilmente in abito da società, e inguantato,
aveva gli stivaletti verniciati, il che non si vedeva tutti i giorni a X***.
- Mia nipote si chiama Maura, non Lara - osservò lo zio dopo aver dato
il suo solenne "sì" a Marco.
- Lo so, - rispose questi, - ed è da pochi giorni che Maura si fa chiamare
Lara, dopo aver letti i versi della contessa Lara, in omaggio alla illustre
poetessa. Li ha letti lei, don Salvatore, o piuttosto zio Salvatore?... Non
meritano che una gentile e bella signorina come Maura cambi per loro il nome?...
- Don Salvatore sorrise e scosse la testa: in realtà lui conosceva molti
versi, da quelli del Dore a quelli dell'illustre Paolo Mossa, ma questa contessa
Lara non sapeva chi fosse.
- Che vuole? - si scusò. - Io non ho tempo di leggere i bei libri e
non conosco nulla... nulla. Sono sempre occupato in campagna ed ho appena qualche
volta il tempo di leggere l'"Unità Cattolica" in casa di prete
Giovanni...
Questa dichiarazione troncò sul labbro di Marco la storia dei sette
infanti di Lara, che stava per raccontare a don Salvatore... Gli parlò invece
di agricoltura e fu più compreso; e quando si divisero, Marco, che aveva
alfine convinto il futuro zio a dargli del tu, si portò seco il cuore
dell'onesto possidente dopo sole due ore di conoscenza, come dopo una serenata
sotto le finestre della villa delle verdi campagne di Sassari avevasi conquistato
il cuore di Lara.
Don Salvatore fece subito ritornare a X*** la nipote: Marco rimase anch'egli
nella piccola città finchè tutto fu pronto per gli sponsali.
Si sposarono nel più profondo segreto, per espressa volontà di
Lara che non amava le pompe e le chiacchiere, e partirono per il viaggio di
nozze in continente ed anche all'estero: al ritorno si sarebbero stabiliti
a Sassari, ove Marco teneva il suo splendido e ricercato studio. - Tutto ciò fu
un avvenimento così meraviglioso, che i bravi cittadini di X*** credettero
di sognare. Ma figuratevi dunque! Prima di allora nessun giovine straniero,
come Ferragna veniva considerato, si era mai sognato di sposare una signorina
di X***, tanto più se povera e sconosciuta come Maura Mannu; - mai,
prima d'allora si erano compiute senza feste e senza pettegolezzi nozze così cospicue;
- mai, prima d'allora, sposi per quanto ricchi e aristocratici erano partiti
da X*** per fare il viaggio di nozze, e tutt'al più s'erano spinti a
Cagliari per la festa di sant'Efisio.
Quella Maura, quella Maura!... Che aveva mai fatto per guadagnarsi tanta grazia
di Dio? Era forse bella, ricca o che più delle altre? Perchè era
stata tutta la sua vita in collegio, riuscendo appena a saper scrivere lettere
intarsiate di versi, a suonare il pianoforte ed a saper ricamare in seta e
oro! Perciò le cascava tanta fortuna! No, no, Maura doveva aver fatto
qualche stregoneria a Ferragna perchè egli si fosse innamorato di lei.
Ma del resto!... Chi diceva che Marco era tisico, chi gelosissimo tanto che
avrebbe fatto morire Lara di crepacuore, chi affermava essere un avvocatino
spiantato che avesse sposato Lara unicamente per il di lei minuscolo patrimonio,
e tutte le signorine di X*** si consolavano al pensiero che la famiglia Ferragna
odiava a morte la piccola Lara. E mentre sparlavano orrendamente dei due sposi,
per loro fortuna assai lontani, ognuna in cuor suo invidiava Lara e la sua
sorte e imprecava l'avarizia del proprio padre che non l'aveva posta in collegio
a Sassari come Lara. Chissà allora se l'avvocato Ferragna si fosse innamorato
di Lara smorfiosa o di lei così bella!
Così pur troppo è, gentile mia lettrice. Guai a chi ha un po'
di fortuna, nelle piccole città di provincia, e non nella sola Sardegna,
ma nel mondo intero. L'invidia plasma subito la sua croce e la pone addosso
al mal capitato che, se di animo dolce e tranquillo, finisce col maledire la
fortuna che lo solleva alquanto e rimpiange il tempo in cui, piccolo e sconosciuto,
non destava invidia, nè veniva tormentato dalle maldicenze e dalle calunnie.
Però bisogna rendere onore al merito, e un merito assai onorevole negli
abitanti di X*** era quello di obliare a tempo e luogo i disgraziati che destavano
le loro chiacchiere. Perchè? Lo disse un poeta di Ozieri, se non erro:
Ca su tempus cancellat d'ogni ardore.
E dopo due o tre mesi Lara fu lasciata in pace dalle signorine della sua città. Venne la volta della palazzina bianca, le cui vicende vedemmo poco fa; poi, all'arrivo dei Ferragna, risorse la loro questione più viva e animata di prima; ma a poco a poco, appagata la curiosità del pubblico e sfumati i sogni degli studenti e del negoziante viaggiatore, le chiacchiere cessarono; le signorine e signore fecero a gara per farsi amica Lara, e in pochi giorni Marco Ferragna ebbe in sue mani le cause, le carte e... il cuore dei pezzi più grossi di X***.
III.
Lara aveva diciott'anni, Marco ventisei o ventisette. Allorchè passavano
stretti a braccetto per le vie di X***, così eleganti, così ben
vestiti, entrambi giovani tanto, il viso sfolgorante di felicità ed
amore, ognuno si fermava ad ammirarli, ognuno li salutava, inchinandosi alla
felicità che passava con essi, pensando che fossero gli esseri più felice
del mondo. Così sembrava, e questa volta l'apparenza non ingannava,
no. Lara e Marco, ancora in piena luna di miele, favoriti da tutto ciò che
un buon cristiano senza smodate ambizioni può chiedere a Dio, erano
completamente felici. Essa, bruna, alta, sottile, i grandi occhi neri sempre
velati da una leggera tinta di naturale tristezza e dalle lunghe ciglia nere
nere, le labbra carnose, rosse e ardenti, molto elegante, molto "chic" nell'acconciarsi
i lunghi capelli oscuri, crespi e folti, aveva lei sola un segreto per potersi
vestire sempre così bene benchè semplicemente, aveva lei sola
un talismano per essere così spiritosa, così appassionata, così svelta
e operosa; lui, al contrario, biondo, gli occhi vivacissimi, bruni, ma non
neri, dallo sguardo profondo, corruscante, impenetrabile; alto lui pure, magro,
elegante e aristocratico sino ala punta delle unghie, la bocca stupendamente
tagliata, le labbra sottili increspate ad un sorriso indefinibile come il suo
sguardo, il volto pallido e il profilo stirato, era di carattere serio, parlava
lentamente, sempre in italiano, ma bastavano solo dieci parole per acquistarsi
la simpatia e la ammirazione di chi l'ascoltava. V'era qualcosa di misterioso
nella sua voce tranquilla e armoniosa, nella sua pronunzia dall'"esse" spiccata;
tutta l'istruzione e l'ingegno e la gentilezza del suo animo trasparivan nella
sua conversazione. Il fisionomista più ingegnoso non avrebbe potuto
indovinare nulla dal volto, dal sorriso, dal profondo eppure impenetrabile
sguardo di Ferragna; ma il primo venuto, il villano più ignorante, al
solo sentirlo parlare scorgeva in lui il giovane più bravo, più onesto,
più affettuoso che si possa immaginare. - E Lara sulle prime s'era innamorata
della sua voce senza neppure conoscerlo: della sua voce udita cantare una poesia
d'amore, ardente, melanconica, fra i silenzi azzurri di una notte plenilunare,
vibrata nella solitudine della campagna deserta e del cielo bianco scintillante.
- Da più di un anno Lara aveva conseguito il suo ideale di fanciulla
allevata fra le gentilezze e i sogni diafani di collegio, il suo ideale che
Marco realizzava completamente; eppure lei provava sempre la stessa sensazione
di voluttà, di gioia, lo stesso palpito provato in quella notte, ogni
volta che Marco le parlava. L'ascoltava in estasi e quella voce adorata le
scendeva nell'anima ricercandole le più intime fibre, con la stessa
insinuazione, con lo stesso fascino con cui la cadenza della musica sacra dell'organo
s'insinua in un'anima mistica e artistica fra i solenni silenzi della penombra
di una chiesa e i profumi inebbrianti dell'incenso.
La bella e ardente fanciulla adorava Marco in tuta l'estensione del termine;
il suo amore era qualcosa di strano, di pazzo; un amore, che se contrariato,
la avrebbe uccisa, che pure così corrisposto la consumava ancora, le
assottigliava l'anima e la fantasia. Guai se Marco la lasciava un'ora, un solo
istante! Le pareva che tutto fosse vuoto intorno a lei; e se l'assenza doveva
prolungarsi, piangeva quasi le fosse accaduta una qualche disgrazia. Ma quando
Marco ritornava e pigliandola fra le sue braccai robuste le esprimeva a baci
tutto il suo amore, Lara finiva col ridere della sua pazza angoscia, si chiamava
bambina, si prometteva di non desolarsi più e ricominciava da capo appena
lui doveva allontanarsi di nuovo.
Marco per lei era tutto: vita, mondo, Dio. Nulla esisteva per Lara, all'infuori
del giovine: aveva trascorso i più splendidi paesaggi d'Italia, aveva
visitato le più belle e grandi città senza quasi veder nulla,
gli occhi sempre immersi nel volto di Marco, la fantasia sempre rivolta a lui
che pure le stava così vicino. E quando esso le indicava i panorami
più incantevoli, i monumenti più famosi, essa li ammirava per
contentarlo, perchè anche ammirati da lui, ma all'ultimo gli sussurrava
le parole che parevano complimenti, ma che invece erano la più sincera
espressione dei suoi sentimenti.
- Bello!... Bello!... Ma tu sei più bello!...
Lui sorrideva, la guardava forte negli occhi, a lungo, e, se non visto, trovava
ben anche il modo di ringraziarla con un lungo bacio del suo complimento, mormorandole:
- Lara adorata!...
Dacchè aveva conosciuto Marco, Lara, assai devota e pia per lo innanzi,
si era scordata persino di Dio. Marco era il suo Dio! pensava sempre a lui,
adorava lui solo, e dal folto lavorìo del suo pensiero ardente se veniva
esclusa qualsiasi altra idea, anche la memoria di Dio non vi si introduceva
più così sovente. Una sera, a Roma, Lara disse ciò sorridendo
a Marco, ma poi aggiunse seria seria:
- Pare che Dio voglia vendicarsi del mio oblìo! Oggi mi sento assai
male e un presentimento mi dice che dovrò ammalarmi!... Sarebbe bella
che morissi ora!...
- Taci! - rispose Marco, sfiorandole la bocca con una mano. - Se tu morissi,
io la finirei in reclusione...
- Oh perchè?... - chiese lei, spalancando gli occhi.
- Perchè! Perchè se Dio si permettesse l'infamia di togliermiti,
io l'ucciderei a revolverate.
Lara rise. Anche Marco, molto incredulo e scettico, rise un po'; ma guardando
Lara, si accorse ch'ella era pallida e con le occhiaie, e si fece serio. La
strinse fra le sue braccia e proseguì: - Ma no! Nessuno può togliermiti,
nessuno, neppure Dio! io lo sfido a strapparti dalle mie braccia, lo sfido!
E se, cosa impossibile, mi ti togliesse, io non l'ucciderei, perchè ha
preso ben già da molto le sue precauzioni di sicurezza e la mia palla
non giungerebbe a lui, ma lo dichiarerei il più ingiusto, il più crudele
e feroce tiranno! - Lara pose a sua volta la mano sulla bocca di Marco, esclamando:
- Taci! Non parlare così di Dio! Egli è buono, è giusto,
ma punisce chi lo offende! Tu ora l'offendi, Marco! Non offenderlo più,
sai, potresti pentirtene!
Più tardi Marco si ricordò con istrazio di quelle parole dette
da Lara tra il serio e il faceto: per allora si contentò di sorridere
dicendo: - Gli faccio le mie più umili scuse se lo offesi involontariamente.
Vivi tu, Lara mia, vivi sempre, sana felice, e amami, io gli dirò la
mia preghiera a mattina e a notte ed anche prima del pranzo!...
Così scherzò per tutto il resto della sera, sul terrazzo dell'albergo,
fra gli splendori del crepuscolo di una bella sera d'inverno: ma i suoi scherzi
non impedirono che il malessere di Lara aumentasse tanto, che l'indomani si
dovette cercare un medico. Sulle prime, Marco, se fu inquieto, provò anche
una sfumatura di gioia credendo che tutta la piccola malattia di Lara segnasse
l'alba della sua futura paternità, - ma consultando uno dei più famosi
medici di Roma, questo lo assicurò che non v'era nulla di nuovo. - La
sua signora, - disse, - è di complessione assai delicata e debole. È il
viaggio continuo che le ha fatto male. La miglior cura che io possa prescriverle,
perchè ella si conservi sana. È di metter fine al più presto
al loro viaggio di nozze e di stabilirsi in un sito dall'aria salubre e calda,
potendo, in un centro poco rumoroso, ove non sieno emozioni e avvenimenti che
possano impressionare assai il morale della giovane ammalata.
Marco allarmato dalla strana ricetta, chiese al medico il suo parere, se di
stabilirsi a X***, piuttosto che a Sassari.
Il medico consigliò X***, luogo più caldo, più remoto
e tranquillo di Sassari. Lo stesso giorno, Marco scrisse allo zio Salvatore
per la palazzina ed espresse a Lara il volere del medico. Lara ne restò contentona.
Non le disse però nulla della palazzina, volendole preparare una sorpresa:
e appena fu ristabilita, ripresero il viaggio. Nonostante le raccomandazioni
del medico, lo prolungarono assai. Le tasche di Marco erano ben foderate a
biglietti da mille; Lara, completamente guarita, diceva di sentirsi in vena
di intraprendere un viaggio in Africa; sicchè si spinsero sino in Svizzera,
vi rimasero tutta la primavera, poi diedero una sbirciatina a Parigi, passarono
per Nizza e tornarono ai silenzi delle solitudini sarde quasi un anno dopo
le nozze, sempre più innamorati, pieni di ricordi e di meraviglia per
le cose vedute, ma sempre amanti della loro verde e selvaggia Sardegna.
IV.
Arrivati a X***, rimasero almeno una settimana in casa di don Salvatore, sinchè la
palazzina non fu posta in ordine. - La famiglia di don Salvatore era il vero
tipo della famiglia sarda benestante.
In paese passava per aristocratica, ma figuratevi voi che razza di aristocrazia
fosse. Lui, don Salvatore, un bell'uomo sui trentacinque anni, aveva fatte
tutte le scuole di X***, e con la sua energica volontà, benchè fosse
poco istruito. Aveva immensamente allargato l'avito patrimonio, talchè ora
contava fra i primari possidenti dei dintorni. Come dicemmo, la sua istruzione
era assai limitata; don Salvatore non aveva mai avuto il tempo d'istruirsi;
però i suoi affari sapeva ben farli; e nessuno poteva vantarsi di averlo
una volta almeno burlato, oh no! In società, don Salvatore si permetteva
di chiacchierare di politica, anzi su tal proposito aveva idee un po'... codine,
forse perchè leggeva costantemente l'"Unità Cattolica" ogni
qualvolta che andava a visitare prete Giovanni suo antico maestro di scuola:
- al caffè faceva la sua brava partita di carte ogni domenica sera;
- nei lunghi crepuscoli estivi passeggiava ei pure nella passeggiata di X***
insieme agli altri, parlando del più e del meno, ben vestito e anche
relativamente elegante nella sua qualità di cavaliere campagnuolo; -
ma, del resto, egli la vita la viveva in campagna, nei suoi possessi ben coltivati,
fra il pensiero di una buona raccolta e il pensiero di una nuova compra di
terreni per accrescere sempre più la fortuna delle sue tre figlioline.
Donna Margherita, la moglie, ai suoi tempi, cioè dieci o dodici anni
prima, passava per una fra le più belle fanciulle di X***; conservava
ancora una sfumatura della sua antica bellezza, negli occhi neri e profondi
e nel profilo fino ma non poteva più dirsi bella donna. Continue malattie
l'avevano resa magra, stecchita, con i capelli bianchi e la pelle diafana,
nivea, però increspata assai sui viso e aula e là chiazzata di
leggiere macchie livide. Pareva vecchia di molto. Mentre contava un trentacinque
anni come il marito, vecchia in tutto, nel parlare sommesso e quasi tremulo,
nell'abito all'antica sempre oscuro. In casa indossava gonne e bluse di "cretonne" a
righe nere e di qualche altra tinta cupa, il grambiule ampio un po' più chiaro,
e il capo coperto da un fazzoletto di seta nera con una striscia viola; per
fuori la teletta di donna Margherita si componeva di una sottana di tibet nero,
la giacchetta lunga orlata da righe di felpa, tutto nero, e su lo sciallo a
fondo nero con uno stretto bordo ranciato, a fiorami e rabeschi bizantini dei
colori della... rana! I guanti però non mancavano mai a donna Margherita,
e le scarpe verniciate ed anche il ventaglio in estate, ma non più oltre,
mai più!... Se tutte le donne avessero apprezzato e seguito la moda
come donna Margherita, addio sete, colori e novità!... Ella vestiva
come aveva vestito sua madre, sua nonna, le ave sue tutte, tutte le sue vecchie
parenti; sperava di vestire come lei le sue figlie e le sue nipoti; ma non
crediate che perciò essa vilipendesse le eleganti signore di X***, no,
essa disprezzava la moda con tutte le sue follìe, però rispettava
le opinioni altrui e lasciava che ognuno si vestisse a suo piacere, cosa che
del resto non avrebbe potuto impedire, pare a me. Del resto usciva pochissimo,
tutta casa e famiglia; e mentre don Salvatore pensava sempre ad accrescere
il patrimonio delle sue figliuoline, donna Margherita non pensava che a farle
crescere virtuose, impartendo loro la più stretta e rigorosa morale.
L'unico rimorso di donna Margherita era quello di non aver imparato a leggere
e scrivere; non perchè le avanzasse del tempo e pensasse di ucciderlo
con la lettura, oh, no, ma perchè non poteva scordarsi. - Dodici anni
prima. Al tempo in cui, sposa novella ancora, sfoggiava il primo ed ultimo
vestito chiaro indossato in sua vita, senza l'eterno sciallo in capo, le avevano
detto ch'era quasi un'indecenza andar in chiesa senza il libro di preghiere.
- Ma come farò, se non so leggere! - rispose donna Margherita.
- Poco importa, - le si disse, - tu lo aprirai e farai mostra di leggere in
esso mentre dirai a mente le tue preghiere.
Lei, si chiamava stupida ogni volta che lo ricordava, fece così...,
e alla prima occasione una vecchia signorina che le conservava un astio profondo
perchè don Salvatore non aveva sposato lei dopo averle fatto un anno
di corte, le si avvicinò nel banco di chiesa, guardò sul suo
libro, poi le disse a voce alta, quasi ridendo:
- Margherì, perchè leggi al rovescio?
Questa novella si diffuse lenta, serpeggiando, per tutta la chiesa ingombra
di folla; tutti gli sguardi si volsero ad uno ad uno verso la povera sposa,
e i giovinotti là in fondo, gli studenti e gli impiegati, scettici,
miscredenti al punto di chiacchierare durante la messa e di non chinar il capo
all'Elevazione, ne fecero le più saporite e allegre risatine sotto i
baffi, e quel ch'è peggio, sotto le vôlte della chiesa! Poi uscì fuori,
la curiosa novella, si sparse dappertutto, tanto che don Salvatore, un sabato
notte, nell'andar a letto, disse a sua moglie:
- Di', Margherì, domani, non portarlo più alla messa il libro
di preghiere! - Che colpo, che colpo per la povera damina! Ne pianse per una
settimana, e sempre sempre, non ostante gli anni e la morte della zitellona
sua nemica, quel ricordo le rimase in cuore come un tarlo, gettando un riflesso
di ira, di umiliazione nella sua anima, per natura assai calma e proclive al
perdono e alla pace.
Sì, era un'anima buona e tranquilla quella di donna Margherita; il soffio
delle passioni ardenti, delle speranze pazza, dei sogni infocati, dei volubili
amori che ora dilaniano l'anima di quasi tutte le donne, non aveva sfiorato
la sua vita morale, nè scossa la fede serena della sua mente purissima:
da fanciulla, mai le parole: "sono infelice; voglio morire!..." che
sono e sono sempre state il "credo" delle ragazze da marito, erano
state dette da lei; sposa, mai la gelosia, l'ambizione di comparire nel mondo,
di dominare il marito, le avevano neppure sfiorato l'anima; madre, la sua unica
cura era di allevar le figlie modeste, pie, oneste e pacifiche come lei. -
E ciò era un male. Nella sua santa ignoranza, donna Margherita non sapeva
che il mondo cammina e la civiltà progredisce e i sentimenti delle nuove
generazioni cambiano; non sapeva che la febbre del sapere s'insinua dappertutto,
che l'ignoranza è la più feconda causa della corruzione, ora.
Donna Margherita pretendeva che le piccole sue figlie pregassero sempre, e
sempre ringraziassero Dio dei beni ricevuti, senza pensare mai, mai e mai,
alle cause che spingono lo stesso Dio a darci un bene e cento mali, - e le
piccine pregavano, pregavano per obbedirla, ma a fior di labbro, e già nell'anima
intelligente della più grandetta fremevano strani sintomi di ribellione:
che? Ella aveva interrogate tutte le sue compagne di scuola e tutte le avevano
risposto che le loro mamme la preghiera la facevano dire solo alla mattina
e alla sera, ringraziando Dio dei beni ricevuti, ma pregandolo anche di preservarle
dalla sventura. Dunque quel Dio, a cui bastavano due sole preghiere al dì,
era diverso dal suo che ne pretendeva tante... dunque era buono. Ah, essa il
Dio fattole conoscere da sua madre lo temeva, ma non lo amava come le sue compagne
amavano il loro! - Donna Margherita vestiva alla sua maniera le figlioline;
abitini oscuri fuori di moda, severi, credendo di ispirare in loro la modestia,
la noncuranza del mondo; e loro, invece, e tutte questa volta, vestivano così per
forza, ma invece della modestia covavano in core l'invidia per le altre tutte
vestite in colori chiari, chi più chi meno alla moda; e invece del disprezzo
del mondo, s'infiltrava lenta nelle loro piccole anime la febbre inconscia
del lusso, della supremazia su tutte, sì, anche ciò perchè erano
forse le più ricche fra tutte e loro lo sapevano... Come?... perbacco!
Perchè la loro madre diceva sovente: - Siete ricche, ringraziate Dio
per ciò e procurate di rendere ricca di virtù anche l'anima vostra.
Così è! Donna Margherita era una buona e santa donna ma le mancava
una virtù per essere una buona madre di famiglia; un po' d'istruzione!
essa dava a suo modo una severa educazione alle figlie, e le figlie crescevano
meno pietose, meno tranquille delle altre, e lei, che è il più strano,
non poteva accorgersene! Amava più di qualunque madre le sue creature
e appunto per ciò le voleva più buone, più care di tutte
le altre; ma con la sua severità, con la ferrea educazione che pretendeva
loro imporre, come il suo Dio, si faceva temere e non amare dalle piccine,
che non osavano guardarla negli occhi, lei si mite e umile con tutti, che tremavano
allorchè avevano da chiederle il permesso di andare a visitare qualche
piccola amica.
No, non uscivano quasi mai, non andavano che alla scuola e in chiesa; eppure
anelavano di correre pei prati, di passeggiare in città come signorine,
sognavano di passare le domeniche con le compagne di scuola, sparlando dei
compiti e dei punti delle assenti; - la mamma non permetteva loro che i libriccini
della Società per la diffusione gratuita dei buoni libri, e le immagini
benedette; ma esse in iscuola frugavano febbrilmente nei bei libri di fiabe,
nei giornali per bambini delle compagne, sognavano i figurini belli della moda,
le grandi immagini colorate in cui vi sono dipinti atro che santi! E donna
Margherita non ne sapeva nulla! essa non riceveva alcuna confidenza dalle piccine,
i cui desiderii restavano repressi in fondo al cuore e però crescevano
spaventosamente. Se avesse saputo i precoci strani sentimenti delle sue figlie,
si sarebbe turbata assai, come mai in vita sua; avrebbe gridato la croce alla
scuola, all'istruzione, ai tempi, senza accorgersi che la colpa era in lei,
che non sapeva perchè non sapeva appunto che i tempi erano cambiati
e credeva che tutto il mondo camminasse ancora sulle orme antiche. - Ma non
crediate che Maura, Speranza e Pasqua, così si chiamavano le bambine,
fossero delle monelle per ciò. No, erano solo troppo intelligenti e
vive per potersi adattare al sistema di donna Margherita; tanto intelligenti,
che in iscuola, sempre prime, sentivano sovente fioccarsi una lode, per loro
incomprensibile, dalle maestre: - Eh, si vede che siete nipoti di don Sebastiano
Mannu!
V.
- Don Sebastiano Mannu, chi era don Sebastiano? - chiese Maura un giorno alla
mamma. Donna Margherita trasalì, ma si contentò di rispondere
solo a mezza voce:
- Era il padre di tua cugina, morto da molto tempo. - Non più oltre.
Maura non chiese di più, ma non rimase soddisfatta, no; v'era un mistero
nell'accento di donna Margherita, e Maura capì a volo che parlando di
don Sebastiano si doveva parlarne a lungo... Sì, ella lo ricordava come
un sogno lontano lontano altre volte aveva inteso nominare quel nome in casa
sua, con accento di rabbia e di dolore, poi più nulla, più nulla
per anni ed anni; perchè ora non lo nominavano più dunque in
famiglia?. Maura non lo seppe che molto più tardi, e allora capì quel
silenzio. Era una storia triste, orribile, misteriosa.
Don Sebastiano, giovine bellissimo, fratello di don Salvatore, era stato ai
suoi tempi il cavaliere più istruito e d'ingegno di tutta la Sardegna.
Gran poeta estemporaneo in dialetto, le sue poesie e la sua memoria vivevano
sempre in X***, e le sue canzoni correvano ancora di bocca in bocca, fra i
canti monotoni dei popolani e le melanconiche serenate dei signori. Finissimo
poeta in italiano, aveva lasciato volumi interi di ballate, poesie, romanze,
sonetti, volumi che avrebbe pubblicato un giorno e che avrebbero immortalato
il suo nome, così almeno si diceva a X***, se un fatto strano, orribile,
non avesse troncato la sua carriera. - Una mattina fu trovato morto nel suo
letto, col cuore trapassato a colpi di pugnale.
Sulle prime si credè fosse stato assassinato dai Massari, famiglia altre
volte ricca e nobile, ma ora in estrema decadenza, fra i quali e i Mannu esisteva
un'acerrima inimicizia, la cui origine si perdeva nella oscurità dei
tempi, - ma nonostante le più attive ricerche, non si scoprì nulla.
Poi, aperto il testamento di Sebastiano, si confermò la voce che serpeggiava
segreta ancora nella folla, che il poeta si fosse suicidato. Infatti in quel
testamento, - a che pro fato se le sue poche sostanze doveva assolutamente
ereditarle l'unica figliolina Maura? - era espresso il più acre ed inconsolabile
dolore per la morte della sua giovane moglie, e il presentimento di una prossima
fine. Come poteva presentire la morte, se era l'uomo più robusto e sano
del mondo, se non nutrendo idee di suicidio? Perchè costituiva tutore
di Maura il fratello Salvatore, raccomandandogli di metterla in collegio e
istruirla vigorosamente, se non pensava a morire mentre Maura trovavasi bambina
ancora?
La certezza del suicidio prevalse dunque, cioè qualcosa di inaudito
e di disonorevole per la memoria del poeta.
Mai nessuno erasi suicidato a X***, mai! In Sardegna c'è questo di buono:
nessuno si suicida; ma c'è anche di male, chè allorchè qualcuno,
caso rarissimo e quasi impossibile, si suicida, la folla carica di obbrobrio
e di disprezzo la sua memoria, considerando azione vilissima e delittuosa il
suicidio, senza ammettere le circostanze attenuanti... E il suo ricordo getta
una sfumatura di disonore sulla sua famiglia, e il suo nome viene pronunziato
a bassa voce e solo per estrema necessità. Ecco perchè il nome
di don Sebastiano non veniva proferito in casa Mannu, e il suo ricordo faceva
tremare l'anima pia di donna Margherita. Pure, caso strano e degno di studio
per una intelligenza più alta della mia, nella popolazione di X*** non
esisteva alcuna trista idea sul conto di don Sebastiano, sapete perchè?...
Perchè la gente che, finchè la famiglia Mannu e la sua giustizia
avevano accusato i Massari della morte del poeta, avevano sussurrato in segreto
che invece si trattava di suicidio, allorchè la giustizia i Mannu proclamarono
innocenti i nemici e riconfermarono la voce misteriosa, disse, credette e si
convinse che don Sebastiano era stato assassinato nel suo letto dal pugnale
dei Massari!... - Non ostante il tempo, quella credenza esisteva ancora a X***,
e insieme uno strano rancore verso i Mannu che non avevano saputo vendicare
la gloria della loro casa, che decadevano in moralità come i Massari
in ricchezza, che si avvilivano al punto di credere, loro soli, che don Sebastiano
poteva essersi ucciso di sua mano!... I Mannu, di cui don Salvatore, nella
sua qualità di più ricco, era il capo, sapevano le voci che correvano
nella folla; ma che potevano farci? Convinto del suicidio di don Sebastiano,
che d'altronde sarebbe stato l'ultimo ad essere colpito dal ferro ormai arrugginito
dei Massari, don Salvatore, per quanto forte e inesorabile fosse in lui l'odio
avito ereditato col sangue da suo padre, era troppo savio e prudente da rinfocolare
l'inimicizia sopita, ma non spenta, da quasi mezzo secolo. - Perchè lui,
per contentare la folla sanguinaria, sarebbe andato a rimettere l'incendio
senza un motivo serio, senza essere spinto da una causa reale e "onorevole",
come quella di vendicare un innocente?
No, per Santa Maria del Monte, no, mille volte no! - Egli odiava i Massari
dal primo all'ultimo, li odiava atrocemente, con quell'istinto del vecchio
sardo per cui l'odio è necessario come il sangue, come l'amore, - li
odiava tanto, che se l'avessero condotto innanzi a Dio dicendogli: chiedi una
grazia e ti sarà concessa, - egli avrebbe chiesto che i Massari venissero
tutti sprofondati nell'inferno, - li disprezzava, perchè a furia di
ozio e di vizi si erano ridotti quasi alla miseria, così la pensava
lui, - ma in fondo in fondo, lui, insieme all'odio, nutriva il più grande
amore per la sua famiglia nascente e sapeva e conosceva tutti i pericoli, i
dolori, le sciagure in cui l'avrebbe immersa se lui, senza addurre una causa "legale",
fosse andato a vendicarsi sui Massari che si sarebbero poi presa la più orribile
rivincita! - Eppoi, lui, don Salvatore, lo sapeva: vendicando sui Massari la
morte del fratello, avrebbe fatto a questi il più grande piacere. Perchè loro,
non avendo nulla da perdere e tutto da guadagnare, ora forse anelavano di ricominciare
le ire, i delitti, le infamie cruenti di mezzo secolo prima e non aspettavano
che l'attacco, decisi a muoversi solo se provocati... e aspettavano!.... Ma
no! don Salvatore era troppo savio e prudente per fare questa pazzia! Questo
il suo ritornello.
Che importava a lui della folla? Ricco tanto da poter vivere indipendente da
tutti, egli non contava che sull'amore e la felicità domestica. La gente
chiacchierasse pure a suo piacere, nulla gli importava. Disprezzava la folla,
odiava i Massari, ma amava la famiglia.
Gli anni passarono: non si fè nulla per la morte di don Sebastiano;
solo i Massari e i Mannu continuarono a guardarsi in cagnesco, ma serravano
così bene in fondo al cuore il loro odio inestinguibile, senza lasciarlo
trapelare a nessuno, sempre pronto a rivivere come ai bei tempi antichi, che
un monsignore, che aveva la mania di rappacificare il mondo intero, dovette
ritornarsene con le pive nel sacco, quando, venuto quasi apposta a X***, si
trattò di rappacificare le due famiglie quivi nemiche.
- Che paci! - risposero egualmente i Mannu e i Massari. - Ma noi non siamo
in odio! Facciamo ciascuno i nostri affari, ecco!... - E l'odio rimase fra
loro, segreto, terribile.
VI.
La casa di don Salvatore, o piuttosto il casamento, che del resto ad X***
veniva chiamato pomposamente palazzo, come si è detto, ergevasi ultimo
all'estremità nord di X***. - Le finestre irregolari, i muri imbruniti
dal tempo, basso, quasi rotondo circondato da cortili rustici e loggiati, pareva
una costruzione medioevale, e forse lo era; dietro si stendeva un orto, piantato
qua e là a magnifici alberi fruttiferi, con pergolati assai pittoreschi
e il loro ingraticolato di rami e di canne, e l'interno corrispondeva perfettamente
all'esterno; la mobilia severa, antica, bruna, le pareti bianche e i pavimenti
e i soffitti di legno.
La cucina ampia, dalle pareti coperte di casseruole di rame lucentissime, il
camino in un angolo e il forno nell'altro, poteva passare per cucina di veri
signori viventi di stipendio, e non di rendita, se due cose non l'avessero
tradita: il gran focolare di pietre, posto nel bel mezzo e la graticola di
legno annerito dal fumo, attaccata alle travi per mezzo di corde di pelo di
cavallo, produzione paesana, e pendente sul focolare, sulla quale si disseccava
e affumicava il formaggio. Dietro la cucina si stendevano le cantine e i magazzini
per gli immensi raccolti del grano, dell'orzo, dell'odio, e di tutte le altre
qualità di frutta e di legumi prodotti dalle terre di don Salvatore.
L'uva fresca, le pere e le mele, l'uva passa e i fichi secchi pendevano dalle
travi del soffitto come strane stalattiti, più interessanti di quelle
delle grotte di Alghero, - nella penombra luccicavano i formaggelli, color
d'oro, negli angoli si ammucchiavano le noci, le nocciuole e le mandorle, -
su grosse tavole stavano disposte grandi quantità di formaggio e le
provviste del lardo, del salame, della salsiccia, prosciutto e strutto conservato
in vasi di terra, come in vasi di terra si conservano i pomodori secchi, rossi
e oleosi olezzanti di basilico, e le ulive secche e altri frutti ed erbaggi,
nell'olio di oliva.
E là, là, nella cantina fresca, le botti di vino nero, rosso
e bianco, che costituivan da sè sole una grossa rendita. Oh, v'era ogni
ben di Dio, in quella casa! Nei cortili ruzzavano le galline e i polli, e s'ergevano
grandi castate di legna per l'inverno, quando il fuoco doveva ardere eternamente
nel focolare e in tutti i camini della casa: in luoghi appartati stavano la
casupola per il maiale e la stalla per i buoi ed i cavalli anche i cani da
caccia e da guardia, anche i grossi gatti bianchi e neri che custodivano la
casa da quei ladri pericolosi detti sorci, avevano il loro nido tiepido e sicuro
in casa Mannu, e, cosa da notarsi, benchè si odiassero, si rispettavano
vicendevolmente, seguendo l'esempio dei padroni. La pace, l'ordine, la pulitezza
e l'abbondanza regnavano in quella famiglia. Ogni domenica, donna Margherita
faceva andare a messa i servi ritornati da campagna il sabato notte per cambiarsi
la biancheria e... visitare la loro bella, apprestava loro un pranzo abbondante
e li rimandava ai loro lavori la sera, tardi, per il domani. Due domestiche
solo, sane e oneste popolane, erano al servizio dei Mannu. Il lusso bandito
lontano, l'economia praticata in tutta l'estensione del termine, erano i segreti
per i quali don Salvatore aumentava ogni giorno più il suo patrimonio:
si diceva che i denari si misuravano, in quella casa a decalitri, ma non mai
nessun ladro vi s'era avventurato. Le finestre erano munite di grosse inferiate,
le porte infrangibili, e si sapeva anche che don Salvatore dormiva ogni notte
in casa e teneva due pistole cariche sul tavolino da notte. - La vita scorreva
metodica, tranquilla, mai turbata da una nuvola sola, per i Mannu. Donna Margherita
si levava col sole e aiutava le domestiche a rimettere in ordine la casa: alle
otto si levavano anche le bimbe e il padre; si faceva colazione, la zuppa di
caffè e latte, usatissima in quasi tutta la Sardegna, - poi le piccole
andavano a scuola, don Salvatore accudiva a suoi affari, spesso usciva in campagna
per tutta la giornata o andava a caccia, - donna Margherita si immergeva tutta
nella grave cura del padre. A mezzogiorno preciso si era in tavola; il dopo
pranzo si dormiva un pochino, specialmente nei mesi caldi, dopo si prendeva
il caffè al rezzo dei pergolati o intorno al fuoco, e le bambine tornavano
alla scuola e don Salvatore ai suoi affari e donna Margherita e le domestiche
cucivano, filavano, lavoravano insieme fino all'ora di preparare la cena. -
Al primo accendersi dei lumi, la tavola era nuovamente apparecchiata; dopo
cena si chiacchierava del più e del meno, a voce calma e mente serena,
poi... si andava a letto, e buona notte al mondo tutto. - E così sempre,
come ieri oggi, come oggi, domani. Come si è detto, donna Margherita
usciva poco, e poche visite venivano a disturbarla. Preparava in casa il pane,
le minestre, i dolci, le conserve - a lei il seccare le uve e le frutta tutte
in estate, a lei il presiedere alle vendemmie, a lei il manipolare l'olio per
ben conservarlo, e i grani e i formaggi. Essa eseguiva i formaggelli, il burro,
lo strutto, i salami, - essa dava somma attenzione a tutto e tutto camminava
nella dritta via. Lo aveva ben detto Marco Ferragna quando aveva conosciuto
il caratteristico andamento di quella casa: - Caro zio Salvatore, la vostra è una
casa, una famiglia patriarcale!
VII.
Furono loro, Lara e Marco Ferragna, che portarono un po' di vita e di moto
in casa dello zio. Per una settimana rimasero presso la famiglia Mannu; poi,
quando la palazzina fu all'ordine, ed essi vi si stabilirono, aprirono un varco
nel muro che divideva i due giardini, per poter più comodamente comunicare.
Vivevano quasi sempre insieme; Lara e Marco passavano le serate in casa di
don Salvatore, nella vasta stanza da pranzo dalle pareti bianche, dalla credenza
nera e la tavola ampia di noce; le serate che ora si erano allungate di due
o tre ore: le bambine, appena di ritorno dalla scuola, correvano dalla "grande" cugina,
che si divertiva assai con esse, ritornando bambina, per ingannare le ore in
cui doveva star lontana da Marco. E come le istruiva! - Maura, Maura specialmente,
la grandetta, in pochi mesi, al contatto di Lara, nell'ambiente signorile della
palazzina bianca, erasi fatta una perfetta signorina: parlava di musica e di
libri, chiamava il raso "satin" e cominciava a ribellarsi alle continue
preghiere che donna Margherita pretendeva recitasse. Le altre due, Speranza
e Pasqua, troppo piccine ancora, una di cinque e l'altra di sette anni, non
capivano un'acca - diceva Maura, ma lei, ma lei!...
Era una bimba strana, Maura; mingherlina, tanto da mostrare otto anni al più,
mentre ne aveva dieci o undici, bianca e rosea, la bocca piccola, rossa, gli
occhi grandi, oscuri, pensosi i capelli biondi foltissimi e lunghi, parlava
sempre, sempre, sempre; niente la meravigliava, e taceva solo in presenza di
sua madre che temeva: e sarebbe diventata una perfetta monella se nata in una
famiglia popolana, in cui poco si bada all'educazione dei bambini. Nelle notti
d'inverno, nelle notti del sabato, quando i domestici stavano riuniti intorno
al gran fuoco del focolare e narravano fiabe spaventose, mentre fuori urlava
il rovaio nella valle e gli alberi gemevano nei boschi del monte, Maura ascoltava
intenta, gli occhioni spalancati splendenti al riflesso della fiamma, senza
tremare, mentre le serve e Pasqua e Speranza, rabbrividivano di terrore; e
allorchè la fiaba era finita, un sorriso sfiorava il suo bel visino
di rosa, uno strano sorriso.
- Sì! sì! - diceva Francesco, ch'era Logudorese, - nelle montagne
di Nuoro, sapete v'è la tomba di un gigante in cui sta chiuso un gran
tesoro. Ma nessuno la può aprire, perchè è di granito
e si deve "aprire", non "rompere!...". E la grotta in cui
c'è quell'altro tesoro custodito da una piccola dama che fila e tesse
sempre filo e tela d'oro? Ma chi entra in quella grotta deve morir di accidente
entro l'anno!
- Ufh! - rispondeva Maura. - io non ci credo! Son tutte bugie come i racconti
che raccontate. Bugie! Bugie!... - E benchè Francesco mettesse la mano
sul fuoco giurando e spergiurando, essa non ci credeva, - credeva invece alle
geniali e forti leggende che narrava Daniele, il servo del Goceano, sul castello
di Burgos, e i suoi occhi scintillavano di nuovo, ma il sorriso non sfiorava
più il suo viso.
Nelle notti di estate Maura batteva l'orto, correndo all'oscuro e talvolta
varcava persino il cancello che dava sui campi, e andava, andava, gridando
allegramente, in cerca di grilli e di uccelli dormenti che non trovava mai
- Gesummaria! - diceva Annica, la serva piccola, - non teme i morti, nè le
rane, donna Maurella!
- Non si deve temere che Dio! - rispondeva donna Margherita. E lì per
lì coglieva l'occasione per spiegare alle serve e alle due bambine,
rimasto seco al fresco del pergolato, la grandezza e potenza di Dio. Nella
sera rorida e azzurra, mentre le stelle splendevano negli orizzonti di velluto,
la voce serena e sommessa di donna Margherita produceva una forte e benefica
sensazione nell'anima delle serve ignoranti, però Annica continuava
l'indomani a temere i morti e le rane, e Rosa, la serva grande, proseguiva
tranquillamente a far l'amore col suo cugino che non si decideva a sposarla
mai. Perchè, pensavano, in ciò Dio non ci entrava per nulla.
Venuta Lara, Maura non cercò più grilli nè lucciole, non
ci penso più, perchè un altro pensiero la assorbiva tutta, specialmente
di notte. Una domenica chiamò Lara in giardino e le spiegò il
suo pensiero.
- Tu hai ragione! - rispose Lara. E me ne occuperò...
Infatti, la stessa sera, Lara spiegò a donna Margherita come e qualmente
fosse un'indecenza mandar vestite in quel modo le bambine.
Non voleva vestirle alla moda? Poco male, ma almeno permettesse loro le stoffe
chiare e allegre come la loro età! Donna Margherita sulle prime negò il
consenso, che Lara le chiedeva, di confezionare essa i nuovi abitini delle
piccine; poi cedette.
E vennero su i vestitini azzurri, semplicissimi, ma eleganti e perfettamente "chic",
come tutte le altre cose che uscivano di mano di Lara. Fu una vera festa per
le bimbe. Maura pareva impazzisse, e quando la mamma non la vedeva, faceva
capriole e mandava gridi di una allegria mai provata. Finalmente! Finalmente
poteva alzare la testolina bionda ed altera e guardare in viso le compagne
di scuola che non l'avrebbero chiamata più la ricca spilorcia! Finalmente!
Il giorno che indossò la nuova teletta e che Lara la portò seco
a passeggio, Maura compiè una vera marcia trionfale. Batteva forte il
tacco degli stivaletti verniciati sulla polvere dello stradale, mostrando le
sue gambe dalle curve elegantissime, mostrando a tutti le sue gambe dalle curve
elegantissime, mostrando a tutti le sue manine perchè strette in guanti
azzurri, saettando fulmini dagli occhi sulle piccole amiche che incontrava,
di cui indovinava la bile e l'invidia. Il suo trionfo sarebbe stato completo
se donna Margherita avesse acconsentito a lasciarle porre il cappello. Ma in
quanto a ciò, la dama fu inflessibile. No, poi no e mille volte no!
Nessuna donna dei Mannu, all'infuori di Lara costretta dalle usanze del collegio,
- diceva così donna Margherita, - aveva portato il cappello! No; bisognava
conservare il fazzoletto, conservarlo sinchè, fatte grandi, le figlie
di don Salvatore si sarebbero sposate a ricchi avocati, o medici, o che. Allora
sì, il cappello conveniva; ma prima no!
Era quasi l'usanza e si doveva seguire! Era troppo se donna Margherita aveva
abbandonato il suo eterno ideale di vestire per sempre alla sua moda le figlie.
Maura non insistè. Conservò il fazzoletto, pensando che in fine
il suo fazzoletto di seta azzurra a fiorami d'argento se ne infischiava di
certi cappelli.
Rideva col viso in aria, in modo strano, dicendo ciò. Perchè il
cappello di Rosina pareva un fungo; quello di Claretta era probabilmente un
cappello della nonna, tutti lo sospettavano, anzi chiamavano "Nonnina" la
Claretta; quello di Maria, poi, e questo si sapeva di certo, era il cappello
rimpicciolito di una zia, e altri... e altri!... Ohè, non la facessero
parlare: lei ne sapeva di belle! Lei che ci aveva, sì, il fazzoletto,
ma che nello stesso tempo non cessava di essere figlia di don Salvatore Mannu!
VIII.
Venne così l'inverno. Gli affari di Ferragna andavano a voli, tanto
che si era procurato l'odio e le cause di quasi tutti gli avvocati di X***;
si diceva che in pochi mesi aveva guadagnato più di venti mila lire;
ciò non si sapeva di sicuro, però si sapeva che il lusso o lo
sfarzo regnavano nella palazzina bianca e che agli ultimi di novembre Marco
aveva acquistato una "tanca" dai Massari, che vendevano gli ultimi
avanzi del loro patrimonio. Si sussurrò assai in paese per questo; perchè infine
Ferragna era marito di Lara e questa figlia di Sebastiano Mannu; ma Marco fece
tacere le cattive lingue dicendo pubblicamente che lui non entrava punto in
inimicizie, amico di tutti, nemico di nessuno. Fu approvato, Donna Margherita
solo ne mosse rimprovero segreto con suo marito, ma lui strinse le spalle mormorando:
- La "tanca" si vale dieci mila lire e fu ceduta a Marco per seimila:
dunque è stato un buon affare e... salute ai nemici che ci fanno far
buoni affari! - Disse "ci", perchè lui aveva in idea che Marco
e Lara, il più tardi possibile, morrebbe senza figli, lasciando i loro
beni a Maura, Pasqua e Speranza.
La compra della "tanca", poi, allegrò assai don Salvatore.
Ah! i Massari divenivano più miserabili di giorno in giorno, e già don
Salvatore sognava di vederseli innanzi chiedendogli l'elemosina. Ah, quel dì,
quel dì! Come li disprezzava ora! Fra poco non avrebbero più un
pezzo di terra al sole, una lira da spedire ai figli che studiavano a Cagliari,
che pretendevano diventar avvocati, - poveroni e vigliacchi! - e per cui vendevano
a vil prezzo gli ultimi avanzi del loro antico patrimonio! Ma le avrebbero
ben presto spese le sei mila lire di Ferragna, e allora?...
Allora voleva vederli lui, don Salvatore Mannu, quel pezzenti vestiti come
figurini; voleva vederli, senza terre e senza soldi, senza laurea e con la
schiena dura non pieghevole al lavoro. Ah, avrebbero finito col mettersi guardie
daziarie o farsi... preti! Che bella vendetta!
Marco Ferragna la pensava diversamente; pensava che gli studenti di casa Massari
erano due bravi giovanotti che si sarebbero fatti onore... Ah, sì, sì,
specialmente il grande, doveva diventar qualche cosa. Ma Ferragna si guardava
bene dal dirlo davanti a don Salvatore, che l'avrebbe odiato a morte udendolo
parlar così.
Pensava così Marco una trista mattina d'inverno nel suo elegante studio
ben riscaldato da un gran fuoco, quando Lara mandò giù da lui
una domestica pregandolo di salire. Il giovine salì subito. Trovò Lara
accanto al fuoco, pallida e sconvolta.
- Che vuoi? Che hai Lara? - chiese baciandola. - Sei pallida come una morta.
Ti senti male?
- Sì! - rispose lei con voce tremula. - Ti ricordi l'anno scorso a Roma?
Mi sento male, con gli stessi sintomi!...
- Sarà nulla, allora! Vuoi che avvisi un medico?
- Sì! - Il medico venne: Lara fu di nuovo costretta a letto, ove rimase
inchiodata per due o tre settimane. Quando si levò, non era più la
Lara che vi si era coricata, ma uno scheletro vivente di fanciulla, uno stelo
morente ravvolto graziosamente in un abito di casimiro bianco. Il suo viso
e le sue mani parevano di cera, e l'idea di una morte vicina le offuscava i
grandi occhi neri e profondi...
Ah, sì! Glielo avevano ben maledetto le ragazze di X***, e forse anche
quelle di Sassari il grande amore di Marco, e quell'amore la uccideva! Era
quell'amore che le aveva consumato il sangue, che le rapiva; perchè non
procurava alcun dolore fisico, solo una stanchezza strana, uno spegnersi lento,
voluttuoso, fra le braccia del suo diletto. Lara moriva sorridendo: che le
importava morire, se Marco le stava vicino, morire con gli occhi fissi in quelli
di lui, le mani fra quelle di lui? Moriva e non si lagnava, perchè sapeva
vagamente che Marco soffriva più di lei a morire. A poco a poco la fanciulla
aveva perduta la percezione delle cose che la circondavano: la sua casa, i
suoi parenti, il passato, l'avvenire le si aggiravano intono silenziosamente,
come libellule dal volto vellutato, come le tinte vaghe, degradanti sullo sfondo
di un quadro; solo Marco restava distinto, profilato negli ultimi barlumi della
sua vita, solo la voce del giovane adorato riusciva a scuoterla dal suo voluttuoso
torpore, solo i suoi baci ardenti le davano un fremito per il sangue morente.
Sui primi di aprile, perchè la malattia di Lara durò tutto l'inverno
e invano Marco aveva messo in opera ogni mezzo per salvarla, parve rialzarsi
alquanto, scese in giardino, visitò la zia e promise a Maura di condurla
a passeggio la domenica seguente.
Ma fu l'ultimo sprazzo di luce della sua vita; ricadde subito e morì una
sera di aprile, vestita di bianco, fra le braccia di Marco, davanti al verone
spalancato.
Fuori il cielo sorrideva d'oro e d'ambra nel fulgido crepuscolo di primavera,
la valle verde olezzava di giunchiglie e ginestre sotto l'ombra della montagna
di granito disegnata sul fondo di smeraldo dell'oriente, e nel giardino di
Lara le lille fiorite fremevano alla brezza azzurra della sera... sulle prime
a Marco sembrò un sogno, un orribile sogno; ma quando si convinse della
realtà, quando Lara fu portata via nella cassa di pino foderata di damasco
azzurro, e la casa che aveva eretto apposta per lei, rimase vuota, desolata,
come l'ajuola senza il fiore, Marco cadde in un dolore profondo, muto, furibondo,
maledicendo l'inesorabile Dio in cui pure non credeva, che l'aveva colpito
con la sua folgore, lui che non aveva mai peccato, lui che amava e beneficava
il prossimo, lui ch'era l'essere più giusto e più buono del mondo!
Lasciò X*** e i luoghi dove aveva vissuto con Lara, la casa che ad ogni
momento gli ricordava una felicità irrevocabile, e andò ù,
in cerca di oblio, in cerca di pace e di calma. Col tempo il suo dolore si
lenì; trovò la calma, benchè triste e senza alcun sorriso;
ma a un tratto fu invaso dal desiderio di ritornare laggiù, in quel
lembo sconosciuto di terra dove era stato sì felice, nella casa dove "lei" era
morta.
E ritornò!... solo chi ritorna dopo alcun tempo al nido ove conobbe
e lasciò per sempre la felicità, può immaginare ciò che
Marco provò al rientrare nella casa dove aveva creduto di vivere una
felicità eterna. Ormai il focolare era spento e il freddo della solitudine
regnava tra i velluti e i gingilli accarezzati dalla mano di Lara; pure Marco
restò, deciso di vivervi il resto dei suoi giorni, rinchiuso nella voluttà dei
ricordi e del lavoro, spronato nella via del bene dalla mite e bianca visione
che gli si aggirava intorno, nella penombra dorata delle stanze silenziose,
nell'azzurro del cielo che scorgeva dal verone donde Lara era voltata tra il
fogliame e fiori di raso delle lille del giardino. E poi altri affetti lo legavano
a X***. Là, nella sua patria, la famiglia lo disprezzava sempre, qui
invece Marco conservava una famiglia di amici e i parenti di Lara.
Una sera d'inverno, mentre stava accanto al fuoco, solo nella vasta camera
solitaria, immerso nei suoi ricordi, una figurina nera, piccola, dai grandi
occhi pensosi, aprì la porta e gli si accostò leggera leggera,
fermandosi ritta dietro la sua sedia. Marco non si accorse di lei se non quando
si sentì chiamare: - Zio Marco!...
- Sei tu, Maura! - esclamò volgendosi. - Vieni a visitarmi? Ah, non
ci vieni spesso ora, non, come prima!...
- Credevo che tu non volessi...
- Io! Ah, sì, io, proprio... - rispose Marco, serio, serio, come stesse
parlando fra sè.
- E dunque, vuoi, davvero?... - chiese Maura allegra, chinando la sua testolina
davanti a Marco, che chiamava zio. - Ah, se tu lo vuoi, verrò sempre,
sempre, aiuterò la tua serva a mettere in ordine la casa, e... ma tu
pure bisogna che mi permetta una cosa... Sai, io voleva farla senza chiedertene
il permesso, ma mammà mi ha detto: - Va prima e domanda a Marco se ciò non
gli reca dispiacere. Son venuta per ciò... sai... Ahi, che freddo che
fa fuor... altrimenti non sarei uscita; ma son venuta per ciò, sai...
- Che cosa dunque?... - domandò Marco, che si divertiva assai nel sentire
il chiacchierio di quella furba e graziosa piccina.
Maura riprese: - Ah, ma mi assicuri che non ti dispiacerà, non è vero?...
- Sicuro, parla! - rispos'egli.
Allora Maura, da brava diplomatica, pensò che due carezze l'aiuterebbero
di più. Sicchè passò davanti a Marco e, gli passò le
manine sulle guance pallide, gli arricciò i baffetti, come usava fare
con don Salvatore, allorchè voleva chiedergli qualche grazia, e gli
disse lentamente: - sai, Maura è un brutto nome e vorrei cambiarlo.
Vuoi permettermi di chiamarmi Lara?...
Marco trasalì, poi sorrise al pensare allo strano scrupolo di donna
Margherita, e dando un abbraccio alla bambina, esclamò: Ma sì!
ma sì! ma sì!... Vuoi darmi un bacio?
Maura, contentona, gli gettò le braccia al collo e Marco, preso da un
istintivo bisogno di affetto, se la prese sulle ginocchia e chiacchierò con
lei per tutta la sera, come un bambino, raccontandole mille storielle e pensando
ogni tanto: - Ah, se Lara mi avesse almeno lasciato un figlio!...
IX.
Qui finisce il prologo e comincia la prima parte della nostra storia. Sei
anni erano trascorsi dalla sera in cui Marco Ferragna, con in grembo la piccola
Maura, aveva esclamato: Ah, se Lara mi avesse almeno lasciato un figlio!...
Nulla pareva cambiato a X***, ma molte trasformazioni erano avvenute, a poco
a poco, lente, insinuandosi, senza che niuno se ne fosse accorto. - Marco Ferragna,
per esempio, era diventato uno dei più ricchi possidenti della piccola
città, tanto che ora gli occhi delle più belle e nobili fanciulle
erano rivolti a lui. E lui lo sapeva, ma, nonchè compiacersene, ne provava
disgusto. La memoria di Lara, a furia d'anni, era diventata vaga, mite, serena
in lui, - il dolore sfumava lentamente dal suo cuore come una triste immagine
che si allontana, a poco a poco e svanisce nell'orizzonte nebbioso: ma Marco
non pensava più di ritornare giovane; si credeva vecchio, diceva che
la sua vita era vissuta, i suoi sogni volati con Lara, le sue speranze svaporate
coll'ultimo crepuscolo dell'esistenza di lei, e che ormai la sua meta consisteva
nell'attendere una vecchiaia serena, onorata, vicina... si credeva vecchio,
oh, sì, molto vecchio, perchè i suoi trent'anni erano suonati
da molto; ma in realtà era ancora giovine: la sua voce rimaneva la stessa,
sonora cara, vibrata, ed era il fascino degli amici, dei giudici, delle signorine;
i suoi occhi splendevano sempre e niun capello d'argento si scorgeva nella
sua testa: solo un pallore malinconico velava il suo volto, dandole un'aria
attempata, ma più interessante e seria di quella che possedeva dieci
anni prima. Era come la sua palazzina, che la tinta del tempo e la polvere
sollevata dal vento della valle avevano reso meno gaia, ma più pittoresca
e seria. Ah, sì, don Salvatore l'aveva detto: anche la sorridente palazzina
aveva preso un aspetto di dolce tristezza dopo la morte di Lara.
E Speranza, la piccina dei Mannu, moriva un anno dopo di Lara: donna Margherita,
oppressa dal dolore, era diventata più magra, più bianca e più malinconica;
ma il marito, al contrario passato il primo affanno, convinto che Speranza
pregava lassù per tutti, ingrassava sempre più, e il suo volto
simpatico, lucente si imporporava con gli anni, mentre tra i suoi capelli comparivano
i primi fiocchi di neve della vecchiaia. Che importava ciò? Un giorno
gli avevan detto che sembrava davvero un cavaliere medioevale: ciò senza
dubbio; era uno scherzo; era uno scherzo, perchè, alla fine don Chisciotte
venne dipinto orribilmente pallido e magro: ma don Salvatore non aveva mai
visto nè conosciuto il cavaliere dalla trista figura, sicchè in
buona fede, si credeva realmente il tipo dei cavalieri antichi e, rimanendo
contento del suo essere, procurava di impinguare a misura che anche il suo
patrimonio ingrossava. E questo ingrossava, e come!... S'ingrossava tanto,
che diceva fra poco essere tutta X*** di don Salvatore e di Marco Ferragna;
ma nessuno degli uomini giovani ne provava invidia, perchè... perchè Maura
e Pasqua crescevano, e chissà!... era così bello sperare!...
Infatti, quando le due fanciulle passavano, sottili. Eteree, eleganti nei loro
semplici vestiti, gli sguardi si fissavano su loro, le distinguevano tra la
folla, le seguivano, e, sparite loro, quegli sguardi vagavano ancora, lontani,
lontani, attraverso le "tancas" immense e verdeggianti che dovevano
un giorno ereditare. - Credete altrimenti che le avessero guardate le due fanciulle?
- Io credo di no, molto più che non avevano nulla di interessante, molto
più che sembravano ancora bambine, tanto erano sottili e piccine, benchè l'una
avesse diciassette e l'altra quattordici anni.
Appunto perchè si calcolava esservi molto tempo innanzi, nessun pretendente
era presentato in casa Mannu: solo un vecchio ufficiale in cerca di dote aveva
chiesto Maura, senza neanche quasi conoscerla; ma don Salvatore per poco non
gli aveva riso in faccia: - Che! che! Lara, (così Maura si faceva chiamare)
non lo si vedeva dunque, perdio? era una bimba... non le mancava altro che
un marito, già!...
L'ufficiale fu mandato a spasso coi suoi cinquant'anni; in casa Mannu si rise
assai alle sue spalle; ma questa prima domanda mise una tinta pensosa nei grandi
occhi oscuri della fanciulla, che da quel giorno cessò definitivamente
di correre in giardino in cerca di lucciole e non provò più alcuna
ripugnanza nel portar l'abito lungo.
Allora Lara aveva sedici anni: non sedeva più sulle ginocchia di Marco,
nè lo baciava più; però in fondo in fondo restava un po'
bimba e molto capricciosa...
Sempre esile sottile, bianca, i suoi capelli s'erano oscurati, da biondi diventando
castani, la bocca le si era ingrandita, con le labbra rosse carnose rosse come
ciliegie, che spiccavano sul fondo pallido del volto naturalmente mesto.
In somma, contrariamente a ciò che prometteva il suo bel volto di bambina,
Lara non era bella, no, niente affatto, e le lo sapeva, ma non se ne curava,
e allorchè faceva teletta davanti allo specchio, sorrideva stranamente
guardandosi gli occhi. No, non era bella lei, il suo volto pallido non possedeva
nulla di straordinario, ma i suoi occhi... i suoi occhi!... Ah, chi non ricorda,
chi non ammira ancora a X*** gli occhi di Maura Mannu? I suoi grandi occhi
bruni sfavillanti di pensieri, gli occhi che parlano prima del labbro, i suoi
occhi che ne fanno una delle più belle ed ammirate signore, ora che
la ponevano nel numero delle più belle fanciulle, allora?... Gli occhi
di Lara attiravano come la voce di Marco Ferragna e gli occhi di Lara andavano
e venivano nella conversazione dei giovinotti di X***. Nel resto della fisionomia
s'assomigliava moltissimo alla cugina morta e perciò Ferragna aveva
una particolare propensione per lei e l'amava come una figlia.
L'altra, Pasqua, sì ch'era bella! Non si badava tanto a lei, perchè,
come dicemmo, sembrava bambina co' suoi quattordici anni e l'abito corto, ma
un fine osservatore, una sera, in un crocchio, aveva pronosticato che se Pasqua
cresceva, qualcuno doveva certo impazzire. Essa conservava i capelli biondi,
un'onda d'oro sovra il viso di rosa, il profili di madonnina e gli occhi biondi
essi pure, cioè di un grigio nocciuola con lampi aurei sereni, da santa,
meno belli di quella di Lara, ma sempre belli. E, come nel fisico, differivano
nel morale le due fanciulle: Lara si mostrava allegra, d'un'allegria chiassosa,
invadente, in certi momenti anche insolente, aveva arie da gran signora, sorrideva
a tutti, ma come concedendo una grazia col suo sorriso, non mostrava alcuna
meraviglia anche davanti alle cose e ai casi più stupefacenti; non un
lampo di invidia, di superbia: odiava i pettegolezzi, deridendo la vita di
X***, le piccole miserie i costumi e le passioni della gente ignorante, si
mostrava infine superiore, spregiudicata e senza pensieri; in fondo era il
pessimismo in persona, piangeva sulle miserie altrui e scontentissima della
sua vita monotona, oscura, senza scopo, aveva sogni di fuoco mentre la noia
e la tristezza le rodevano le viscere, le ammalavano l'anima nei lunghi giorni
silenziosi della sua casa, che lei chiamava "casa di campagna". Ma
si guardava bene dallo spiegare i suoi veri sentimenti; essa temeva sempre
per sua madre, e suo padre non avrebbe più potuto capirla. Del resto
non aveva amiche, non compagne con cui confidarsi: e i suoi sogni, le sue aspirazioni,
le sue fantasie restavano represse nel cuore, in cui lamentavano, senza aria
e senza luce, in cui destavano una cupa tristezza.
Rimanevano a Lara la sorella e il vecchio suo amico Ferragna; ma ora questo
non contava più: Lara lo annoverava fra i parenti, cioè fra la
gente a cui meno lei si affidava, e Pasqua era troppo piccola. Lara giocava
e saltava insieme a lei, ma non le spiegava punto ciò che provava in
cuore, cioè una smania di moto, un bisogno di aria, di affetti, di sorrisi
d'amiche, una voglia pazza di mostrare a tutti, a furia di vestiti e di lusso
domestico, le loro ricchezze, una strana manìa di far del bene a tutti,
di sollevare tutti i poveri di X*** e di farsi amare da tutti... - A che? Pasqua
non si sarebbe commossa: la sua piccola anima era rosea come il suo volto:
lei non aveva sogni, non aspirazioni, nulla, sembrava sempre mesta accanto
a Lara, che rideva sempre per mostrarsi felice e che s'importava di tutti,
ma nel segreto del suo coricino la piccola bionda madonnina era più contenta
ed allegra di quel demonio di Lara. Ah, sì, proprio un demonio! E così l'avevano
resa i libri che pigliava dalla biblioteca di Marco Ferragna, i libri che leggeva
all'insaputa di tutti i libri buoni e maledetti che l'avevano istruita e fatta
pessimista, - così l'aveva resa l'educazione impartitale da donna Margherita.
Quell'educazione la costringeva a mostrarsi devota, pia, allegra e contenta
del suo stato; quei libri invece la rendevano scettica, sentimentale, superba,
con idee sociali nella sua anima di bimba, con aspirazioni di artista e di
gran dama nella sua famiglia ove l'arte era sconosciuta, ove il lusso era bandito
inesorabilmente: - quei libri la rendevano realmente superiore alle piccole
miserie della vita di provincia ma le davano una strana melanconia al pensare
che pur era giocoforza vivere per sempre fra quelle piccole miserie. L'educazione
ricevuta non permetteva a Lara di dichiarare i suoi veri sentimenti e vivere
fra essi e con essi, i suoi grandi e sublimi sentimenti: e così, repressi,
nascosti, alimentati dal segreto, rendevano triste, pessimista, sentimentale
la piccola Lara, che pure pareva la gioia in persona...
X.
A diciassette anni Lara, non aveva ancora ricevuto alcuna dichiarazione d'amore,
quindi non aveva ancora amato, ma nel suo cuore ella lo sentiva, sì,
il presentimento di un amore vicino, di un prossimo cambiamento di stato: ciò era
il suo sogno, l'unica sua speranza, il solo conforto che sentiva di avere nella
noia della vasta casa paterna, bruna, fredda, desolata la casa che lei istintivamente
adorava e che pure avrebbe voluto abbandonare per amarla vieppiù da
lontano.
E aspettava! Che cosa aspettava? Ah, voi lo sapete tutte, mie piccole lettrici
di sedici anni, ciò che Lara aspettava. Aspettava un giovine bello,
ricco, laureato, come Marco Ferragna dieci anni prima, che la chiedesse in
isposa e la portasse via in una grande città tutta teatri, musica, vita
e rumore, in un appartamento ben mobiliato alla moderna, - un giovane che la
rendesse realmente dama, col velo bianco sui capelli bruni e gli occhioni belli,
e lo strascico sul vestito di seta, un bel giovine con gli occhialetti montati
in oro, la barba bionda elegante all'Enrico IV, alto, istruito, che la amasse
poi, tanto, tanto! - Se volete, Lara rideva del suo ideale e della sua idea,
perchè aveva letto in un celebre libro che tutte le fanciulle da marito
provano un istintivo bisogno di dire: come sono infelice! - e lei, credendosi
superiore alle altre, non voleva che la sua abituale tristezza provenisse appunto
dal continuo pensare a questo futuro signor marito, ne rideva assai, ma di
un riso strano, e spesso interrompeva a mezzo un bel sogno d'amore esclamando:
- Che ignorante che sono! - e si proponeva di non pensarci più; ma non
passava un'ora, che il sogno ricominciava e l'ideale tornava a sorriderle nel
pensiero, a farle scordare il suo presente annuoiato e monotono.
Ma come si fa, come si fa a non sognare l'amore allorchè si è fanciulle,
per quanto istruite e superiori alle altre? Si può forse vincere l'istinto,
il carattere, la natura delle cose? Come poteva Lara resistere ai sogni allorchè si
trovava sola sola per ore intere accanto alla finestra, ricamando o facendo
la calzetta, davanti al cielo azzurro e sereno, davanti alla valle, alle montagne
olezzanti nel silenzio verde della solitudine primaverile mentre tutto, i fiori,
gli uccelletti, il cielo, parlava di amore e di speranza? Come non sognare
nelle notti cupe di inverno quando fuori urlava la procella e dentro il gran
fuoco crepitava nel camino nero e i servi narravano le forti leggende della
montagne di Barbagia e di Gallura, tutte dame, fate e cavalieri? Come non sognare
nei crepuscoli di smeraldo di autunno o nelle notti azzurre di estate, quando
sui cieli d'ambra, nella lontananza misteriosa e profumata, saliva un canto
d'amore, triste, appassionato, ora alto e fremente e vicino come lo scoccare
di un bacio di fuoco fra quattro labbra di rosa, ora lontano, vagante, indistinto
come un sussurrìo di parole arcane, misteriose, di cui non si piò cogliere
il significato e che pure fanno battere il cuore e splendere gli occhi attraverso
le ciglia abbassate? Come, come non sognare?... e Lara rideva de' suoi sogni,
eppure vi si abbandonava con intensa voluttà!... Sognava sempre nel
crepuscolo di rosa nel meriggio di oro, vagante fra i roseti dell'orto e l'erba
delle campagne, sdraiata sulla panchina di pietra sotto i pergolati, mentre
le cantine scintillavano d'oro al sole, e le foglie della vite si disegnavano
come arabeschi di seta verde sullo sfondo di una splendida volta azzurra, sul
davanzale della sua finestra, nell'oscurità notturna della sua camera
e nello splendore delle campagne inondate di luce, sognava sempre e attendeva.
Ma i giorni, i mesi passavano, l'uno eguale all'altro, monotoni, tranquilli,
silenziosi, e l'ideale di Lara restava ancora nello stato di larva e il suo
sogno non si avverava; ma la fanciulla non ne provava alcun dolore, perchè sperava
fermamente sulla potenza dei suoi begli occhi affascinanti e soprattutto "tanche" e
i marenghi di don Salvatore, marenghi ben chiusi e custoditi ma che lei pensava
di far correre e volare in bei vestiti da sposa e nel corredo regale che si
sarebbe fatto, corredo mai più visto a X***, superiore a quello della
morta cugina Lara Ferragna... - Tutto Lara prevedeva; superbi progetti fermentavano
nella sua mente, idee di lusso e di amore confuse insieme, ma lo sposo non
arrivava ancora!...
Talvolta Lara provava uno strano dispetto contro i giovani e ricchi signori
di X*** che non si degnavano di amarla, lei così ricca, benchè non
tanto bella, e si proponeva di maritarsi con un signore straniero e di disprezzare
in eterno i damerini suoi compatrioti. Come e dove trovare questo straniero
non lo sapeva ancora ma ci avrebbe pensato poi. E i suoi disegni si allargavano,
si spandevano; da schizzi diventavano acquerelli, da miniature si trasformavano
in grandi quadri: non era più un appartamento che Lara voleva, no, ma
un vero e autentico palazzo con le corrispondenti carrozze, cameriere e livree,
e lui... un conte o magari marchese... Perchè no? mancano forse conti
o marchesi nel mondo?
- Che pazza! Che pazza che sono! - esclamava Lara stiracchiando le braccia
al di sopra della testa, dopo una lunga passeggiata nella carrozza della sua
fantasia. - Sono proprio pazza!...
Rideva col suo solito risolino scettico, strano, che le squarciava le labbra
rosse e carnose in cui pareva si fosse riunito il sangue del suo corpicino
bianco; stirava anche i piedini sempre ben calzati, si guardava attorno, rudemente,
volendo esser richiamata alla realtà dalla modestia della camera bianca
e severa; poi correva via, andava in giardino e faceva il chiasso con Pasqua,
quasi avesse voluto affogare nella spensieratezza infantile la malinconia di
un pensiero fisso, tristo e sconfortante.
La domanda del vecchio ufficiale divertì assai Lara: in fondo in fondo
ne provò un acre disgusto, una pessima delusione, perchè invero
l'ufficiale non aveva nulla che fare col suo ideale; ma poi questo incidente
la confortò e la mise sopra pensiero. Se la chiedeva in isposa, significava
che non era più considerata come bambina, ma come donna. "Ergo..." bisognava
adottare l'abito lungo, non giocare più con le piccine e aspettare con
più forte e ben profilata speranza, fidando nell'avvenire...
E l'avvenire venne, il triste, terribile avvenire, con le prime delusioni,
con la sferza che sprezza i sogni e coi sogni i cuori.
Quell'anno Lara cadde ammalata: donna Margherita, che, come dicemmo, adorava
le figlie benchè loro nol dimostrasse, promise di far la novena a Nostra
Signora della Neve, purchè Lara guarisse: i medici invece consigliarono
di condurla ai bagni di mare se realmente la si voleva guarita, e i bagni furono
fissati prima della novena. - Si chiacchierò a lungo quali bagni si
dovevano adottare, o quelli di Cagliari o di Alghero, oppure quelli di Gonone,
nè si sapeva quali scegliere, allorchè, interpellato Ferragna,
questi propose i bagni quasi sconosciuti di una piccola rada al nord-est dell'isola,
vicini ad un villaggio di cui ora mi sfugge il nome. - Là, - disse Marco,
- il caldo non è asfissiante, come negli altri bagni, il sito è pittoresco,
tranquillo, perchè solo due o tre famiglie possono a volta a volta abitare
nel microscopico stabilimento eretto in riva la mare. Là la nostra piccina
(così chiama Lara) che è di carattere romantico e nervoso, si
ristabilirà più presto fra il silenzio e la poesia della costa
veramente bella. - Non è vero, mia piccola Lara, - chiese Marco alla
fanciulla, - che sari più contenta di andare là che a Cagliari?
- Se fosse stata sana, Lara avrebbe certo preferito mille volte Cagliari; ma
nella spossatezza languida della convalescenza le arrise più l'azzurro
della marina silenziosa descritta dal Ferragna e rispose di sì. - Brava!
- riprese Marco, - vedrai che me ne sarai grata. Guarirai e ti divertirai assai.
Lara sorrise e gli stese la mano in segno di ringraziamento, perchè in
verità ella voleva guarire ad ogni costo. Marco però l'abbracciò e
la baciò in fronte. Da molto non la baciava più, sicchè lei
parve offendersene e diventò rossa.
Marco se ne accorse, non disse nulla, ma pensò che invero non conveniva
baciare una ragazza di diciasette anni, per quanto la si sia baciata da bambina,
e si propose di non più farlo. Però quel giorno solo sembrò accorgersi
che Lara era ben cresciuta; sino a quel giorno l'aveva considerata ancora bambina,
ma allora si avvide che da bambina Lara erasi fatta una vezzosa fanciulla e
l'esaminò curiosamente come una nuova conoscenza. Ad un tratto trasalì e
una nube gli passo negli occhi; notava la forte rassomiglianza resa più grande
dallo stato in cui la fanciulla si trovava. Sì, così, nel suo
vestito di "cretonne" quasi bianco, nel pallore del volto e nel languido
abbandono delle manine di cera sulle ginocchia dimagrite, Lara pareva la cugina
morta, allorchè languiva nella sua malattia. Marco non si stancava di
guardarla; trovava la stessa espressione negli occhi grandi e pensosi, la stessa
tinta di carnagione diafana, cerea, le stesse forme sottili, delicate, quasi
la stessa fisionomia. Solo la bocca e i capelli differivano assai, ma questa
differenza sfumava nell'insieme. Marco ne fu così sorpreso, che non
potè a meno di dirlo a voce alta. - Che? - esclamò Lara con un
pallido sorriso, - non te ne eri accorto? Eppure lo dicono tutti e anche tu
mille volte mi hai detto che mi amavi assai perchè mi chiamavo Lara
e rassomigliavo molto a "lei".
- È vero! - rispose Marco confuso. - Però non mi pareva così grande
la rassomiglianza, prima di oggi...
Quella sera Ferragna fu molto nervoso: pensava alla morta Lara con una intensità di
ricordi quali da molto tempo non venivano più nel suo cuore che lui
diceva"vecchio!".
XI.
Otto giorni dopo, don Salvatore, Lara, Pasqua e una grossa domestica portata
a X***, essendo donna Margherita rimasta per custodire la casa, si trovavano
ai bagni scoperti da Marco, in due belle stanze dello stabilimentino in riva
al mare.
Sino al momento dell'arrivo i Mannu avevano creduto che quel luogo benedetto
fosse stato davvero scoperto da Marco; figuratevi dunque la loro sorpresa allorchè vi
trovarono un'altra famiglia di X*** che li aveva preceduti di due o tre giorni!
Anche i primi arrivati si meravigliarono assai nel veder arrivare i Mannu;
ma passata la prima sorpresa, tutti furono contenti dell'incontro e benchè a
X*** non avessero alcuna relazione, qui legarono subito amicizia cordiale ed
affettuosa, e s'intesero assai bene, perchè si rassomigliavano; era
la famiglia di un piccolo proprietario venuta ai bagni apposta per una ragazza
dell'età di Lara, malata della stessa malattia. Don Salvatore si accordò col
padre, Pasqua con le tre bambine piccole, e Lara con la grande chiamata Mariarosa,
con la quale diventò subito intima amica.
Si disse che gli estremi si toccano, ed è vero. Mariarosa e Lara non
avevano alcun gusto, alcuna idea, alcuna indole comune; eppure sin dal primo
giorno si amarono come sorelle. Mariarosa, anch'essa gran leggitrice di romanzi,
benchè non perfettamente istruita, non si rattristava mai e ami nascondeva
i suoi sentimenti di ragazza allegra, non sognava cose stravaganti e impossibili
come Lara, pigliava sul serio la sua piccola vita e non correva colla fantasia
al di là dell'orizzonte della esistenza concessagli da Dio, contenta
del suo stato e della sua bellezza di rossa. Sì, aveva rossi i capelli,
la carnagione, gli occhi, le labbra e, per uno strano gusto, anche il vestito
che si adattava benissimo al suo personale sviluppato, alto e naturalmente
elegante. Sana, Mariarosa doveva avere una forza erculea, e Lara la amava di
più perciò, sembrandole di essere protetta e difesa da lei in
caso di bisogno. E Mariarosa, godendo della fiducia di Lara, prese subito verso
di lei, un'aria di protettrice, chiamandola "mia piccola amica",
il che divertiva assai la pallida fanciulla.
Come Marco aveva detto, il sito era stranamente bello; davanti il mare azzurro,
confuso in lontananza col cielo d'oro in un bacio soave, bianco, vellutato;
dietro una pianura incolta, verdeggiante d'eriche, di lentischi, di felci,
qua e là seminata da gruppi di massi muscosi, coperti di liane e di
rovi pittoreschi, che al chiaro di luna parevano avanzi di altari druidici;
poi in lontananza montagne azzurre, bianche, violacee, e altre montagne ancora
nereggianti sullo sfondo smeraldino del cielo, le creste frastagliate, le cime
in forma di castelli rovinati, chiazzati di boschi, che cambiavano di tinta
ad ogni riflesso di luce, ad ogni effetto d'ombra, azzurre la mattina, grigie
al meriggio, color di rosa e viola al crepuscolo, bianche nelle notti di luna,
nere nelle sere oscure.
In riva al mare s'ergeva il piccolo stabilimento, tanto vicino alla costa,
che in inverno le onde sbattevano ai suoi piedi; vecchio stabilimento annerito
dal tempo, eretto da un originale signore di Gallura e da allora appartenente
ad un proprietario di Sassari, che ne traeva bel guadagno affittando ai bagnanti
le camere ad una lira il dì.
Sicchè non erano più due o tre famiglie quelle che lo abitavano,
ma sei o sette, due od una stanza per famiglia, tutta gente del nord dell'isola,
benestante, tranquilla e poco rumorosa.
Nello stabilimento non v'era sala comune con pianoforte, ecc., come nei luoghi
cristiani; quindi nè balli, nè divertimenti; la sala comune era
la spiaggia, ove i bagnanti si radunavano nelle ore fresche del giorno; del
resto, ognuno faceva i suoi affari, ognuno si bagnava a suo piacere nel libero
mare.
Lara, che aveva letto ben altre descrizioni di bagni, che credeva trovare le
signore con apposite telette da spiaggia, provò sulle prime un po' di
disgusto, poi... si strinse nelle spalle e sorrise col suo solito sorriso scettico,
di ragazza malata, che non prova alcuna profonda impressione, e si abbandonò alla
voluttà dell'azzurro, del bagno tiepido preso fra due scogli, a fior
d'acqua, nelle onde chiazzate d'oro e di zaffiro dal sole.
Rimaneva lunghe ore così; immobile, muta, gli occhi semichiusi, nuotanti
nell'orizzonte cerulo, tranquillo, le narici spalancate ai profumi delle alghe
e delle felci marine olezzanti, fra gli scogli violacei, immersa in una arcana
voluttà di riposo, di sonnolenza e di visioni. Oh, care visioni!...
Isole belle, fiorenti, coperte di passiflore e di giunchiglie, le coste d'oro
e gli alberi di smeraldo vagano nelle lontananze infinite del mare, e fra il
verde e l'azzurro, piccole case di porcellana lattea dai veroni di corallo,
dai terrazzi con le balaustrate di filigrana d'argento, e dentro lei, Lara,
fatta piccina piccina dalla malattia, bianca, rosea, bionda, e lui, ancora
indistinto, ancora vago e tremolante come quelle isole fantastiche. Là indietro,
invece, sulle montagne rocciose, Lara vedeva castelli neri, forti manieri dagli
spaldi tappezzati d'ellera, i merli corrosi dal tempo, le sale piene d'arazzi
e di trovadori dai mantelli di velluto e il castellano biondo, alto, gentile
che si pigliava sulle ginocchia la piccola castellana, bruna, vestita di broccato
(un costume che Lara aveva visto indosso ad Agnese Sorel non ricordava bene
se dipinto o in realtà), e baciandola forte forte sulle labbra rosse,
dall'alto dei ballatoi di marmo le narrava la storia romanzesca del Cid spagnuolo,
mentre il crepuscolo moriva nel mare di rosa, scivolando giù per le
montagne azzurre, e il liuto vibrava nell'interno del castello. Nella piccola
castellana, Lara riconosceva se stessa, ma non riusciva mai ad afferrare la
fisionomia di lui: lo vedeva biondo, alto, gentile, ma il resto sfuggiva alla
sua fantasia, si velava fra le tinte azzurrine del crepuscolo di montagna.
Uscita dal bagno, Lara non sognava più, no, Dio mio; ella vedeva bene
che nel mare non v'erano isole, nè castelli sui monti, e scoteva la
testa; poi, prendendo il braccio di Mariarosa, vagavano insieme per la riva,
battendo la pianura in cerca di fiori rossi, attraverso le eriche e i massi,
ridendo come pazze e sparlando orribilmente degli altri bagnanti. Mariarosa
fu la prima a ristabilirsi compiutamente in salute: Lara pure guarì,
ma le rimase una sfumatura di convalescenza nella personcina stanca delicata
e nel viso bianco dimagrito.
L'aria marina le faceva bene, ma ciò che veramente la aiutava a ristabilirsi,
era Mariarosa. Sì, signori miei, Lara aveva trovato un'amica finalmente;
- l'ideale che sognava prima di sognare l'altro ideale... maschile; - l'aveva
trovata conforme ai suoi desideri, forte, bionda, allegra, leggitrice di romanzi,
gran chiacchierone, gran birichina..., e si sentiva talmente felice presso
Mariarosa, che con lei ritornava bambina, spensierata, umana, - ritornava sana
fisicamente e moralmente. Dopo una settimana divennero indivisibili; le si
vedeva da mattina a sera sempre insieme, sole, lontane da tutti, ridendo a
bocca spalancata nel sole della pianura, o sedute sugli scogli, chiacchierando
tranquille nel vespero tranquillo e soave come loro.
Un giorno, Lara sentendosi abbastanza forte, decisero di fare una lunga escursione
al nord della pianura, inoltrandosi sino al piede dei monti.
- Ci figureremo d'essere in Africa, - disse Mariarosa, - in cerca del Nilo...
- No, - disse Lara sorridendo, - il Nilo è bello e trovato; sono le
sue sorgenti che si cercano ancora, il che è troppo per noi. Se dài
retta a me, staremo invece attraversando le lande russe...
- Attraversiamo le lande russe!... - rispose Mariarosa. - Per me è lo
stesso...
- Ci sono i lupi... - proseguì Lara, - ma poco importa, i lupi non si
muoveranno punto. Io mi chiamerò Vanda, e tu Sergio. Va bene così?
- Benissimo!
- Quei monti là, - riprese Lara, additando con serietà le montagne,
- sono gli Urali: la steppa si stende innanzi a noi, i lupi urlano nella notte
oscura... Avanti avanti! Sferzeremo i lupi con il "knout" come vili
assassini se ci assalteranno, sfideremo il "kamasin".
- Che cosa, che cosa? - fece l'altra, tendendo le orecchie.
- Il "kamasin", il vento della steppa...
- Facciamo una cosa, - esclamò Mariarosa sbalordita, - restiamo piuttosto
in Sardegna, tanto più se saremo di ritorno fra un'ora...
- Ah, è vero! Restiamo in Sardegna!
Si misero in cammino, ridendo delle loro fantasticherie, e avevano fatto un
bel pezzo di strada, allorchè si accorsero di non esser sole. Pasqua
e le tre sorelline di Mariarosa che avevano assistito al loro discorso geografico,
invasate esse pure dalla mania dei viaggi, le avevano seguite, in lontananza,
tutte e quattro in fila, a braccetto, ridendo fra loro del tiro che facevano
alle due "grandi" che non volevano mai essere accompagnate, le streghe
solitarie!... Infatti, quando Lara e Mariarosa si accorsero del seguito, cessarono
di ridere, si irritarono, volevano tornare indietro, anzi Mariarosa diede un
solenne scapaccione a Genia, la più grande delle due sorelline, che
pareva fosse quella che aveva organizzato la spedizione segreta. Per un momento
la pianura risonò di grida e di alti lai, ma a poco a poco, l'incidente
parve esaurito e si riprese il viaggio con tanto di muso da una parte e dall'altra.
Lara e Mariarosa andavano innanzi sparlando del seguito, e il seguito veniva
dietro, sempre in fila, sempre a braccetto, ma muto, quasi pentito dell'escursione.
I monti Urali erano del tutto scomparsi dalla mente della carovana, pure si
andava avanti, sempre avanti, verso l'ignoto, di macchia in macchia, di masso
in masso, i capelli alla forte brezza del mare e i piedi già stanchi
di camminare sui sassolini e la rena pungente.
Il sole ea tramontato; le montagne parevano raffreddarsi, sfumandosi le loro
tinte di fuoco, le cime velate dalle nebbie fulgide del tramonto, mentre il
mare fremeva sugli scogli con onde di latte e di sangue a venature d'oro; ma
la nostra compagnia viaggiava ancora, nè un lupo era apparso all'orizzonte,
nè il vento sollevava la sabbia, allorchè accadde un fatto naturalissimo,
che pure mise lo scompiglio come se si fosse visto il lupo o sentito il vento.
Benchè si cercasse di dare le spalle al mare e di andare verso i monti,
la scogliera riappariva ogni tanto, e il mare non si allontanava mai. Ora Genia,
chinandosi su uno scoglio per staccare una conchiglia, aveva fatto un magnifico
capitombolo e s'era ferita alla fronte. Povera piccina! La disgrazia la perseguitava
e lei certo non aveva la dote di rassegnazione, perchè si mise nuovamente
a strillare e piangere.
Alla vista del sangue, il rancore sfumò. Lara e Mariarosa lo aiutarono
a rialzarsi e le fasciarono la fronte con un fazzoletto, dolendosi della cattiva
fine della spedizione, quando un giovane, probabilmente attirato dalle grida
della bambina, balzò fuori da una macchia poco distante e corse verso
il nostro gruppo, chiedendo che cosa era mai accaduto.
Lara e l'amica si guardarono con un sorriso maligno: poco prima esse dicevano
male di quel giovine: donde era sbucato? chissà che non le avesse intese!
Ne parlavano male, perchè quello là era davvero uno strano tipo;
non rimaneva mai in società con gli altri bagnanti, ma vagava sempre,
chissà dove, con un libro sotto il braccio, e non lo si vedeva ritornare
che a sera tarda, e se rimaneva qualche minuto con gli altri cristiani, sulla
spiaggia, non parlava, non parlava che di politica o di questioni sociali,
senza mai ridere, senza mai scomporsi. Aveva soprattutto uno strano lentissimo
muover di capo, che dava proprio ai nervi alle due amiche; del resto, Lara
lo ascoltava volentieri quando parlava di problemi sociali, di eguaglianza,
di democrazia, lui che pareva un duca, tant'era aristocratico nel vestire e
nei modi, e spesso le pareva di vederlo dietro di sè e di Mariarosa
quando sole passeggiavano nella pianura. - Chissà se anche questa volta
non stesse dietro di loro! Ma perchè le pedinava?
Era proprio noioso! Egli si credeva d'essere interessante, e invece era semplicemente
antipatico... A Lara non piaceva punto; pallido in volto, i capelli neri, la
barba mefistofelica, pure nera, corta, gli occhi anche neri, tutto nero, il
vestito, il cappelli, probabilmente anche l'anima, signore Iddio!...
E che nome brutto, che nome volgare, specialmente per Lara, che amava i nomi
continentali, aristocratici e gentili come il suo, o piuttosto come quello
con cui si faceva chiamare!
Nunzio!... Ah, ah! Nunzio! Quando ricorreva la sua festa? Forse all'Annunziata?
- Ogni volta che lo vedeva, Lara si sentiva una voglia pazza di ridergli in
viso; un giorno gli aveva chiuso la finestra in faccia, perchè lui dalla
spiaggia stava a contemplarla mentre essa si pettinava vicino al davanzale,
in camiciuola bianca e a braccia nude; e quella sera, quando egli sbucò fuori
dalla macchia, chiedendo che cosa succedesse, fu per rispondergli:
- Dica un po', signor Nunzio, faccia i fatti suoi e vada per la sua via invece
di venirci sempre fra i piedi!...
XII.
Ma Lara non lo disse, no; era troppo ben educata per parlar così; sicchè s'ingoio
il suo malumore mentre Mariarosa narrava a Nunzio la storia della disgraziata
spedizione russa... Il giovane esaminò la ferita di Genia e disse che
non era nulla, e intanto rideva dell'avventura, meravigliando Lara, convinta
che lui non ridesse mai.
Poi, siccome la sera avanzava, pensarono di ritornare allo stabilimento; Nunzio
le accompagnò e durante tutta la via parlò allegramente con loro
come una vecchia conoscenza. Arrivarono alla spiaggia, che già splendeva
la luna, e quando si separarono, Lara e Mariarosa sapevano che Nunzio era Logudorese,
appartenente ad una povera famiglia di un villaggio di montagna; aveva studiato
a Cagliari per farsi medico, ma mancatigli sul più bello i mezzi, aveva
dovuto interrompere gli studi. Ne aveva provato un tal dolore da caderne malato.
Ora, al ritorno dai bagni, quando si sarebbe compiutamente ristabilito, doveva
entrare in un umile impiego a Cagliari...
Così almeno raccontò Nunzio alle due ragazze, che ne restarono
molto intenerite. Nel separarsi Nunzio strinse loro la mano, baciò le
bambine e si ritirò nuovamente triste.
Lara lo seguì con lo sguardo, e quando non lo vide più, rimase
immobile in mezzo alla spiaggia, i piedi lissi su l'arena e gli occhi pensosi
vaganti nel mare giallastro.
Mariarosa dovette scuoterla, esclamando: - Sei molto stanca?
Lara chinò la testa e non pensò più a ridere di Nunzio,
il cui viso non le pareva più così brutto.
Si è che il giovine, nel licenziarsi, le aveva stretto in un ben strano
modo la mano e l'aveva guardata forte negli occhi coi suoi, così neri
e profondi ai primi riflessi della luna! Quegli occhi!... Lara non li aveva
mai osservati, ma quella sera sì, li aveva ben visti, e la loro espressione
dolente e infocata insieme le cagionava uno strano malessere. Oh, Nunzio!...
Doveva molto soffrire quel povero giovine, a cui l'oro, il miserabile oro,
tarpava le ali, interrompeva la carriera, e lo gettava in una pentiva di averne
pensato e detto così male, però non confessava a Mariarosa il
suo pentimento, perchè? perchè quella sera per la prima volta
non esprimeva alla sua amica i suoi sentimenti? - Ah, era così stanca,
così stanca!... Infatti si coricò assai presto, ma si levò anche
assai presto e si affacciò alla finestra. Nunzio stava nella spiaggia;
però questa volta Lara non gli chiuse sul muso la finestra, tanto più che
lui le chiese familiarmente:
- Ebbene, signorina Lara, si è risposata del lungo viaggio?...
- Altro!... - rispose lei, sfuggendo lo sguardo ardente del giovine fisso sul
suo volto bianco. - Si figuri che potrei intraprenderne un altro!
- Oh, davvero?...
- Davvero!
La conversazione finì qui; altri bagnanti scendevano alla spiaggia e
si portavano via il giovine. Nunzio li seguì, però ogni tratto
si voltava verso la finestra di Lara.
E Lara rimaneva, vedeva e indovinava, perchè non era imbecille, oh,
questo poi no! - Da quel giorno si osservò una cosa: nè Nunzio
nè le due amiche si separavano più come per lo innanzi, dal crocchio
degli altri bagnanti, e spesso li si vedeva insieme tutti e tre mentre pigliavano
il caffè nelle stanze della famiglia di Lara o di Mariarosa, mentre
le bambine facevano il chiasso intorno a loro, e don Salvatore e il padre di
Mariarosa, che non bevevano caffè, se ne stavano in un canto centellinando
le loro tazze di vino e parlando di commercio. Nello stabilimento si diceva
che Nunzio faceva la corte a Mariarosa - a Lara non ci pensava neppure, perchè si
supponeva fidanzata ad un ricco signore di X***, - ma a Mariarosa poco importava
delle dicerie di quelle pettegole e, dal canto suo, le pareva che Nunzio fosse
pazzamente innamorato di Lara.
In quanto a Lara, poi, Mariarosa non riusciva a capirne un'acca; dal giorno
dell'escursione Lara si ammalava di nuovo, lentamente, misteriosamente, non
rideva più come prima, e se rideva, era d'un riso strano, di cattiva
lega, reso triste dal pallore del volto e degli occhi che sfiorava appena.
Aveva ripreso a sparlare assai di Nunzio; eppure quando lui si trovava in loro
compagnia, non provava alcun disgusto, anzi una lieve tinta rosea di contento
le sfiorava il viso, e rimaneva appresso al giovine il più a lungo possibile.
Mariarosa non capiva... non capiva. - Signor Nunzio, - disse un giorno al giovine,
- lei è quasi medico, non è vero? Guardi un po' la mia amica
Lara, mi pare che sia nuovamente malata; essa dice di no, ma...
- Dov'è oggi? non l'ho ancora veduta oggi... - rispese lui, sfidando
lo sguardo maligno di Mariarosa.
- Verrà fra poco. - Ragionando un po' di cose inutili, Mariarosa si
accorse che Nunzio guardava ogni tanto verso la porta. Assolutamente, aspettava
Lara...
Venne alfine, salutò gentilmente, poi disse, alzando ambe le braccia
per accomodarsi le spille che le sostenevano i capelli sulla nuca: - e' ben
tardi! Ho dormito come un ghiro stanotte! Devo pesino avere gli ochhi gonfi...
Nunzio la guardò: Lara provò un brivido sotto lo sguardo ardente
e lungo di lui, e, al solito, si fè rossa rossa e chinò lo sguardo.
Nunzio però non cessò di guardarla, scotendo lievemente la testa.
No, gli occhi della fanciulla non erano gonfi, ma contornati da livide e grandi
occhiaie che glieli ingrandivano enormemente.
Allora, per contentare Mariarosa, fece la sua parte di medico, ma Lara negò recisamente
di sentire il benchè minimo male, e siccome Nunzio e Mariarosa insistevano,
essa finì coll'offendersi e se ne scappò via dicendo di sembrarle
che la sua domestica la chiamava.
- Signorina, - le gridò dietro Nunzio, - mi permetta prima una parola.
- Lara si fermò, il giovine riprese:
- Mi dica, le piacerebbe una nuova escursione?
- In Russia?... - chiese lei ridendo.
- No, nell'Oceano Atlantico! Sì, davvero, v'è una barca di napoletano,
venuta stamattina, e siccome il barcaiuolo è per caso una mia vecchia
conoscenza, mi ha invitato ad una passeggiata in mare. Ho pensato subito alle
piccine, che mi pregano ogni giorno di condurle in alto mare: vogliono venire
anche loro, signorina Lara e Mariarosa?
Se volevano andare! Ma figuratevi! Dacchè erano là, in riva al
mare, non sognavano che una corsa in barca; sogno non ancora effettuato per
mancanza di barca. Sicchè accettarono battendo le mani; ma Lara se ne
andò via lo stesso, perchè la domestica la chiamava davvero,
- non più però irritata dalle strane domande sulla sua salute.
- Ma sa, - disse Nunzio, appena Lara fu sparita, - anche a me pare che la signorina
Mannu sia malata. -
- Non è vero?
- Altro che vero! Però non comprendo perchè si ostini a dire
di sentirsi bene. Tuttavia... ho un'idea.
- Dica un po'! - esclamò Mariarosa, pronta a sacrificarsi per Lara,
e credendo a ciò che Nunzio le diceva.
Il giovine si passò la mano bianca di donna sulla fronte pensosa, poi
espresse la sua idea, ben strana per Mariarosa. Egli desiderava parlare da
solo con Lara: con ciò era certo di farsi dire quello che la fanciulla
soffriva, perchè vi son certe cose che al medico si dicono in segreto
come la confessore. Mariarosa pensò che veramente Lara non aveva segreti
per lei e che l'idea di Nunzio le pareva curiosa; poi lo guardò fiso
co' suoi occhi biondi e ridenti e sorrise lievemente. Aveva compreso.
Sul tardi, quando la giornata cominciava a declinare, Nunzio avvisò le
signorine che la barca le attendeva; scesero tutte e sei alla spiaggia. Il
napoletano, nero, bruciato dal sole delle coste sarde, su cui estendeva il
suo commercio di terraglie grossolane, attendeva sulla sua vecchia barca corrosa
dal tempo e dalle onde, i remi pronti, canticchiando una strana poesia che
lui credeva fosse in dialetto sardo, ma che un sardo non avrebbe punto compreso.
- Ehi, compar Marcello, - gli disse Nunzio scherzando, - vi presento mia moglie,
mia cognata e le mie figlie...
- Belle! belle! - rispose lui ridendo e mostrando i denti bianchissimi sul
fondo nero del volto. - Però la signora è troppo piccina e le
figlie son troppo grandi. Avanti, signore e signorine, avanti... - Porse la
sua manaccia nera e le aiutò ad entrare nella barca, le bambine ridevano
di gioia, ma Mariarosa pareva preoccupata e Lara sentivasi tutta confusa perchè Nunzio
l'aveva presentata come sua moglie. Perchè?... Che burlone! E dire che
prima pareva un vero porcospino.
Le piccine erano già sedute in barca, allorchè la serva di Mariarosa
venne frettolosa e chiamò in disparte la padroncina.
- Ah, Dio mio! - esclamò Mariarosa con dispiacere, - io non posso venire!
- Perchè? perchè? allora non andiamo più neppur noi, -
rispose Lara; ma l'altra riprese:
- No, andate lo stesso, ma ritornate più presto e domani signor Nunzio,
conto su di lei per passeggiare anch'io in mare.
- Ma che c'è? perchè non viene?
- Perchè non vieni? Allora non vado neppur io, - ripetè Lara.
- Noi sì, però, noi sì, noi sì!... - gridarono
le piccole.
E siccome Lara si scostava dalla riva, Mariarosa le prese le mani esclamando:
- Su, fa' da brava! Non posso venire, perchè son venute e a visitarmi
quelle signore di A*** che stanno in fondo allo stabilimento. Lo sai bene che
le ho pregate io stessa di venirmi a trovare per bere il caffè nelle
mie stanze. Ora sono venute e sarebbe bella che io scappassi, quasi per non
riceverle.
- Seccanti! Fa dir loro di tornare domani.
- No! Meglio; domani vengo anch'io in barca! Va'!
Ma Lara si ribellava: un presentimento le diceva di non andare sola con Nunzio,
le gridava di restare con Mariarosa; ma Mariarosa fece tanto, che la convinse
del contrario. E quando Nunzio le prese le mani e stringendogliele dolcemente
la aiutò a sedersi accanto a lui nella vecchia barca, Lara non solo
scordò la sua ripugnanza, ma provò un misterioso piacere nel
trovarsi col giovine, senza la compagnia dell'amica.
Mariarosa rimase ferma sulla riva, finchè la barca si mosse: le parve
di esser guardata con riconoscenza da Nunzio e ritornò allo stabilimento,
mormorando: - Dopo tutto, essi si amano e... don Salvatore può benissimo
aiutare Nunzio a pigliar la laurea. Vivan gli sposi!...
XIII.
All'andata non avvenne nulla do notevole: compar Marinello discorreva volentieri
con Nunzio; Lara ammirava l'effetto pittoresco della costa, e delle montagne
vedute dal mare tra i fulgidi veli d'oro del tramonto, e le bambine chiacchieravano
allegramente, divertendosi a guardare i meandri e i giuochi scintillanti dell'acqua
divisa dai remi.
Si andò, si andò... Lo stabilimento scomparve, le montagne cambiarono
di aspetto, la scogliera apparve, più selvaggia, più bella, grigia
nella lontananza azzurra del crepuscolo, e solo quando la luna rossa spuntò sull'oriente
tinto d'un colore aureo - sanguigno, si pensò al ritorno.
Veniva una bella notte una splendida notte di plenilunio d'amore. Oh notti
belle dei nostri mari! Chi può vedervi e scordarvi? chi non sogna fra
i profumi delle alghe striscianti sulle onde d'argento e di smeraldo, mentre
gli olmi silvestri e le cricche susurrano sulle rive arcani misteri d'amore
e giù dalle montagne lontane scende il ritmo sfumato di una poesia cantata
dal viandante o dal malandrino solitario, che narra gli amori ardenti dei castelli
antichi e dei casolari moderni, che narra la solitudine immensa delle nostre
montagne e delle nostre scogliere?...
E Lara sognava! La luna saliva sull'orizzonte limpido, il mare scintillava
ai suoi raggi, e un fuoco lontano lontano brillava nella penombra cerula di
una cresta delle montagne.
Il barcaiuolo aveva cessato le sue chiacchiere; anch'egli compreso forse dell'arcana
serenità del plenilunio bianco, intento ai suoi remi e all'onde che
la brezza serale spingeva contro la barca, aveva ripreso la sua cantilena strana,
incomprensibile pensando alla sua terra lontana.
Le bambine ridevano sempre: Genia trasse di tasca un pacco di carte microscopiche
e propose una partita al chiaro di luna; e la partita cominciò, a mai
si videro giocatrici più arrabbiate e più intente al fatto loro.
Allora Nunzio pensò che l'ora era Giunta. Lara taceva e sognava. Appoggiata
alla sponda della barca, le mani intrecciate sul grembo, guardava le montagne
azzurre, e i castelli neri ricomparivano sulle loro cime, e i paggi, gli scudieri,
la castellana in costume diverso, alla Margherita di Valois ora, con le maniche
di raso bianco a grandi sbuffi, e il castellano anch'esso, sempre alto, gentile,
con la fisionomia più profilata e distinta da quella dell'ultimo sogno.
Un lieve sorriso mistico da vergine bianca, quasi destato dal riflesso della
luna, vagava sul volto pallido di Lara; e i capelli bruni di lei, scossi dalla
brezza, le carezzavano in lunghe ciocche crespe e vaganti le guance e la fronte.
Era a testa nuda, con un fiore d'erica roseo sulla treccia cadente sulle spalle:
un semplice vestito oscurissimo a "blouse", stretto sulla vita dall'elegante
cintura del grembiule di lana azzurra e un nastro puro azzurro, annodato sul
collo, formavano tutta la sua teletta.
Nunzio la divorava con gli occhi, e un fremito gli agitava le mani bianche
febbricitanti. Aveva visto stupende bellezze di signore, di fanciulle da villaggio
coi costumi di broccato, di donne da teatro splendenti nella falsa luce dei
palchi scenici, ma mai, mai aveva ammirato una donna come ammirava Lara, mai
nessuna donna gli aveva causato la strana impressione che Lara gli produceva
quella sera.
Nella mite aureola della luce plenilunare, la piccola fata bruna dai grandi
occhi pensosi, lo affascinava pur senza guardarlo; gli pareva una santa, e
avrebbe voluto inginocchiarsele innanzi per dirle che l'adorava, poi, fatto
ardito dal suo sguardo soave e sorridente e dal fuoco che gli bruciava il sangue,
stendere le sue braccia e cingerle la vita sottile sottile e attirarla a sè e
baciarla sulle labbra rosse e frementi con le sue labbra pallide eppur infocate,
e dirle a furia di baci sovrumani tutta la passione che nutriva per lei sin
dal giorno che l'aveva vista alla finestra dello stabilimento, vestita di bianco,
le braccia di neve nude e i capelli sciolti sulle spalle e sul seno verginale.
Il desiderio di Nunzio non andava più altre; gli sembrava che quella
sarebbe stata per lui una felicità insuperabile, avrebbe dato tutto
il suo sangue giovanile delle sue vene, tutto il resto della sua vita per ciò.
Non pensava che Lara poteva non amarlo, che lui era povero, chiamato ad una
vita umile ed oscura; non pensava più a nulla.
Il mondo non esisteva più per lui, con le sue leggi e l'egoismo sociale,
il passato e l'avvenire sfumavano dal suo pensiero come le onde intorno ai
remi di Marinello; restava solo Lara illuminata dalla luna, restava sola la
sua dolce immagine di fanciulla fantastica e bianca, mite visione, cullata
dal mare di argento e di smeraldo, vagante sotto il cielo pallido e ardente,
Lara che Nunzio adorava.
I minuti passavano; la barca volava tra i trilli argentini del riso delle bambine
e la cantilena stanca e monotona del marinaio: già in lontananza appariva
il profilo nero dello stabilimento, e Nunzio non aveva detto ancor nulla. Ad
un tratto i suoi occhi si spalancarono, lucenti di febbre e di amore; stese
un braccio sulla sponda della barca, dietro le spalle di Lara, e, più che
dette, gli uscirono singhiozzate dal petto balzante queste parole:
- Lara... Lara... perchè tace? No si accorge più di nulla?
Lara, nel sentirsi sfiorare le spalle dal braccio di Nunzio, nel sentirsi chiamata
da lui e senza il noioso ed eterno "signorina", trasalì vivamente,
come desta da un sogno.
- Penso! - rispose con un sorriso meno vago e fugace.
- Pensava... A che? Forse al suo fidanzato lontano?
- Non ne ho, io, di fidanzato, signor Nunzio...
- A che pensava adunque?...
- Oh, bella, rispose Lara, alzando sul giovine i suoi grandi occhi pensosi,
- e lei a che pensava? - Chinò lo sguardo, perchè Nunzio la magnetizzava.
- Io! - disse lui tristemente. - Ah, se sapesse, Lara, se sapesse!...
Lara non rispose, Nunzio proseguì: - Se sapesse! Forse lei è curiosa
di saperlo, non è vero? Ebbene, se mi promette di dirmi ciò che
pensava lei, le dirò ciò che pensavo il...
- Sì! - rispose Lara, ma quasi istintivamente.
Nunzio le si avvicinò di più e bruciandole la guancia col suo
alito ardente, le sussurrò: - Pensavo a te, Lara, a te che adoro!...
La fanciulla sussultò di nuovo: il suo coricino cominciò a battere
forte, forte, forte e un'ebbrezza mai più provata, un'ebbrezza di cielo
le confuse la mente; tutto le girava intorno, il mare da cui esalava un profumo
di viole, le montagne bianche alla luna, i cui castelli cantavano romanze di
amore, i cui castellani non erano più biondi, ma bruni, con la fisionomia,
la voce, gli occhi di Nunzio. Di Nunzio, che proseguì: - Perdonami,
Lara, perdonami, se sono così ardito... T'amo tanto! Dimmi anche tu
ciò che pensavi! Dimmi che pensavi a me... dimmelo, Lara... - Le prese
le manine e gliele strinse entrambe in una stretta ardente. Lara alzò su
di lui i suoi occhi spaventati, e Nunzio la fissò forte co' suoi, affascinandola...
Le bambine ridevano ancora, Marinello cantava sempre e la barca volava sulle
onde di argento e di smeraldo, ma Lara non vedeva nè udiva più nulla.
Aveva raggiunto la sua isola verde dalla casetta di porcellana, aveva raggiunto
i castelli delle montagne lontane e il castellano ardente le narrava una storia
più cara e poetica di quella del Cid spagnuolo.
- Dimmelo, Lara! - ripetè Nunzio, fissandola sempre.
- Pensavo a te... - rispose Lara con voce lenta, ma affannosa.
Per poco il giovine non mandò un grido di gioia, strinse vieppiù fra
una delle sue le mani tremanti della fanciulla, con l'altra le cinse la piccola
persona bruna nell'ombra della sponda della barca, e riprese a parlare a voce
bassa, fremente come il susurro delle eriche della riva, mentre le bambine
ridevano ancora e Marinello cantava pensando alla sua patria lontana, e la
barca volava sulle onde d'argento e di smeraldo!
Mariarosa attendeva sulla spiaggia: quando prese il braccio di Lara, si accorse
che tremava leggermente e che gli occhi le brillavano in una strana guisa.
Volle subito ritirarsi, ma Mariarosa ridiscese alla spiaggia domandò a
Nunzio se si era assai divertito. - Molto, molto! - rispose egli con un vago
sorriso.
- E ha interrogato Lara? - riprese lei miliziosamente.
- Sì, ma tutto inutilmente!
- Ah! - rispose Mariarosa, - forse sarà perchè lei non è ancora
un medico completo...
Nunzio sussultò e si congedò dalla ragazza lievemente sconvolto:
quelle ultime parole lo richiamavano ad una ben cruda realtà!...
XIV.
Quella notte Lara non dormì; la febbre le ardeva il sangue, tutto intorno
mille voci voluttuose susurravano le parole care che Nunzio le aveva detto,
e nel fruscìo arcano, fra il profumo ardente di quelle frasi d'amore
l'anima sentimentale della fanciulla andava trasformandosi lentamente, lentamente,
da larva in farfalla, da boccolo in rosa.
I nervi di Lara rimasero tutta la notte in sussulto; la testa gravava sul guanciale
come di piombo, anzi nell'incubo della febbre sembrava a Lara che la sua testa
fosse unno scoglio flagellato dalle onde; i grandi occhi spalancati nell'oscurità della
camera silenziosa vedevano arrivare da lontano le onde bianche, verdastre,
le onde che danzavano intorno alla barca mentre Nunzio le diceva: "t'amo!",
e avvicinarsi rapide, tremule, corruscanti al raggio della luna... Si avvicinavano,
si avvicinavano, erano lì!... Lara chiudeva gli occhio. Le onde le bagnavano
tutta la testa, che non poteva muovere; lei le sentiva, sentiva il loro mormorìo
prolungato, il sussurrìo strano che si confondeva con le altre voci
della notte per dirle tante belle cose, e pensava confusamente a' suoi sogni
passati, immersa in un torpore profondo, tiepido, vellutato.
Un sussulto balzante, inquieto, passava ratto ratto sotto la pelle bianca e
rorida di sudore delle sue braccia abbandonate sul lenzuolo ardente, ma Lara
non sentiva ciò mentre sentiva tante altre cose immaginarie, e ciò solo
indicava la sua veglia. Una volta si addormentò e sognò di trovarsi
sulla spiaggia: era notte, ma il sole dardeggiava lo stesso un calore intenso,
canicolare, attraverso le tenebre. Lara non vedeva, non poteva muoversi, sudava,
assetata e morente di caldo: cercava levarsi le vesti che la soffocavano, ma
non poteva alzare le braccia. Ad un tratto si accorse che Nunzio le stava accanto,
e che era il suo sguardo che produceva quello strano caldo intorno a lei: tanto
caldo che sembrò di tramutarsi in una statua di carbone. Si svegliò rantolando;
rise quasi forte del suo sogno e a poco a poco ripiombò nel sopore e
nelle visioni velate e vaghe di prima.
I castelli neri delle montagne, le isole verdi del mare sfumavano dalla fantasia
di Lara; rimaneva il castellano e questo era Nunzio. Che importavano oramai
a Lara il sole, i paesaggi e le storie? Ciò che prima era ben distinto
diventava sfumatura e in mezzo al quadro spiccava "lui", non più biondo,
ma bruno, pallido in viso e gli occhi neri splendenti.
E Lara vedeva lui solo; la piccola castellana dal costume alla Agnese Sorel
non la vedeva più, perchè sapeva che non poteva essere insieme
a Nunzio. No! Nunzio era lontano da lei, dunque Nunzio stava solo: finchè tutto
il quadro viveva soltanto nella fantasia di Lara, i "due" potevano
ben stare sempre insieme; ma ora che il quadro si realizzava, non era più possibile,
oh no! Nunzio stava solo e lontano, molto lontano, ma ora ben distinto e profilato
nella lontananza. Ma realmente Lara lo amava?
Glielo aveva detto nell'ebbrezza della luna e della solitudine. Pensava a lui
da vari giorni, con un sentimento vago e indistinto ma forse avrebbe respinto
la sua dichiarazione se fatta alla luce del sole ed in un diverso ambiente.
Pensava a lui tuttora, sentiva un'arcana felicità nel sapersi amata
da lui, ma forse non lo amava ancora.
Che importava! Lara non aveva mai provato un vero piacere morale, mai aveva
raggiunto un suo sogno; ora si aggrappava a quell'unico svago e voleva vedere
come era fatto l'amore con una curiosità strana di bambina. Non le bastava
più l'affetto di un'amica; no, i suoi diciassette anni fiorenti di sogni
e assetati di realtà avevano bisogno di sensazioni forte e violente!
Lara sentiva la sua anima gelida, aggranchiata, repressa, e si abbandonava
al suo primo amore per ricevere una scossa che la riscaldasse l'anima e le
desse le ali per varcare la nebbia degli orizzonti che le nascondevano regioni
verso cui agognava di volare. - Chi era Nunzio? - A Lara poco importava di
saperlo; i grandi occhi del giovane le promettevano baci di fuoco, le sue prime
parole d'amore avevano già cambiato i suoi pensieri. Ella gli aveva
detto di amarlo e credeva di amarlo, perchè aveva una buona abitudine:
quella di non dire mai bugie dannose. - Ora - pensava Lara levandosi all'alba,
- qual danno non recherebbe la mia bugia in questo caso?
Perchè Nunzio le aveva detto, tra le altre cose: - Lara, tu sei la mia
vita; se mai venisse a mancarmi la speranza che ho in te, morrei! - Morire
un uomo per causa sua! mai più! Però, bisogna ben dirlo, Lara
si sentiva molto lusingata da quel pensiero conchiudeva: - Come non amare Nunzio,
se lui mi ama a quel punto?
Naturalmente, subito confidò tutto a Mariarosa: la buona fanciulla,
che nella sua mente gentile e poco sperimentata credeva tutto facile in questo
basso mondo di egoismo e di orgoglio, restò contentissima che i due
giovani si fossero così presto intesi, e disse a Lara che la sera prima
non aveva voluto andare in barca, appunto per dare a Nunzio agio di spiegarsi
con lei. Lara rise, poi le baciò le mani esclamando: - Sei proprio come
ti avevo sognato!
Oh, i sogni! Chi non ricorda i sogni di sedici anni e chi non pianse al loro
sfasciarsi? Il secondo sogno di Lara durò ben due settimane; sogno etereo,
tutto sguardi e fantasia.
Nunzio l'amava davvero; glielo diceva sempre con gli occhi, co la canzone che
le sussurravano sotto la finestra, col sorriso e con le lettere che trovava
modo di scriverle, poichè dopo la prima sera, non si erano più trovati
soli, tanto che la fanciulla finì con l'amarlo in realtà anche
essa.
Come l'amicizia di Mariarosa aveva guarito Lara, così l'amore di Lara
guarì Nunzio. L'estremo pallore del suo viso si raddolcì in una
lieve tinta rosea, tornò allegro e spiritoso, e così a Lara piacque
di più, ma diede anche nell'occhio ai bagnanti, che, osservata prima
la sua misantropia e vistala poi ad un tratto sparire, si dissero che Nunzio
doveva aver fatto qualche grossa conquista. Mariarosa era troppo poco; doveva
esser Lara! Si osservò, si spiò, si scoprì la verità e,
dopo due settimane, ciò che Lara credeva fosse un profondo segreto fra
lei, Nunzio e Mariarosa, si sapeva sino dai bimbi del piccolo stabilimento.
Come sempre accade, don Salvatore fu l'ultimo a saperlo. Provò una scossa
tale, che diventò pallido in volto, il che significava qualche cosa
di grosso in lui. Tuttavia volle illudersi, rise in faccia a chi glielo diceva,
e rispose che Lara era ben savia ed educata per mettersi così ad amoreggiare
in pubblico e con chi!... - Don Salvatore sapeva Nunzio figlio di una poverissima
famiglia di pastori Logudoresi, e che, non potendo più studiare, doveva
entrare impiegato. Ora, nessuna classe del mondo era da don Salvatore disprezzata
come quella degli impiegati. Aveva conversato qualche volta con Nunzio, perchè lo
riteneva ancora come studente; ma è più che certo che non l'avrebbe
più neppure guardato in viso tre mesi dopo, cioè quando il giovine
avrebbe contato sul ventisette di ogni mese per pagare le sue scarpe e il suo
cappello... L'impiegato! quell'essere meschino che vive mese per mese a furia
di economie e che s'ingolfa nei debiti se non fa queste ultime, - che non possiede
un palmo di terra al sole, nè conosce il biglietto da mille; che deve
vivere in stanze d'affitto; che deve passeggiare, se ha voglia di andare in
campagna, nella polvere dello stradale, contentandosi di guardare dal di fuori
le vigne, di cui compra il vino litro per litro pagandolo solo ala fine del
mese?...
Così pensava don Salvatore: nella sua mente grassa di cavaliere, foderata
di biglietti di banca nascosti, ebbra di terre e di armati, egli aveva un profondo
disprezzo per gli impiegati e li metteva nella classe dei servi, dei suoi servi
che lavoravano la gleba e guidavano le greggi; gli uni e gli altri venivano
pagati, dunque erano uguali; solo la servitù degli impiegati era una
servitù più dura, "servitù morale", diceva il
padre di Lara, perchè il suo italiano non arrivava al punto di permettergli
di dire "servitù morale", servitù più vile e
disonorante ai suoi occhi. Il perchè dei perchè poi era che don
Salvatore non avrebbe mai concesso sua figlia in isposa ad un impiegato, perchè...
povero!
Certo, povero! Per ricco don Salvatore intendeva un uomo come lui, come Ferragna,
o infine uno che vivesse di rendita. Vivendo di rendita, uno non ha bisogno
di essere impiegato; essendo impiegato, deve necessariamente essere povero;
e così seguendo i calcolo della sua corta esperienza, don Salvatore
conchiudeva che ogni impiegato era un povero, cioè un essere incompleto
e da disprezzarsi specialmente in fatto di matrimonio.
Oh, signori miei, avete osservato che brutta cosa è l'esser povero?
Ma non sapete a qual punto arrivi la bruttezza di questa cosa "cosa" in
paesi ignoranti, in paesi in cui i meriti di un cristiano salgono e scendono
secondo la gonfiezza del suo portafoglio. Là, se un povero è bello,
vien detto brutto, mentre un ricco è bellissimo se anche orrendo di
viso; un povero è pazzo, è cattivo, è perverso, è un
verme su cui sta preparata una spada, se mai osa innalzare il capo dalla polvere
su cui la fortuna lo ha lanciato: nulla gli vale, nè l'istruzione, nè la
bellezza, nè la bontà. Si possono forse avere queste doti quando
la tasca è vuota, quando non si possiedono che due mani per guadagnare
il pane quotidiano?
In altri luoghi creati dal buon Dio, se non altro si riconosce nel povero l'ingegno,
la bellezza, la bontà d'animo, se ce l'ha, e gli si lascia un posto,
lo si aiuta a camminare; ma nei luoghi in cui mi intendo io, nulla, nulla vien
concesso a chi non ha in sue mani l'infame signore del mondo: lo si calpesta,
lo si chiama pazzo se dalla sua mente scintilla l'ingegno, presuntuoso se riconosce
in sè qualche cosa che gli altri non riconoscono, temerario se osa credersi
simile agli altri, e lo si ricopre di polvere e di fango sino alla morte, salvo
a prostrarsigli innanzi e farlo simile a Dio se egli, a colpi di frusta e sudando
sangue, riesce finalmente ad assidersi fra gli eletti della dea fortuna, riesce
a farsi largo fra loro ed a gonfiare la sua tasca come la loro...
XV.
Tutte queste belle cose la piccola Lara le aveva lette nei libri; però,
non avendole ancora sperimentate, non le ricordava bene, o piuttosto le credeva
fole. Perciò aveva amato, Nunzio, che pure era povero; pure sognava
di esser un giorno felice con lui, benchè egli non avesse nè terre,
nè armenti, nè biglietti di banca. Ma don Salvatore la pensava
ben diversamente e credeva che Lara la pensasse come lui, sicchè dopo
la prima sorpresa restò convinto che sua figlia, il sangue suo, non
fosse degradata al punto di amare un povero diavolo che doveva diventare "impiegato!".
Allora gli si propose di dargliene le prove; ma don Salvatore ricusò.
Si credeva savio e prudente e perciò pensò:
- Potrebbe darsi... e poi?... Farei forse uno scandalo, e Lara allora potrebbe
ribellarsi: le conosco io, le donne! Quindi tronchiamo il male dalle radici...
Lo stesso giorno disse a Lara che, chiamato ad X*** da imperiosi affari, doveva
immediatamente ritornarvi; preparasse dunque tutto, che l'indomani lascerebbero
i bagni. Per quanto si sforzasse a parer calmo, don Salvatore era leggermente
pallido e nelle sua prole fischiava un accento insolito freddo e tagliente.
E Lara vide, intese e indovinò! Qualcosa come una cappa di piombo le
calò sulle spalle, le irrigidì tutto il sangue: non tremò la
sua gracile personcina, ma tremò il suo cuore, stretto, compresso da
una mano fredda, di ferro. Mai Lara aveva provato un simile affanno; era l'angoscia
dell'assassino che vede scoperto il suo delitto, era il presentimento, dello
stesso assassino che, squarciato il velo del suo orribile segreto, vede innanzi
a sè la galera e forse anche il patibolo, mentre prima sognava una vita
agiata, rosea, sorridente fra loro procacciatosi col delitto. - per Lara l'amare
un povero era un immane delitto, e don Salvatore le avrebbe perdonato piuttosto
un assassinio che l'amare un povero; ma sino a quel momento, ella non se l'era
più ricordato, sino a quel momento i suoi occhi non avevano più traveduto
la triste realtà.
Lo strano accento del padre nel dirle:"domani partiamo!" - bastò a
riaprirle gli occhi. Si destò come un sogno bello e fatale nel medesimo
tempo e si guardò attorno spaventata.
Ah, che aveva ella mai fatto! - Appena sola, si lasciò cadere in angolo
e rimase con la testa fra le mani per più di un'ora. Fu Mariarosa a
richiamarla in sè.
- Dunque partite domani?... - chiese tristemente.
- Domani! - rispose Lara con voce cupa. Non dissero altro, ma guardandosi negli
occhi si compresero.
... Pure quella notte, Lara, nonostante tutta l'orribile paura che provava
ebbe un secondo ed ultimo colloquio con Nunzio!...
Come e perchè? Il come tutti gli amanti lo trovano, e qui riuscirebbe
inutile narrarlo. Ma perchè, se Lara non aveva speranza alcune, se sapeva
che suo padre l'avrebbe uccisa prima di concederla a Nunzio?... Sì,
Lara non aveva più alcuna speranza, i suoi sogni erano caduti e infrante
giacevano le sue fantasticherie; ma dacchè aveva intraveduto gli insuperabili
ostacoli che la dividevano dal giovine, il vago amore che sfiorava il suo cuore
erasi delineato, fatto forte ed ardente. Chi mai scrutò gli abissi del
cuore umano?
Finchè nessuno le aveva ricordato l'immensa distanza che la divideva
dal giovane, finchè Lara aveva creduto cosa possibile il diventar sua
moglie, lo aveva amato vagamente, sognando e sorridente, più per capriccio
e passatempo che per latro, e forse, benchè ella contasse di rimanergli
fedele, lo avrebbe scordato alla prima occasione, tanto più che nulla
la legava a lui, nè un bacio nè un fiore; - ora che suo padre,
col freddo accento che usava con lei per la prima volta in vita sua, con lo
sguardo fisso e tagliente come un pugnale, di cui aveva lo stesso riflesso
livido e avvelenato, le diceva: - Guai a te se davvero ami quel miserabile!...
- Lara sentiva farsi passione il suo capriccio e, senza speranza, senza un
raggio di luce, senza un avanzo di sogni, vi si immergeva con la cieca ed acre
voluttà della vendetta e della ribellione.
Fu una ben triste notte per Lara l'ultima notte passata nella stanzetta bianca
del piccolo stabilimento, a cui la legavan mille ricordi, mille catene misteriose,
che dovevano l'indomani infrangersi, ma strappandole brani di cuore e di cervello.
Come la sera della passeggiata in barca, Lara dormì poco e il suo sonno
penoso fu molestato da strani sogni; però era il gelo quello che correva
ora nel suo sangue, la neve dominava nelle tetre visioni di angoscia, e le
onde del mare non parevano più di argento e di smeraldo, ma di sangue
e di inchiostro. Per tutta la sua vita Lara ricordò quella notte. Allorchè si
levò, guardandosi nello specchio si avvide che dal suo viso era sfumata
l'ultima espressione infantile che ancora conservava il giorno avanti, e che
i suoi occhi si erano dilatati prendendo una tinta più fosca e pensosa.
Sorrise; un sorriso strano ch'era tutto un enigma, un sorriso misterioso che
ad un fisionomista avrebbe rivelato come in quella notte Lara da fanciulla
si fosse trasformata in donna, così come, quindici giorni prima, in
un'altra sola notte, da bambina era diventata fanciulla.
Tutta la mattina, mentre la serva faceva i preparativi per la partenza, Lara
la passò dando l'addio ai bagnanti, visitando per l'ultima volta i luoghi
dove ave passato tanti bei giorni felici, la pianura, gli scogli, i massi,
le macchie, tutto... Addio, addio!... Insensibilmente Lara si era affezionata
a tutto quell'azzurro, a quel pittoresco che formava il degno ambiente del
suo primo amore, e nel dargli l'addio provava una stretta al cuore, un'ambascia
bizzarra, come quella della spesa che dà l'addio alla casa paterna.
Si partì di sera; a cavallo sino al più prossimo villaggio, donde
avrebbero proseguito in carrozza, donde avrebbero proseguito in carrozza fino
al X***. Benchè glielo avesse proibito, Nunzio le si avvicinò mentre
ella doveva montare a cavallo, e le diede il buon viaggio. Lì vicino
don Salvatore guardava ritto, freddo, con gli occhi schizzanti disprezzo e
odio, sicchè Nunzio non potè dire nulla a Lara, ma le strinse
forte la mano e la guardò. Lara vide una lagrima negli occhi di lui,
sussultò, ma non pianse: vi sono certe angosce che pietrificano l'anima,
e allora l'occhio non piange, ma dal cuore stillano lagrime di sangue. - I
due giovani si guardarono finchè poterono vedersi, finchè la
lontananza non li rese macchiette azzurrognole, indistinte, sfumanti a poco
a poco nello spazio come nuvole vespertine. Allora Nunzio chinò il cabo
e sentì rapidamente vuotarsi il cuore e vide tutto nero, tutto brutto
e deforme ove prima aveva visto azzurro e poesia, e ritornando triste, misantropo,
pallido come prima, non trovò che un solo verso davanti al mare azzurro
susurrante alla brezza sullo sfondo di rosa, davanti alle montagne scintillanti
sullo sfondo del cielo di cristallo, color d'oro: - Oh, perchè son così povero,
perchè?...
Allora Lara chinò anch'essa la testa dolente, pensando alla noia, alla
tristezza che l'attendeva nella vasta e desolata e fredda casa paterna. Vi
ritornava sana di corpo e malata di anima, più malata di come vi era
partita...
Guardò le montagne, la pianura, il mare, e quando il mare, la pianura,
e le montagne sparvero a poco a poco nell'orizzonte velato dalle penombre della
sera, anche Lara provò lo stesso vuoto, la stessa angoscia di Nunzio
e pianse silenziosamente, nell'ombra dei boschi e dell'imbrunire, mentre i
zoccoli ferrati del suo cavallo risonavano silenziosi e cadenzati sulla durezza
della strada deserta e rocciosa, accompagnati dal suissurro del vento e del
torrente, tutte note strazianti nella mestizia della solitudine del paesaggio
sardo, che dicevano a Lara: - Piangi e non sognare mai più! - La vita è sinonimo
di tristezza!
E Lara piangeva, ma non sognava più! Col mare erano sparite le isole
verdi dalle casette di porcellana e gli alberi di smeraldo, - con le montagne
erano sfumati i castelli neri, gli spalti e gli alti ballatoi di marmo, i paggi,
i costumi di broccato e le storie, - e il castellano erasi trasformato in un
giovane povero, di cui Lara non poteva neanche pronunziare il nome!
XVI.
La prima impressione che provò nel rientrare nella casa paterna, fu
di freddo; le stanze le parevano più grandi, più severe, più gelide;
i mobili più oscuri; qualcosa di triste e di freddo come una prigione.
Si era abituata all'azzurro infinito del mare, del cielo, delle montagne, al
sole ardente, alla pianura selvaggia; ora il sole le sembrava tiepido, le sue
montagne nere, la sua casa una prigione. Che contava più l'orto in confronto
alla pianura della spiaggia? alla pianura immensa dell'orizzonte aperto e vastissimo?
Le sembrò una derisione: non poteva andare più in là del
cancello, i passi contati, il limite stretto. E poi quegli alberi dalle grandi
ombre tremolanti! Lara odiava l'ombra; amava le macchie basse, intricate selvaggie;
gli alberi alti nel giardino le davano ai nervi, e il loro susurro nella notte
non la lasciava dormire. Almeno avesse ritrovato i fiori lasciati prima di
partire! Nulla! tutto si era dissecato sotto la sferza del sole; le rose cadute,
i rosi ingialliti, i gelsomini sfogliati! Rimanevano solo gli alberi, i nemici
di Lara, che di notte parevano scheletri, che di giorno macchiavano la terra
color d'oro... Oh, le ombre, le ombre!... Lara amava il sole; rimaneva insensibile
sotto i suoi raggi ardenti, guardando tristemente dal suo davanzale quelle
ombre che fremevano, danzavano, non sparivano mai... quelle ombre che raffiguravano
la macchia proiettata su di lei dal ricordo di Nunzio, folta ombra che non
lasciava penetrare più al suo cuore il raggio della gioia. E Lara aveva
freddo; moralmente e fisicamente, nel cuore dell'estate e a diciasette anni,
Lara aveva freddo.
Giunto il crepuscolo, il suo volto impallidiva orribilmente e un brivido le
fremeva per la piccola e gracile personcina. Piangeva spesso e spesso si ripeteva:
- Come sono infelice! - Ecco che era caduta nel volgare, ecco che si chiamava
infelice perchè la solita sventura dell'amore, l'eterna sventura di
tutte le fanciulle, la opprimeva! Ma Lara non pensava più di riderne,
oh no, tutte le sue vecchie teorie essendo sfumate; però in certi momenti
si esaminava bene la coscienza, chiedendosi se aveva diritto di dirsi veramente
infelice, ma una voce segreta e dolente le rispondeva: sì! sì!
sì! Rida il mondo cinico e beffardo, ma forse non v'ha una infelicità più cupa
e profonda di quella di una debole fanciulla innamorata, che sa di essere amata
ardentemente dal giovane a cui pensa sempre, e da cui la divide la miserabile
barriera delle false leggi sociali. Sapere che potrebbe essere felice, che
potrebbe trascorrere i giorni nel sorriso e nella gioia, e intanto veder cadere
ad uno ad uno quei giorni come foglie ingiallite dall'autunno, cadere lenti,
eguali, monotoni, tristi, sentirli passare sulla propria esistenza come soffi
di brezza che gelano il cuore, - sentirsi il sangue fremere corroso dalla febbre,
la mente ardere piena di sogni, di fantasie, di fuoco, sapere che v'è qualcuno
in lontananza che offre e sogna come lei e per lei, e vedersi sola, e tacere,
e ridere mentre il pianto strozza la gola, mostrarsi allegra mentre la tristezza
rode l'anima, per non parer ridicola, perchè orami non v'ha nulla di
più ridicolo di una fanciulla malata di amore, - tutto ciò è qualcosa
di dolorosamente triste, una infelicità muta, forte, fatta squisita
dal silenzio e dall'ombra. In Lara ciò produceva il fiore nero della
disperazione, quel cupo fiore la cui ombra vela tutti gli altri sentimenti.
La lontananza accresceva il suo amore, i ricordi la rendevano cupa e distratta;
sempre, sempre, di giorno e di notte, nel sonno e nella veglia, pensava a Nunzio,
a null'altro che a lui. La vita le sembrava una landa deserta, oscura, piena
di nebbia; solo in lontananza vedeva un punto luminoso che attirava tutta la
potenza dei suoi sguardi: ella gli andava incontro, ogni giorno che passava
era un passo verso quel punto; sapeva che avvicinandosi esso, le nebbie e le
tenebre si sarebbero diradate, ma nel medesimo tempo un presentimento inesorabile
le diceva che mai avrebbe raggiunto quell'astro. A poco a poco finì per
con l'abituarsi a questa nuova fase della sua vita; nel mondo si finisce con
l'abituarsi a tutto, alla miseria, al delitto, al rimorso, al dolore; lo dissero
tutti i più illustri pensatori ed io qui lo ripeto, perchè che
definitivamente Lara finì con l'abituarsi alla sua piccola sventura,
che nella sua fervida e fantasiosa mente assumeva le proporzioni di un grande
dolore. Rideva e scherzava come un tempo, ma il suo riso era ironico, spasmodico
e i suoi scherzi sferzavano tutto e tutti, persino Dio. Donna Margherita gemeva
sulle insolenze che Lara diceva dei preti e delle bigotte, e attribuiva alla
società praticata da Lara ai bagni la nuovissima incredulità della
figlia; aveva cercato di ricondurla alla via del Signore, ma Lara aveva risposto
che ella era la fanciulla più timorata e religiosa di questo mondo,
ma che avrebbe sempre riso delle stravaganze dei fanatici ignoranti. Donna
Margherita ne restò desolata. - Vedrai, - disse al marito, - ci accadrà qualche
disgrazia! Le tue figlie non hanno più religione, nè timor di
Dio! - E non potendo più, donna Margherita fece sì che Lara e
Pasqua non avessero relazione con nessuno. Nessun svago, nessuna compagnia,
nessun passatempo fu loro concesso. Appena appena fu tollerata una visita quindicinale
e qualche rara passeggiata con Mariarosa e sorelle. Quei giorni erano feste
per Lara e Pasqua; un raggio di luce fra le tenebre, un'oasi fra le sabbie
del deserto. Il resto della vita era là, nella vasta casa solitaria,
i giorni eguali gli uni agli altri, lunghi, muti, stucchevoli.
Pasqua si diede a leggere romanzi, a divorarli, protestando però di
tratto in tratto contro quell'esistenza impossibile per delle fanciulle che
sentono il sangue fremere nelle vene e la vita rumoreggiare nel pensiero giovanile;
Lara chinò la testa e tacque: e tacque mentre un'altra sofferenza veniva
a tormentali il piccolo cuore lacerato: la noia! - La noia! - chi mai descrisse
questo terribile male? chi mai provandolo non desiderò morire, quasi
sentendosi oppresso dalla più immane delle sciagure? - Avete letto Victor
Hugo? Vi ricordate ciò che dice in una delle pagine ardenti ed immortali
dei "Miserabili?" "La noia è al base stessa del tutto.
La disperazione sbadiglia. Volendo figurarsi qualche cosa di più terribile
di un inferno dove si soffra, bisogna supporre un inferno che annoi!..."
Lara annoiata, Lara innamorata, soffriva immensamente e taceva, perchè,
come dicemmo, aveva finito con l'abituarsi a tutto. Non un lamento, non un
singulto davanti agli altri; ma forse soffriva anche fisicamente, perchè andava
insensibilmente dimagrando e impallidendo; era diventata quasi trasparente
e invece di crescere pareva diminuisse. - Si scrivevano regolarmente con Nunzio,
per mezzo di Mariarosa, l'amica che Lara amava sempre più, al punto
che nei momenti in cui si trovavano insieme, dimenticava tutto il resto, e
rideva e diventava spensierata, tanto che Mariarosa la credeva felice, - ma
le lettere lunghe, ardenti, speranzose del giovane non facevano che accrescere
il suo amore e la sua tristezza. Nunzio aveva raggiunto il suo umile impiego,
un impiego di cento lire il mese, un impiego che poteva diventare alto ed onorato,
ma solo a furia di anni e di buona condotta. Che aspettava per chiedere Lara
in isposa? Forse questo avanzamento? No, chè allora sarebbero stati
vecchi entrambi. Aspettava che Lara gli dicesse: - Vieni! - ma Lara non poteva
dirglielo, perchè sapeva che don Salvatore era inflessibile, inesorabile;
non poteva dirglielo, perchè non sperava nulla nella di lui venuta.
Perchè dunque lo corrispondeva? Non lo sapeva neppur essa: più di
una volta, accintasi a scrivergli di dimenticarla, invece di tracciare quella
parola si era messa a piangere: - poi, fremendo di rabbia e di passione, gli
scriveva lettere più ardenti e lunghe di prima. Aggiungete che Lara
non pensava neanche per sogno che un giorno doveva ben raggiungere la sua età maggiore
e che così avrebbe potuto fare la sua volontà; ci pensò più tardi;
per allora credeva di dover restare sempre soggetta all'autorità del
padre, che temeva e che forse non amava più come prima. - Sì,
le parti si erano invertite. Ora Lara non temeva più donna Margherita,
anzi sentiva di amarla più che nell'infanzia, ma temeva don Salvatore
e restava fredda, impassibile davanti a lui. Del resto, anch'egli dopo i bagni,
aveva creduto bene di pigliare un'aria severa di gelido comando con la figlia.
Davanti a lui, sotto i suoi occhi scrutatori, Lara tremava nel suo segreto,
non si sentiva libera, parlava poco e provava un indefinibile affanno, quasi
oppressa da un misterioso e ignoto incubo.
Era infine una ben triste vita quella che trascorreva; il ricordo dei giorni
liberi e felici passati in riva al mare le rendevano più penoso il presente;
pur giunse il giorno in cui dovette rimpiangere quel presente, in cui quel
triste passato le parve bello, guardato attraverso il prisma del tempo.
XVII.
Fu il giorno in cui don Salvatore riuscì a scoprire la corrispondenza
di Nunzio con Lara. Sei mesi erano trascorsi dal ritorno dei bagni; don Salvatore
non dubitava più di nulla e si conservava freddo verso Lara sol per
dimostrarle che si ricordava bene di ciò ch'era accaduto "laggiù".
Del resto nessuna spiegazione era occorsa fra padre e figlia; il nome di Nunzio
mai pronunziato da essi; evitato persino ogni ricordo dei bagni. - Una mattina
don Salvatore trovò in giardino la metà di una busta su cui stava
scritto. "Signorina," poi sotto "...nu Lara" Senza dubbio
era diretta a sua figlia. Chi mai poteva scriverle? Sapeva che Lara non riceveva
mai lettere e non ne scriveva mai: chi dunque poteva scriverle. Don Salvatore
pensò:
- Forse questa busta conteneva una dichiarazione... qualche zerbinotto di cui
Lara riderà... Ma perchè non è la più la stessa?
Obbedisce, ma quasi non mi parla. Pare mi conservi del rancore per l'avventura
di quel mascalzone di Logudorese...
Don Salvatore scosse la testa e proseguì a pensare. A un tratto un lampo
gli brillò negli occhi; si fermò ed esaminò nuovamente
il brano di busta. Quella mattina, benchè avesse deciso di uscire a
cavallo, non uscì neppure di casa; ma rimase lunga ora passeggiando
a grandi passi concitati sotto gli alberi brulli stridenti al vento freddo
di gennaio. Lara lo vedeva dalla finestra e senza sapersene dire il perchè,
provava uno stringimento di cuore, un presentimento vago e pauroso. Nè invano!
A pranzo don Salvatore, cupo e taciturno come la mattina, interruppe a un punto
il silenzio, esclamando:
- Lara!... - Lara tremò: alzò gli occhi, vide quelli del padre
fissi su lei in guisa assai poco benevora, e mormorò:
- Che c'è...
- Non sai dunque ciò che si dice a X***?
Lara respirò e disse con curiosità: - No! Cosa, dunque?
- Eh nulla! Null'altro che tu fai l'amore con Nunzio M..., quello spiantato
di studente ch'era ai bagni l'anno scorso! - Lara sussultò; pure, vedendosi
osservata dal padre, si mantenne calma e alzò le spalle esclamando:
- Che pazzia! Chi può mai dirlo?
- Chi! - proseguì il padre guardandola sempre, - tutti, perdio! pare
che siasene vantato lui stesso con un giovane di X***, dicendogli che vi scrivete
ecc. ecc., e il giovine di X***, naturalmente si è fatto un dovere di
dirlo a tutti...
Lara impallidì; cadeva nel tranello. Se avesse domandato al padre dove
trovavasi Nunzio, don Salvatore non avrebbe risposto, perchè non lo
si sapeva; ma Lara non pensò a ciò. Pensò che Nunzio aveva
trasgredito al patto da lei impostole di tener segreto il loro amore, e ciò per
un istinto di vanità e di presunzione (perchè certo doveva esser
un grande onore per lui l'amore di una fanciulla nobile e ricca), e provò un
acuto dolore. Come non tradirsi? Don Salvatore si accorse del suo turbamento
e per tutto il resto del pranzo sparlò orribilmente di Nunzio dandogli
tutti i più ignobili epiteti che si possano immaginare. Lara certo non
proseguì a mangiare; ogni parola del padre le giungeva al cuore come
la fredda lama di un pugnale; la testa le si spezzava, e mentre avrebbe voluto
difendere Nunzio, provava ella stessa una sorda avversione per lui che aveva
tradito il segreto del suo cuore. Naturalmente, appena fu sola, si mise a piangere
come una pazza, e poi a scrivere una lettera avvelenata al giovine. Somma imprudenza!
Don Salvatore si accorse che scriveva, cosa insolita, e conchiuse fremendo
che i suoi dubbi erano realtà. Il cavaliere aveva l'inferno nel cuore
e la febbre nel sangue. Orrore e vergogna! Per sei mesi Lara aveva corrisposto
a quel miserabile, e lui, don Salvatore, non si era accorto di nulla! ah, la
vile, la pazza, la corrotta sua figlia! Avea ben ragione donna Margherita allorchè diceva
che Lara doveva finirla male dopo che non rispettava più la religione!
Ed era stato lui, quel mascalzone vigliacco, che l'aveva corrotta a questo
punto, che l'aveva perduta.
Miserabile! Miserabile! Don Salvatore in quel punto sentiva di odiare Nunzio
quasi fosse membro della famiglia Massari; anzi, se gli avessero proposto di
uccidere un uomo senza correre nessun rischio, avrebbe ucciso Nunzio, piuttosto
che il suo avito nemico Paolo, capo della famiglia Massari. Bisognerà dire
che, nella sua immensa collera, Lara occupava il minimo posto: sì, certo,
se Nunzio non l'avesse cercata, non l'avesse affascinata, Lara sarebbe rimasta
pura, innocente, degna sempre di suo padre e di sua madre, non avrebbe infine
commesso l'immane delitto di amarlo, lui, un povero, uno spiantato, un pazzo
da legare, un vile, un brigante, un imbroglione, un uomo senza onore, senza
cervello, un mostro... e chi ne ha di più ne aggiunga. - Più di
una volta, gli occhi torbidi di don Salvatore si posarono sul fucile appeso
alla parete. A che pensava? Muto, immobile, le braccia incrociate sul petto,
il volto pallido e gli occhi splendenti di un fosco bagliore di acqua torbida
al riflesso del lampo, in quei momenti, don Salvatore rappresentava il vero
tipo del sardo che odia, che si lascia dominare da questa primissima passione
della sua terra, e, dimentico di ogni pietà, di ogni istinto, anche
paterno, medita la vendetta, il sangue che solo potrà lavare l'onta
recata al suo onore.
Per lui, Lara era disonorata: essa amava un povero, il figlio di un pastore:
dunque aveva scordato i suoi doveri, era diventata pazza, non più sua
figlia, ma figlia del capriccio, della colpa, del disonore! - Lasciò che
Lara finisse la sua lettera e che poi se ne andasse, dopo il permesso a pena
strappato di donna Margherita, in casa di Mariarosa.
Allora don Salvatore entrò nella cameretta della fanciulla e cercò le
lettere di Nunzio, ma invano. Dopo quasi due ore di ricerche non aveva ancora
trovato nulla, e stava per abbandonare la speranza di trovar nulla, pentito
di non aver sorpreso Lara mentre scriveva, e in pari tempo giubilando al pensiero
che forse si era ingannato, allorchè si ricordò che una volta
da bambino, in quella stessa camera, aveva nascosto una moneta fra il marmo
e mandò un sordo gemito. L'ultimo barlume di speranza svaniva: le lettere
erano là!
La scena che quella sera si rappresentò in casa Mannu (scena del resto
assai comune in Sardegna, e forse anche altrove, nelle case ove ci siano ragazze
che non pensano a farsi monache...) non è facile a descriversi. Tutti
gli insulti possibili e immaginabili furono prodigati alla povera Lara, che,
essendosi alla fine provata a scusare il suo amore, dicendo: - Tutto questo,
perchè è povero! Ma se fosse stato ricco!... - ricevè due
schiaffi solenni da don Salvatore, che lo stordirono e le fecero battere la
testa sul muro in un modo orribile. Quei due schiaffi rimasero impressi nella
sua anima, insieme ai ricordi più terribili della sua vita. Una volta
Lara, mentre dormiva sotto un albero, fu svegliata da qualche cosa di viscido
e schifoso che le passava sul viso: era uno di quegli schifosissimi vermi che
escono in primavera si sotterra. Lara mandò un urlo e immediatamente
si ricordò dei due schiaffi ricevuti in quella famosa sera. Un'altra
volta ed era stato l'anno prima, Lara aveva assistito alla lunga e dolorosa
agonia di una sua parente. Ebbene, vorrete crederlo? durante tutta quella terribile
ora Lara non fece che pensare intensamente ai due schiaffi del padre!
Fra le tante belle cose, don Salvatore la minacciò di rinchiuderla in
una camera, legata, o magari di metterla in una casa di correzione; le disse
che non avrebbe riveduto Mariarosa, a cui prodigò anche una buona parte
di vituperi, avendo appreso dalle lettere di Nunzio che lei appunto era l'instrumento
della loro corrispondenza, ovvero la mezzana, come don Salvatore diceva senza
tanti complimenti, e per aggiungere dolore e vergogna alla disgraziata, le
disse che era stata appunto Mariarosa ad informarlo di tutto.
Questo fu il colpo di grazia per Lara. - Nunzio l'aveva tradita, Mariarosa
la tradiva, tutti la disprezzavano, l'odiavano, la deridevano... Che le restava
dunque? Il vuoto si formava intorno a lei, la nebbia diventava più fosca,
più nera e irrespirabile: l'unica stella del suo cielo era scomparsa!
Che le restava? Che? Il padre l'odiava al punto di minacciar di ucciderla se
continuava nella via della perdizione e del disonore. A furia di sentirselo
dire, finì col credere di aver commesso davvero una colpa corrispondendo
a Nunzio. Dunque non le restava più nulla! nè l'amore di lui,
nè l'amicizia di Mariarosa, nè l'affetto della famiglia, nè l'onore,
nè la speranza, nè la libertà. Gli schiaffi ricevuti le
romoreggiavano nel cervello: pareva che le mani di Don Salvatore si fossero
introdotte nella sua testa e le frugassero, le sconvolgessero il cervello.
Non una lagrima le cadde dagli occhi: la sua gola era serrata da un nodo, le
mani le tremavano, un lampo di pazzia le traluceva negli occhi. Si ritirò nella
sua camera a testa china, trascinando i piedi sul suolo, come un cane frustrato,
e fu da quella notte che cominciò a dirsi che in verità era stata
felice nei sei mesi trascorsi dopo il ritorno dai bagni!...
XVIII.
Dopo quella famosa notte, don Salvatore non mosse più alcun rimprovero
nè alcuna parola amara a Lara, per la buona ragione che non le parlava
più. Preso da un disgusto e da un rancore indescrivibile, don Salvatore
si diede più che mai alla vita di campagna, ritornando solo la notte
a X***, per dormire. Lara lo aveva soltanto a cena e in quei pochi momenti
don Salvatore, burbero, accigliato con tutti, le dimostrava una specie di disprezzo
sordo, muto, ma inesorabile.
Lara non si lamentava: non parlava quasi mai davanti a suo padre, trascinando
i piedi con una stanchezza da vecchia, sforzandosi di parer calma e indifferente,
mentre non aveva pace, e cercava, cercava qualcosa che non poteva trovare.
Ciò che accadeva nella sua anima, nessuno riusciva ad indovinarlo; il
suo viso pallido non esprimeva nulla, nulla si leggeva ne' suoi occhi più che
mai profondi ed oscuri, velati dalle lunghe ciglia chine: forse neppure lei
riusciva a capire ciò che accadeva in fondo al suo cuore, che doveva
essere certo qualcosa di assai triste. Una sera, una domestica gettò sbadatamente
una secchia di ranno in un angolo del cortile ove cresceva una pianta di giacinti
fioriti. Tosto i fiori presero una tinta di piombo e si curvarono per non rialzarsi
mai più. Pasqua, visti appassiti quei primi fiori nella pianta che aveva
curato per tutto l'inverno, strillò a più non posso contro la
serva; Lara, invece, chiesta in aiuto dalla piccina per gridare essa pure alla
sbadataggine, alzò le spalle e rispose che anzi restava contenta di
non vedere più quei giacinti che le davano ai nervi.
- Ma vieni! ma vieni! vieni a vedere... fanno pietà! - gridò Pasqua
trascinando Lara verso i fiori. Lara li guardò a lungo, triste e impenetrabile,
poi scosse la testa e sorrise amaramente: trovava i giacinti somiglianti al
suo piccolo cuore.
Già! è un antico vezzo dire: - Il mio cuore è appassito!
- allorchè ci opprime qualche dolore; però a Lara non era il
dolore che faceva rassomigliare il cuore a quei fiori steccati innanzi tempo.
Il suo non era dolore, ma una specie di nausea, una noia immensa e terribile.
Non amava più Nunzio, e su questo punto aveva ragione dicendo: - Il
mio cuore è secco! - perchè dal momento che don Salvatore le
aveva fatto credere di essere stato il giovine a tradire volontariamente il
segreto, qualcosa come il ranno sui giacinti ea caduto sul cuore di lei, e
lo aveva incenerito; ma il pensare: - E che cosa farò domani, e doman
l'altro, e fra uno, due, tre anni! - le gravava la fantasia, la rendeva orribilmente
triste. Oramai la vita le pareva senza scopo, senza avvenire, sicura di non
dover amare mai più altro uomo, e vedeva i suoi giorni correre lenti,
eguali, sempre eguali, in quella casa vasta, gelida, desolata, - l'oggi come
ieri, l'indomani come l'oggi, sempre, sempre, sino alla morte! Il disprezzo
del padre, la compassione che le dimostrava la madre, il ricordo di Mariarosa,
che amava e odiava nel medesimo tempo, ritenendosi tradita da lei e ribellandosi
tutt'in uno a quel pensiero, ecco, ciò che più le faceva rabbia,
che l'umiliava e l'annoiava.
Avrebbe voluto rimaner sola, e quando si trovava sola, specialmente all'ora
del crepuscolo o nei giorni di festa, provava una paura strana, una tristezza
infinita, mentre i ricordi che si affollavano nella sua solitudine la facevano
piangere; avrebbe voluto andare a passeggio, sfoggiar vestiti, farsi amiche
tutte le fanciulle di X***, per passare sorridente davanti a Mariarosa e dirle
con lo sguardo: - Vile! mi hai tradita, ma, ecco che sono felice lo stesso!
- e in pari tempo, se usciva qualche volta a passeggio, ritornava stanca, sconfortata,
con un bizzarro sorriso di disprezzo per la folla, sulle labbra pallide; se
vedeva Mariarosa, tremava tutta e non osava guardarla più in faccia,
provava un vero e formidabile odio contro tutte le ragazze della piccola città,
e Mariarosa imperava sempre sul suo cuore, grande, bella, allegra, sorridente.
Ogni giorno che passava, accresceva nel cuore di Lara l'amicizia e l'affetto
per Mariarosa: nelle lunghe veglie tristissime, Lara non pensava più che
a lei, ne sentiva il riso argentino, il chiacchierìo allegro e spensierato,
vedeva l'alta ragazza bionda accarezzarle dolcemente il viso, e dirle tante
paroline care che la facevano sorridere e obliare, e allora essa le chiedeva
perdono, le esprimeva magnificamente tutto il suo affetto così cresciuto
dopo la separazione, le sorrideva e si sentiva felice, - ma il domani, se avveniva
di veder realmente l'antica amica, Lara le voltava scortesemente le spalle,
facendole capire che la disprezzava al massimo grado, salvo poi pentirsi di
questa scortesia appena non vedeva più Mariarosa. Era infine un specie
di fascino che si interrompeva all'apparire dell'affascinatrice. Dal canto
suo, Mariarosa, vista la strana maniera di procedere di Lara, non fece alcun
passo verso di lei, non andò più a visitarla, ma colta l'occasione,
chiese un giorno a don Salvatore cosa significava il voltafaccia della figlia.
Figuratevi ciò che don Salvatore le rispose! La chiamò nientemeno
che "corruttrice" di Lara e la minacciò di accusarla al padre
se per caso le venisse l'idea di proseguire ad aiutare Nunzio e l'amica nella
loro corrispondenza segreta ormai rotta per sempre. Fu un colpo di fulmine
per Mariarosa. Comprese tutto; provò qualcosa come l'odio per l'orgoglioso
cavaliere e si propose di aiutare più di prima Nunzio e Lara. Però da
due o tre mesi Nunzio non ave più indirizzato a Mariarosa le lettere
per Lara; dunque i due amanti avevano trovato altro modo di corrispondersi,
se non avevano del tutto rotto la loro relazione; in tal caso l'opera di Mariarosa
tornava inutile, e lei se ne desolava, allorchè le arrivò una
lettera del giovine per Lara.
Come fare per consegnargliela? Impossibile recarsi da Lara,. Quanto a darla
poi in mano ad altri per fargliela avere, Mariarosa non ci pensava neppure.
Mentre cominciava a disperarsi, udì il padre dire che doveva recarsi
per affari nello studio dell'avvocato Ferragna, e si ricordò che l'orto
o giardino dei Mannu stava vicinissimo alle finestre di quello studio. Pregò vivamente
il padre di condurla presso quell'avvocato, e siccome esso la guardò meravigliato,
gli spiegò come qualmente avesse visto dall'orto di don Salvatore una
stupenda cortina fatta al "crochet", nella finestra dello studio
suddetto, e come desiderava vederla da vicino per eseguirla. Il padre rispose:
- Ma che! Non si va così in casa di un avvocato a studiare le cortine! È troppa
libertà... Lui se ne offenderà!
- Oh, oh! mai più! Siamo buoni amici! - E tanto fece e disse, che il
padre la condusse seco, e mentre egli parlava de' suoi affari con Ferragna,
Mariarosa "studiava" le cortine, in fondo allo studio. In realtà non
riuscì mai ad eseguirle, ma nello stesso giorno, mentre Lara passeggiava
nell'orto, triste e taciturna al solito, vide caderle vicino un piccolo sasso
a cui stava attaccata una lettera. Si guardò attorno, ma non vide nessuno.
Raccolse il sasso e aprì tremando la lettera. Ea di Nunzio. Perchè le
scriveva dal momento che lei gli aveva fatto sapere che tutto era finito fra
loro?...
Era una lunga lettera ardente, piena d'amore e di disperazione: Nunzio giurava
di non aver ami detto nulla, lo giurava sul suo onore, sulla memoria di sua
madre; le diceva che sarebbe morto senza il loro amore e le assicurava che,
lei promettendo di aspettarlo due anni, lui avrebbe preso la laurea e, dopo
quel termine, l'avrebbe resa la più felice fra le donne. - Se dopo due
anni egli non raggiungeva quella meta, o prima le avessero riferito che egli
la tradiva dirigendo il benchè minimo pensiero ad altra donna, Lara
era libera.
Quella lettera era un capolavoro: Lara ne fu talmente colpita, che, dopo averla
letta, si scordò interamente di tutto ciò che aveva sofferto;
sorrise al cielo d'aprile, sperò, amò di nuovo, e lo stesso giorno
scrisse a Nunzio raccontandogli tutto e promettendogli di attenderlo non due,
ma cinque o dieci anni. Però, siccome riusciva pericolosissima la loro
corrispondenza, lo scongiurò di non scriverle più. - Tanto più che
le lettere non potevano sempre piovere dal cielo, e lei, non fidandosi di nessuno,
non poteva sempre recarsi al passeggio per passare davanti alla posta ed impostarvi
ella stessa la risposta, come faceva in quel giorno. - Nunzio le ubbidì e
non le scrisse più.
Ma questo incidente per Lara non fu che un lampo: nei primi giorni lesse e
rilesse la lettera del giovine, lieta, speranzosa, sorridente come ai bei tempi
dei bagni, - ma quando arrivò a saperla a memoria, le sembrò volgare,
fredda, forse copiata da qualche romanzo, e a poco a poco la scordò,
poi la bruciò, non credè più a ciò che conteneva
e si pentì di aver risposto.
Ritornò ai suoi primi rancori contro Nunzio, causa del disprezzo e degli
schiaffi sofferti dal padre, della rottura con Mariarosa che Lara adorava sempre,
della vita noiosa e triste che conduceva, ecc., ecc., e riprese la sua apatica
e finta indifferenza, il sorriso acre, il disgusto della vita.
Ah, sì, davvero, non c'era più speranza! Il suo cuore era seccato
come i giacinti del cortile! Così almeno lei pensava.
XIX.
Una sera di luglio, tre mesi dopo l'avventura della lettera e del sasso, mentre
Lara passeggiava al rezzo dei grandi alberi del giardino, a braccetto con Pasqua,
che descriveva il costume di estate che doveva farsi fare, due uomini parlavano
appunto di lei nel vano della finestra dei Ferragna.
Uno era lui stesso, Marco, l'altro un bel giovine biondo, alto, ben vestito,
molto elegante e molto bello, dal riso facile e sonoro, la pronunzia leggermente
straniera, benchè fosse nativo di X***, e lo sguardo franco, ardente,
luminoso.
Era infine Massimino, o Massimo, come egli si firmava e si faceva chiamare
per più eleganza, il figlio maggiore di Paolo Massari, che avendo quell'anno,
nonostante tutti i cattivi pronostici di don Salvatore, preso la laurea d'avvocato,
veniva a pigliar pratica nello studio di Marco Ferragna.
Prima di accettarlo, Marco, per mantenersi sempre in buona armonia con don
Salvatore, aveva chiesto a quest'ultimo, se non gli dispiaceva che Massimino
Massari pigliasse pratica nel suo studio. - Prima don Salvatore, per sfogare
in qualche maniera la sua bile, aveva mormorato contro tutti i novelli avvocati,
predicendo loro la più squallida miseria, chiamandoli asini, poltroni,
destinati a finirla da guardie daziarie o da pescatori di... anguille, poi
rispose che non gli dispiaceva niente affatto che Massimino pigliasse pratica
con Ferragna... Oh, che, non era ignorante al punto di proibire a Marco di
fare ciò che più gli piaceva, oh no, si meravigliava che...
- Infine! - conchiuse. - Basta che non mi conduca qui in casa mai questo avvocato
senza clienti nè presenti nè futuri...
... Dunque Marco parlava di Lara con Massimo nella finestra. Massimo dava del "lei" a
Ferragna, ma questi gli rispondeva col "tu", dicendo, al solito,
di esser vecchio, ma in realtà perchè voleva molto bene al giovine
nemico di don Salvatore, al discendente di quella famiglia che la voce pubblica
diceva gli avesse assassinato il suocero. - Naturalmente si trovava da ridere
sulla strana condiscendenza di Marco, ma lui non si curava dei pettegolezzi,
e trovando Massimo buono, simpatico e istruito, gli accordava tutta la benevolenza
possibile e immaginabile...
- La signorina Mannu, - diceva Massimo, - mi pare che sia ammalata. È orribilmente
magra; invece di crescere pare che rimpicciolisca mentre l'altra, la piccina,
cresce e si fa proprio bella.
- Ah, sì, - rispose Marco guardando le due cugine, com'egli le chiamava.
- Pasqua è davvero bella! Non pare neanche sarda. Ma neppure Lara è brutta.
Solo è troppo magra, pallida e seria. Neanche io so ciò che abbia.
Dopo la malattia di un anno fa, non pare più lei.
- Chissà! Solita storia! - esclamò Massimo con un sorriso maligno.
- Oh, non mi pare! Anzi Lara è una ragazza molto fredda: credo che non
si innamorerà mai sul serio.
- Dicono sia fidanzata con don Pasquale R***.
- Non è vero! Io sono più che intimo in casa di zio Salvatore...
- Più di me?... - chiese Massimo ridendo, mentre Marco proseguiva:
- E posso assicurare che don Pasquale ci va solo per amicizia; e poi Lara non
lo vorrebbe. È così vecchio e brutto...
- Bah! Ma è così ricco! - aggiunse Massimo ridendo sempre.
Guardò in aria distratto. In quel momento di silenzio giunse sino alla
finestra la voce delle due fanciulle che passeggiavano in fondo all'orto senza
badare in alto.
Pasqua parlava lesta, concitata, e fra il chiacchierìo si distinguevano
le parole "raso, paglia, ventaglio, ombrellino", perchè forse
proseguiva a ideare la sua teletta estiva. A un tratto Lara, però, la
interruppe esclamando con voce stanca:
- E finiscila! Sei noiosa! Ora lo so a memoria...
- Sì! - riprese Massimo: - Pasqua si farà una bella fanciulla.
- Di' - esclamò Marco - sarebbe bella che te ne innamorassi, e che tutta
la vostra inimicizia finisse in un matrimonio...
- Impossibile!
- Forse che anche tu nutri dell'odio? Allora devi odiare anche me! Però più di
una volta mi hai detto che ti divertiva assai questa inimicizia infondata,
alimentata dall'ignoranza, e che ne ridevi...
Massimo diventò serio e rispose:
- Ma sì, ma sì! io ne rido e sfido tutti coloro che hanno un
po' di buon senso a non riderne. Pasqua Mannu è una bella bambina che
si farà una bella fanciulla; però io mi guarderò bene
dall'innamorarmene, non perchè tema della nostra inimicizia, ma perchè il
matrimonio mio con una delle signorine Mannu riuscirebbe impossibile anche
se io fossi l'amico più intimo di don Salvatore. Sono così povero!
E non sarò mai ricco!
- Ah, è vero! - rispose Marco, ricordandosi l'opinione dello zio su
questa questione. - Pure ti dico che se anche tu fossi ricco, non ti azzarderesti
di imparentarti coi Mannu! Sarebbe troppo grossa! Il pubblico ti schiaccerebbe
coi suoi pettegolezzi.
- Il pubblico! - gridò Massimo riscaldandosi. - Io disprezzo il pubblico
e i suoi pettegolezzi... Se lei vuole, gliene darò una prova.
- Un esempio?
- No, una prova, fra un mese! Vedrà!...
Per quanto Marco lo interrogasse, Massimo non disse ciò che avrebbe
fatto. - Farai forse la tua brava dichiarazione a Pasqua? Bada bene, è ancora
una bambina e non ti comprenderà! E del resto, - aggiunse Ferragna con
serietà, - non sono scherzi da fare. Don Salvatore non si rassegnerebbe,
e basta una scintilla per ravvivare l'incendio. Non fare pazzie, Massimo...
- Massimo alzò le spalle e disse: - Non sono pazzo, no! D'altronde...
- È vero! - esclamò Marco ricordandosi. - Tu sei già innamorato,
non negarmelo... È assai carina la signorina Violante...
Infatti in quei giorno Massimo usava passeggiare molto sotto le finestre d'una
signorina chiamata così: tutti dicevano che facessero l'amore e naturalmente
Marco lo sapeva. Se non si sanno queste cose, cosa volete che si sappia in
luoghi come X***? Massimo rise con quel risolino caratteristico che fa indovinare
tante confidenze; Ferragna gli battè familiarmente una mano sull'omero
e lo lasciò un momento solo alla finestra.
Pasqua essendosi ritirata, Lara proseguiva sola la sua passeggiata, le braccia
conserte, il viso chino, gli occhi fissi al suolo.
Vestiva quasi di bianco, un vestito sempre semplicissimo ma elegante, e la
tinta rosea del crepuscolo proiettava una lieve sfumatura di rosa sui suoi
capelli svolazzanti alla brezza.
Camminando così, a passi lenti, stanchissimi, immersa in profondi pensieri,
il volto dolente, mentre tutto sorrideva a lei intorno, Lara aveva qualcosa
di poeticamente doloroso che colpì Massimo. L'osservò attentamente
e scosse la testa pensando: - Checchè dica Ferragna, questa ragazza
soffre.
A un tratto Lara si voltò e alzò gli occhi, i suoi grandi occhi
così belli e pensosi, l'unico avanzo della sua splendida bellezza infantile.
Massimo li vide: fu tutta una rivelazione per lui, che non aveva mai esaminato
attentamente la sua piccola nemica. - Per bacco! - esclamò fra se. -
Aveva ragione l'altra sera il mio amico Antonio: Lara ha veramente occhi meravigliosi. È più simpatica
della piccola. E sarà lei che... - pensò alquanto, poi sorrise
e mormorò:
- Sarà curiosa!... Una burla assai curiosa, assai...
XX.
Una mattina, ai primi di agosto, donna Margherita si svegliò pensando:
- L'anno scorso non si potè adempiere, ma quest'anno è necessario
che si faccia... Sì, sì! Lara è guarita: dunque la faremo!
Voleva dire la novena promessa a "Nostra Donna della Neve" per la
guarigione di Lara.
Molte volte, forse troppe, mi è avvenuto di parlare di un costume graziosissimo
invalso nelle popolazioni della parte montuosa della Sardegna, ed ora ne riparlerò,
essendo ciò necessario al presente racconto, - ed essendo anche nella
natura delle cose radicata l'abitudine di parlare sovente di quello il cui
ricordo più ci diletta e ci colpisce.
Voglio parlare dell'uso di salire alla cima di un monte o scendere al fonda
di una valle, a certi tempi fissi, ogni anno, per festeggiare un santo o una
Madonna, là, per nove, dieci, quindici giorni, sotto gli alberi verdi
e silenti, elci o pioppi, fra le rocce, le borraccine e i lentischi, - uso
vivente da secoli e secoli, eguale nel Logudoro come nel Marghine, come in
Barbagia, nella pianura e nelle montagne.
La leggenda sfiora quelle vecchie chiese brune e cadenti, circondate di stanzette
oscure, polverose, mute e gelide per undici mesi e mezzo dell'anno, ma il cielo
azzurro lampeggia in alto attraverso le chiome argente dei pioppo o le rame
di smeraldo delle querce e fa scordare le vecchio storie ricordate con monotono
ritmo dai versi delle laudi, - il santo o la santa sorridono nell'ombra degli
altari e col dito indicano il cielo ai credenti che attraversarono burroni
e vallate per venirli a pregare; ma le fanciulle, mentre guardano la volta
oscura della chiesa, odono fuori nella spianata la musica stridula di un organino,
e i loro piedi fremono e l'anima volta al ballo tondo, all'amante che le aspetta
al rezzo degli alberi per offrire loro il braccio o la mano per la danza. Belle
notti dei boschi e delle valli! Chi, chi vi può scordare, e chi non
vi ricorda con un sorriso di poesia sulle labbra? Chi può scordare il
susurro dei boschi nel silenzio della notte azzurra, la massa nera degli alberi
frementi alla brezza della sera, e il murmure del torrente che cadendo di rupe
in rupe canta la poesia delle montagne solitarie, e la vecchia chiesa disegnata
nell'ombra come gli avanzi di un castello distrutto; e il canto misterioso
degli uccelli notturni, il mare placido steso all'estremo orizzonte come una
striscia di raso verde, o viola, o rosa sullo sfondo del cielo bianco, la luna
d'oro che tramonta nell'occidente di smeraldo, proiettando le ultime sue scintille
sulle foreste e sulle montagne lontane, le stelle splendide sui firmamenti
azzurri, il tintinnìo eguale, argentino della campanelle delle gregge
pascolanti nella notte, vibrato nel silenzio immenso dell'oscurità profumata
dalle rose montane, dalle ellere fiorite e dalle giunchiglie crescenti lungo
i ruscelli d'argento?
"
Nostra Signora della Neve", la chiesetta dove donna Margherita aveva promesso
di far la novena per la salute di Lara, ergevasi fra le creste granitiche d'una
montagna qualche ora distante da X***. La leggenda narra che esistevano una
volta due fratelli entrambi innamorati di una bella fanciulla fidanzata ad
uno di essi. Una bella notte, l'altro fratello, spinto dall'amore e dalla disperazione,
uccise il fidanzato e si diede ai boschi; ma perseguitato dal rimorso e dalla
passione sempre crescente, finì coll'uccidersi, lasciando detto ai suoi
parenti che coi beni aviti ergessero una chiesa in suffragio non dell'anima
sua, perduta per sempre, ma per quella del fratello assassinato! Strana riparazione!
La chiesetta venne costrutta sul sito dove il fratricida erasi assassinato,
e dopo, i buoni abitanti dei dintorni vi aggiunsero varie stanze e logge nell'ingiro,
e per secoli e secoli risero, danzarono e pregarono per tutti, fuorchè forse
per l'anima dei due fratelli. Nostra Signora della Neve fu chiamata così perchè per
vari mesi dell'anno resta coperta e attorniata di neve, essendo, come si è detto,
posta in cima a una montagna abbastanza fredda nella sua sommità. Il
luogo è selvaggio e pittoresco, gli alberi altissimi e folti, le rocce
coperte di muschio, il suolo disuguale nascosto da una folta vegetazione silvestre.
Le felci ondeggiano alla brezza dei boschi, l'ellera, le aline, i rovi verdeggianti
e le borraccine dai fiori rossi tappezzavano le rupi erte, gli enormi massi
tagliati a picco, dalle cui cime si godono immensi orizzonti stendentisi sino
al mare sotto la curva di un magnifico cielo, paesaggi verdi, vallate bionde,
ondulate, nude, montagne e altre montagne ancora, villaggi azzureggianti nella
lontananza, finchè l'occhio si stanca nella nebbia che vela l'orizzonte
dietro cui sorridono le pianure del sud inondate di sole e di verzura. I ruscelli
cadono mormorando sul granito e i giunchi crescono nell'umidità, all'ombra
degli alberi susurranti, e le gazze cantano allegramente nell'azzurro di quei
boschi non ancora profanati dalla scure dell'uomo.
Non ci voleva meno per commuovere Lara. - sulle prime aveva resistito, sorridendo
amaramente della promessa di sua madre, e dicendosi fra sè che avrebbe
fatto meglio a farla morire, la Madonna; pi aveva chinato il capo. Tanto! tutto
per lei era lo stesso; andando in campagna o rimanendo a casa, il tempo doveva
lo stesso trascorrere. - Si fecero i preparativi, perchè non si va così a
tali luoghi come ad una semplice passeggiata, Bisogna portar su le provviste
per due settimane di vita, gli attrezzi necessari per la cucina e per il sonno,
i dolci, ecc. ecc. Ogni giorno affluisce lassù una gran folla di gente,
da tutti i villaggi vicini, che sale la mattina e scende la sera, come il sole,
ed ai "novenanti" tocca fare i dovuti onori di casa, invitando a
pranzo gli amici. Lara odiava tutti questi costumi, sicchè, prevista
una gran noia, si munì di libri, decisa a svignarsela fra i boschi e
restar sola leggendo il più possibile.
Salirono agli ultimi di agosto. La stanza destinata loro era la più ampia
e la più bella, cioè la meno distrutta. La pareti, nere, il pavimento
di terra, una vecchia finestra e una porta più vecchi ancora; ecco la
casa che la famiglia intera, cioè Lara e Pasqua, donna Margherita e
due serve (perchè don Salvatore, rimasto a X***, sarebbe salito su solo
tre volte alla settimana) doveva abitare per quindici giorni. Quando Lara si
avvide di ciò, provò un brivido; guardò bene e vide che
i ragni tessevano magnifiche cortine sul tetto, sulla finestra, da per tutto;
che il suolo screpolato, affossato, dimostrava come e qualmente nell'inverno
trascorso quella stanza fosse stata abitata da una famiglia di... porci, e
il suo disgusto crebbe. Come, come passare due settimane in quella stamberga?
Era certa che vi sarebbe morta: al paragone, la loro vecchia casa di X*** era
una reggia, e Lara, non ancora riposata dal lungo viaggio, anelava già ritornare.
Entrò in chiesa, i capelli, gli abiti coperti di polvere e il disgusto
impressi nel viso, pensando che in realtà erano due grosse bestie ignoranti
le due serve che non sapevano contenersi dalla gioia che provavano a trovarsi
lassù. La chiesa giaceva nella penombra; alte pareti bianche, una volta
pure bianca, un umile altare con al Madonna bianca dai grandi occhi pallidi
azzurri, il pavimento di lavagne, due banchi di legno nero, una porta piccina
al fianco e una grande infondo, sormontata da una finestra gotica da cui pioveva
una strana luce azzurrina, polvere e silenzio da sepolcro, ecco tutto! Fu una
nuova disillusione per Lara, che credeva di trovare un po' di arte e di ricchezza
nella chiesa; tuttavia al medesimo tempo la calma fredda e solenne di quella
vecchia casa di Dio si introdusse nel cuore di lei. Si inginocchiò sui
gradini freddi dell'altare, la testa appoggiata alla balaustra di legno, e
pregò. Chissà che disse! Preghiere a fior di labbro, avemmarie
susurrate da un'anima fredda ed oscura al pari di quella chiesa; - il fatto
sta che, appena levatasi, Lara si diede a frugare con una curiosità poco
religiosa su e giù l'altare. Trovò la tovaglia magnifica, i candelieri
senza ceri, la polvere, dimostravano che da molto tempo nessun pregava in quell'altare.
La lampada spenta diceva come i Mannu fossero i primi a salire su per la novena.
Molte cose trovò Lara, ma nessuna la commosse quanto qualche parola
scritta col lapis su una parete, sotto la pila dell'acqua santa. Diceva: -
Addio, Madonnina bianca, con te lascio la mia felicittà! - Il doppio "t" della
felicità fece sorridere Lara, ma, lentamente, quel sorriso sfumò,
e un pensiero triste, fisso, brillò nei suoi occhi. La sua mente costruiva
un romanzo davanti a quelle parole. Certo, la mano che le aveva vergate, doveva
essere di una donna, una fanciulla che aveva trascorso giorni felici lassù,
e che dopo l'ultima sua preghiera, dopo l'addio ai boschi, ove forse..., aveva
dato anche l'addio alla signora dei luoghi testimoni della sua avventura. -
Chissà! Forse dopo non era mai più stata così felice.
E il pensiero di Lara corse ai bagni, alla parte della sua camera ove anch'ella
aveva scritto la parola "addio" - e sorrise di nuovo, ma amaramente,
col suo straordinario sorriso che le dava l'aria, secondo il parere di Pasqua,
di un predicatore indignato contro il mondo intero!
Uscita di chiesa, Lara visitò le altre stanze, tutte aperte in attesa
dei nuovi ospiti, tutte in peggior stato della loro, e studiò la "località".
Gli alberi fremevano intorno: le capanne di frasche, rovinate, gli avanzi dei
fuochi da lungo spenti, rottami di stoviglie e di bottiglie indicavano la novena
dell'anno scorso; pareva un piccolo villaggio disabitato, e una melanconia
immensa grava col silenzio e la solitudine. Una cosa fece ridere Lara: la campana
appesa ad un tronco, posto attraverso l'inforcatura di due alberi. - Ecco il
campanile! - pensò. La assalì l'idea di suonare, ma le fu impossibile,
perchè la campana mancava di corda, e tirò via.
Camminò a lungo, badando ai massi e agli alberi che lasciava indietro,
per non smarrirsi, e benchè non volesse confessarlo a se stessa, trovò che
il bosco ampio e pittoresco ricompensava davvero la strettezza della "catapecchia",
ove era condannata a vivere due settimane. Oh, che bei divani di musco, che
splendide cortine d'edera e di fiori! E la vôlta? la magnifica vôlta
di cristallo azzurro che si vedeva attraverso gli arabeschi frementi delle
verdi chiome degli alberi?
Si arrampicò su una rupe e vi trovò un superbo seggiolone di
granito; si assise e guardò. Ai suoi piedi i boschi si stendevano per
la china della montagna, e il panorama più sotto descritto sorrideva
inondato di sole, di tinte vaghe e splendenti. Giù, giù, la valle
ombrosa taceva, tacevano i lontani villaggi, taceva il cielo azzurro e i boschi
sottostanti, ma il vicino, fra l'edera e le rose pallide di montagna, due gazze
innamorate cinguettavano allegramente, sfacciate e ciarliere come due popolazioni
irritate.
Lara abbandonò la testa sul musco e le ascoltò. Trovava tutto
bello e affascinante, ma la solitudine la spaventava, le dava uno spasimo indescrivibile.
Chiuse gli occhi e fu per mormorare: - Dio mio, fatemi morire, ora, qui! -
ma si corresse e pensò: - Ah, se ci fosse qui Mariarosa, se potessi
come "laggiù", correre con lei sotto gli alberi e ammirare
il cielo, quanto sarei felice!...
XXI.
L'indomani sera i novenanti erano tutti arrivati; vicino ai Mannu stava il
cappellano con una vecchia sorella e un nugolo di nipotine con le quali Pasqua
strinse subito amicizia. - Il resto della improvvisata "popolazione" consisteva
in un miscuglio il più strano e curioso. Famiglie di pastori e di contadini,
gente civile e povera gente che aveva portato su tutti i suoi attrezzi entro
un canestro: bimbe, signorine, giovanotti, vecchierelle curve che rimanevano
tutto il santo giorno a conversare con la Madonnina; e robuste popolane, allegre,
rosse, fiammeggianti nella loro camicia bianca e nel corsetto di velluto, che
cantavano a squarciagola sotto gli alberi e fra le rocce. In un batter d'occhio
tutte le stanze vennero pulite, ammobiliate, se così poteva chiamarsi
lo strano arredamento compiuto in due ore. Tuttavia, dal primo sguardo si indovinava
subito se i nuovi inquilini fossero poveri o ricchi, signori o contadini. Nelle
stanze della gente per bene, l'arredamento consisteva prosso a poco così:
in fondo, un letto ben coperto, benchè composto di tavole poste a traverso
di due panchette, i cui materassi la notte si disponevano sul suolo per dormirvi
le donne e i bimbi (gli uomini dormivano in... chiesa); una tavola stracarica
di chicchere, tazze, bottiglie e calici, scintillanti nella penombra verdognola,
sedie, panche, canestri e panieri ficcati da per tutto, e qua e là qualche
oggetto signorile, spaventato di trovarsi in tale ambiente; era, o uno specchio,
o un quadro, un vassoio elegante, un tappeto da tavola od anche qualche semplice
cortina di "cretone" ondeggiante su un armadio e magari alla finestra.
Così almeno la stanza dei Mannu, che le domestiche, accortesi del disgusto
di Lara, avevano reso il più possibile abitabile. Dei rami d'ellera,
dei mazzi di fiori di bosco, delle fronde d'elce dalle morbide foglie d'un
biondo verdastro, erano state poste da per tutto, e davano tale una grazia
e un profumo all'oscura cameretta, che avevano finito col rinconciliarsi l'incontenibile
e arisitocratica padroncina.
In verità! Nessun'altra stanza era meglio arredata, neppure quella del
cappellano. In quanto a quelle dei... poveri, oh, quanto Lara ne aveva riso!...
Figuratevi! Piantati quattro piuoli in terra, in modo di occupare quasi tutto
lo spazio, su avevano formato una specie di ingraticolato di rami e su questi
rami steso un altro strato i felci e di foglie. Era il letto col suo bravo
cortinaggio composto di un lenzuolo. Sotto il letto stavano le provviste e
nel piccolo spazio vuoto nereggiava l'armamento culinario, fra cui imperavano
le caffettiere nere come il diavolo.
Vedendo tutto questo, Lara pensò che forse non si sarebbe annoiata come
temeva, e cominciò a studiare i tipi. Non le piacque nessuno. Le signorine
erano tante pettegole, le popolane ignoranti, i giovanotti insipidii bimbi
maleducati, ecc. ecc., secondo il suo parere. Finì col farsi intimo
amico un vecchio pastore che abitava una capanna vicina e veniva ogni giorno
alla chiesa; un vecchio pastore, dal volto color rame e vestite di pelli come
un eschimese. Sì, Lara si divertiva più nel visitare la capanna
e sentire le stravaganze del vecchio pastore, che star lì a chiacchierare
sotto gli alberi, sparlando del prossimo lontano...! Le altre ragazze la rincorrevano,
la chiamavano selvaggia, la pigliavano a forza tra loro, conducendola ad accendersi
il falò sulle cime più pericolose, ma con tutto ciò, non
si guadagnavano la sua simpatia. Alla fine, un giovine le disse: - Donna Lara,
lei fugge la "società", dunque o è innamorata o crede
di degradarsi rimanendo fra noi che non siamo ricchi e nobili come lei!
Lara si sentì offesa, tuttavia non disse nulla, ma da quel momento rimase
in "società" e si mostrò allegra e democratica all'ultimo
grado. I giorni passavano, azzurri, deliziosi. Si ascoltava la messa assai
presto, si cucinava all'aria aperta, talchè l'uno sapeva ciò che
l'altro preparava pel desinare, si pranzava sotto gli alberi, si correva pel
bosco, si ballava, si cantava, si rideva, ma il più grande divertimento
era la notte, allorchè sulla spianata splendeva il fuoco e intorno vibrava
nella oscurità stellata, sotto gli alberi fantastici, l'allegria pazza
dei bimbi e l'allegria voluttuosa delle fanciulle sentimentali.
L'organino e la chitarra gemevano nella sera tiepida e vellutata, le vecchie
storie passavano attraverso i guizzi rossi delle fiamme e sparivano all'ombra
dei boschi, il venticello olezzante di lentischi e di giunchi susurrava un'armonia
lontana, e il canto appassionato delle poesie sarde s'innalzava nel silenzio
delle montagne, come un fremito di amore, con scoppi di baci ardenti, dati
al chiaro di luna, e lento rigare di lagrime sui volti pallidi e dolenti.
E Lara era ricaduta nei suoi sogni. Aveva scordato tutti i dolori trascorsi,
e sognava ancora l'amore! L'aria della montagna aveva fatto rinascere nel suo
cuore il fiore della gioventù e dei sogni, poco importava che questo
fiore fosse triste come il giacinto dell'inverno era sempre fiore! A poco a
poco, avvezzatasi all'orribile stanzetta addossata alla chiesa, non v'entrava
che alla sfuggita, di giorno.
Di notte dormiva poco, così sul suolo, sopra un solo materasso e con
un po' di freddo filtrante attraverso le canne del tetto nero, ma nelle sue
lunghe veglie ella sentiva indistintamente il susurrio dei boschi e le campanelle
delle gregge pascolanti sotto la rugiada, - strana musica lontana, vaga melanconia,
che cullava il pensiero intorpidito e gettava una specie di velo sovra i suoi
ricordi angosciosi.
Un tarlo rosicchiava le travi del tetto. Il suo stridio rauco, debole, incessante,
si frammischiava agli altri rumori della notte e dava uno strano pensiero a
Lara. Chissà da quanto quel tarlo lavorava lassù... forse da
secoli, e secoli ancora occorrevano prima ch'esso riuscisse a rompere il legno,
ma vi sarebbe pur riuscito; Lara ne era certa e provava della simpatia per
quell'essere invisibile, così costante, così laborioso, per quanto
la sua fosse una opera cattiva. - La mattina, cessato, appena il tintinnìo
delle pecore pascolanti, risuonava il campanello stridulo che annunziava la
messa, - perchè la grossa campana non la si adoperava che per la festa
solenne, - ma spesso Lara non si muoveva dal suo giaciglio. Sentiva la messa
attraverso la prete e il mormorìo del rosario detto dalle devote a voce
alta era una nuova musica non meno caratteristica delle altre. Appena levata,
Lara faceva teletta e colazione e poi se la svignava ai boschi; batteva tutti
i luoghi praticabili, e più d'una volta si era smarrita. Non voleva
confessarselo, ma le sarebbe piaciuto immensamente qualche avventura di banditi
o che. Ella non aveva paura; ma grazia di Dio le montagne sarde non sono poi
così pericolose come vengono immaginate, e Lara non incontrava nessuno
nelle sue escursioni; solo capre vaganti pei dirupi, e gazze sugli alberi.
Nel meriggio si coricava in qualche luogo molto pittoresco, sul musco olezzante,
e pigliava la rivincita dell'insonnio notturno; ritornava alla stanzetta tutta
coperta di foglie, di spighe silvestri, i capelli arruffati e le mani nere,
e rifaceva le teletta: semplici telette che pure le procuravano l'invidia e
l'ammirazione delle altre ragazze, la cui compagnia doveva subire per tutto
il resto del giorno. I giovanotti le facevano la corte, ma lei non se ne accorgeva,
ballava e rideva e parlava male del prossimo, come tutte le altre, ma in fondo
restava un enigma per i signorini che andavano pazzi per i suoi occhi profondi
e pensosi che non si rivolgevano verso i loro come quelli delle altre ragazze.
I più forti piaceri, Lara li provava all'imbrunire; là nella
oscurità azzurrognola della chiesa, quando i ceri si consumavano splendendo
col crepuscolo e olezzando con l'incenso, e la mesta voce del sacerdote narrava
le lodi della Madonna bianca dai grandi occhi azzurri, Lara chinava la testa
sulla balaustra nera e provava tutto un incanto mistico, soave. Un fremito
le passava per le spalle, e la sua mente, istintivamente, ritornava ai vecchi
sogni, ma puri e sereni; visioni di neve, baci di angeli, frascii di fiori
bianchi ondeggianti alla brezza gelida di una notte cerea, dal cielo color
di latte e le montagne coperte di veli..., ecco ciò che Lara provava.
All'uscire di chiesa il suo volto pallido e i suoi occhi avevano qualcosa di
strano; una luce ammaliante che rifletteva le tinte del vespero di rosa e il
tremolìo delle chiome bionde degli alberi, talchè uno studente,
un piccolo poeta bruno e fantastico, se ne era innamorato perdutamente, ma
quando si arrischiò a farle la sua dichiarazione, Lara lo guardò con
aria così beffarda e tranquilla, che lui fuggì pei boschi pensando:
- Sembra un angelo, ma è un demonio! - Incontrò una servotta
brutta che ritornava dal ruscello e per vendicarsi di Lara le offrì il
cuore. La ragazza l'accettò! Allora il piccolo poeta si scordò di
Lara e pensò della serva: - Pare un demonio, ma è un angelo!...
L'altro piacere di Lara era il falò che ogni sera si accendeva sulle
cime della montagna. Ognuno doveva portare il suo ramo sino alla cresta e adattarlo
sul mucchio. Accesa la catasta, tutti si sparpagliavano qua e là sulle
rupi, a gruppi, a due a due e chiacchieravano mentre il fuoco ardeva là dove
la neve aveva regnato, mandando con le sue scintille il saluto della montagna
tinte di viola, d'azzurro e di rosa dallo splendido imbrunire, la scena era
superba, sublime! A misura che la sera si avanzava, larghi bagliori d'oro guizzavano
sui boschi sottostanti, sulle rupi di granito, sulle macchie di lentischio;
le persone diventavano nere sullo sfondo azzurrino del cielo, la brezza passava
attraverso le vesti e i capelli; fulgidi scintilìi brillavano negli
occhi, nei denti, nelle unghie, nei capelli di tutti, e la montagna taceva
e i poeti sognavano appoggiati alle rocce, e spesso saliva dal paesaggio deserto
un lontano squillare di avemmarie vibrato, vagante agli ultimi riflessi della
sera, che dava un fremito, un verso, un lampo di poesia anche ai più ignoranti
e positivi. - Lara si trovava nel suo ambiente. Pensava che queste bellezze
sovrumane della natura sono le sole feste, le sole gioie che la Sardegna solitaria
e deserta può dare ai figli suoi, pensava che vale più nella
vita una sera passata in montagna, così vicino al cielo, così sopra
del mondo, che cento notti e mille giorni di feste cittadine, e sorrideva ebbra
di azzurro e di solitudine.
Ma in fondo provava una lieve sfumatura di sconforto; avrebbe voluto che qualcuno
lì vicino avesse partecipato alla sua ammirazione, alla sua rosea filosofia
di diciotto anni, e guardandosi intorno scoteva lievemente la testa bruna.
Nol nessuno poteva capirla, nessuno fra quelli che la circondavano! - In quei
momenti non pensava neanche a Mariarosa, perchè sapeva che lei meno
delle altre l'avrebbe capita, pure desiderava qualcuno... qualcuno!... La figura
di Nunzio brillava un momento al suo pensiero, ma tosto un amaro ricordo la
cancellava con larghe strisce nere; era la mano di don Salvatore che faceva
ancora ardere le guance della nostra fantastica eroina.
XXII.
Pure, una sera, Lara credè di aver trovato! Avevano acceso un falò così grande
che le scintille minacciavano di appiccare il fuoco al bosco. Si rideva assai
di questo pericolo, ma si smise l'ilarità allorchè una scintilla
si attaccò ad una macchia di rovi crescenti in una screpolatura di roccia.
Li vicino stava un albero; il pericolo non era più divertente: ma un
giovine scese come uno scojattolo e, aggrappandosi al granito, spense il rovo,
soffocandolo a colpi di fronde. Tutti l'applaudirono; solo Lara restò immobile
e muta sulla rupe, ma nessuno trovò che dire della sua freddezza. Cessato
il pericolo, tutti ripresero le loro chiacchiere, e il giovine ardito restò laggiù in
guardia del fuoco, come egli disse con voce sonora e simpatica, che scosse
tutta l'anima di Lara, immersa in uno dei sottili sogni. Il giovine si appoggiò ad
una sporgenza di roccia e guardò in alto. Lara, non ricordandosi di
averlo visto mai prima di allora, lo esaminò curiosamente. Era un giovine
bellissimo, biondo, elegante, dal profilo aristocratico e gli occhi luminosi.
Pareva incantato dal luogo, dell'ora, della cena, e si fu allora che Lara pensò:
- Ecco un cristiano che deve provare i miei stessi sentimenti! - Ebbe una gran
voglia di parlare con lui; ma il giovine non la guardava neppure, per il che
lei ne provava un vago dispetto.
Al ritorno, Lara prese il braccio di una ragazza, e le chiese:
- Chi è il giovine che ha spento il fuoco del rovo?
L'altra lo guardò stupita, esclamando: - Come, non lo sai?
- No, davvero; non l'ho visto mai prima di stasera.
- Ma questa poi è bella! è curiosa! È il tuo nemico!
- Il mio nemico? In non ne ho! chi è dunque?
- È Massimino Massari!...
Lara sorrise lievemente. Sapeva l'odio che correva fra la sua e la famiglia
Massari, ma lei non vi partecipava punto. Rispose:
- Ah, è vero! Però non siamo più nemici, ora, oh, no!
i tempi son cambiati, ed io sono tanta nemica di questo giovine che nemmeno
lo conosco.
- Brava, Lara! È un bel giovine, non è vero?
- Sì, molto bello!
- Dicono sia fidanzato con Violante R***, - Lara fece una smorfia, - ma non è vero
ti assicuro, che non è vero! - Lara respirò. Perchè? non
avrebbe saputo spiegarselo, ma provò un fremito quando l'altra, scherzando,
le disse:
- Di', non sarebbe un caso curiosissimo se Massimino o Massimo, come vuol esser
chiamato, ti facesse la corte?...
Lara rise clamorosamente, poi, abbassando la voce, mormorò:
- Taci! Se ti udisse io padre, ti ammazzerebbe!
- Come? No hai detto che non siete più nemici fare!
Altro che scherzi! Otto giorni dopo, Lara era perdutamente innamorato di Massimo,
e Massimo di Lara! Come ciò fosse avvenuto, nessuno lo sapeva, perchè nessuno
sapeva il loro amore, ma Lara e Massimo sapevano benissimo la storia del loro
cuore, del resto semplicissima; erano giovani e belli entrambi, non si odiavano,
non avevano le idee delle loro famiglia. Perchè dunque non dovevano
amarsi? Veramente la storia di Massimo risaliva a qualche tempo prima; alla
sera cioè in cui aveva per la prima volta osservato gli occhi di Lara.
Quella notte lì vide in sogno; i giorni appresso li rivide in realtà.
Lara non lo conosceva, ma lui la vedeva ogni sera dalla finestra dello studio
di Marco, la seguiva nelle sue passeggiate melanconiche attraverso l'orto,
spesso la vedeva abbandonarsi su una panchina e nascondere il viso fra le mani;
una volta la vide a capelli sciolti correre dietro a Pasqua, che le aveva rubato
il pettine mentre ella faceva teletta sotto il pergolato, un'altra sera la
vide nientemeno che piangere silenziosamente, le spalle appoggiate ad un rosaio,
che la circondava tutta di un'aureola di rose d'estate, pallide e languenti,
e questa ultima scena decise Massimo ad amare la sua piccola nemica. L'amò ardentemente,
pazzamente. V'erano orrendi ostacoli fra lui e Lara, ma purchè ella
lo amasse, Massimo non se ne scorgeva più. Era avvocato e sapeva che
Lara ben doveva entrare in età maggiore. Qual odio restiste nella legge? È vero;
occorrevano ancora tre anni perchè la fanciulla fosse libera di sè,
ma il giovane non si sgomentava; anzi quei tre anni gli davano agio di procurarsi
una buona posizione. L'essenziale era di farsi amare da Lara e mantener segreto
il loro amore sino al giorno in cui essa avrebbe compiuto il ventunesimo anno.
Salì apposta sulla montagna e osservò che Lara lo guardava; ne
esultò e s'innamorò ancor di più nel vederla sì vezzosa
e simpatica nel suo vestito oscuro, il volto pallido e gli occhi dai riflessi
di rosa, ritta sulla montagna, fra le ellere e le rupi. Benchè fosse
molto buono, in quel momento Massimo desiderò che tutti precipitassero
dalle roccie e restasse lui solo con Lara, soli, davanti a Dio e al crepuscolo
spegnentesi in tinte di madreperla e di argento!...
Restò sul monte, quella notte e l'indomani, ma gli fu impossibile parlare
con Lara. Alfine decise un colpo straordinario, meraviglioso: assicuratosi
che Lara non faceva l'amore con nessuno, ritornò a X*** e risalì alla
chiesetta, solo, alla domenica seguente, cioè il giorno della gran festa.
Impossibile intanto descrivere l'impressione che produsse in Lara la vista
del giovine. Il presente racconto non pretende di essere un racconto psicologico,
quindi non ci accingeremo a indagare il perchè Lara amò sin dal
primo vederlo l'uomo che secondo ogni probabilità doveva destare in
lei una istintiva avversione. Fu, come suol dirsi, un colpo di fulmine.
Il terreno era ben adatto, rorido di passione e di sogni, e il seme germogliò in
una notte, in un istante; e il fiore roseo dell'amore olezzò di nuovo
se pure altra volta aveva olezzato, in quell'anima bizzarra, grande e bambina
nel medesimo tempo.
La sera del falò e tutto l'indomani, Lara non fece che guardare Massimo;
intanto cercava di distrarre lo sguardo da lui; gli occhi ci tornavano sempre,
attirati dal volto del giovine come l'alianto dal sole, e ciò ch'era
peggio, insieme allo sguardo fissava il pensiero. Ritrovava bellissimo il "nemico" e
ascoltava incantata quella voce che non si rivolgeva mai a lei. Quel giorno
rimase sempre vicina al crocchio dove Massimo conversava, e desiderando d'essere
guardata da quei grandi occhi luminosi, aveva posto la massima cura nel vestirsi.
Ma il giovane non la guardava mai, non si curava di lei, e lei ne provava uno
strano dispetto. Ma infine! che doveva importarle? perchè Massimo doveva
guardarla? non erano forse nemici? Quando partì, Massimo strinse la
mano a tutti fuorchè a lei, che si morsicò le labbra pel dispetto;
tuttavia lo seguì con lo sguardo. Cavalcava un bel cavallo nero, impaziente,
che si slanciò a trotto sotto gli alberi. Come cavalcava bene! com'era
elegante così a cavallo! Prima di scomparire Massimo volse la testa
e la guardò con un lieve sorriso sulla stupenda bocca rossa ombreggiata
d'oro dai baffettini biondi. Lara arrossì e provò tale un istante
di gioia, di voluttà che le ricompensò interi mesi di dolore.
Massimo l'aveva guardata! Massimo le aveva sorriso! Da quel momento il destino
dei due giovani fu deciso, da quella momento il cuore di Lara fu tutto del
biondo e affascinante nemico.
Dopo quel momento la figlia di don Salvatore sentì la sua anima cambiarsi
completamente; sulle prime fu una gioia pazza, febbrile, una misteriosa felicità che
la faceva sorridere al ricordo dei tristi tempi passati, che la faceva chiedersi
come mai aveva potuto amare o almeno pensare a Nunzio, a quello strano essere
pallido e malata dagli occhi riflettenti la tristezza e la morte; mentre esistevano
al mondo rosei e forti giovani biondi che realizzavano la larva dei suoi castelli
neri, dagli occhi il cui smalto scintillante narrava tutte le voluttà della
vita! Poi l'assalse una cupa tristezza; una tristezza nervosa, senza lagrime,
senza singulti, tutta diversa da quella che lasciava per sempre; non era causata
dal ricordo dell'odio di famiglia, nè dal pensiero della povertà di
Massimo, ma da un una voce segreta che le diceva: perchè pensi a lui,
se lui non penserà a te?... Che importava quello sguardo e quel sorriso?
Forse erasi ingannata, anzi era certa dell'illusione. Massimo non poteva averle
sorriso; era assurdo, impossibile, impossibile!...
E intanto quel sorriso le tremolava sempre davanti agli occhi; lo vedeva fra
gli splendori del cielo, nel biondo tremolìo delle foglie degli elci,
tra il profumo e la penombra dell'altare; lo "sentiva" nel susurro
notturno dei boschi, nel trillo delle allodole e dei grilli, nel mormorìo
del torrente lontano, ed esso le dava una smania, una tristezza ardente e dei
pensieri mai più venuti nella sua mente fantastica e appassionata.
Oh, il nemico! il terribile nemico!...
Venne così la domenica, la festa solenne. Non starò a descrivervi
questa festa, nè i costumi, ne le bellezze che vi affluiscono da tutti
i villaggi circonvicini. La folla era enorme; ad ogni albero stava legato un
cavallo, gli organini strillavano sotto il bosco chiamando le ragazze al ballo;
all'ombra si erano improvvisate, quasi per miracolo della Madonna, tante botteghe,
spacci di dolci, di stoffe, di gingilli, di frutta.
Un "negoziante" appese ad un albero la mercanzia di acciaio, sproni,
freni, catenelle, e avuto così un magnifico successo, fu in breve imitato
da tutti gli altri; verso sera tutti quegli alberi parevano tanti alberi di
Natale. E il sole splendeva scintillando sul bosco, e il cielo azzurro, immobile,
pareva attonito nel vedere tanta vita e tante stranezze là, nel regno
della solitudine e dei vinti.
Fu quella sera che Massimo Massari eseguì la burla promessa un mese
prima a Marco Ferragna.
XXIII.
Don Salvatore era salito su sin dalla mattina con due servi, due cavalli carichi
di provviste e un codazzo di amici a cui imbandiva un magnifico pranzo nel
bosco...
La stanzetta fu invasa da un magnifico esercito di gente che per tutta la mattina
mise alla prova la prodigalità dei Mannu mentre i servi e le serve accudivano
al pranzo, donna Margherita, il marito e Pasqua facevano gli onori di casa,
in quella stretta e bizzarra sala da ricevimento, e Lara brillava per la sua
assenza. Infatti la fanciulla, a cui tutta quella moltitudine e quel rumore
dava un fastidio infernale, se l'era svignata sin dall'alba e non era ritornata
neppure alla messa cantata. Dov'era? Nessuno lo sapeva. Donna Margherita credeva
facesse parte di una spedizione di ragazzi e giovanotti, partiti per visitare
una grotta e gli avanzi di un castello spagnuolo, - ma in realtà Lara
si trovava nella capanna del suo vecchio amico pastore, donde scorgeva tutta
la gente che saliva alla chiesetta. - Chi aspettava? Neppur lei lo sapeva;
però a mezzodì ritornò col volto triste alla stanzetta,
perchè non aveva visto Massimo; e rimase fredda, muta, pallida durante
il pranzo rumoroso e brillante.
A un tratto però, verso la fine, si animò, tutta, diventò rosea
e sorridente e, mentre di "tavola" in "tavola" si cantavano
le solite poesie estemporanee, ella si alzò e ritornò nella stanzetta
deserta. Il disordine più grande regnava là dentro; però Lara
trovò bene il modo di fare una splendida teletta fra i dolci e le bottiglie
rovesciate e le chicchere e le tazze ancora a metà piene di caffè e
di vino.
Aveva visto Massimo ad una tavola vicino alla loro.
Dunque era arrivato? Venuto! Venuto! Oh, come il cuore batteva forte a Lara,
come si sentiva felice, come si seppe ben vestire per piacere al giovine! Indossò un
abito nero guarnito di nastri rosa pallido e pose un nodo dello stesso colore
nei capelli; un costume che in tutto poteva costare quaranta lire e che sulla
personcina elegante e slanciata figurava come un vestito di quattrocento lire.
Una lieve tinta di rosea le colorì il viso, e gli occhi diventarono
più grandi e foschi sotto la ombreggiatura dei ricci rifatti e ben disposti
sulla fronte. - Quando uscì, trovò una delle serve in stretto
colloquio con uno dei servi, ma non osò disturbarli; mise invece la
pace fra l'altra coppia che si bisticciava acremente, perchè Bastiano,
il servo di Barbagia, aveva voluto applicare un bacio sulla guancia rossa di
Peppa, l'altra serva, la quale lo aveva ringraziato dandogli un calcio solenne.
Bastiano strillava:
- Sei una bestia! Eh! la tigre, che non si vuol toccata!...
- Vieni qui! vieni qui! "Su diabuli chi tin de hat battidu!" - imprecava
Peppa ch'era di Orune, armandosi di un grosso randello, con tutte le cattive
intenzioni possibili.
Lara riuscì a metterli in pace; poi tornò allegra e svelata verso
la tavola. Si assise su un masso e fe' vista di ascoltare con piacere la disputa
dei poeti; ma in realtà era immersa nella contemplazione di Massimo.
Non udì don Salvatore che parlava male del giovane col suo vicino di
tavola, e non si accorse che Marco Ferragna la divorava con gli occhi. Verso
le due, tre ragazze vennero e la pigliarono con loro alla "festa da ballo".
Il ballo non tardò infatti a cominciare. A poco a poco tutta la folla
si riunì nella spianata, e le donne che avevano voglia di ballare si
assisero su tronchi e sassi disposti intorno alla "sala". Prima si
eseguì il ballo tondo, a cui presero parte tutte le belle popolane dai
costumi smaglianti, poi l'organino intonò un'allegra mazurka. I giovinotti
si avanzarono verso le signorine... Fu in quel momento che avvenne una cosa
la più strana del mondo.
Massimo Massari aveva invitato a ballare Lara Mannu e Lara aveva accettato!
- Se un fulmine fosse piombato sul bosco, le persone che conoscevano l'inimicizia
delle due famiglie non si sarebbero atterrite di più! Si credè di
sognare! Persino il bosco tacque pieno di meraviglia e di sorpresa. Quando
tutti, persone e fronde, poterono ripigliare l'uso della favella, figuratevi
i commenti che susurrarono!
Tutti gli occhi corsero in cerca di don Salvatore, ma non lo si trovò;
videro solo Marco Ferragna, che, arricciandosi gli eleganti baffetti con la
punta delle dita bianchissime, sorrideva leggermente. Aveva compreso: era questa
la burla promessa da quell'ardito e spregiudicato di Massimo; e se non avesse
pensato alle tristi conseguenze che potevano avvenire, alla collera che si
sarebbe scatenata su Lara, che certo non aveva neanche saputo ciò che
si facesse, Marco avrebbe applaudito l'azione di Massimo. - Questo fatto diede
a dire a X*** per un mese almeno: si credè che finalmente la pace fosse
decisa fra i Mannu e i Massari; ma, visto il contrario, si conchiuse con Ferragna
che Massimo aveva soltanto fatto una burla e che Lara non aveva neppure saputo
quel che si facesse!
Invece! - Quando Massimo s'era inchinato dinanzi alla sua piccola nemica, dicendole
con voce commovente: - Signorina, favorisca un giro?... - Lara sentì il
capogiro e il cuore le battè forte forte come la sera del primo sorriso
del giovine.
Riflettè: - Forse mio padre mi uccide! Ma che m'importa, se morrò dopo
essere stata fra le sue braccia?...
Si alzò e prese sorridendo il braccio del giovane: tremavano entrambi.
Oh, i dolci momenti trascorsi! Lara e Massimo non vedevano la folla che susurrava
di loro, non ricordavano nulla; i loro cuori battevano vicini vicini, il capo
bruno di Lara, il suo viso, i suoi sentivano l'alito ardente del biondo nemico;
Massimo stringeva al suo seno la fanciulla che adorava come un Dio, e laggiù,
laggiù, nei recessi oscuri della boscaglia, fra le rupi tinte di sangue
e le grotte un dì testimoni dei truci drammi delle vendette sarde, l'angelo
dell'amore scacciava a colpi di frusta il demone dell'odio, dicendogli: - il
tuo regno è finito. Fammi largo!...
- Vorrei dirle due parole a quattro occhi... - mormorò Massimo all'orecchio
di Lara, - domani sera alle quattro, sotto "l'elce del castello..."
- Sì! - rispose lei risolutamente.
Non dissero altro. Nell'accettare l'appuntamento di Massimo, Lara non ebbe
alcuna indecisione, nessuna paura, certissima che il giovine la voleva là in
quel sito solitario, solo per parlarle d'amore. E dopo?... Lara vedeva bene
l'abisso in cui sprofondavasi, ma non aveva alcuna paura, nè di don
Salvatore, nè del mondo intero. Il novello amore le dava una energia
strana, un coraggio sovrumano; il coraggio di chi non ha più alcuna
speranza. Forse Lara correva incontro alla morte, ma tanto meglio! Morire!...
Sì, morire, ma essere amata da Massimo!
Con sua somma meraviglia, nessuno, neanche don Salvatore, le fece osservazione
per la mazurka ballata con Massimo. Si aspettava dal padre un terribile rabbuffo,
qualcosa di simile alla scena fattele per Nunzio; l'aspettava senza tremare,
a fronte alta, tranquilla, e quando vide partire il padre senza dirle la menoma
parola su ciò, ne provò quasi dispiacere. Pensò che forse
don Salvatore, poco amante dello scandalo, si riserbava l'amarezza ad un altro
giorno; ma cenando, quella notte, donna Margherita le disse: - hai fatto bene
a ballare con Massimo Massari; forse esso andava in cerca di una scusa per
farci chissà quale dispetto e credeva che tu rifiutassi. Ma tu l'hai
saputa più lunga di lui. Tuo padre ne è stato contento...
- Non bisogna mai dimostrare le proprie passioni davanti alla gente! - sentenziò Lara,
alzando le spalle con indifferenza.
L'indomani, verso le tre e mezza, Lara uscì dalla stanzetta, con un
libro sotto il braccio, e s'internò nel bosco; camminò per un
dieci minuti, superando svelta e leggera come una gazzella, i massi, i rovi,
i fossi, e si fermò sotto l'elce del Castello. L'albero, così chiamato,
non sappiamo perchè, grandissimo, secolare, dal tronco tapezzato di
musco e d'edera, sporgeva fra due rupi le più scoscese e selvagge che
si possono immaginare. Il sito era orribilmente bello! le roccie si ergevano
a picco, nere, sovrapposte le une alle altre, tanto che parevano reggersi solo
per un miracolo di equilibrio, e fra le loro screpolature sbucavano fuori grandi
grappoli di vegetazione selvvaggia dal verde cupo, rovi, liane, edere, eriche
silvestri, robinie ondeggianti al vento
Fittissimo il bosco, il suolo granitico, dirupato, coperto di foglie secche,
di erbe strane, bionde, rosse, dai forti profumi. Gli alberi parevano crescere
sul granito, e infatti le grosse radici nodose, vestite di musco, si diramavano
sulle rocce. L'ombra, qua e là indorata da un raggio di sole filtrante
attraverso le folte chiome del bosco, regnava in quell'angolo di montagna.
Ove nessuno si avventurava se non per ammirar l'immenso elce del castello,
intorno a cui vagavano vecchie e misteriose leggende, abitato solo dalle capre
e dagli uccelli silvani, adattissimo per un delitto o per un convegno d'amore.
Come Dio volle, Lara arrivò lassù; trovò un magnifico
divano di musco e vi si assise comodamente, stanca del faticoso cammino. Fu
sorpresa della semioscurità che la circondava, e quando si fu riposata
provò un fremito di paura.
Il silenzio, le rupi erte e selvagge, l'elce misterioso che stendeva le sue
braccia nere ed immense, che ricordava atroci storie di amori e di vendette
feroci, le fecero risovvenire l'odio della sua famiglia con quella dell'uomo
che doveva arrivare là fra pochi istanti... Sussultò, quasi destandosi
sa un sogno spaventoso. Perchè era venuta? Chissà se Massimo
non meditasse un dramma invece di un idillio! Perchè era venuta?
Almeno avesse portato con sè un'arma, un coltello, uno spillo... Nulla,
nulla! era là, inerme, debole, assisa fra i precipizi, nell'ombra, in
un luogo ove invano avrebbe chiesto aiuto... Ahi, che stoltezza! Uno spavento
gelido immane, le agghiacciava il cuore; vedeva fantasmi orribili sporgere
la testa ossea dalle cime frastagliate delle rocce, eppure non si moveva, non
faceva un moto. Si pentiva di essere venuta, si chiamava pazza, leggera, temeraria,
e pensava a fuggire, ascoltando intensamente se mai udisse il passo di Massimo
e mormorando a fior di labbro: - Come tarda! Son più che le quattro,
ora! - Alfine risonò il galoppo di un cavallo in lontananza; era lui!
Il cuore di Lara cominciò a battere; gli occhi a risplendere sul volto
pallido e la paura a svanire, mentre secondo ogni probabilità, il pericolo
si avanzava.
Il galoppo cessò. Lara, scordandosi che un cavallo non poteva penetrare
lassù, credè di sentirsi ingannata e ricominciò a disperarsi,
mormorando: - Forse non verrà più! Ma questo è un sogno!
E proprio vero che lui mi ha pregato di aspettarlo qui? È un sogno, è un
sogno! -
In quel momento Massimo scavalcò un masso e si slanciò verso
di lei, con le mani tese, esclamando: - Grazie!...
XXIV.
Lara non si mosse; un sorriso incerto tremolò sul suo volto; ma lasciò che
Massimo le sedesse vicino e le pigliasse una mano fra le sue; probabilmente
credeva anche di sognare. - Grazie grazie!... - ripeteva Massimo ansante, rosso
in viso e gli occhi risplendenti; per un buon pezzo non seppe dir altro. In
quanto a Lara, non sarebbe certo stata lei a cominciare il discorso; però il
giovine si accorse che tremava, e fu solo allora che si decise a parlare, ma
che parlare, Signore Iddio! - Sa! Mi scuserà se ho così tardato...
Io sarei arrivato il primo, ma smarrii il sentiero... Ah, che cattivo sentiero...
per poco non balzavo di cavallo... Ma lei mi perdonerà, non è vero?
Lei che è buona quanto bella... - Questo complimento fece arrossire
Lara che si scosse; il giovine la guardava fisso, ardentemente. Anch'ella lo
guardò... Da allora in poi i loro occhi non cessarono di fissarsi, parlando
più eloquentemente che le labbra. Massimo proseguì:
- Sì, lei è molto buona, lei che è venuta qui con tanta
fiducia, sapendo solo che sono giovine onesto. Grazie! Noi non siamo nemici,
no, non siamo nemici...
- No! - ripetè Lara con un sorriso.
- No, non siamo nemici! Sa perchè le ho chiesto questo appuntamento,
sa?... - La fanciulla fece cenno di sì, poi si morsicò le labbra,
solito suo vezzo, provando un ultimo lampo di diffidenza, ma il giovine la
rassicurò subito, dicendo: - Sì? Ho indovinato? E come non indovinarlo?
Io l'amo tanto!
- Davvero?... - gridò Lara con gioia. - Quella voce del cuore convinse
Massimo di essere anch'egli amato; e benchè qualche momento prima nutrisse
poco speranza, ora gli parve una cosa naturalissima.
- Davvero! - rispose. - E lei?
- Anch'io! - disse Lara. - Non altro. La parola "L'amo!" non volle
uscirle di bocca, ma i suoi occhi l'espressero assai bene, tanto che Massimo
le prese l'altra amno ed esclamò: - Dunque diamoci del tu. Lo vuoi,
Lara?
- Sì, Massimo! - Allora Massimo cominciò a parlare.
Cosa disse, cosa rispose Lara? - Sono discorsi che non si possono ripetere.
A quando a quando il ginocchio di Massimo toccava quello di Lara, e un brivido
scorreva per l'ossa ad entrambi. La giovanetta balbettava a intervalli qualche
parola; le tremolava l'anima sulle labbra, come una gocciola di rugiada sopra
un fiore...
"
Quelle due creature pure con gli spiriti si narrarono ogni cosa; i loro sogni,
le ebbrezze, le estasi, le chimere, le debolezze, come si erano adorati da
lungi, quanto s'erano vicendevolmente desiderati, e la loro disperazione allorchè dovette
cessare di rivedersi. Con un'intimità ideale, che già non era
più suscettiva di aumento, si confidarono ciò che avevano di
più segreto e di più misterioso e si raccontarono, con una candida
fede nelle proprie illusioni, tutto ciò che l'amore, la gioventù,
e quel rimasuglio di fanciullezza che avevano, metteva loro in niente. Quei
due cuori si riversarono l'uno nell'altro, per modo che, un'ora dopo, il giovine
possedeva l'anima della fanciulla ed essa quella di lui; si compenetrarono,
s'ammirarono, s'entusiasmarono...
"
Come accadde che le loro labbra s'incontrarono? Come avvenne che l'uccello
canti, che la neve si dilegui, che la rosa si schiuda, che maggio fiorisca,
che spunti l'alba dietro gli alberi neri che coronano le fredde sommità della
collina? - Un bacio, e fu tutto".
Erano a questo punto, a questo sublime punto del loro idillio, allorchè avvenne
un incidente di cattivo presagio. Due pastori che attraversavano il bosco,
spingendosi sino all'elce del castello videro i due giovani nemici baciarsi
come due sposini, il che, se era una scena commovente per gli spettatori, diventava
orribilmente pericolosa per gli attori, - Lara impallidì e si nascose
il volto fra le mani, forse per non essere conosciuta.
Massimo balzò in piedi e corse incontro ai due importuni, due esseri
bizzarri dai "soprabiti" di pelli nere di pecora con la lana lunga
dieci centimetri, le vesti nere di sudiciume, i volti poco simpatici, contornati
da lunghi capelli neri arruffati. Tornarono indietro e Massimo li accompagnò per
un tratto: ciò che dissero, Lara non l'intese: però vide bene
che si allontanarono premurosamente. Quando ritornò presso la fanciulla,
Massimo la trovò piangente disperatamente.
- Ebbene? Perchè piangi? - le chiese sollevandole la testa con la mano.
- Sono perduta! - rispose Lara - Stasera stessa mio padre saprà tutto!
Sono perduta! Sono perduta!
Singhiozzava e le lagrime le inondavano il volto pallido. Ciò che provò Massimo
nel veder piangere così la sua diletta non era certo un sentimento di
gioia: sentì anch'egli un vago terrore e guardò con dolore la
disperazione di Lara.
Quella piccola creatura, a cui tutto doveva sorridere, piangeva come colta
da una terribile sciagura... piangeva per lui, che non poteva dirle: - Taci!
domani sari felice!
Non potè resistere. La prese fra le braccia e stringendola al suo cuore,
le coprì il volto di baci ardenti, asciugandole le lagrime con le labbra
e cercando di rassicurarla.
- Non piangere, Lara, non piangere! Non aver paura! Non ti hanno riconosciuta,
e quando anche ciò fosse, non parleranno... Te lo giuro, non parleranno!
Taci, Lara mia, non piangere mia adorata Lara, non piangere... È inutile!
Come tremi! Hai freddo? Ah, sei malata... quanto sono miserabile! ti ho resa
infelice... io che vorrei vederti felice e lieta come una regina... Forse m'odierai...
ti sei già pentita d'esser venuta, non è vero?... Perdonami!
Ah dimmi che mi perdoni... non piangere... Lara! Come potrei vivere se tu mi
odiassi? - Suvvia, taci, dimmi che mi perdoni... Lara? non mi senti? Parla!
Guardami almeno!... Lara! Lara! se tu sapessi come t'amo!...
Parlò così per un quarto d'ora con frasi tronche, ansanti, coprendo
di baci la fanciulla che lasciava fare, sempre piangendo, tremando come le
foglie degli elci scosse dalla brezza delle sera che si avanzava. Perchè erano
da più di tre ore e il giorno moriva senza che essi se ne accorgessero.
Oh, le ore d'amore scorrono ben rapide sul quadrante della vita!
Le parole di Massimo rassicurarono Lara: perchè dunque proseguiva a
piangere e tremare? Tremava di freddo; un freddo misterioso causato dal luogo,
dall'ora e dal riflesso della paura provata, un freddo che non la lasciò mai
più. Ma in quanto alle lagrime erano causate più dalla voluttà che
dal dolore; una voluttà ben triste e casta se volete, ma così intensa,
che faceva piangere la fanciulla. Esser baciata da Massimo!... dacchè aveva
cominciato ad amarla, Lara non aveva desiderato che di sentire le sue mani
strette fra quelle di lui, che dovevano esser ben morbide e ardenti; il suo
sogno non andava oltre e le pareva che ciò fosse la sua suprema felicità.
E invece ora Massimo la baciava! le carezzava il volto, i capelli, le mani,
le asciugava le lagrime con le labbra così belle e infuocate! Oh, era
troppo! così di sicuro si doveva godere in paradiso! Anzi, a un tratto
parve a Lara di esser morta e di trovarsi per sempre in cielo e che la sua
felicità non dovesse più finire; sicchè trasalì e
cessò di piangere quando il giovine le disse:
- È ora di separarci! Dimmi che mi perdoni, Lara!...
- Cosa devo perdonarli?
- E mi ami?- Lara lo guardò meravigliata; era strano che dopo tutto
Massimo ne dubitasse ancora.
- Se non ti avessi amato, non sarei stata qui!
- E mi amerai sempre?
- Sempre!...
- Me lo giuri?
- Te lo giuro!
Si strinsero la mano, guardandosi in silenzio, poi Lara partì: Massimo
l'accompagnò per un tratto, aiutandola a superare i massi, la baciò prima
di separasi e rimase a guardarla finchè ella non sparì lentamente
sotto il bosco e dietro le rupi. Poi trasalì a cavallo e tornò a
X***, immerso in profondi pensieri. Lara ripiombò nella tristezza! I
baci di Massimo le avevano schiuso nuovi orizzonti; sogni mai più venuti
nel suo cervello la rendevano pensosa e febbricitante. Il ricordo delle labbra
ardenti del giovane, di cui conservava ancora la impronta sulle guance, sulla
bocca e sui capelli, le dava le vertigini, perchè, come scrisse un'illustre
autrice, le voluttà più grandi dell'amore consistono nel ricordo...;
e quella sera, nella vecchia chiesetta piena di leggende e di profumi, non
vago più dietro immagini bianche svolazzanti fra paesaggi fantastici
e castelli argentei, nè pregò, nè invidiò le bambine
che cantavano spensierate e melanconiche le montone lodi della Madonnina bionda
dai grandi occhi azzurri. - Erano la gioia e la tristezza e i suoi sorrisi,
quello per Nunzio non essendo stato che un semplice prologo, l'alba bianca
e scolorata che annunzia il levarsi del sole.
Nella notte Lara ebbe la febbre; pure l'indomani si trascinò per il
bosco, rivide quel "sito" ove lasciava il suo cuore, diede l'addio
alle rupi, agli alberi, al cielo, - fece l'ultima sua preghiera ai piedi dell'altare
e scrisse la data del giorno e del mese vicino all'iscrizione che nel primo
giorno le aveva fatto immaginare un romanzo perfettamente simile a quello che
poi le era accaduto.
XXV.
... Era la sera del due novembre. Dopo una triste giornata di nebbia, di vento,
di freddo, - la tradizionale giornata dei morti, - pareva che il tempo volesse
cambiare. Le nuvolaglie color di piombo a sfumature rossastre svanivano lentamente
sullo sfondo verdognolo del cielo, il vento cessava, ma il freddo regnava sempre,
sicchè Bastiano, uno dei servi di don Salvatore, che si trovava per
caso in città, aveva pensato di accendere il fuoco in un angolo della
loggia del cortile e sedervisi davanti su uno sgabello di legno nero. - Il
gran camino della cucina faceva fumo e donna Margherita non voleva che vi si
accendesse il fuoco finchè non fosse riparato questo inconveniente;
il focolare poi era stato del tutto soppresso, e perciò Bastiano, messo
di malumore dalle ultime folate di vento che gli battevano sulle spalle, borbottava
fra i denti.
- Eh! pare che i miei padroni vogliano seguire la moda! Maledetti camini! Ma
non si poteva dunque lasciare il focolare, lì, in mezzo alla cucina?
No! perchè a don Salvatore hanno detto che in continente non si usano
focolari, ha voluto disfarlo. Al diavolo il continente! Vedrete un poco a che
arriveremo! Sissignori! fra poco don Salvatore, se gli diranno che in continente
non si usano "più" berrette, ci farà togliere le berrette
e mettere il cappello... Aih, aih!... - Suonò l'avemmaria, triste, vibrata
nell'aria fredda, ma il servo non ne fu punto commosso e la lasciò suonare
senza neppure farsi il segno della croce. Ahimè! l'incredulità si è diffusa
tanto nel mondo, che ora non credono più neanche i servi sardi, il che è tutto
dire... Bastiano rattizzò il fuoco e, invece di pregare, per divagarsi
alquanto dal malumore che lo infastidiva, pigliò un pugno di patate
da un cesto vicino e le mise ad arrostire fra la cenere calda. Era un tipo
curioso, Bastiano. Nativo di un villaggio di Barbagia, vestiva però il
costume di X***, dove abitava da molti anni; ma se si fosse mostrato in una
città del continente col vestito che indossava quella sera, è certo
che chi l'avrebbe visto si sarebbe formato un orrendo concetto dello splendido
e pittoresco costume di X***. I calzoni e la camicia, che un giorno potevano
essere stati bianchi, sembravano di tela nera; il velluto e il panno, il cui
untume luccicava al riflesso del fuoco, non conservavano più colore
umano, e il viso e le mani di Bastiano, poi, avevano la caratteristica tinta
bruna con cui generalmente viene immaginato il diavolo. Solo il bianco degli
occhi alla cinese conservavasi pulito; pure il servo aveva una fisionomia così aperta
e simpatica, non ostante la sua aria di contadino ignorante, ma furbo e burlone,
che non si provava alcuna ripugnanza a stragli vicino. Infatti, mentre toglieva
le patate dalla cenere e le puliva con una manica della camicia, - l'altra
gli serviva per pulirsi il naso e la bocca, perchè di fazzoletti non
si parla e meno di tovagliolo, - una persona uscì dalla cucina, si assise
accanto a lui su un altro sgabello, e porgendo le mani alla fiamma esclamò:
- Ah! che freddo! Ho visto il fuoco dalla finestra e son venuta per iscaldarmi
i piedi. È tempo di cominciare ad accendere i camini! - Era niente meno
che Lara! In due mesi aveva molto cambiato, facendosi sempre più alta,
sottile e pensierosa; non derideva più nessuno e, come da bambina, si
compiaceva nell'ascoltare le chiacchiere e le fiabe della servitù; ma
una tristezza infinita, quasi il riflesso di un dolore nascosto, le velava
gli occhi, e un sorriso acre, di scontento e di noia, le increspava le labbra
pallide.
Bastiano le ripetè le sue idee circa il camino e il focolare della cucina,
poi si azzardò di porgere su un pezzo di sughero le patate arrostite,
pregando Lara di prenderne qualcuna. Essa sorrise, stringendosi nelle spalle,
sotto il corsetto oscuro, e spinse la sua affabilità sino ad accettare
l'invito del servo; prese con la sua manina diafana una patata da quel vassoio
assai democratico, sorrise nuovamente e mormorò: - Glielo dirò poi,
perchè vedo venir Peppa... Sì, è meglio dopo, quando Peppa
rientrerà per apparecchiare la tavola. Ora voglio ascoltarli... mi divertono
tanto! Ma come è sporco Bastiano! - Lo squadrò con uno sguardo
annoiato, poi si guardò le mani che teneva incrociate sul grembialino
di percalle oscuro, e provò un brivido. In quel punto venne Peppa; era
una ragazza di sedici anni, bellina, ma con gli occhi piccini piccini e la
voce grossa. Peppa e Bastiano si odiavano cordialmente dopo la scena della
festa della montagna; si bisticciavano eternamente, rinfacciandosi ogni difetto
e debolezza; pure avevano intervalli di pace, durante i quali regnavano con
calma. In quella sera si trovavano in uno di questi intervalli. Peppa si sedette
a piedi in croce accanto al fuoco e li sporse sulla cenere.
- Oh! sei calzata, Peppona! - esclamò il servo guardandoli.
- Lo sei tu e non posso esserlo io? C'è il fango alto un palmo nelle
strade. Ma guardi, guardi, donna Lara, le mie scarpe sono rotte, è vero
sì o no?
- Sicuro!
- Sono in trattative per rattopparle con mastro Erbasicca, il calzolaio dei
poveri, come lo chiamano, ma non possiamo accordarci. Lui pretende due lire;
a me pare basti una lira e mezzo!... - Si levò una scarpa, in istato
davvero lagrimevole, e Bastiano la guardò con l'aria importante di chi
se ne intende. Rise ed esclamò:
- Come sei sfacciata! E vuoi che per una lira e mezzo ti rattoppino quelle
scarpe là! Benchè mastro Erbasicca sia il peggior calzolaio del
mondo, non credo sia così imbecille da rinnovarti quelle scarpe per
una lira e mezzo! - Peppa cominciò ad alterarsi.
- Oh, oh! - gridò, - per chi mi pigli? Quanto hai dunque pagato perchè ti
acconciassero gli scarponi?
- Come! - rispose Bastiano, adirandosi anch'esso e rialzando la ghetta di albagio
su i grossi scarponi ferrati, - e metti le tue ciabatte al confronto di questi?
Io ho pagato una lira e mezzo, sì, ma i miei scarponi non bisognavano
che di tre chiodi e di una toppa di cuoio, qui, su un buco. Il calzolaio, sentite
come tutti sieno ladri nel mondo, pretendeva mettergli i tacchi nuovi dicendo
che questi si dovevano subito consumare, ma io, assolutamente, non ho voluto,
e infatti, ecco, i miei scarponi conservano ancora gli stessi tacchi e sono
buonissimi!...
- Ufh...! Ciò appunto significa che io non devo pagare due lire!
- Ma... per Dio santo, Peppa... tu non comprendi un acca!
- Tu sei un mascalzone e vuoi aiutare i calzolai a rubare a man salva!
- Peppa!... - gridò Bastiano con indignazione.
La questione sarebbe finita con i soliti guai, se Lara non si fosse posta in
mezzo dicendo:
- Finitela! Non avete ragione nè l'uno nè l'altra. Due lire sono
troppe, ma una lira e mezzo è poco. Va bene una lira e settantacinque.
- Dice così lei? - chiese Peppa convinta dall'accento salomonico della
padroncina; - farò così! Del resto spero che fra poco mi comprerò gli
stivaletti elastici. Sono il mio sogno!
- Tu! - esclamò Bastiano con ironia, - tu con gli stivaletti? Ma se
non hai camicie!...
- Avrò camicie e stivaletti col mio lavoro!
- Ah, sì, gli stivaletti! Brava! Fazzoletti di seta, calze, camicie
stirate, stivaletti! Ci avete tutto ora, voi serve... ma avete anche una bella
fama! - Peppa alzò le spalle.
- Canta! canta, Bastianone! Vuoi dunque che si rimanga sempre nel fango come
ai bei tempi antichi?...
- Sì! ma allora le donne avevano anche un po' d'onore! Ora non avete
più nè onore nè cuore! Oggi ho visto una vedova passata
a seconde nozze e indossava il costume delle fanciulle che vanno a prime nozze...
Uh! la svergognata! e Marta C*** a cui è morto il padre un mese fa?
Era là al cimitero, oggi, allegra, quasi non le fosse avvenuto nulla,
e i qual luogo poi! Dicono che quella lì abbia il busto sotto la camicia,
come le signore. Ma se ne volete di peggio! Peuh! peuh!
- Come, sei stato al cimitero?... - chiese vivamente Lara. - C'era molta gente?
Signori e signore? Molti?
Lara fu per fare una domanda che le abbruciava le labbra, ma non la fece; solo
un tremito le increspò la bocca pallida, mentre Bastiano spalancava
gli occhi ancora abbagliati dalle meraviglie del cimitero. - Eh! vi era il
mondo! Là... là stupende corone di fiori che parevano veri, con
grosse ciliegie mature, e lampade... quante parevano veri! Perdinci! Se avessi
tutto l'olio di quelle lampade sarei ricco... almeno cento lire d'olio!
Lara cominciò a divertirsi; sorrise della meraviglia del servo e disse:
- Ti vorrei vedere al camposanto di Cagliari, per non andare oltre. Lì,
sì davvero che spalancheresti la bocca!
- Lì, illumineranno le tombe col petrolio... - rispose Bastiano, gettando
uno sguardo ad un fanale che si scorgeva in lontananza.
- No! - esclamò Peppa, - a luce elettrica.
- Eh? che cosa è questa luce?...
Lara aprì le labbra per spiegare, ma come poteva, la luce elettrica
e per rimettere in ordine le idee di Peppa, ma questa non la lasciò dire.
- È il lampo! - esclamò...
- Il lampo? Il lampo!... - disse Bastiano pensoso e sbalordito.
- Babbeo, - rispose Peppa, colpita da una sublime idea. - È il lampo
che viene raccolto in lampade di vetro, le quali dànno luce assai più che
le lampade piene d'olio d'oliva!...
- Ahi! ahi! - riprese il servo con un sospiro di angoscia, - nel mio villaggio
natìo, mi ricordo, il cimitero non veniva mai illuminato. Ma già!
non vi sono neppure croci... i muri cadono in rovina e il finocchio vi cresce
che è una meraviglia. I paesani non ne colgono punto, ma a mio avviso
vi è un carro di finocchio!
- Sarà tutto il finocchio mangiato vita durante da coloro che vi sono
sotterrati e che rinasce su di loro dopo morti! - esclamò Peppa; ma
Bastiano, senza por mente a questa peregrina supposizione, proseguì con
serietà:
- Una volta, ad un paesano mancò un porcello che aveva allevato con
infinite cure. Lo cercò nei monti, nelle valli, da per tutto, ma invano;
disperava di trovarlo, allorchè morì una donna del villaggio...
- Sta a vedere che fu lei a rubarlo! - osservò Peppa.
- No! non siamo ladri noi come quelli del Capo di sopra!
- Ma molto più imbecilli!
- Finitela! - esclamò Lara. - prosegui, Bastiano!
- Dunque morì questa donna. Quando fu portata al cimitero, indovinate
che cosa vi si trovò? Il porcelli che ci viveva da re mangiandosi il
finocchio e... i morti!
Peppa diede uno sbalzo sublime, esclamando: - santa Maria della Neve! È meglio
esser ladri in vita che lasciarsi mangiare, dai porci, dopo morti! Io sono
stata ad O***, ma benchè questo sia un villaggio miserabile, non si è,
no, a questo punto. Invece di muro, il cimitero è chiuso da un recinto
di fichi d'India, ma vi sono le croci e anche un guardiano, che può benissimo
rappresentare la morte, tant'è magro e brutto e vecchio...
- Oh, oh! - fece Lara, - ci sono stata anch'io! Curioso il villaggio di O***,
che non avevano mai visto signore, ci chiedevano meravigliati come mai potevamo
andare al monte per portare la legna sulle spalle e a cogliere ghiande con
quei vestiti e le scarpette lucide! Ah, ah, credevano che tutte le donne del
mondo debbano salire al monte per la legna e le ghiande, come loro! - Questa
poi è curiosa, sentite: entrate in una chiesa, ci avvicinammo all'altare
coperto da una tenda verde e cercammo di sollevarla, ma alcune donne si misero
a strillare al sacrilegio. La curiosità allora crebbe in noi; chiamammo
il sagrestano per farci conoscere il segreto dell'altare. Venne; era un giovanotto
che si pretendeva assai istruito. Vedendoci vestite da signore, credette che
fossimo continentali; fece un grande inchino, e tirando con importanza la tenda
esclamò in italiano:
- Ecco, madame, questo è San Giovanni "pintato" da San Luca!
- Noi ci mettemmo a ridere. Quello non era San GGiovanni dipinto - voleva dire
così con la parola "pintato". - ma Gesù Cristo steso
crocifisso, scolpito e messo su una croce di legno nero... Lara rise schiettamente
a quel ricordo; Peppa e Bastiano risero anch'esso per compiacenza, perchè in
realtà non trovavano serî motivi di riso in quella storiella.
XXVI.
- Come è scosceso il villaggio di O***! - riprese Lara. - Se si guarda
in su, le montagne alte e bianche abbagliano gli occhi, - se si guarda in giù le
casette piccole piccole, nere, quasi rovinate, fanno rabbrividire. Io non so
come ci si possa vivere!
- Nel mio villaggio, - disse Peppa, chiudendo gli occhi e sorridendo al dolce
ricordo del suo pittoresco e simpatico paesello lontano, - nel mio villaggio
posto in cima dei monti soffia sempre il vento nel cielo limpido; si vede il
mare in lontananza, e... e... oh, come è bello Orusse! - conchiuse non
trovando parole per narrarne le meraviglie.
- Nel mio paese... - cominciò, e Peppa tosto lo interruppe chiedendo:
- Ci sono signori nel tuo villaggio?...
- Eh, sicuro. Non sono nativi però. C'è il segretario comunale,
il maestro di scuola, il medico condotto e... due preti.
- Nel mio villaggio, formato di quattro vicinati assai distanti fra loro, le
case sono tanto grandi, che vengono del tutto coperte di noci, noccioli e castagni
piantati davanti ad esse.
- Allorchè ferve la raccolta di questi frutti, i tetti ne vengono coperti
interamente; in questo mese, poi, se soffia il vento nel mio villaggio, non
piove acqua, ma castagne! Da noi si vive di castagne come in certi villaggi,
di fichi d'India. I castagni coprono grandi distese e la raccolta è permessa
a tutti. Povere donne! Rimangono giorni interi raccogliendo castagne, che trasportano
ad immense distanze e gettano in ispecie di pozzi, entro i quali si conservano
fresche per tutto l'anno. Da noi il pane è quasi sconosciuto pei poveri
che vivono tutto l'inverno esclusivamente di castagne e di noci. Chi ha la
fortuna di possedere un cavallo trasporta questi frutti sino al Logudoro e
al Campidano e li vende o li scambia con grano, legumi, olio od altro. Questi
poveri commercianti varcano montagne orribili, pianure, valli, torrenti, quasi
sempre a piedi, essendo il cavallino già troppo carico; la fatica, il
freddo, le privazioni li fanno soffrire assai, ma il pensiero di recare qualche
soldo alla famiglia li rende pazienti e quasi allegri. Per ripararsi dal freddo,
indossano strani calzoni di saia giallastra e bizzarri mantelli di albagio
nero, corti dietro e lunghissimi davanti... - Un'altra industria del mio villaggio è la
fabbrica di arnesi di legno di castagno, che trasportano anche per tutta la
Sardegna: cucchiai, forchette, taglieri, palette, mestole e cento altre cose.
Vi è la scuola pubblica per ciò: tutti coloro che vogliono apprendere
o insegnare quell'arte si riuniscono ad una loggia che li ripara dal sole o
dal freddo, e gli scolari pagano cinquanta centesimi il mese ai maestri!...
- Libri e giornali non ne conoscono dunque?
- Ma che! Sono forse cose necessarie alla vita? La zappa, la scure, l'ascia,
il fuso... ecco ciò che occorre! Le ragazze del mio villaggio non li
sognano neanche i libri! Quando qualcuno ritorna dal fare il soldato e narra
le meraviglie del continente, lo prendono per un gran fanfarone.
- Che ignoranti! Pure scommetto che sono felici! - esclamò Lara con
un sorriso di tristezza e di disprezzo.
- Altro! Bianche, rosse, grosse, esse ridono sempre!
- Beate! - fece Peppa con ironia, pensando che al loro confronto lei era istruitissima.
Lara chinò la testa: il suo viso, a misura che la notte si avanzava,
diventava sempre più bianco, stirato, e l'espressione dei suoi occhi
più triste e sconfortante.
Si udì una voce che chiamava dall'interno della casa:
- Peppa! Peppa! - La ragazza si alzò e sparì rapida come un fulmine:
Lara restò sola col servo, nella loggia nera illuminata dal fuoco. Il
vento era cessato del tutto e in lontananza s'udivano già le tristi
voci di una serenata, perchè, benchè fosse il giorno dei morti,
i vivi pensavano lo stesso a divertirsi. Bastiano sospirò e disse stirando
le braccia:
- Eh, ora mi piacerebbe andare in giro.
- Davvero? - chiese Lara con un sorriso negli occhi. - Purchè tu mi
faccia un favore, ti fo' concedere il permesso di uscire fino alle nove...
- Cento favori, donna Lara! e poi non sono il suo servo?
- Sì, - disse Lara guardandosi attorno e abbassando la voce. - Ma mi
giuri di farlo e di non parlarne?
- Mi getterei sul fuoco per lei! - rispose Bastiano, curioso di sapere e commosso
dalla speranza di due ore di libertà notturna, esponendo infatti la
sua manaccia alla fiamma.
- Non tanto, non tanto, Bastiano!
- Di che si tratta? - domandò il servo con voce sommessa.
- Ma giuri?...
- Sulla memoria di mia madre, giuro di fare ciò che lei vuole!
La fanciulla sorrise di questo giuramento troppo arrischiato, poi trasse di
tasca una letterina bianca dall'elegante soprascritta e la porse a Bastiano
mormorando:
- Ecco cos'è! la metterai stasera stessa alla posta. Bada che nessuno
ti veda! - Bastiano fece un gesto di meraviglia: era questa il gran segreto?
Prese la lettera e la nascose in tasca; un nido davvero poco profumato, ma
sicuro, e mentre Lara rientrava per chiedere a donna Margherita il permesso
di lasciarlo uscire, egli pensava:
- A chi sarà mai? Ah, se sapessi leggere!...
Da un mese e mezzo Lara e Massimo si vedevano ogni tre notti al cancello dell'orto
che dava sui campi. Si esponevano così ai più gravi pericoli
del mondo, ma non se ne davano pensiero, credendo che le tenebre bastassero
a sviare qualunque disgrazia possibile. Quante volte non si è detto
che l'amore è bendato? - Su Lara e Massimo gravava un odio di sangue,
e la scoperta del loro segreto li esponeva magari ad un colpo di fucile o di
pugnale, ma loro benchè lo sapessero, non vi meditavano molto sopra,
sicuri che una grande e splendida stella li proteggeva su, dal cielo dei monti
fra cui eransi scambiato il primo bacio.
Si vedevano dunque ogni tre notti; due prole, tre baci, una lettera data e
una ricevuta, all'ombra del vecchio cancello nero, e via; cinque minuti in
tutto. Lara trovava il modo di uscire sempre senza essere vista e di rientrare
lo stesso! trovava la maniera di scrivere lunghe lettere a Massimo, manifestandogli
tutti i suoi pensieri, le sue azioni, i suoi dispiaceri, i sogni, i desiderii,
i sorrisi e le lagrime, senza che nessuno se ne accorgesse, e riponeva tutta
la felicità e la sua vita in quei brevi istanti, in cui il suo bacio
ardente le ricompensava le ore di veglia, di febbre e di pianto.
Ai primi tempi, Lara erasi formata un lieve scrupolo sui baci di Massimo; perchè infine,
pensava, non era da fanciulla onesta lasciarsi baciare e stringere al seno
da un uomo, per quanto lo si ami, là, davanti alla sua casa dove sua
madre viveva tranquilla, credendo la figlia un esemplare di purezza e di virtù,
là, sotto il cielo sereno, da cui Iddio guardava con gli occhi vigili
e severi; ma lentamente questo scrupolo erasi dileguato. Massimo era il suo
fidanzato, per la vita e per la morte; lei gli apparteneva interamente, decisa
di morire prima di diventare di altri, prima di dedicare un solo pensiero ad
altr'uomo della terra; dunque non esisteva peccato nei loro baci puri come
i baci degli angeli, in quei baci ch'erano l'unica loro felicità, il
solo refrigerio di tante e sì lunghe ore di tristezza e forse anche
di disperazione. Sicchè Lara finì col ricevere a fronte alta
i baci del giovine, quasi tributo di tre eterni giorni di attesa e di melanconia;
però non lo baciava mai per prima, mai!
Ogni giorno che passava accresceva il loro amore immenso, puro come il giglio
fatto ardente dai raggi del sole di giugno, e il mistero profondo con cui dovevano
velarlo non faceva che rendere più intensa e grande la fiamma.
Senza dubbio Massimo adorava la piccola fanciulla con tutta l'anima sua, ma
Lara lo amava ancora di più. Ogni palpito, ogni pensiero veniva letteralmente
consacrato a lui; lo seguiva passo passo col volo della sua fantasia, lo vedeva
assidersele accanto nelle ore di solitudine o quando la febbre costringeva
a vegliare intere notti, e allora gli parlava, sorridendogli dolcemente, trovando
per lui frasi d'amore che avrebbero fatto onore al più grande poeta
innamorato, e nei giorni in cui doveva rivederlo viveva in un'ansia continua
cagionata dalla paura di non potersi recare al convegno, o di essere scoperti,
e dalla gioia febbrile di rivederlo. Contava le ore, i minuti, aspettava tremando
l'istante preciso di uscire, e appena si trovava fra le braccia di Massimo,
stretta fortemente al suo cuore balzante, non trovava più le belle frasi
preparate, non sapeva dir nulla e tremava e sorrideva e scordava ogni angoscia,
ogni lagrima, provando un voluttà sovrumana allorchè le loro
labbra s'univano e i loro occhi si fissavano al chiarore incerto delle stelle
o della luna vagante fra le nuvole dell'autunno.
Poi rientrava barcollando chiedendosi se tutto ciò non fosse un sogno;
le lettere di Massimo le assicuravano il contrario. Lara leggeva e rileggeva
quelle lettere, baciandole e spesso bagnandole di lagrime; erano lettere lunghe,
ardenti, aspiranti il profumo di un amore pazzo e delirante; ma, come il nuovo
amore di lei non rassomigliava per nulla al primo, così le lettere di
Massimo non avevano nulla che vedere con quelle di Nunzio. - Chi scrive queste
pagine ha letto attentamente la corrispondenza scritta con qualche eleganza
e con molta schiettezza, ed appoggiandosi all'impressione ricevuta da quella
lettura osa assicurarvi essere l'amore di Lara e Massimo forse uno dei più forti
amori nati sotto il cielo ardente dell'appassionata Sardegna.
Lara se ne convinse una sera d'ottobre, in cui Massimo mancò per la
prima volta al convegno. Pioveva e soffiava il vento gelido di tramontana;
pure, la fanciulla rimase al cancello per quasi mezz'ora aspettando, ma invano.
Rientrò tutta bagnata, tremante di freddo, gli occhi spauriti e il viso
orribilmente pallido. Perchè non era venuto? Mille confusi pensieri
le turbinarono nella mente per tutta la notte, mille paure, mille supposizioni,
fra le quali la più orribile quella che il giovine avesse finito di
amarla. Il vento che urlava fuori sbattendo la pioggia ai vetri della camera
di Lara pareva avesse infernali sogghigni, voci lamentevoli che dicevano: -
Massimo non l'ama più! Massimo non verrà più! - Lara ascoltava,
credeva e piangeva dirottamente, col seno contorto da spasmodici singhiozzi,
ma l'urlo della procella copriva i suoi gemiti e il guanciale ardente beveva
le sue lagrime. Fu un'orrenda notte, e triste il giorno dopo e tristissimi
i giorni che seguirono, eguali, lenti, monotoni, plumbei fra la gialla tristezza
dell'autunno che si inoltrava.
Invano Lara si recava ogni notte al cancello, Massimo non ritornava! Intanto
don Salvatore aveva annunziato un suo prossimo viaggio ad un villaggio lontano,
onde si sarebbe assentato da X*** due giorni e una notte. Era una splendida
occasione per vedersi a lungo, forse per l'intera notte; ma come avvertire
il giovane, dato il caso che il timore della sua dimenticanza fosse davvero
infondato?
La sera del due novembre le venne in mente l'idea di scrivergli per posta,
pregandolo di recarsi la notte del tre al cancello.
Bastiano impostò la letterina, senza sospettare neanche per sogno a
chi fosse diretta, e la notte Massimo e Lara si rividero.
- Finalmente! - esclamò Lara.
- Finalmente! - rispose lui stringendola al suo cuore.
- Perchè non sei più venuto?
- L'ultima notte, - disse Massimo, - un uomo mi vide uscire di qui e mi seguì per
un tratto; non lo conobbi, ma son certo ch'era un contadino. Per prudenza,
non ritornai più...
- Ti avrà conosciuto?
- Non so; forse no, perchè anch'io non lo conobbi.
- Se sapessi come ho sofferto! Credevo che tu mi avessi scordato!
- Pazzerella!... - esclamò Massimo. E il bacio che le diede la convinse
del grande errore in cui era caduta.
- Mi hai scritto?
- Sì, e tu?
- Anch'io!
Si ricambiarono le lettere e si divisero. Nella sua, Lara avvertiva Massimo
dell'assenza del padre e gli indicava la notte in cui si sarebbero veduti a
lungo senza pericolo. Quanto a quella del giovine, finì col far tornare
il sorriso sulle labbra scolorate di Lara, che dimenticò interamente
quei quindici giorni d'inferno in attesa della prossima notte di paradiso.
XXVII.
- Rinchiudi bene le porte, Peppa: stasera il babbo è assente, tu lo
sai bene, e ci potrebbero fare qualche brutto scherzo, - disse una sera Lara
alla serva, quando sentì suonare il tocco delle nove all'orologio della
torre di Santa Maura.
Peppa assicurò bene tutte le porte, pi se ne andò a letto augurando
la buona notte alla padroncina, che rimase leggendo accanto al fuoco. - Suonò un
quarto... Lara abbandonò sul grembo il libro che leggeva, ma di cui
non capiva una parola, e alzò il capo. Dunque tutti dormivano! La mamma,
la sorellina, le serve? Dunque il padre era assente e lei quella sera era sola,
proprio sola? Un sorriso di gioia, d'incredulità, sfiorò le labbra
di Lara e le trasfigurò la fisionomia, per il solito pensosa e dolente.
Ma era proprio vero? non sognava? Suonò la mezz'ora. Lara si alzò,
ma provava tale un brivido, che dovette appoggiarsi ad una sedia per non cadere.
Il più profondo silenzio regnava nella casa. Lara ascoltò attentamente,
e i suoi occhi, già abbastanza grandi ed oscuri, si fecero enormi, opachi,
quasi velati da quel silenzio immenso, da quell'oscurità ch'era la sua
vita, l'ora della sua gioia; poi si gettò uno scialletto bianco sulle
spalle e riaprì senza far rumore tutte le porte che Peppa, a sua raccomandazione,
aveva rinchiuso con più cura delle altre notti.
Ma se Lara temeva gli scherzi di cattivo gusto dei ladri, perchè riapriva
le porte? Aveva forse sentito qualche rumore in giardino e, coraggiosa, da
brava sarda, usciva per assicurarsi che di ladri non ce ne erano punto? - Infatti
uscì in giardino, ma anche là regnava il silenzio profondo delle
notti d'autunno. La campagna brulla dormiva sotto le onde di luce argentea
del plenilunio; non una nuvola sul cielo di un azzurro limpido, latteo, stillante
brina. Attraverso la solitudine della vallata risonava il murmure del torrente
gonfio delle ultime pioggie, che precipitava fra le rupi delle montagne lontane.
Nient'altro! Non un profumo, non un fruscio, le rame secche si disegnavano
quasi scheletri rossastri, esili, desolati fra l'atmosfera azzurra, nè il
raggio della luna proiettava alcun arabesco di foglie o di fiori sul terreno
spazzato dal vento della notte prima; solo la sabbia del viale, che scricchiolava
sotto i piedini di Lara, mandava un tenue riflesso sulle orme lasciate da lei.
Così la fanciulla arrivò in fondo al giardino, si fermò al
cancello e ascoltò. Nulla! a lei pareva un sogno; lei si sentiva allegra
come mai in sua vita, lei avrebbe rinunziato, a un milione se le avessero detto:
- Va' stanotte a letto e ti daremo un milione! - lei...
- Lara! Lara!... - mormorò una voce al di fuori del cancello.
Lara aprì, e prima che il pallore apportato al suo viso da quell'ultima
paura fosse svanito, due braccia forti e frementi le strinsero la vita sottile
e due labbra di fuoco la tempestarono di baci ardenti le gote bianche e le
labbra gelide.
Oh, che ladro, che ladro strano! Era un giovine lato, elegante, avvolto in
un mantello scuro. Lara chiuse il cancello e disse:
- Finalmente possiamo parlarci senza paura! Ma per più sicurezza sarebbe
meglio ritirarci là, dietro il giardino, sotto il loggiato.
- Fa ciò che tu vuoi! - rispose Massimo. E cingendole sempre la vita
con un braccio, rifecero insieme il viale, in punta di piedi, guardandosi forte
negli occhi scintillanti alla luce della luna, con un sorriso e uno sguardo
d'inesprimibile amore.
Arrivati sotto il loggiato, poco poetico e molto oscuro, ma da cui potevano
udire i rumori della casa, se mai a donna Margherita saltasse su l'idea di
levarsi nella notte, Massimo si sedette su una sedia ivi preparata.
Perchè Lara aveva preparato una sola sedia? Disegnava forse di starsene
ritta? Chissà! Il fatto è che fece un moto per assidersi su una
panca lì vicina, ma il giovine non glie lo permise. - Qui! Qui!... -
mormorò, e attirandola e avvincendola di nuovo con le sue braccia la
baciò ancora a lungo.
- Abbracciami anche tu, Lara mia, - disse, - e poi ragioneremo.
Lara gli cinse il collo con le sue braccia sottili e intrecciò le sue
piccole mani sull'omero sinistro di lui. Che brivido acuto le tremava per le
spalle e faceva scricchiolare il suo corsetto stretto sotto la cintura svizzera
del grembiale di lana rosa!... ma non era un fremito di paura nè di
voluttà. Lara non temeva, il padre essendo assente, e, caso strano,
non provava la voluttà sì a lungo sognata, nel trovarsi finalmente
sulle ginocchia del suo adorato, stretta al suo seno, baciata sì ardentemente
da lui. Restava inerte, con la sua percezione più acuta di ciò che
faceva; pure, si sentiva trasportare in un mondo diverso. Lo scintillìo
delle stelo le diceva: - Bada, Lara, non è da fanciulla onesta lo starsene
così di notte sulle ginocchia di un uomo mentre tuo padre lontano e
tua madre che dorme ti sognano sempre pura e pia! Dio ti vede! - e lei sentiva
questa voce arcana, sentiva che diceva la verità. Provava un lieve rimorso
e mormorava: - Padre mio, perchè mi hai lasciata sola? - ma nello stesso
tempo desiderava ardentemente che niuno venisse a costringerla a lasciare Massimo,
e importavasi delle stelle, delle voci notturne e persino di Dio. Massimo era
il suo Dio, e lei lo adorava perdutamente.
Nel sentirsi così vicina a lui, che non vedeva per intere settimane,
provava un piacere infinito, ma tutto psicologico, casto, purissimo, e tremava
solo perchè l'aria fredda della notte le pungeva la personcina poco
coperta dal costume casalingo, le gelava il sangue già assai freddo
e molto calmo.
Massimo se ne accorse. Sorrise, aprì il suo ampio mantello e coperse
accuratamente tutta intera la fanciulla. Così formarono un graziosissimo
gruppo; una grossa macchia nera su cui spiccavano la testa di Lara avvolta
nello scialletto bianco e la testa di Massimo ombreggiata da un cappelli di
feltro, molle, posto alla bizzarra.
- Così stiamo bene, non è vero? stai bene, Lara?
- Sì!
- Allora ragioniamo!
- Ragioniamo!
- Sei certa che stanotte non possono sorprenderci?
- Certissimi! Mio padre, come ti scrissi, è partito stamattina e tornerà domani
sera. In quanto alla mamma, tu lo sai, non dubita di nulla, nè si leverà entro
la notte. Se per caso si leva, noi udiremo i suoi passi attraverso il cortile
e tu potrai scappare senza essere veduto nè sospettato...
- Sì, e tu? per me non temo nulla, è per te che temo, Lara mia.
- Oh! io, - rispose ella guardando in alto con un sorriso, quasi cercando ispirazione
nel cielo, se la mamma mi sorprende qui prima della mezzanotte, le dirò che
non sono ancora andata a letto e che sto rinchiudendo bene le porte, come ella
stessa mi ha avvertito; se poi mi sorprende dopo la mezzanotte le dirò che
non potendo dormire mi sono levata e sono uscita, sembrandomi udire dei rumori.
La mamma sa bene che io non ho paura di uscir fuori la notte. Ho anzi una rivoltella
carica sul tavolino da notte, e all'occasione...
- A proposito! - esclamò Massimo, che intanto le aveva dato un bacio
sotto il mento. - Ho qui la mia rivoltella e potrebbe esplodere. Permetti...
- Riaprì il mantello, trasse fuori la rivoltella e la pose sotto la
sedia dicendo: - Se per caso dovessi scappare senza avere il tempo di riprenderla,
tu, Lara mia, nascondila bene, magari sotterra, perchè, trovandola qui,
diverrebbe il corpo del reato... - Risero entrambi di cuore: trovansi in tale
stadio che la minima cosa li faceva ridere o piangere. Lara domandò:
- Dunque sei armato? di che temi?
- Di tutto, Lara! Tu sia che pende la morte su di me, perchè t'amo e
mi ami. Vado armato per difesa, ma ti giuro sul mio onore che non adoprerei
la rivoltella se non agli estremi, come non mi armerei di questo se non dopo
avere i polsi rotti... - E trasse di tasca un'altra arma più terribile
assai della prima, uno di quei tremendi pugni di ferro, di cui due o tre colpi
ben aggiustati bastano per mandare un cristiano all'altro mondo, senza fracasso
alcuno. Lo provò sulla mano di Lara, ma era così piccola, che
in ogni foro del pugno entravano due sue dita. - Non mi va! - disse lei pensosa,
scotendo la testa.
- Eppure, - rispose Massimo, - una notte ho sognato che tu mi percotevi con
uno di questo, alle tempia, chiamandomi infedele!
- Lo farei, se ciò fosse! Però, dimmi, stasera non occorreva
che ti armassi tanto.
- È sempre meglio prevedere, Lara. Vedi che mi sono anche quasi travestito.
Sembro un brigante calabrese!
- Davvero! Ma un brigante molto simpatico, davvero, davvero...
Intanto, fra un moto e l'altro, il mantello scivolando aveva scoperto le spalle
di Lara, che tremava nuovamente.
- Vile di un mantello! - esclamò Massimo, ricoprendola. - Fa il restìo,
il superbo! Ma guardate un po' che imbecille! non voler coprire le castissime
e adorate spalle della fanciulla mia! Onore che sarebbe ambito dai re! Vorrei
ben trasformarmi io in mantello per coprirli sempre, Lara bella, e questo stupido
si fa pregare! Ma bisogna che serva lo stesso al suo padrone. Su, copri la
mia Lara! stai bene così?
- Sì, - rispos'ella. - Il tuo mantello non vuol esserci complice! Di'!
se domani parlasse!
- Oh, starà pur zitto, come ora sarà testimonio a tutto ciò che
diremo, o piuttosto complice forzato e necessario! - Qui un nuovo bacio lunghissimo.
Massimo tremava di tanto in tanto, chissà di che, quasi senza accorgersene,
gli occhi sempre immersi in quelli di Lara, dicendole sempre: - Lara, Lara
mia, come sei bella! sembri una Madonnina, così, con questo scialle
bianco, sai! Come sei affascinante! Sai una cosa? Sei la fanciulla più bella
ed elegante di X***. Vai sempre elegantissimamente vestita. L'altro giorno
ti vidi vestita di nero e mi sei piaciuta assai. Il nero ti sta benissimo;
vestiti sempre così. Come sei bella e cara! Per me sei la fanciulla
più bella del mondo. Sei un angelo non è vero? Sì, sei
l'angelo mio, il mio angelo custode! Lara bella!
Lara sorrise, ma di un sorriso strano. Si sdegnava nel sentirsi così lodata,
a quell'ora. - No, sono una donna, Massimo. Gli angioli non si siedono in grembo
dei loro amanti, di notte, assente il padre!
- Che dici mai? - esclamò il giovine.
- Sì, Massimo! Credi che non sappia tutto il peso dell'azione che fo?
- Ma che male c'è? - rispose lui, sdegnandosi a sua volta. - Che sarebbe
dell'amore senza intrighi, senza baci, senza convegni? Lara, non aver paura!
Io sono un giovine onesto, e il mio amore è al di sopra di ogni idea
mondana. Sulle mie ginocchia sei sicura come, bambina, lo eri su quella di
tua madre; e se hai fatto fermo proposito di diventar mia, non devi provar
rimorso, nè rossore alcuno! - Ma Lara, non convinta, rispose:
- Sì, sì, son belle ragioni le tue, ma, dimmi, se ora rientrando
in casa tua, trovassi tua sorella seduta così con un uomo, con un uomo
da cui la dividono mille ostacoli come me da te, che faresti?
Lo fissò coi suoi occhi scrutatori, e lo sentì fremere.
- Nulla! - rispose lui, dopo qualche istante.
- Lo dici a me! - mormorò la fanciulla, rallentando le mani sulla spalla
di Massimo, e chinando la testa. - E ammetto che tu non faresti nè diresti
nulla, ma dopo disprezzeresti tua sorella con tutta l'anima tua, non è vero?...
Massimo sospirò: pensava che Lara, forse aveva ragione e chiedevasi
se doveva disprezzarla perchè commetteva una leggerezza pur sapendolo,
o se doveva amarla di più perchè faceva ciò per amore
di lui. Si fermò sull'ultima conclusione. In quel punto Lara gli sembrò la
più savia e buona fra tutte le fanciulle, splendida larva d'amore e
d'onestà, e sentì che da quell'istante l'avrebbe adorata e stimata
di più. Non sapendo come meglio esprimerle questi sentimenti, la baciò ancora,
ancora...
Ma lei, diventava triste: appoggiò la testa sull'omero di lui e mormorò:
- Oh, se potessi morire così! - rinchiuse gli occhi, mentre il giovane
le sussurrava dolcemente:
- Dormi! Dormi, mia adorata bambina! Ninna-nanna!...
Forse Lara avrebbe finito con l'addormentarsi davvero, se uno strano grido
non fosse risonato poco lontano. Rialzò la testa e guardò Massimo:
entrambi impallidirono lievemente.
- Senti, Lara! Mi pare che ci sorprendano!
Lei ascoltò ansiosamente. Il grido si fece di nuovo sentire più chiaro,
più bizzarro; non era voce umana, ma neppure di animale domestico, nè di
uccello. Pure Lara, da buona campagnuola, credè di riconoscerlo, e disse
sorridendo:
- È il grido della volpe. Non temiamo! Son gli uomini che dobbiamo temere
noi... - Tuttavia con un fremito nella voce sommessa, si strinse di nuovo al
collo di Massimo.
- Gli uomini! sì, gli uomini! - rispose lui con un sospiro d'angoscia.
XXVIII.
Quasi nel medesimo istante vibrò in lontananza un trillo di chitarra, e una voce sonora che cantava in gallurese una bella poesia d'amore. Massimo e Lara tacquero, come immersi in un'estasi sovrumana, guardando entrambi la medesima stella. La serenata si avvicinò, si fermò sotto le finestre di casa Mannu, e, per un caso assai strano, la voce cantò in logudorese una poesia adattissima ai due giovani amanti:
Appenas chi t'appo bidu,
Su coro mi nd'has furadu,
Amore m'has promittidu,
Amore t'appo giuradu...
Attenta! Su mundu indifu,
Nos cheret contrariare...
- Senti! - disse Lara, fremendo.
- Silenzio! - rispose Massimo.
- Se sapessero che siamo qui! - disse Lara, dopo qualche istante.
- Silenzio! - ripetè il giovine: sorrisero entrambi, mentre nella via
proseguivano a cantare. All'ultima strofa la voce si fece più dolce
e flebile come una carezza, come una promessa, e si spense lentamente nel silenzio
azzurro della luna e della lontananza.
Est su nostro amore,
Angelicu e non mundanu,
Chi su s'opponer est vanu,
Naralis senza timore...
Demus prestu, o bellù fiore,
Su chelu in terra gosare!...
- Hai sentito?... - chiese Massimo, stringendo la mano a Lara: e a sua volta
chiudendo gli occhi, appoggiò la fronte ardente sulla spalla di lei,
che gli carezzò dolcemente il viso con le sue manine di bimba. Qui accadde
un incidente curioso. Passandogli una mano sui capelli, Lara domandò:
- Che c'è qui dentro?
- Semi di zucca!... - rispose Massimo scherzosamente.
- Oh! oh! questa è bella! Dunque, la tua testa è una zucca? Va',
non ti voglio più allora, vattene!.
- Davvero?
- Sì!
- Allora, addio! - Si levò e mise in piedi Lara; raccolse il cappello
cadutogli per terra da varî minuti, e fe mostra di andarsene.
- E te ne vai davvero? - domandò lei, stringendosi le mani in tono piangente.
- Ma se me l'hai comandato tu!... - rispose egli.
- Pazzerello! L'ho fatto apposta per farti levar su, per rimetterti il cappello,
perchè avevi la testa fredda e poteva cagionarti del male lo stare a
testa scoperta! -
Massimo tornò a sedere. Lara riprese il suo posto e il mantello, suo
malgrado, la ricoprì nuovamente. Ricominciarono la strana conversazione.
- Lara adorata, come sei buona! Ma tu tremi... come hai freddo, carina! Che
notte infame che ti faccio passare, Lara mia!
- No, non ho freddo! - rispose ella, che pure batteva i denti, - ma tu appoggia
di nuovo la tua testa qui, e dormi, così va bene!... Senti, quando sarò tua
moglie e tu dormirai, io verrò e per svegliarti ti dirò: - Su,
Massimo! È ora di levarti! - e ti farò così! - Si chinò e
lo baciò sulle gote, sul collo e finalmente in bocca... - Se a Massimo
avessero schiuso il paradiso, non sarebbe rimasto più contento; quelli
erano il paradiso, non sarebbe rimasto più contento; quelli erano i
primi baci che Lara gli dava senza esserne richiesta. Una soddisfazione mai
più provata gli allietò il cuore, gli illuminò la mente:
spalancò gli occhi e, stringendo quasi brutalmente al suo seno la fanciulla,
esclamò:
- Celeste creatura! Mi rendi il più felice tra i mortali! Come t'amo!...
ah, se tu sapessi come t'amo, Lara! Non so esprimerteli, ma vorrei aprirmi
il seno, vorrei introdurti nel mio cervello, immedesimarti in me per dimostrarti
tutta la forza e l'estensione del mio amore... E non posso! Senti, Lara, se
ti bacio così spesso e tanto a lungo, non avertelo a male; non è che
per dimostrarti in qualche modo il mio ardente ed inesprimibile amore. Io t'adoro,
t'idolatro, morrò per te, angelo mio. Lara mia adorata... Lara mia,
mia, mia!
Su questo tono Massimo parlò per un buon pezzo, mentre Lara lo ascoltava
in estasi, gli occhi spalancati, fissi nei suoi, trasportata in mondi lontani,
in quei mondi bianchi, dai fiori nivei, l'atmosfera argentea pregna di acuti
profumi d'incenso e da melodie d'arpe invisibili, che aveva sognato nella vecchia
chiesetta dei monti, nell'ora del crepuscolo e della melanconia.
Suonò la mezzanotte; ad ogni rintocco i due giovani si scambiarono un
bacio, e Massimo, negli intervalli, mormorava, le labbra unite: - Cara, t'amo,
Lara mia! - Quando le ore cessarono di suonare, egli esclamò:
- Mezzanotte! Due ore e più che siamo insieme, e che non abbiamo detto
quasi nulla! ma no, è un quarto, è un minuto che sono con te,
Lara, non è vero? perchè quando son solo, le ore sono assai più lunghe...
Di queste due quasi non mi accorsi!
- È ancora presto, Massimo; non temere; ci separeremo al cantar l'allodola,
come Romeo e Giulietta. I nostri destini si rassomigliano. - Ritornò triste
a quel ricordo, al ricordo dell'odio ignorante, vecchio, ma non dimenticato,
delle loro famiglie, alla inimicizia che li divideva inesorabilmente, e chinato
il capi sul seno, pianse...
- Lara, Lara mia! - gemè Massimo, coprendole il volto di baci e tergendole
le lagrime, come lassù fra le rupi, - non piangere! Vedi, metti la morte
nel mio cuore. Spera, spera, e non piangere più così! Spera!
I tempi cambieranno, e tu sarai mia e saremo felici! Ma guarda, Lara, mi pare
d'aver sentito rumore vedo ombre, là, nel cortile...
Lara cessò di piangere e guardò: infatti, correvano strane ombre
su e giù e strani rumori frusciavano là vicino... Tremò tutta,
ma osservando e ascoltando meglio, si accorse essere quelli soltanto effetti
di ombra proiettati dal lume, che aveva lasciato acceso dietro la porta, e
rumori destati da un gatto che si divertiva al chiaro di luna. Finì col
ridere e riassicurò Massimo, che intanto le fece questa domanda: - Dimmi
un po', Lara, se ci sorprendesse tua madre, che faremmo?
- È impossibile! È impossibile! - rispose lei, sbigottita e pallida.
- Ma se accadesse?
- Ah, Massimo, io non lo so, allora...
- Io dico che inginocchiandoci innanzi a lei, la moveremmo a pietà:
e allora, parte per evitare lo scandalo, parte commossa dalle nostre preghiere,
acconsentirebbe a lasciarci diventar felici...
Il volto di Lara si oscurò orribilmente. - Massimo, rispose, - tu dunque
non conosci le nostre famiglie? Senti, se stanotte venissimo scoperti, per
sarebbe finita!...
- Che vuoi dire, Lara? T'uccideresti?
- Sì, - rispos'ella con ferma convinzione.
- Anch'io, Lara!
- Se potessimo morire insieme! - mormorò lei, appoggiandosi ancora all'omero
del giovine. Trascorsero un momento tremendo, terribile.
- Lo vuoi? - esclamò lui con un lampo negli occhi, chinando lentamente
la mano alla rivoltella. Lara ci pensò; fu per dire un "sì" terribile,
ma in quel punto un'altima istintiva speranza e l'idea che la loro morte rinfocolerebbe
l'odio nelle due famiglie, la rese forte.
- E avresti il coraggio di uccidermi? - mormorò con un singulto.
- Sì, piuttosto che vederti d'altri.
- Mai, Massimo, mai... mai!
- Sarai sempre mia, sempre? - chiese lui, baciandola freneticamente.
- Sempre tua col pensiero, sempre, sempre!... - Rimasero a lungo stretti, ricambiandosi
un bacio che tutto faceva scordare, mentre Massimo ricantava la sua dolce cantilena:
- Cara, cara, tu sei l'angelo mio! Ora anch'io credo in Dio e nell'angelo custode,
ch'Ei pone alla destra dei credenti, degli uomini tutti. Tu sei il mio angelo
custode, Lara mia adorata, ed io t'amo tanto, tanto, tanto! Come sei bella!
le tue labbra sono dolci come il miele... Lara... v'hai tu messo del miele?...
- Parliamo dell'avvenire! - esclamò lei ad un tratto, distaccando le
sue labbra da quelle di lui inaridite dal lunghissimo bacio. Massimo la accomodò bene
sulle sue ginocchia, la ricoprì le fece appoggiare il suo capo sulla
sua spalla e guardandola con indicibile amore, parlò a lungo dell'avvenire
desiato tanto.
Quando Lara avrebbe compiuto ventun anni, lui la avrebbe chiesta formalmente
in isposa ai suoi parenti, pregando, umiliandosi, facendo di tutto in fine
per ottenerla. Ma se, cosa certissima, i parenti avessero rifiutato, allora,
Lara consentendolo, lui l'avrebbe presa con sè e, protetto dalla legge,
l'avrebbe fatta lo stesso sua sposa.
- Ma come? - chiese Lara.
- Sentimi bene, bambina bella! Tu una notte come questa, o magari peggio, poco
importa, verrai là al cancello, ov'io ti aspetterò. Ti porgerò galantemente
il braccio e ce ne andremo tranquillamente pei fatti nostri. Due giorni dopo,
sarai mia...
- Sì? davvero? - riprese Lara, spalancando gli occhi.
- Ove mi porterai?
- Lontano, lontano! In una bella città, a Cagliari, o Sassari, per lo
meno, dove io avrò preparato tutto anticipatamente. Tutto, comprendi,
la casetta, il corredo, l'abito da sposa, il sacerdote. Se tu lo vuoi, sarai
certamente mia moglie. Lo vuoi, Lara?...
- Lo voglio!
- Lo sarai! Verrai dunque?
- Sì, Massimo!
- Me lo prometti?
- Te lo giuro!
- Cara fanciulla!
Lara rinchiuse gli occhi: a che pensava in quel punto? Certo, era qualcosa
di orribile per lei, lasciare, fuggitiva, la casa paterna, che amava tanto,
dove aveva tanto sofferto, ma dove pure erasi svolta tutta la sua esistenza,
sognando sempre di lasciarla da sposa amata e felice... Ma dopo quella fuga,
quale splendido miraggio non l'attendeva? Massimo gliene parlava sommesso,
fremendo nella voce, chiudendo anch'esso gli occhi per sognare più intensamente
quell'avvenire tutto rose e azzurro.
- Dormi, Lara, dormi! - mormorava, cullandola soavemente fra le sue braccia.
- Dormi e sogna! con me sari la più felice fra le donne! Il giorno delle
nostre nozze, cioè la notte dopo quel giorno che sarà il più lungo
della mia vita, io ti piglierò per mano e conducendoti alla nostra stanza
nuziale, io ti dirò baciandoti:
- No, non chinar pensosa, - gli occhi e la fronte onesta. - Ecco la stanza
ascosa. - L'ara d'amore è questa! - E lieve lieve ti spoglierò dei
tuoi abiti bianchi, coprendo di baci le tue spalle, le tue braccia e sollevandoti
fra le mie, ti deporrò sull'ara bianca e profumata, dolce e bella vittima,
e... spegnerò il lume!
Lara ritornò a spalancare gli occhi e li fissò sereni in quelli
di Massimo. Strana creatura! Nessun fremito l'agitava nel sentire il giovine
parlare così; anzi un sorriso le sfiorava il volto freddo e bianco.
Chiese tranquillamente:
- E gli stivaletti? Tu credi ch'io vada a letto calzata?
- Ma no! - rsipos'egli senz'alterarsi. - Intanto però tu stai male così.
Sei stanca? Ah, se fossi un mago!
- Che cosa faresti?
- Comanderei che qui venisse subito posto un divano affinchè la mia
diletta fanciulla stessa comodamente seduta, oppure che mi si presentasse un
cavallo alato. Io lo monterei, ti piglierei in groppa. E ce ne andremmo fra
i monti ove sono tanti bei divani di musco fiorito, e là, fra i profumi
silvestri dei boschi e dei fiori autunnali olezzanti nel plenilunio bianco...
oh, come ben saprei parlarti d'amore, e dirti ciò che sento per te,
ma che non posso esprimerti! Baciamo, Lara; s'io non ti bacio, tu te ne dimentichi,
ne hai vergogna?
Per dimostragli il contrario, Lara dovette baciarlo: uno dei soliti baci che
durarono un quarto d'ora.
- Ah, - disse lei alla fine, - come farò a confessare tutti questi bei
peccati?
- Come? Vai a confessarti?
- Sicuro!
- Credi in Dio, davvero, davvero? - Lara lo guardò, sorrise minacciandolo
graziosamente col dito, gli disse:
- Sei furbo! Però io sono più furba di te!
- Queste manine, queste care manine, dammele qui, che le voglio baciare! -
rispos'egli, stringendole le mani e baciandole i diti ad uno ad uno. - Come
sono piccine! se potessi prenderle con me, quante volte le bacerei, queste
manine care! Dicevamo dunque che andrai a confessarti e che dirai i tuoi peccatacci
ad un estraneo. Perchè non ti confessi con me! Quali sono i tuoi peccati,
figlia mia?
- Cominciamo dal principio! - rispose Lara sorridendo.
- Superbia?
- No, non sono superba! Vana od avara? Neppure! pigra? assai, assai...
- Ma che! Lascia che ti interroghi io, ora, Lara. Mi ami?
- Molto, molto!
- Mi sei fedele!
- Fedelissima.
- Sarai mia sposa?
- Sì!
- Mi amerai sempre?
- Sempre, sempre, sempre!
- Eccoti confessata! - concluse Massimo - La penitenza è un bacio.
Lara la eseguì volentieri, ma intanto diceva: - E questa parodia della
confessione non è un peccato? Se ci sentisse Iddio!
- Non può sentirci, Lara, perchè parliamo così sommesso!
- Eppoi, - aggiunse lei scherzando, - credo che Dio sia sodo, prima di tutto,
perchè è molto vecchio, poi perchè io gli chiesi ginocchioni,
fervorosamente, tante cose, e lui non mi esaudì giammai, sicchè come
non sente le buone, non sentirà le cattive parole!
- E che cosa gli hai chiesto, a Dio, Lara mia?
- Ah, tante cose, tante cose! Ma torna inutile parlarne; le buone opere non
si svelano mai, e la preghiera è una opera buona.
Qui Lara si mise a narrare la parabola del Pubblicano e del Fariseo, ma in
verità. La condizionò in modo tale da sembrare una favola di
Esopo. Inoltre non riuscì a trovarne la fine e confuse un versetto della
Bibbia con quel passo di Shakespeare nell'"Enrico VIII," che dice: "Voi
avete i volti di angeli, ma il cielo conosce i vostri cuori!". - Massimo
ne sorrise di cuore; invero la narrazione non era il forte di Lara, del resto
assai istruita personcina di provincia. Parlarono infatti di Marradi, di Neera
e di Giogio Sand, ma soprattutto di Stecchetti, che è il poeta più conosciuto
e ammirato nella gioventù sarda, ne parlarono serenamente, quasi si
trovassero in una pubblica conversazione, ripetendone i più bei versi,
che Massimo declamava, a voce sommessa, in un modo affascinante. - Perdettero
però il sangue freddo quando venuti al "Medio-evo," Massimo
declamò quasi in alto quel piccolo capolavoro, e Lara lo accompagnò nei
due ultimi versi:
"Non sai? Le scolte dormono,
Son la figlia del re; baciamo in bocca!"
e naturalmente il giovine non se lo fece ripetere.
Fu il bacio più lungo ed ardente, che i due amanti si diedero in quella
notte di amore.
L'ora di separarsi si avvicinava. Un'acre tristezza si insinuava lenta lenta
nell'anima di Lara, una tristezza infinita che non doveva lasciarla mai più.
Massimo mormorava con dolore:
- Oh, Lara mia, quando ci sarà dato di passare un'altra notte come questa?
- Quando? - ripetè lei con malinconia. E baciandolo appassionatamente,
esclamò: - Ma chi ci potrà dividere, chi?
- Chi, Lara? nessuno!
- Solo la morte! - rispos'ella.
Rimasero a lungo in silenzio, stretti fortemente, col cuore dell'una unito
a quello dell'altro, le labbra incastonate, confusi insieme i palpiti, i respiri,
gli sguardi, l'anime e i pensieri.
Suonaron tre quarti. Il mantello era nuovamente scivolato dalle spalle e dalle
ginocchia di Lara; un raggio della luna al declino penetrava sino al loggiato,
proiettando una pallida luce su quel gruppo poetico, degno del pennello di
uno dei nostri più grandi pittori moderni. Gli occhi di Lara brillavano
di lagrime; il dolore e l'amore scolpivano una triste nota sul viso di Massimo,
che mormorò alfine, staccandosi da quelle braccia sottili che la mano
di un bimbo avrebbe potuto troncare e che pure lo soffocavano: - Fra poco ci
separeremo, Lara, fra poco; ma vivremo sempre uniti col pensiero, perchè non
v'è altri al mondo che si ami come noi, non è vero, mia adorata?
- È vero!
- Mi amerai sempre come ora?
- Sempre!
- Sempre tua...
- Lara adorata!...
I minuti volavano; una mano di ferro stringeva il cuore esulcerato di Lara,
così che sembravale, partito Massimo, di restare sola la mondo, barcollante
in un vuoto orribile e tenebroso.
Il suo volto impallidiva spaventosamente; venne a tal punto che sembrava una
morta: solo gli occhi oscuri splendevano su quel volto marmoreo, dando un segno
di vita.
Massimo ne fu spaventato; le rialzò il volto con la mano ed esclamò:
- Tu soffri, Lara! che hai? Dimmelo, Lara! Tu sembri una morta! Che hai? dimmelo!
Ho un terribile presentimento; che sia questa l'ultima volta che ci vediamo...
- No! - rispose lei, sforzandosi di parer tranquilla. - A me invece il cuore
dice che saremo felici...
Ancora una volta si appoggiò alle spalle di lui e lo fissò.
Si dissero con lo sguardo le ultime promesse, gli ultimi giuramento.
- Che hai, Lara, che hai, cara adorata fanciulla? -
Ripeteva Massimo baciandola soavemente.
- Le quattro!. Son le quattro!... - rispos'ella con un sospiro, l'accento angoscioso
e gli occhi nuovamente pieni di lagrime...
Si levarono e a passi lenti, come fantasmi, abbracciati, ritornarono al cancello.
Un ultimo bacio lungo e ardente, poi il cancello si aprì; Massimo strinse
le mani di Lara, dicendole: Ricordati di me! - e partì, mentre il mantello,
frusciando fra le sue pieghe oscure, pareva ridere dei segreti che aveva intesi.
E la piccola vergine bianca dai grandi occhi pensosi rimase là, muta,
ferma, gelida, finchè il passo del suo adorato non si spense nella lontananza
silenziosa...
XXIX.
Da quella notte i convegni di Lara e Massimo si seguirono regolarmente, senza
incidenti, a intervalli di quattro notti, per tutto l'inverno. Fu quello un
memorabile inverno per X***.
Il freddo più intenso, la neve quasi perpetua, i venti più furiosi,
le procelle più desolanti infuriarono per tutti i tre mesi della cattiva
stagione sotto un cielo plumbeo, fra le nebbia che rendeva il paesaggio fosco
e la città nera. Tutto ciò non impediva che Lara e Massimo si
amassero, si scrivessero e si baciassero, come nei bei giorni di sole nelle
splendide notti di luna. Poco importava loro che la neve coprisse la terra
e il vento urlasse nell'aria; sfidavano il freddo e la pioggia e ogni quattro
notti si rivedevano immancabilmente là, nell'ombra del vecchio cancello.
Lei avvolta in uno sciallo, lui nel suo soprabito, col cappuccio tirato sulla
fronte, o nel famoso mantello che Massimo considerava come sacro dopo che aveva
ravvolto il corpicino adorato della piccola Lara. E quando le loro mani si
stringevano, e le loro labbra si toccavano, il vento taceva, la neve si cambiava
in un campo di fiori e il cielo assumeva tinte splendide di croco e di malva
azzurrina, per loro che non sentivano più il freddo e scordavano le
furie dell'inverno e l'odio degli uomini. - Fra le lettere di Massimo trovai
una poesia su questo argomento; anzi, per scrupolo, vi dirò che il periodo
su detto l'ho copiato da essa, che, se ben ricordo, dice press'a poco così:
- È nero il cielo, la notte regna,
furioso il vento fischia al di fuor.
Ma a me che importa? l'oriuolo segna
L'ora del nostro notturno amor.
- A me che importa se triste fiocca
la fredda neve dal fosco ciel?
Per un sol bacio de la tua bocca
Io sfido i venti, la notte e il gel.
- Verrò fra poco, non disperati,
se qualche istante dovrò tardar.
Senza vederti, senza baciarti,
come la notte potrei passar?
- Benchè la folta tenebra il gramo
cielo ricopra di morte e duol,
Quando fremendo mi dici: t'amo!
io veggo in alto splendere il sol.
- E se il tuo labbro sul mio si posa,
e forte, stretta, ti serro al cor,
Io veggo il cielo tinto di rosa,
e i campi verdi lieti di fior.
- A me d'intorno non v'è la neve,
se a te daccanto, diletta, io sto,
Non sento il freddo del verno greve,
se la mia mano la tua serrò...
- Regna la notte, la neve fiocca,
ma il cor mi grida: non corri ancor?
Ella t'aspetta! l'oriuolo scocca
l'ora dei vostri notturni amor!
Così dunque trascorse l'inverno. Lara sentivasi sempre più triste,
perchè sempre più innamorata, e benchè fosse perfettamente
rassicurata sul lontano avvenire promessole da Massimo, provava un istintivo
presentimento di sventura, e le sere del convegno una paura sempre crescente
le dava la febbre prima di rivedere il giovine, alimentata dopo dalla gioia
di averlo riveduto senza essere colta da alcuno dei danni temuti. Il ricordo
della sola notte in cui eransi amati senza paura e così a lungo, stavale
sempre fisso nel pensiero; rimpiangeva eternamente quella splendida notte,
e spesso, fra le sue preghiere, mormorava:
- Oh, Dio mio, un'ora, un'ora sola di quella sera, e pigliatevi un anno della
mia vita!...
Rimaneva ore ed ore ritta davanti alla finestra chiusa, sui cui vetri picchiava
la pioggia e, conserte le braccia, contemplava la montagna lontana coperta
di neve, il cui profilo si perdeva fra le basse nebbie color di piombo, e ricordandosi
gli splendidi crepuscoli ivi goduti, fra quegli alberi ora schiantati dall'uragano,
i sogni, il primo convegno, il primo bacio, il profumo del muschio, l'olezzo
dei lentischi e delle ginestre selvaggie, si chiedeva se tutto non fosse stato
un sogno o se sognava presentemente, o se non avesse letto la sua storia in
qualche romanzo.
Allora la sua percezione si velava; vedeva la sua esistenza e il suo amore
come vedeva la montagna: attraverso un velo di nebbia e di pioggia; le sembrava
che l'inverno non dovesse finire mai più, che sotto il gelo di quella
vôlta di piombo e lo sgocciolare dell'acqua e il soffiar del vento il
suo cuore dovesse raffreddarsi, indurirsi, e così, a poco a poco, tutto
il suo copro, il suo essere, cambiarsi in un masso di granito insensibile alla
furia degli elementi e delle passioni umane.
Infatti cadeva inerte sul suo letticciuolo bianco e rimaneva immobile e fredda,
la testa pesante affondata sui guanciali gelidi, sinchè non si oscurava
il triste e bruno crepuscolo d'inverno, ma spesso lo scoccare di un'ora le
dava quasi una scossa elettrica, le ridonava la vita e il sorriso, ricordandole
che fra un'altra ora Massimo sarebbe giunto.
Nella notte invece, fra il tepore del letto e la musica infernale del vento
e della pioggia che risuonava al di fuori perdendosi nella valle col ruggito
del torrente e il fremito dei boschi, Lara ricordava distintamente, ruminando
le frasi dell'ultima lettera, le labbra ancora calde dell'ultimo bacio, e si
cullava in curiose alternative di speranza e di disperazione. Faceva progetti,
immaginava la sua futura casetta fatta splendida reggia dell'amore, e si domandava
come l'avrebbe condotta, lei così piccola e inesperta. Si rimproverava
la sua indolenza, la sua noncuranza nell'apprendere da quella finita massaia
ch'era donna Margherita, le faccende domestiche e il modo di governare la casa,
e si proponeva di cambiar metodo.
Ecco che lei pensava a maritarsi con uno che certo non le avrebbe potuto dare
serve e cameriere in gran copia, e non sapeva nulla, non pensava ad apprender
nulla! Ma era proprio un affar serio. Lara sapeva eseguire pizzi al "crochet",
sapeva un po' ricamare e cucire, preparare una tazza di caffè e rifare
i letti; la sua abilità si spingeva sino al saper comporre una frittella
di farina, zucchero ed uovo, ma, ma... certo tutte queste belle cose non bastavano,
no!
- Bah! - pensava poi, confortandosi e volgendosi all'altro lato, - ci sono
ancora due anni e sette mesi e mezzo e imparerò!
- Due anni e sette mesi! - ripigliava poi, dopo un istante.
- Due anni e sette mesi! - urlava fuori con sarcasmo il vento.
Il riso di Lara si offuscava nell'oscurità e ben altri pensieri incalzavano
nella sua mente, allora, scacciando i sereni disegni della donna di casa. Tornava
la fanciulla fantastica che viveva di solo amore, e quei due anni e mezzo assumevano
la tinta di un secolo, di un lungo interminabile secolo. Non dovevano passare
più, e Lara morrebbe prima di arrivare alla sua meta. Era questa un'altra
sua idea. Ella vedevasi e sentivasi consumare lentamente sotto l'incubo della
passione, e forse questo era una realtà, e morire prima di giungere
alla fine dei suoi sogni. Due anni e mezzo! Trenta mesi di febbre, di paura,
di attesa e di amore delirante avrebbero ucciso l'uomo più robusto nonchè lei.
- Su, era finita! Un giorno o l'altro, ella doveva, stanca di trascinare la
più triste delle esistenze, cadere sul suo lettino bianco e non muoversi
più, e richiudere gli occhi al sonno eterno, lontana da Massimo per
cui moriva. Era finita, finita davvero! La fantasia di Lara si spingeva persino
al di là; e mentre fuori urlava la procella, essa sognava ad occhi aperti
un sogno orrendo: i suoi funerali! Ecco come una volta ne scrisse essa stessa
a Massimo, che si desolava leggendo quelle strane visioni:
- "Dovevo dunque morire, finirla per sempre, davvero, con una tristezza
non più sopportabile, eppure resa ancor cara dalla più ardente
speranza. Mi pareva un sogno e benchè avessi la più lucida percezione
di ciò che mi circondava, pure vedevo i miei funerali sfilare lenti
nella via; la bara sottile foderata di damasco bianco, coperta di rose, giglio
e giacinti; e molta gente, come mai se n'era veduta al funerale di una fanciulla
di X***- sentivo il monotono salmodiare dei sacerdoti, che mi cullavano dolcemente,
entro la bara, e la voluttà di essere trasportata a braccia, in alto,
stesa, vestita di bianco in quella cassa che avevano foderato di velluto, che
emanava il profumo del legno di pino..., e attraverso le tavole sentivo il
tepore del sole che splendeva al tramonto e vedevo ardere al suo riflesso i
vetri chiusi della finestra ove ero morta!... E tu, e tu sempre là nella
penombra, pallido, muto, addolorato...
"
Ma io non provavo più alcun affanno, mi sentivo salva, tranquilla, e
pensavo: Stasera dormirò per sempre, per sempre! - mentre la cantilena
dei preti, la cantilena funebre, eppure così calma, finiva in un ritmo
bizzarro sfumato nell'aria olezzante di giglio e di rose, in due versi che
mi accarezzavano dolcemente, come più di una volta le tue mani ardenti
mi avevano accarezzato il mio viso, due versi sublimi di G. Prati che io non
scorderò giammai:
L'ultimo sogno dentro l'avello
È il più bel sogno dei nostri dì!
Il più delle volte checchè ne dicesse, Lara finiva col piangere
disperatamente della sua morte precoce, ma la mattina di poi, nel trovare il
suo guanciale, ancora umido di lagrime, dopo alcune ore di sonno, sorrideva
dei suoi terrori e riaffidava la speranza al primo raggio di sole, al raro
lembo di cielo azzurro che illuminasse la campagna di neve o desolata dalle
pioggie.
Avvezza a vivere in una solitudine quasi campestre, la natura e gli elementi
contribuivano assai a rendere triste o speranzosa la sua anima. Come i fiorellini
d'inverno, Lara sorrideva al sole e all'azzurro e chinava piangente la testa
sotto la pioggia e il cielo nero. E quella solitudine appunto era la causa
del forte amore della fanciulla. Senza divaghi, senza latri pensieri, sempre
chiusa nel suo silenzio, circondata da una vita monotona, tranquilla, simile
ad una pianura uniforme, infinita, Lara, con l'istinto ardente di un altro
metodo di esistenza più conforme ai suoi gusti ed ai suoi desiderî,
si aggrappava forte all'unica nota romanzesca, all'unico masso ergentesi nella
sua landa, che era Massimo, e pensava sempre a lui, amandolo più intensamente,
appunto perchè fuori della sua famiglia, non aveva altri affetti, altri
pensieri, perchè lui era l'unico profilo che si disegnava, bello, spiccato,
ardente, sullo sfondo grigio del suo orizzonte.
Anche Mariarosa, l'amica del cuore, che prima l'affascinava, che assorbiva
tanta parte dei suoi affetti, era ormai sparita, sfumata nella nebbia, nella
lontananza. Tutto, amore, amicizia, stima, affetto, tenerezza, tutto erasi
converso su Massimo, diventato il perno dell'esistenza di Lara. E Lara, riposando
su lui soltanto ogni sua speranza, cullandosi in una continua altalena di speranze,
di disperazioni, di sorrisi e di lagrime, contava sempre sulle sue piccole
dita bianche e affusolate i mesi, i giorni che ancora la dividevano dalla famosa
sua emancipazione; allorchè un fatto straordinario, impreveduto, accorciò il
suo piccolo romanzo in un dramma dei più interessanti.
XXX.
In quell'anno, verso la fine di aprile, Marco Ferragna diede una piccola festa
da ballo in onore di un alto funzionario di X***, suo intimo amico, che doveva
partire, essendo stato traslocato al continente. Siccome non aveva locali abbastanza
vasti, Marco si contentò di invitare un ristrettissimo numero di persone,
cogliendole anche all'impensata, tanto che destò la disperazione delle
signorine invitate che non avevano ancora pronta la teletta d'estate, - perchè di
vesti scollate torna inutile portarne nei balli, nei piccoli centri sardi,
- e la massima rabbia di quelle che non si degnò di invitare. Per uno
i due giorni, questa festa fu il solito avvenimento a sensazione nei crocchi
di X***, tanto più che si arrivò a supporre in Ferragna l'intenzione
di ripigliar moglie. La speranza spenta nei cuori delle fanciulle di X*** rinacque:
in poche ore furono preparati gli abbigliamenti; quasi per incanto, i vecchi
abiti dell'estate scorsa si rinnovarono, come si copersero di nastri chiari
e di "plastrons" di tutte i vestiti oscuri dell'inverno, così da
trasformarsi in telette deliziosissime, per quanto accollate e senza strascico:
tanto possono certe idee e speranze fisse.
Ma che volete? Benchè si avvicinasse ai trentacinque anni, Marco Ferragna,
sempre elegante, biondo e aristocratico, affascinava ancora e attirava a sè lo
sguardo delle fanciulle, come uno di quei fiori esotici che costano tanto e
che perciò appunto sono più desiati e cercati. A X*** v'erano
senza dubbio giovani più belli, meno vecchi ed eleganti quanto Marco:
perchè dunque non destavano tanto interesse e tanta simpatia? Chi lo
sa? Ma Ferragna era così ricco!...
Sì, molto ricco. Ne diede prova nella notte del ballo, profondendo tant'oro
nella festa di cui l'eguale non s'era mai conosciuta, nè ad X***, nè nei
dintorni. Tutta la palazzina, splendidamente illuminata, - tranne la camera
dov'era morta Lara, - fu posta a disposizione degli invitati. In sala da ballo
fu convertita la stanza da pranzo, la più vasta, guarnita di fiori,
di lumiere e di specchi, ch'era una meraviglia. L'orchestra, composta di un
pianoforte col relativo suonatore, funzionava in un angolo, velata da un cortinaggio
fiorito, sì che pareva che le note scaturissero da un mazzo di fiori,
vibrate nel tulle della tenda, il pianoforte e il pianista essendo invisibili.
Il "buffet" magnifico, venne preparato in una stanzetta attigua,
la teletta nella stessa camera da letto di Marco, dove infatti grandeggiava
una bella teletta di noce a smalti dorati. Infine una meraviglia tale, che
le vispe e allegre invitate si domandavano ogni tanto se non sognavano o se
erano diventate eroine delle "Mille e una notte".
Soltanto Lara, che non erasi potuta sottrarre alle preghiere insistenti di
Marco, intervenuta di cattiva voglia al ballo, non ammirava nulla, conoscendo
già da cima a fondo le stanze della palazzina, - solo si chiedeva ogni
tanto perchè Marco di solito, sempre geloso custode della sua casa,
cui custodiva come un santuario, e nemico acerrimo dei divertimenti dopo la
morte di Lara che tanto aveva pianta, si fosse così ad un tratto convertito
al chiasso e avesse aperto le sue porte a tutte quelle... persone che ella
guardava con occhio distratto e che le parevano tante marionette, dal momento
che Massimo non era fra esse. Così è! dove manca Massimo, Lara
non vedeva niente di bello: mentre se scorgeva un gruppo di persone, fra cui
il giovine, quel gruppo le pareva grazioso e interessante, quasi riflettesse
la bellezza e lo spirito di "lui".
Massimo, per ragioni inutili a spiegare, mancava alla festa da ballo di Ferragna:
dunque, che mai poteva esserci di bello e attraente per Lara? - Aveva bensì ritrovate
due amiche della montagna, che la divertivano assai sparlando delle altre invitate,
trovando che dire nei loro abbigliamenti, nelle loro acconciature e persino
nella loro maniera di ballare, ma ciò non bastava per distrarla. Ballava
volentieri, ma quasi sempre, a metà del ballo, si diceva stanca e si
faceva condurre dal suo ballerino all'angolo più remoto della sala,
ove, dal fondo di un divano, guardava con una leggera smorfia di noia le coppie
che proseguivano a ballare e ricadeva nel pensiero fisso che le faceva chiedere
il perchè del repentino cambiamento di abitudini di suo "cugino,
come sempre chiamava Marco.
Ma che, dunque, pensava davvero a riprender moglie? A chi faceva la corte?
Per quanto osservasse, Lara non arrivava a scoprire nulla. Marco, gentilissimo
con tutte, da esperto gentiluomo, faceva meravigliosamente gli onori di casa,
ma non più in là, non più! anzi aveva ripiombato le signorine
nella disperante incertezza, perchè non ballava. A chi gliene chiese
il perchè, rispose che temeva di fare qualche brutta figura essendosi
scordato la danza, non ballando più da circa sei o sette anni; però promise
di eseguire con gli altri la contraddanza.
- Ballerà la quadriglia! Stiamo a vedere chi invita! È certo
lei la preferita! - si dissero sottovoce le ballerine, al sapere questa notizia.
Attesero con impazienza, ma rimasero con tanto di naso allorchè Marco
invitò la piccola Lara Mannu. Certo lo faceva per non urtare la suscettività di
nessuna, che gran politico! E con una smorfia di disillusione, deposero nuovamente
le ultime stolte speranze che avevano sull'elegante e pallido e... ricco signore.
- Si diverte quel signore là? - chiese Lara al cugino mentre eseguivano
la gran "promeade", indicando il re della festa, che, come Marco,
non aveva ballato per nulla, ma eseguiva, anzi comandava la squadriglia.
- Pare, signora cugina! Si diverte più di qualche altra persona...
- Di chi?
- Di te, per esempio, che sembri la noia stessa.
Lara si sforzò di ridere. - Ma io mi diverto un mondo! - esclamò.
- Perchè dici che sembrola noia in persona?...
- Va là! Mormorò Marco fissandola in volto. - Ti diverti un mondo!
Sta zitta, bigiardona, ti osservo ben io... per poco non ti metti a piangere,
la gran bambina che sei...
- Cosa vuoi dire? Ma vuoi dunque che stia sempre ridendo?...
- Ah, Lara!... "Changez vos dames!..." - fu comandato, e Marco dovette
interrompere il discorso. Successe una gran confusione in questa figura della
quadriglia, tanto che a stento i cavalieri ricuperarono le loro dame. Quando
Marco offerse il suo braccio a Lara, questa gli mostrò, tutta confusa,
una manica del suo abito la cui guarnitura di tulle era tutta rotta. Come ciò le
era accaduto Lara non lo sapeva dire, ma spiegò a Marco che non intendeva
proseguire la danza con una manica stracciata... - Andiamo un po' in teletta,
rispose lui, e non disperarti così. Se vuoi, ti aiuto anch'io!...
Uscirono dal circolo e sparvero entrambi, mentre gli atri proseguivano a correre
come tanti bambini.
Nella camera di Marco regnava il pi grande disordine: scialli, mantelli, cappelli
e sciarpe giacevano alla rinfusa qua e là sulle sedie e persino sul
letto; le candele cominciavano a consumarsi, spandendo una tinta offuscata
da chiazze tremule di penombra, e attraverso le cortine delle finestre si scorgevano
i primi chiarori scialbi, biancastri dell'alba fredda di aprile. V'era freddo
lassù; il corruscare rossastro, livido della grande specchiera, i fiori
appassiti, il riflesso gelido e bianco della mensola di marmo della teletta
pareva avessero un acre rimprovero verso Marco, che aveva così profanato
il nido del suo amore più sacro ancora perchè estinto. - Lara
se ne accorse "sentì" quel rimprovero, e anch'ella, con una
strana espressione negli occhi eguali al riflesso del marmo e dei cristalli,
guardò il cugino, meravigliata ancora una volta del suo strano cambiamento.
Ma lui non vide nulla. Cercava una lunga spilla da cravatta, che doveva esser
in un cassetto della teletta, per appuntare la manica, ma non riusciva a trovarla.
In realtà il suo pensiero correva in diverse direzioni, altrimenti avrebbe
veduto più di una volta la spilla, che stava nel fondo, splendendo.
- Non c'è, - disse alla fine. Ancora chino, alzò gli occhi e
guardò fisso la fanciulla, che rispose battendo i piedi:
- Infine!... Fa' una cosa, Marco, lega qui un nastro, perchè a me riesce
impossibile con una mano, qui, sul mezzo... Farà una strana figura,
ma non è nulla, tanto ce ne andiamo subito. Fa' presto! Qui non c'è un
nastro, non una spilla. Oh, che bella teletta! Sciogli il mastro che ho sui
capelli, presto! - Marco la obbedì e con le mani inguantate sciolse
il nastro da cui esalava un forte profumo di viola. Lara accomodò il
tulle sgualcito e porse il braccio per "legarlo".
- Lara, - domandò Marco, mentre faceva il peggior nodo del mondo con
le dita che gli tremavano leggermente sotto i guanti, - perchè non sei
venuta a trovarmi? Pure mi avevi promesso di fare il contrario. Ti ricordi
la sera che sei venuta per chiedermi il permesso di chiamarti Lara? oh, Lara!...
- Il suo volto si offuscò, e la fanciulla, credendo che ciò provenisse
dal ricordo della morta, fu per rivolgergli l'acre rimprovero che le inspirava
il disordine e il rumore della festa, ma non ne ebbe il coraggio e si contentò di
rispondere:
- Che vuoi che faccia io nella tua casa? Non hai due domestiche? e poi... -
Marco trasalì e il suo volto si fece ancor più triste.
- Le serve! Che bella compagnia! Perchè parli così, Lara?
- Ma infine! - esclamò essa con impazienza. - Che vuoi che ci faccia
io? Hai forse bisogno della mia compagnia? Vuoi che venga a fare il chiasso
qui, come altre volte, ora?...
Ferragna credette di aver compreso. - Ah, signora Lara dunque segue anche lei
le tradizioni di famiglia? Davvero non ti credevo così ignorante!
- Cosa vuoi dire?
- Ah, sì, ho compreso! C'è qui il figlio di Massari, che piglia
pratica con me..., dunque la nemica non deve venirci più.
Lara tremò e si fece rossa in viso. Ma visto che Marco non dubitava
di nulla, si calmò e si scusò adducendo cento ragioni. - Che
vuoi che ci faccia? - ripeteva. - Ora tu non puoi raccontarmi più fiabe
ed io non posso più ammirare i giocattoli del tuo salotto... Sei stravagante,
sai, scusami.
- È vero, sì, è vero! Sono stravagante...
- Lara, se tu sapessi... - esclamò Marco, terminando di fare il fiocco.
Si rizzò e la guardò ancora fisso coi suoi occhi bruni e misteriosi.
Una lieve sfumatura rosea erasi diffusa sul suo volto pallido e gli occhi splendevano
al riflesso rossastro delle candele, che continuavano a consumarsi formando
ceree stallatiti su bugie di metallo e di alabastro. Perchè guardava
Lara con tanta insistenza? E perchè Lara, per la prima volta in vita
sua, provava una strana soggezione innanzi a lui, il cui sguardo non era più sereno
e calmo come per lo innanzi?
Lo abbiamo già detto: Lara aveva una grande intelligenza e una finissima
percezione. In un lampo credette di accorgersi finalmente del perchè del
cambiamento di Marco, e repente provò un senso di disgusto, di gravezza
nel trovarsi così sola davanti al cugino, che aveva finito col considerare
come vecchio, a furia di sentirlo dire da lui medesimo. Un'altra al suo posto
si sarebbe sentita la più felice fra le donne; lei provò un acuto
presentimento, quel presentimento che da qualche tempo le gravava sull'anima
e, sfuggendo allo sguardo ardente di Marco, esclamò:
- Andiamo dunque! - Si mosse verso la porta, ma lui la seguì soltanto
con lo sguardo, immobile, muto, le labbra contratte, immerso in un profondo
pensiero, forse in una visione.
- Andiamo! - ripetè Lara sulla soglia. Si voltò e vide che Marco
la guardava sempre nella stessa maniera. Finì col riderne.
- Non ti muovi? Sei incantato dunque? Vieni, chè la quadriglia finisce.
- E siccome lui non si muoveva: - Allora me ne vo' giù sola. Dirò che
ti ha vinto il sonno! Oh, che bel padrone di casa! Marco?... - Aprì la
porta; ma Ferragna allora parve destarsi, e slanciandosi verso di lei, le afferrò una
mano e la condusse nel mezzo della camera, dicendo con voce concitata:
- No, non andartene, Lara, non puoi andartene! Dove vuoi andartene, ora che
sei risuscitata? Oh, lo sapevo che dovevi tornare a me, Lara mia adorata! Ti
aspettavo da sette anni, Lara, e ora che sei tornata, no, non ti lascerò più sfuggire...
Lara lo guardò trasognata, e gridò scuotendolo:
- Ma sei pazzo dunque, Marco Ferra?...
XXXI.
- No, non sono pazzo! - rispos'egli pigliandole l'altra mano anche e stringendogliele
entrambe fortemente. - Non sono pazzo, Lara, o se sono pazzo, sono pazzo di
amore... Perchè ti amo, Lara, vedi, ti amo da più di un anno,
dal giorno che mi accorsi che rassomigliavi perfettamente alla morta. Non so
ciò che è accaduto in me d'allora in poi: qualche grande rivoluzione
che mi riaccese il sangue nelle vene e ridonò il sorriso della vita
alla mia mente e al mio cuore atrofizzati dal dolore.
"
Più di una volta, nelle mie ore più cupe di disperazione e di
sconforto, una voce misteriosa, la voce cara e adorata della morta, la tua
voce, o Lara, mi confortò e mi disse: - Non piangere! Io ritornerò a
te, mi alle tue braccia di fuoco, all'amor tuo! - E fidente in quella voce,
attesi, uno, due, sette anni! Nel mentre il mio cuore, il mio sangue dormivano,
la passione ardente, pazza, che avevo nutrito per Lara, restava latente, assopita
anch'essa in fondo alla mia anima, pronta però a risuscitare sempre
grande e infuocata, insieme a Lara che dormiva, che non era morta, che non
poteva essere morta... Essa è risuscitata da più di un anno,
con lo stesso nome, la stessa età, lo stesso viso, la stessa voce. Sei
tu, sei tu, tu; sentimi, sei tu che finalmente ho ritrovato, che un momento
fa vedevo andare e venire in questa camera, ove abbiamo trascorsi tanti giorni
felici, ti ricordi? Ove ricomincerà la nostra felicità per non
finire mai più! Lara! sei sempre la stessa: bella, bianca, i grandi
occhi pensosi, e il vestito trasparente! Perchè hai tardato tanto a
ritornare? Mi trovi un po' vecchio, non è vero? ma se tu sapessi come
ho sofferto! Che... anni! che lunghi anni di angoscia e di tormento! Esser
solo, sempre solo, dopo esserti vissuto vicino, solo, nella casa gelida e deserta
ove ero stato così felice presso il focolare spento e nelle stanze fatte
oscure dal silenzio! Ma ora tutto svanirà! Tu sei tornata, mia diletta
Lara! tu sei risorta ed io non piangerò più, non starò più solo!...
E in un impeto di illusione e di amore, Marco strinse al suo seno la fanciulla,
ma essa mandò un lieve grido e si svincolò dalle sue braccia.
Allora il giovine si accorse che Lara piangeva a grosse lagrime e fu richiamato
alla realtà!
- Perdonami! - disse con angoscia. - Tu hai ragione! Io sono pazzo! Ma non
piangere, Lara, no, giù le mani dal volto e ascoltami bene. - Sui appoggiò alla
mensola di marmo, e intrecciando le mani sulla schiena, riprese, pallidissimo
in volto, mentre Lara si asciugava le lagrime, pensando che in realtà il
cugino conservava tutto il suo senno: - Nella mia vita non ami altri che tua
cugina, ch'era perfettamente simile a te, come già ti dissi. L'amavo
pazzamente, tanto che senza di lei la mia vita si rendeva impossibile. E la
feci mia, nonostante gli ostacoli che si opponevano fra di noi e l'odio che
la mia famiglia non cessò di prodigarmi anche dopo la sua morte. Con
lei, che mi amava d'un amore eguale al mio, fui per qualche tempo il più felice
fra i mortali, tanto felice, che la mia felicità mi spaventava, che
mi chiedevo cosa mai avevo fatto di buono per meritarmela. Ma sul più bello,
quando il mio amore per Lara era giunto al parossismo, alla venerazione, al
delirio, la morte recise la sua giovine testa e d io rimasi solo, muto, desolato,
davanti al cielo splendido che irrideva al mio dolore, fra i fiori che non
mi servivano che per adornare una bara! - Marco tacque un istante, gli occhi
socchiusi e le labbra tremanti al ricordo di quel giorno tremendo. Lara, che
al suo solito credeva di sognare, vide una lagrima cadergli lungo la guancia
di marmo, e non ci volle di meglio perchè anch'essa si rimettesse a
piangere, pensando però al dolore che avrebbe sofferto lei stessa se
Massimo fosse morto.
Le sembrava che Marco parlasse ad altri e che lei fosse semplice spettatrice;
anzi, da un momento all'altro, pensava di gettarglisi al collo per confortarlo
e carezzarlo come faceva da bambina. Ne sentiva una grande pietà, ma
il suo cuore non palpitava nell'udirlo parlare di amore, e nello stesso tempo
la vanità faceva capolino in fondo in fondo e le faceva chiedere perchè mai
tanti uomini, belli, istruiti, moralmente grandi, infine, secondo il suo parere,
si innamoravano così di lei. Ferragna riprese: - Ecco che ricominci,
Lara! finiscila e sentimi con attenzione. Non è un fanciullo che ti
parla, è un uomo, un "uomo", bada bene, un uomo serio che
ti ha vista bambina e che ora ti ama giovinetta. Più volte ti dissi
ch'ero vecchio, ma ciò non è: sono ancora giovane, molto giovane,
Lara, non ostante i miei anni; però non sono più un giovinetto
che fa dichiarazioni d'amore così, per passatempo, senza saperne quasi
il perchè. Sono nell'età in cui realmente si ama, in cui non
si può tornare indietro, nè andare in avanti se per caso il mio
amore venisse destinato all'infelicità eterna... - Tu mi comprendi,
Lara: tu che sei intelligente, che hai lo sguardo stesso, quindi lo stesso
ingegno dell'altra...
- Dunque essa mi fu rapita! Fui per impazzire... non pensai al suicidio, perchè ciò che è una
viltà ed io non sono un vile; ma se avessi potuto morite senza cooperare
neanche indirettamente alla mia morte, oh, come sarei stato contento! Vissi!
Solo, in questa casa piena di memorie e di amore, trascinai la mia esistenza
col sorriso sul labbro davanti alla folla che odia chi soffre, ma con le lagrime
nella solitudine amara di questa camera fredda e deserta, felice davanti agli
uomini, ma col tarlo dello sconforto rinchiuso nel cuore. Oh, come ho sofferto,
Lara! come invocai la morte e l'oblìo, quante notti di febbre trascorsi
qui, qui, qui! E quante volte la sua dolce immagine, così vestita di
bianco, così sottile e bella come sei tu, non sorse negli angoli oscuri
di questa camera e mi disse: - Non piangere! Io devo ritornare! - Era una speranza
stolta, un'illusione che calmava nella notte il mio spasimo, ma che mi faceva
sorridere amaramente alla luce del giorno. Gli anni passavano: a poco a poco,
sotto il mantello del tempo e della lontananza, il mio dolore sfumò:
mi rimase una profonda melanconia e la sola speranza della morte che si avvicinava.
Finii col credermi vecchio, ma un giorno sentii il mio cuore palpitare nuovamente,
il sangue riscaldarsi nelle vene, e rividi la visione di Lara, la rividi però reale,
vera, palpabile. Eri tu! ti ricordi? Eri malata, e io, consigliandoti di andare
ai bagni, ti diedi un bacio... Tu ti alterasti... io pensai che non eri più una
bambina e ti guardai e rividi in te Lara... Lara che da quel giorno incominciai
ad amare, che credetti fermamente risorta! Da quel giorno ho pensato sempre
a te, ma attendevo che tu fossi un po' più grande per spiegarti il mio
segreto. Non lo avevi ancora indovinato? Il credevo di sì, perchè non
ritornasti più qui, come da bambina, perchè ti vedevo sempre
triste e riservata con me! Ho sperato sempre! Non è possibile che tu
non mi ami! Sono convinto che l'anima di Lara si è trasmessa in te...,
quindi devi amarmi. Sì, devi amarmi, Lara! poco importa che io abbia
tanti anni più di te. Sento che la tua anima è grande più che
non debba essere... E pi, Lara, tu sei istruita, sei intelligente e nessuno
potrebbe capirti quanto me, che ti vidi crescere e che t'ho sempre amata. O
almeno son certo che non ami nessuno. Sei triste, perchè ti manca qualcosa
necessaria alla tua anima come l'aria ai fiori. È l'amore! Lara, io
t'offro il più grande amore che si possa desiderare...: accettalo e
sari felice! Ecco che sorridi! Ah, mia diletta Lara, ho indovinato! Tu mi ami,
o almeno mi amerai, non è vero? oh, perchè non mi sono spiegato
prima d'ora, anticipando la nostra felicità? Come sarà contento
tuo padre! Sai, diventerai la più ricca e felice dama di X***. Come
saremo felici! Mi amerai, non è vero? ma che dico? Mi ami già...
mi hai sempre amato! Eri triste, perchè credevi che io non ti amassi...
Invece!... Sorridi alfine, Lara mia, per sempre mia, e perdonami se non mi
sono spiegato prima! Come ti amo! Ma tu pure mi ami, non è vero che
mi ami?... - Dicendo così, Marco erasi avvicinato a Lara, tento che
le ultime parole gliele sussurrò all'orecchio. Il silenzio e il rossore
di Lara confermavano le sue speranze: essa non sapeva che dire, non trovava
parole e si sbalordiva vedendo la strana illusione del cugino, verso il quale
essa non aveva assolutamente nutrito atro affetto che di parente, e che, come
si è detto, considerava per non più giovane. La sua ardente loquela,
che avrebbe commosso un sasso, non tanto per le parole ma per l'accento affannoso
appassionato e per la pronunzia affascinate, non riusciva che a farla più intensamente
pensare a Massimo, a meditare sul dolore che avrebbe provato se lui fosse morto
o avesse cessato di amarla. E sentiva meraviglia, spasimo, pietà. Che
doveva fare? Rispondendo no, avrebbe recato un colpo doloroso al cugino, forse
destato sospetto in lui, che l'avrebbe costretta a confessare il terribile
segreto de suo amore. Rispondere che l'amava, poi, era impossibile, una menzogna
che le ripugnava e la atterriva. Che fare, che fare? Marco intanto continuava
eloquentemente il suo discorso, promettendole un paradiso d'amore e di felicità;
ma lei non lo ascoltava più, gli occhi vaganti in cerca di un'idea,
di un mezzo qualsiasi per sottrarsi diplomaticamente a quel pericolo tanto
più compromettente perchè impreveduto, l'anima in cerca di Massimo
per chiedergli un consiglio e un aiuto. - Se fosse stata libera di sè,
o senza la paura di vedere scoperto il suo amore, Lara forse avrebbe accettato
il cuore di Marco e avrebbe consacrato a lui la stessa passione che consacrava
a Massimo, o avrebbe risposto recisamente no; ma Marco era giunto troppo tardi,
giunto in un momento in cui Lara non poteva più amarlo nè respingerlo
francamente per non destare i suoi sospetti e forse anche la sua vendetta.
Che fare, che fare? La povera fanciulla restava immobile sempre nel medesimo
sito, le braccia tremanti, martoriando con le manine inguantate i nastri del
suo vestito: giù dalla sala da ballo salivano le ultime note della quadriglia
e il vociare confuso dei convitati, che nell'allegria ardente del divertimento
non avevano posto mente alla lunga assenza del padrone di casa con la sua piccola
dama; le candele continuavano a consumarsi con un acre profumo di fiori secchi,
e già la luce cilestrina dell'alba, penetrando attraverso le cortine
bianche, disegnava un circolo glauco, cinereo in fondo alla camera immersa
in una strana tinta rossa smorzata. Non si può spiegare il motivo, ma è certo
che spesso basta un riflesso, una nota, un'ombra, per dettare un'idea. Lara
guardò il fondersi delle due luci, quella dell'alba e quella dei lumi
spegnentisi, e un raggio le brillò negli occhi umidi di pianto. Ascoltò le
ultime frasi di Marco, che la scongiurava a non aver vergogna nel dirgli francamente
che l'amava, e gli rispose:
- Non posso risponderti ora, Marco, ma ti chiedo otto giorni, otto soli giorni.
Te ne supplico, otto giorni soltanto!... - Questa strana risposta fu un getto
di ghiaccio sull'entusiasmo e la speranza del cugino.
- Otto giorni! - disse chinando la testa con delusione. - E sieno! Ricordati
però che si tratta della mia vita o della mia morte...
- Lo ricorderò! - rispose Lara con una leggera smorfia di incredulità.
E ridiscesero nella sala da ballo, mentre finiva la lunga quadriglia comandata
dal re della festa.
XXXII.
Per otto giorni Marco visse in una crudele incertezza, cullato ora dalle più dolci
speranze, ora dai sospetti e dalla disperazione; e benchè davanti alla
gente e persino con la stessa Lara, che vedeva di frequente, si mostrasse calmo,
freddo, impenetrabile, entro al suo cuore fremeva d'una fiera procella, e l'insonnia
turbava le sue notti nuovamente piene di sogni e di desideri. - Aveva detto
a Lara ch'era un uomo, ma in realtà, dacchè l'amore erasi ravvivato
nella sua anima - diciamo "ravvivato", perchè certo Marco
amava Lara soltanto per la grande sua rassomiglianza con la morta, - egli era
ritornato giovane, molto giovane, quasi fanciullo. A poco a poco, quello strano
e fortissimo amore lo aveva stretto fra le sue spire, come l'ellera la quercia,
rendendolo fantastico, sognatore, debole qual giovinetto dominato dalla prima
passione della sua vita. Era abbastanza se riusciva a non dimostrare i suoi
sentimenti; in fondo rimaneva lo stesso come dieci anni prima, con gli stessi
pensieri, le stesse debolezze, gli stessi ideali.
Tant'è vero, che s'era illuso al punto di credersi amato da Lara. La
tristezza della fanciulla, il suo cambiamento di carattere, la sua riservatezza,
i pallori, le lagrime, le distrazioni che egli osservava fissamente da qualche
tempo, indovinandone il motivo, ma ingannandosi sulla persona che le causava,
tutto, tutto, tutto s'era preso per sè, acciecato dalla sua passione
sempre crescente di giorno in giorno, a misura che Lara cresceva e si faceva
più seria, quasi bella di una bellezza fantastica e ideale. Sicuro d'essere
padrone di quell'anima misteriosa ch'egli credeva di conoscere profondamente,
mentre gli era del tutto, ma proprio del tutto ignota, rimetteva di giorno
in giorno la sua dichiarazione. Che poteva temere? Amato da Lara, amato da
don Salvatore, che forse, chissà, sognava lo stesso sogno, che poteva
temere? Viveva sicuro dell'avvenire, e lasciava che in fondo al suo cuore crescesse
il novello fiore, la splendida rosa nata su di una tomba, ma che doveva ridonargli
tutte le voluttà della vita e della felicità, pronto a coglierla
alla prima occasione per offrirla alla piccola fata, che inconsciamente, con
la verga magica de suoi diciotto anni e dei suoi grandi occhi pensosi, aveva
fatto risorgere il sole sul suo pallido orizzonte velato dalle prime tinte
del crepuscolo. La sera del ballo, Marco non intendeva punto dichiararsi; un'illusione,
il profumo del nastro, il braccio di Lara, mille nonnulla l'avevano precipitato,
dando palpiti forti al suo cuore ringiovanito, lampi di amore al suo pensiero
eccitato dall'ora, dall'ambiente, dagli sguardi di lei.
La risposta di Lara, data mentre egli credeva di vedersi cadere fra le braccia
la fanciulla ebbra di amore e di felicità, come dicemmo, fu un getto
di ghiaccio sul fuoco delle sue speranze, che da quel momento cominciarono
a vacillare e a tremolare. Dunque, s'era ingannato? Lara non lo amava... forse
ne amava un altro! Questo pensiero ridestava in lui dolori e passioni da molto
spente nel suo cuore. La gelosia lo tormentava mentre il suo amore cresceva
davanti agli ostacoli, ma in pari tempo la ragione gli gridava che non aveva
alcun diritto di pretendere l'amore di quella fanciulla, da cui lo distaccavano
quasi vent'anni di età, quella fanciulla che sarebbe stata ancor giovine
e bella mentre lui si gelava sotto i colpi della vecchiaia e dell'impotenza.
Ma vederla di un altro! Ma piangere nuovamente quasi per la sua morte, mentr'ella
viveva ancora e prodigava il suo amore e i suoi baci ad un altro forse meno
degno di lui! Ricominciare la lotta contro l'angoscia e il lutto invadente,
ritrovarsi nuovamente solo dopo un anno di sogni e di progetti, ripigliare
la maschera dell'indifferenza e sentire ridesto entro il cuore il tarlo dello
sconforto e della disperazione, combattere di nuovo contro la solitudine, la
desolazione, gl'istinti della fantasia e dell'anima, cercare ancora un oblìo,
un conforto nel lavoro, nel tempo, nella lontananza, - perchè egli non
credeva nell'oblìo delle orge, dei piaceri o della gloria, d'altronde
irreperibili nell'ambiente in cui viveva, - vedersi spegnere il fuoco del suo
deserto focolare non appena riacceso, attendere muto, solo, gelido, l'incalzarsi
degli anni, l'assopirsi del cuore, l'ultimo crepuscolo della vita... - era
troppo, era troppo! e si ribellava, sperava di nuovo e ritornava a tessere
la sua tela d'oro, ma invano cercava un raggio di speranza negli occhi di Lara
che sfuggivano il suo sguardo ansioso, - ricadeva nella disperazione e attendeva
con ansia e paura il termine di quei lunghi otto giorni, dicendosi più di
una volta che, in realtà, dalla risposta di Lara dipendeva la sua vita
o la sua morte, almeno moralmente.
Giunse finalmente. Era una bella mattina di maggio; una di quelle splendide
mattine che solo fra le montagne e le vallate sarde di possono ammirare, in
cui pare che il sorriso di Dio si rifletta nel tremolìo azzurro della
nebbia profumata, fra le lamine d'oro degli uccelli innamorati, nei fulgori
dei fiori montani olezzanti fra le perle della rugiada e il pulviscolo d'oro
del sole. Mai come in quella mattina Marco aveva gustato gli incanti della
natura vergine, mai come in quella mattina erasi sentito più solo e
triste davanti alla valle verdeggiante e alle montagne azzurre.
Fin dalle cinque lavorava nel suo studio, solo, davanti alla finestra che dava
sulla valle, perchè da qualche tempo non apriva più l'altra che
guardava sull'orto dei Mannu, forse temendo che i giovani praticanti nel suo
studio vedessero Lara e se ne innamorassero. Nessuno dei giovani era ancora
giunto: Marco contava di recarsi sul tardi al Tribunale, dove doveva sbrigare
alcuni affari, poi di recarsi da Lara per dirle che l'ora giungeva, allorchè la
porta dello studio girò silenziosamente sui cardini e Lara entrò,
dopo essersi assicurata non esservi che lui, leggermente, trascinando i piedi
senza far rumore, come la sera in cui era venuta per chiedere il permesso di
chiamarsi Lara. Soltanto, questa volta, non vestiva più a bruno, nè il
suo viso era roseo e spensierato: no. Pallida, ma decisa, con un lieve sorriso
di mistero sulle labbra, vestita di grigio chiarissimo, quasi azzurrastro,
Lara si avanzò fino allo scrittoio. Marco alzò il capo, sorrise,
si lasciò sfuggire di mano la penna, e i suoi occhi sfavillanti chiesero
prima delle labbra:
- Ebbene?
- Ebbene, - rispose lei fredda, - gli otto giorni sono trascorsi!
- Ebbene, ebbene? Hai deciso, non è vero? parla!
- Sì, ho deciso! Chiedi pure la mia mano a mio padre!
Marco respirò. - Finalmente! - esclamò, alzandosi. - Ne ero sicuro;
pure, temevo. Ma siediti, Lara, chè ragioneremo.
- No, non aspetto.
- Mi ami dunque? - chiese Marco fissandola negli occhi. - Non m'ingannavo dunque?
Ma perchè farmi così aspettare dunque?
- Quanti "dunque!" - esclamò lei ridendo. - Non cantare subito
vittoria, caro mio, non ho detto tutto, vedi. Ho da farti sottoscrivere un
patto, prima di tutto.
- Ma mille patti, Lara, mille! Parla... farò tutto per te, purchè tu
mi ami e acconsenta a diventar mia.
- E soprattutto non cercherai di chiedermi alcun perchè...
- Nessuno! Parla!
- Ecco il mio patto. Non sposarci se non fra tre anni precisi, tre anni ad
oggi, cinque maggio 1888.
- Tre anni, Lara! ma è un secolo! Perchè?...
- Ah, cominciano i perchè? - esclamò Lara, facendo mostra di
andarsene. Lui la trattenne.
- E sia! - disse. - Purchè tu sii mia,. Ti aspetterò tutto il
tempo che vorrai.
- Così va bene! ora me ne vado... Tocca il resto a te!
Marco voleva rattenerla, ma lei fuggì, lasciandolo però ebbro
di gioia e d'amore davanti al cielo splendido, ai fiori di maggio e agli uccelli
che intessevano idilii graziosissimi fra le rame dei boschi e le fratte della
valle.
"...Mia adorata Lara, - la tua lettera mi ha recato la più grande
sorpresa di questo mondo. Ferragna innamorato di te! Ferragna che si crede
amato da te e ti vuole per sua moglie!... Se avessi veduto crollare le montagne,
non sarei rimasto più sorpreso e impaurito, sì, anche impaurito!
Perchè le tue paure, mia povera e amata Lara, sono così giuste
che le divido completamente anch'io. Sì, è vero ciò che
tu dici: rispondendo di "no" suscitasti il dubbio nell'animo di Ferragna
che ha indovinato esser tu l'innamorata, ma che s'illude credendosi esso stesso
l'oggetto dei tuoi vergini sogni ferventi e farà di tutto per scoprire
il tuo arcano. Saremmo perduti! Conosco profondamente tuo cognato; so che è generoso
e buono, ma sono certo che tutta la sua buona volontà cadrebbe sapendo
esser io il suo rivale, io! io che gli devo tanto, che egli ama come un fratello,
per cui spezzò le esigenze ridicole della folla che ci considerava nemici,
che mi considererebbe come il serpente che riscaldato nel suo seno lo ha morsicato
non appena il calore del suo corpo gli ha ridonato la vita!...
"
Sì, Lara mia, Marco finirebbe con l'odiarmi e farebbe di tutto per vendicarsi,
per strapparmiti dal cuore. Perchè invano noi gli diremmo che ci amiamo
da molto, che non sospettavamo il suo amore, che lo rendiamo infelice contro
la nostra volontà
"
Non v'ha ragione che valga dinanzi a un'anima esulcerata; e Marco dovrebbe
soffrire assai sapendo che tu ami il nemico della tua famiglia, vedendo crollare
i castelli plasmati dalla sua fantasia...; perchè deve amarti assai,
alla sua età, se io ti amo già tanto alla mia. Ma chi non t'amerebbe,
Lara, chi?
"
Con tutto ciò, io non ti consiglio di dimenticarmi, di amare Ferragna
e di gettare di repente nell'abisso della morte e dell'infelicità il
tuo povero Massimo per ridonare un lampo di gioia e di sorriso all'ultimo venuto,
che non potrebbe, no, benchè ricco e nobile e stimato, renderti felice
come ti renderò io; - non te lo consiglio, perchè d'altronde
so che sarebbe inutile, conoscendo tutto il tuo amore per me, ricordandomi
che tutto un passato un passato di sogni, di promesse, una ferrea catena di
baci, avvince per sempre il nostro avvenire. Solo, per la tua presente tranquillità,
per la sicura riuscita dei nostri progetti, approvo la tua idea, quel pensiero
che, mi scrivesti, ti fu inspirato da un riflesso dell'alba confuso con l'ultimo
barlume dei lumi morenti. Oh, è ben triste mentire, è ben terribile
fare il male per giungere al bene, è ben doloroso scrivere sullo scudo
delle nostre azioni la fosca massima: "il fine giustifica i mezzi!" -
ma che possiamo noi fare? E poi non è che cullare volontariamente per
qualche tempo le stesse illusioni, non è che rimettere ad un altro giorno
il crollo di queste, che pure deve succedere, oggi come domani. - Sì,
così va bene, come tu hai pensato. Accetterai l'amore di Ferragna, e
protetta da questo, continuerai ad amarmi sino al giorno in cui potremo amare
a fronte alta e cuore sicuro.
"
Sarà per lui un colpo terribile... quando vedrà sfuggire di mano
la sponda fiorita che credeva di aver afferrato, lo so e lo sento pensando
allo spasimo che proverei nel perderti, Lara mia dorata; ma giacchè tu
non puoi formare nello stesso tempo la felicità di due cuori, è d'uopo
che ne spezzi uno. A te la scelta: se tu credi che Marco sia più degno
di me, se sei certa che con lui sarai più felice che con me, che non
posso offrirti nè ricchezze nè onori, ma solo un'anima che vive
solo per te, perchè tu l'ami, una intera giovinezza di sogni, d sorrisi,
il primo fiore, l'ultimo fiore di una vita tutta tua... oh, Lara, io chinerò lo
stesso il capo senza un lamento e nell'oscurità dei miei giorni deserti
e solitari vivrò - se vivrò, - almeno come un raggio lontano
di luce, che sarà il riflesso della tua felicità. Il velo più denso
sarà steso sul nostro passato, vivremo come se non ci fossimo mai conosciuti,
e tu, per far tacere la voce del rimorso che ti ricorderà esservi nel
mondo una povera esistenza, infelice perchè un tempo da te amata, dirai
a te stessa: Fu un sogno!"
Questa lettera di Massimo, infiorata da tante altre belle cose che mi tornerebbe
troppo lungo copiare, decise Lara nel rispondere favorevolmente a Marco. Inutile
però dire che la fanciulla non esitò un momento per restare sotto
la bandiera del giovine nemico della sua famiglia. Dopo aver letto la sua lettera,
che baciò tanto, e di cui alcune frasi le fecero venire i grandi lagrimoni
di perle negli occhi così facili al pianto, si sentì calma, sicura,
anzi provò una specie di gioia al pensare che se non altro, l'amore
di Marco, agevolava la sua corrispondenza con Massimo. Infatti, fidanzandosi
al cognato, chi poteva sospettare che lei amava un altro uomo e lo corrispondeva?
Aveva così sofferto, o almeno nella sua anima in fiore i piccoli dolori
avuti avevano tanta infelicità, che finiva col diventare egoista. Prima
di tutto non poneva cieca fede sull'amore sviscerato di Marco: credeva sinceramente
a quello di Massimo, e sicura che lui solo la amava al punto di morirne se
quest'amore gli venisse contrariato, non sapeva capacitarsi come due uomini
nello stesso tempo amassero una sola donna, e pensando che, per giusta logica,
Marco non avrebbe poi tanto sofferto nel conoscere l'illusione, si preparò,
senza pensarci quasi, ad ingannarlo nella più triste e leggiera guisa.
Tutto andò come doveva andare. Marco chiese in isposa Lara.
Per poco don Salvatore non cadde colpito da apoplessia, tanta fu la sua gioia
e il suo contento: che importava se Marco era vedovo e contava il doppio dell'età di
sua figlia? Anche fosse stato sei volte vedovo, purchè senza figli,
cioè senza eredi, e vecchio di sessant'anni, don Salvatore sarebbe restato
contento lo stesso. Eh, che? Marco non era forse uno dei più ricchi
proprietari del circondarlo? Tanto ricco che, anche si fosse chiamato col nome
odiato dei Massari, don Salvatore lo avrebbe accolto lo stesso nella sua casa,
deponendo il bacio della pace sulla sua fronte, e Lara fra le sue braccia di
sposo.
Donna Margherita ne fu pure lieta: gli uomini erano tutti eguali davanti al
suo pensiero. Diventando moglie di Marco, Lara restava quasi nella casa paterna,
sempre vicina a sua madre che l'amava assai e per cui il distacco sarebbe stato
dolorosissimo.
Dunque, Benvenuto Marco Ferragna! - solo la piccola Pasqua, che cominciava
ad avere idee sue proprie, scosse la sua bella testa bionda quando seppe questo
strano progetto di matrimonio, e guardando fisso co' suoi grandi occhi d'oro
il volto pallido della sorella, sorrise lievemente, con una espressione di
dubbio e di mistero...
XXXIII.
"Il nostro cuore è un serpente che divora se stesso, l'animo nostro
un vapore, che i venti si traggono in giro", - Cantò Edoardo Rod.
- Nonostante l'apparente tranquillità, Marco, Lara e Massimo vivevano
come sotto un incubo, il cuore divorato da se stesso, l'animo perduto nel vortice
di un presentimento angoscioso. Massimo temeva... di che? Di nulla, ma nelle
ore vespertine, allorchè solo pensando intensamente a Lara, che in quell'ora
sapeva vicina a Marco che le parlava d'amore con la sua eloquenza ben cognita
e affascinante, provava un'acre tristezza, una paura infinita, indistinta,
che le lettere di Lara, sempre più ardenti, non riuscivano a far sfumare
interamente. Lara temeva... di che? Non sapeva neppur essa spiegarselo, ma
il vecchio presentimento rumoreggiava nuovamente nel suo animo, nè l'essersi
fidanzata a Marco, riusciva, com'ella aveva sperato, a farla sicura e fidente
dell'avvenire. Marco temeva: anche la sua paura pareva infondata, senza senso
nè base, ma in realtà non lo era. Temeva di non essere amato
da Lara, che rimaneva fredda, inesorabilmente fredda dinanzi alla sua passione
ognor crescente, che non sapeva rivolgergli una parola d'amore, che non aveva
ancora voluto dargli un bacio, un fiore, uno sguardo appassionato, la cui manina
restava gelida ed inerte fra le sue febbricitanti.
Egli la studiava, l'osservava, aspettava con ansia un lampo da quegli occhi
adorati, un fremito, una sfumatura su quel viso pallido, stirato, impenetrabile,
ma invano. Lara rimaneva sempre triste, il pensiero rivolto altrove, il corpo
che le si consumava lentamente sotto l'impero di una eterna e ignota malattia,
e ogni giorno che passava convinceva Marco di non essere amato. Perchè quella
tristezza, perchè le lagrime che spesso sorprendeva negli occhi di lei,
perchè, infine quella settimana chiesta per decidersi? Perchè?
Ora Lara veniva adorata in casa sua; don Salvatore ne aveva fatto un idolo;
Marco la copriva di cure, di amore, di carezze, di regali, parlandole ognora
di una splendida felicità; ma essa non si commuoveva, o spesso, come
colpita da un improvviso pensiero, faceva sforzi che a Marco riuscivano più dolorosi
della sua stessa freddezza. - Che mistero era questo? O Lara si sentiva malata,
o innamorata di altri. Marco si decise a chiederglielo; essa protestò,
e siccome lui insisteva con calore e convinzione, lei si riscaldò più per
paura che per altro, e giunse persino a lasciarsi baciare in fronte dal fidanzato.
Se ciò per Lara fu un sacrifizio e le recò rimorso, in Marco
non produsse alcun cambiamento di idea. Aveva ritrovato la fronte di Lara fredda
come il marmo di una tomba, anzi passò nel suo sangue lo stesso brivido
di freddo e di morte provato nel dare l'ultimo bacio a Lara morta...
Così i giorni scorrevano, eguali, tristi in fondo, splendidi nel cielo
eternamente azzurro e tra i profumi delle rose di una magnifica primavera.
Marco indovinava un mistero, lo sentiva aleggiare intorno a sè, vicino
o lontano da Lara, ma non cercava di squarciarlo; non voleva squarciarlo. Come
Lara, anch'egli contava i giorni, dimentico dei suoi anni, in attesa della
fine così lunga che non osava accorciare, sapendo che solo dal filo
di una obbedienza completa, dipendeva la sua felicità, e sperava che,
una volta sua, avrebbe ben egli saputo risvegliare l'anima di Lara e renderla
ardente e fedele come egli la sognava. - Chissà! - forse la riservatezza,
la freddezza di lei dipendevano da un naturale istinto di timido e purissimo
pudore, forse egli s'ingannava... sì, s'ingannava! Come Lara l'avrebbe
accettato non amandolo? amandone un altro? Era una cosa assurda.
In quanto al pensiero che Lara avesse un'altro amante, Marco non lo sognava
neppure. Tutti, tutti a X*** conoscevano oramai il suo futuro matrimonio, tutti,
sino i bimbi, sino i gatti e i sorci, che forse avevano anche partecipato alle
chiacchiere e agli infiniti commenti fatti su ciò. Come dunque era possibile
che altri amasse Lara sapendola sua fidanzata?
E intanto Massimo la rivedeva e la ribaciava ogni quattro notti, all'ombra
del vecchio cancello che dava sui campi: se l'amore finto e diurno di Lara
andava stentatamente, strascinandosi in una via molto difficile e irregolare,
l'amore notturno, il vero e grande amore ardente nel segreto del suo cuore,
progrediva regolarmente, illuminato dalle stelle del cielo e della speranza.
Molte volte Lara veniva ad assidersi accanto al fidanzato ufficiale, nella
vasta camera da pranzo illuminata da una lampada bianca, dopo aver appena finito
di leggere la lettera di Massimo, le cui frasi le risuonavano al pensiero mentre
Marco le parlava di cose allegre, ma indifferenti, davanti ai genitori, con
le guance e le labbra ancora rosse della rosa dei baci del giovine Massari,
e spesso provava un sùbito rossore, un rimorso, una specie di vergogna,
credendo che Ferragna scorgesse sul suo volto quei baci, leggesse nel suo pensiero
quelle frasi; ma poi sorrideva con egoismo, quasi con derisione, e alzava le
spalle dicendo fra sè: - Ma che? ognun per sè e Dio per tutti!
Diventava cattiva, senza dubbio, sì, diventava cattiva! Ma perchè Marco
era venuto nella sua vita? Non ci mancava che lui, Dio mio!
Nessun incidente era occorso da due mesi circa, allorchè, una notte,
Massimo, una notte oscura sul finire di giungo, nell'uscire dal cancello vide
un'ombra rizzarsi a pochi passi di distanza e seguirlo con insistenza sino
all'interno della città, sino al primo fanale acceso nelle viuzze oscure
e solitarie.
Il sangue gli si gelò nelle vene: senza dubbio quell'"uomo",
perchè Massimo non solo aveva riconosciuto il sesso dell'ombra, ma gli
era sin anco sembrato di ravvisare un popolano, - lo spiava. Lo aveva riconosciuto?
Forse no, come lui non aveva riconosciuto nell'oscurità il volto dell'altro,
- ma per maggior prudenza Massimo non si recò al prossimo convegno,
nè al secondo nè al terzo, aspettando con la morte nel cuore
che passasse qualche settimana, per sviare i probabili sospetti, e attendendo
che Lara lo avvisasse una seconda volta per ricominciare i convegni. - Ma Lara
non l'avvisò, per la buona ragione che neppur lei erasi più recata
al cancello nè aveva notato le sue assenze. Che era accaduto?
L'indomani dell'ultimo convegno un uomo chiese di parlare a quattr'occhi con
l'avvocato Ferragna.
Era un vecchio pastore, che qualche mese prima Marco aveva difeso, salvandolo
con la sua eloquenza e i suoi maneggi da un venti anni di sicura reclusione,
perchè imputato di grassazione e oppresso da prove quasi schiaccianti.
Inoltre, sapendolo poverissimo e padre di una numerosa famiglia, non avevalo
spogliato, come qualsiasi altro avvocato, delle poche gregge che componevano
tutta la sua esistenza e quella dei figli, ma dandogli del suo lo aveva rimandato
con Dio.
Il pastore gli aveva per ciò posto un forte amore, una riconoscenza
senza limiti, e sovente soleva dire che se un'altra persona dovesse mai entrare
a far parte nella Trinità di Dio, questa era certo Ferragna si chiamava
Luigi, soprannominato Morolungo, probabilmente per la sua alta statura e la
sua carnagione nera come un africano. Vestiva, al di spora del costume unto
e lacero, una specie di sopravveste di pelli nere con la lana, ridicola, informe,
ma usatissima da pastori sardi, talchè nell'elegante studio di Marco
Ferragna, che pure vedeva visitatori di ogni colore, formava una macchia molto
stonata e assai poco pulita.
- Ebbene, compare Luì, - gli disse familiarmente Marco, - in che posso
servirvi?
- Servirmi! - rispose il pastore, sgranando gli occhi con un lampo di gratitudine.
Le pare? Non me ne ha già reso abbastanza dei servigi e di carità?
Vengo piuttosto a sdebitarmi alquanto verso di lei. Ma siamo davvero soli?
- Sicuro! - esclamò Marco, messo in curiosità.
Luigi Morolungo accostò delicatamente la sua sedia allo scrittoio, tutto
timoroso di insudiciare i mobili o le carte, e parlò a lungo con l'avvocato.
A misura che egli parlava, Marco impallidiva, quasi ascoltando la rivelazione
di un tremendo segreto e dopo che Luigi se ne andò, seguito da uno sguardo
di odio e di riconoscenza insieme, egli chinò il capo fra le mani e
rimase così, lung'ora, muto, immobile, col cranio flagellato da una
di quelle tempeste di pensieri più terribili di quelle del mare. Luigi
gli aveva rivelato che Lara, la sua fidanzata, faceva l'amore con Massimo Massari:
li aveva visti lui stesso con un altro compagno, una sera dell'agosto passato,
baciarsi fra le rocce della montagna, sotto l'elce del castello; aveva riveduto
Massimo uscire dal cancello dei Mannu una notte dell'ottobre trascorso; aveva
la sera prima assistito al colloquio dei due giovani dietro al cancello, e
veniva a rivelare tutto al fidanzato tradito, veniva a parlare non ostante
la minaccia di morte che Massimo gli aveva prodigato sulla montagna, ove del
resto egli e il compagno avevano fatto mostra di non riconoscere Lara, - veniva
a pagare con la sua delazione, col suo vile spionaggio, il sacro debito che
conservava con Ferragna.
Marco lo credè, ma gli fece giurare di non dire ad altri quel segreto,
se davvero voleva mostrarglisi grato. Dal canto suo s'impegnò formalmente
di non pronunziare il suo nome.
Il pastore giurò e se ne andò contento di essersi in qualche
maniera sdebitato, senza accorgersi che aveva spezzato il cuore del suo benefattore
tre anni prima che ciò dovesse necessariamente accadere, lasciandolo
immerso nella lotta spaventosa dei suoi sentimenti. Triste, terribile lotta!
Una di quelle lotte che spezzano l'anima, come i pugni di ferro la fronte,
che insensibilmente sfiorano le chiome, sotto cui fremono i imbiancano la radice
di queste, che bruciano gli occhi col pianto secco della disperazione, pianto
senza lagrime, senza singulti, senza spasimo, che si indura sul cuore e vi
rimane sopra schiacciandolo come una pietra. Non tenteremo di descrivere questa
lotta, essendoci impossibile. Oh, la penna, la penna di Victor Hugo, per un'ora
sola, per descrivere queste lotte interne, queste tempeste in un cranio! Senza
di essa chi mai potrà descriverla? Non la mia povera penna, di certo...
XXXIV.
... Vinse l'egoismo. Due mesi prima, avrebbe vinto la generosità: due
mesi dopo, il pensiero del lungo inganno sofferto, della finzione quasi ignobile
di Lara, di cui Marco indovinava la cagione, fece pendere la bilancia dal lato
cattivo. Dopo lunghe ore di lotta e si spasimo, Marco decise di rendere a Massimo
pan per focaccia. Riversando tutta la colpa verso il giovine, del cui ardire
temerario si meravigliava altamente, Marco provava una grande pietà per
Lara. E decise salvarla: con lo strapparle dal cuore questo amore fatale che
doveva finir male ad ogni costo, col farsi amare da lei, si vendicava di Massimo
e rendeva felice Lara e ritrovava anch'egli la felicità tante volte
perduta.
Non pensò neppure di assicurarsi coi suoi propri occhi se il pastore
gli aveva detto la verità: agì subito, a sangue caldo, il volto
ancora pallido di sorpresa e gli occhi stravolti, dopo alcune ore che gli parvero
secoli. Verso l'imbrunire si recò da Lara, che lo accolse col suo solito
fare cortese ma freddo.
- Andiamo in giardino, - disse Marco, - ho da parlarti...
Uscirono: donna Margherita si affacciò alla finestra per non perderli
di vista, ma ciò non impedì che Marco offrisse il braccio a Lara
e la conducesse sotto gli alberi.
Era un bizzarro imbrunire: dal cielo velato piombava giù un caldo asfissiante,
grave, umido; non un soffio di brezza, non una delle splendide tinte dei crepuscoli
estivi. Nell'orto non si muoveva una fronda, non cinguettava un uccello: i
cactus bianchi, i gigli bianchi, le rose bianche olezzavano con un profumo
fortissimo che inebbriava; e su, sulle creste dei monti, vaghe strisce di nebbia
tremavano con un triste sorriso grigiastro. - Quando furono tanto lontani da
non essere intesi, Marco si fermò e guardò fisso la fanciulla,
più triste ancora e fredda del solito, pallida sotto quel tetro crepuscolo
di piombo. Solo allora essa si avvide del turbamento di Marco...
- Che hai? - gli chiese. - Perchè sei così pallido?
- Nulla, Lara!... E che dovrei avere quando tu ti pigli il più crudele
gioco di me? Lara, mi pare che sia tempo di finirla!...
- E sempre sospetti! Che vuoi dire? Non ti comprendo...
- Andiamo avanti, e ascoltami. - Camminarono avanti, ma si fermarono vicini
al castelli. - Non mi comprendi dunque Lara? chiedi allora a questo cancello
ciò che voglio dire...
Lara tremò, si vide perduta. Marco sapeva tutto! Tuttavia cercò farsi
coraggio ed esclamò con un sorriso forzato: - No, ne capisco più poco!
Su, signor cancello; risponda lei! Non risponde!...
S'inchinò al cancello, ma, buon per lei, esso restò muto. A Marco
fece male questo scherzo: i suoi nervi orribilmente tesi vibrarono come sotto
una scossa elettrica e il suo volto divenne livido.
Lasciò il braccio di Lara, e disse ruvidamente: - Giù la maschera,
Lara, giù! Il cancello non può rispondere, ma ti risponderò io
per esso. Ieri notte, qui, proprio qui, tu, Lara Mannu, hai parlato d'amore
con Massimo Massari!...
- Taci! - gridò Lara con terrore e spasimo. - Taci, per pietà!
Si appoggiò al cancello tremando, e Marco le vide gli occhi bagnarsi
di lagrime. Quelle lagrime finirono col disarmarlo. Si guardò attorno,
e visto che nessuno poteva vederli cercò di abbracciare la fidanzata
per meglio confortarla del dolore che lui stesso le aveva cagionato, ma Lara
lo respinse dicendo:
- Lasciami! Come puoi abbracciarmi, dopo tutto? - Non cercò di negare,
non potè: aveva finto abbastanza e si trovava orribilmente stanca e
nauseata da quella commedia superiore alle sue forze. D'altronde, a che pro?
Marco sapeva tutto: come lo sapeva? Glielo chiese, e Ferragna rispose con una
menzogna. Ora, finita la parte di Lara, cominciava la sua.
- Me lo disse la stessa sorella di Massimo, Michela, stamattina, con lo scopo
evidente di farmiti disprezzare e abbandonare. Mi disse tutto... mi lasciò comprendere
che Massimo amoreggia con te solo per vendetta, che ti odia e ti disprezza,
e non attende che il momento opportuno per svelare tutto al pubblico, e mostrare
le tue lettere e deriderti!...
A misura che Marco parlava, Lara provava gli stessi sentimenti da lui provati
la mattina nell'ascoltare il pastore: le lagrime le si seccarono negli occhi,
e nelle sue vene il sangue dei Mannu si risvegliò, ardente d'odio e
assetato di vendetta. - I vili! - esclamò... - I vili! I vili! I vili!...
Non sapeva dir altro. Marco gioiva per la riuscita, ma sul più bello
Lara gli disse: - E tu perchè non te ne vai? Che fai lì? Vattene
dunque e lasciami sola, che saprò da me sola ben vendicarmi. Vattene,
e disprezzami dunque. Me lo merito...
- Pazzerella! - rispose lui sorridendo. - Io non ti disprezzo. Ti amo sempre,
più che mai. Che parli di vendetta? Che puoi fare? Non sai dunque che
se tuo padre venisse a conoscere...
- È vero!... - esclamò Lara, con un sussulto, chinando il capo.
Persino il conforto della vendetta le era tolto. Il pianto tornò nei
suoi occhi: cercò dubitare della verità, delle parole di Ferragna,
ma non potè. Poteva forse dubitare che il cielo in quella sera annuvolato,
che la nebbia velava la cima dei monti?
No! tutto ciò che Ferragna aveva detto, era vero: le memorie dell'odio
avito, delle storie e delle vendette degli avi suoi con quelli di Massimo tornarono
al suo pensiero: cento anni prima un Mannu aveva amoreggiato e tradito una
Massari; cento anni dopo un Massari cercava vendicare quest'onta su una Mannu.
Non v'era in ciò nulla di straordinario: la verità splendeva
come un lampo livido e cruento davanti agli occhi di Lara.
La rabbia, il dolore, la delusione, l'odio le dilaniavano l'anima: nascose
il volto fra le mani e si mise a piangere dirottamente.
Marco ne provò tal sconforto, che fu sul punto di ritirare la sua storiella;
e forse l'avrebbe fatto se ad un tratto Lara non gli avesse detto con uno slancio
di passione:
- Ora che odio quel vile, amo te, te solo! Fra due mesi, fra uno, quando tu
vorrai sarò tua! - Marco rispose:
- Grazie, Lara! - ma non cercò più di abbracciarla, nè nel
suo sguardo brillò quella gioia che avrebbe dovuto sentire nel cuore.
Ecco perchè Lara non tornò più al cancello all'ora del
convegno. Da quel giorno cambiò completamente riguardo al contegno da
tenere con Marco. Mai fidanzata si mostrò più lieta, allegra
e appassionata di lei; ma a Marco questa gioia faceva male, gli sembrava febbrile,
fittizia. Ogni giorno osservava che la fanciulla diventava più magra
e pallida, che i suoi occhi s'infossavano, che una ruga invecchiava il suo
volto e che le occhiaie livide, quasi nere, le attorniavano gli occhi fulgenti
di febbre e di dolore.
Qual dramma, qual triste dramma accadeva entro quell'anima? Marco, convinto
che Lara odiava Massimo, non lo era del tutto circa il novello amore di lei,
nato dall'odio, sotto un cielo di piombo e fra le lagrime, e, ahimè!
nelle sue lunghe notti insonni si chiedeva se aveva fatto bene o male a mentire
così, a mentire vilmente per la prima volta in sua vita. Spesso il rimorso
batteva una nota nella chitarra scordata della sua mente, ma l'amore, pronto
a coprire con le sue quella triste nota, non lasciavala arrivare sin al cuore.
Marco pensava che, una volta sua, Lara avrebbe tutto obliato a furia di baci
e di cure e affrettava coi voti il giorno desiato che si avvicinava. Le nozze
erano fissate per gli ultimi di settembre. Lara preparava il corredo, preparava
le mille cose necessarie per il novello stato della sua vita, ma intanto la
febbre le rodeva il cervello, il dolore le consumava il sangue e l'esistenza.
Per tre settimane non si avvide di nulla, non lesse nè cercò di
leggere nel fondo tenebroso della sua anima. Credeva di amare il cugino e di
odiare Massimo, si credeva forte, sana, felice all'idea di vendicarsi presto
e in qualche modo diventando moglie di Ferragna. Che voluttà passare
un giorno daccanto a Massimo, splendidamente vestita, bella nei veli da sposa,
il volto raggiante felicità e vendetta, e schiacciarlo con uno sguardo
di disprezzo, e dirgli con gli occhi: - T'odio! non l'ho mai amato!... - Ma
un giorno, in un momento di solitudine, in uno di quegli istanti psicologici
difficili a spiegarsi, Lara scese in fondo alla sua anima e si accorse che
moriva, che il suo corpo andava consumandosi, che tutta la sua energia era
una strana stampella che la sosteneva, ma che l'avrebbe ben tosto abbandonata,
sola, distrutta, stesa sulla polvere dei suoi sogni perduti, delle illusioni
svanite giorno per giorno nel cielo della sua fanciullezza. Si accorse che
non amava Marco, che non poteva giammai amarlo, nè diventar sua, - ma
siccome odiava ancora Massimo, pensò ad un altro genere di vendetta.
Abbandonarsi al suo destino, morire e lasciare al giovine il rimorso di averla
uccisa. L'idea della morte si radicò talmente nel suo pensiero che finì persino
col precisarne il tempo: agli ultimi di settembre, in una tiepida e gialla
giornata di autunno, invece di andare a nozze con Marco, ella doveva morire.
Il sogno delle notti d'inverno tornava alla sua povera anima dilaniata, dandole
una calma e un ultimo sorriso da sepolcro. U giorno, Lara non potè levarsi
da letto: non era malattia la sua, ma una stanchezza voluttuosa, invincibile,
che la costringeva a restare immobile, immersa in un tepore vago, infinito.
Fu un giorno di gioia per Lara. Dunque la morte arrivava davvero? L'indomani
si levò con uno sforzo supremo; e la stessa sera Massimo ricevè per
posta la lettera di Lara che lo pregava di recarsi in quella notte al cancello.
Non si vedevano più da circa un mese.
XXXV.
... Attendeva da un'ora, davanti a un libro che non leggeva, la faccia bianca
quasi di morta nascosta fra le mani scheletrite, consumate dalla febbre, gli
occhi cerchiati di nero, fatti enormi dall'angoscia che la divorava, dall'attesa
e dall'eterna paura. Fuori, la luna splendeva, sul cielo bianco di una orientale
notte estiva; i fiori, gli ultimi fiori bianchi, olezzavano nel silenzio azzurro
e nella calma della notte, ma che importava a Lara della luna e dei fiori?
Solo l'astro del dolore brillava sul suo cielo, solo i fiori della morte olezzavano
nel sentiero della sua vita. Quando suonarono le undici, un fremito le passò per
le spalle, sull'abito oscuro indossato dai suoi sogni e delle sue ultime speranza:
era così fantastica Lara!
Si levò mentre l'ultimo rintocco sfumava triste nell'aria silenziosa,
e un sorriso acre le increspò le labbra bianche, inaridite, mormorando:
- Un'agonia? E morto qualcuno? - Scrollò il capo: le idee fuggivano
dal suo cervello stanco di soffrire, si confondevano, danzavano una ridda infernale,
per sparire poi ad un tratto lasciandole la mente orribilmente vuota.
- Le undici! - riprese, avviandosi con un passo incerto verso la porta. - Chi è morto?
Ah, sì, lui! E morto! Fra due mesi sarò morta anch'io! - Prima
di uscire si guardò nello specchio, e si accomodò i capelli,
istintivamente, come nelle notti belle di luna in cui lui doveva vederla e
baciarla.
Lara non era bella e lei lo sapeva, pure in quel momento le sembrò di
esserlo, nel momento in cui dava l'addio alla vita e alle sue vanità.
Perchè non sappiamo spiegarlo; ma sappiamo che in qual momento le parve
di essere bella, lei che sempre aveva creduto di essere piuttosto brutta, tranne
negli occhi.
Ma forse in quella notte era realmente bella, la piccola Lara. Un nastro nero
le annodava in alto i capelli bruni, lasciando sfuggire due ciocche arricciate
sulle tempie: quell'acconciatura le dava un'aria graziosissima, infantile e
aristocratica, e sul viso pallido sin sulle labbra, increspate a un sorriso
di indicibile dolore, spiccavano i grandi occhi oscuri, resi profondi ed enormi
dalle occhiaie livide e da una espressione cupa, disperata, fatta più tetra
dall'oscurità della notte. Un'intera storia di dolore si leggeva nello
smalto di quegli occhi; lunga storia di amore, d'odio e di angoscia, di affanni
fisici e morali, - straziante storia di notti insonni, di lagrime, di speranze
distrutte, di sogni di fuoco, stolti, infondati, sfumati davanti alla cruda
e inesorabile realtà. - Aprì la porta e scese le scale a poco
a poco, appoggiandosi al muro per non cadere, tanto le tremavano le gambe.
Era così debole e dimagrita, che ormai le vesti le scivolavano giù per
la vita esile come un giunco; i piedi le ballavano entro gli stivaletti pur
tanto piccoli, e i suoi polsi divorati dalla febbre erano così sottile
che si sarebbero potuti stroncare a mani. Solo gli occhi, ardenti di passione
e di febbre, rimanevano vivi, neri fra tanta squallida rovina.
Arrivata in giardino, Lara si appoggiò di nuovo al muro e scrutò l'orizzonte
placido, argenteo, aspirando con voluttà i forti profumi delle ultime
rose olezzanti alla luna, gli occhi fissi sulle creste delle montagna azzurreggianti
nella lontananza solitaria. Un fulgido scintillìo le attraversò gli
occhi, mentre mormorava con un singulto spasmodico: - Lassù!... lassù ti
ho giurato eterno amore, fedeltà eterna! Oh, vedrai come saprò mantenere
la mia promessa, vedrai!...
Allora si rizzò fiera sull'esile personcina e, quasi una misteriosa
energia le fosse piovuta coi ricordi dalla cima dei monti lontani, s'incamminò rapidamente
verso il cancello. Un momento le rimancò la forza: cadde, si raschiò una
mano e dalla piccola ferita sprizzò il sangue, rosso e ardente, ma non
provò dolore alcuno, e sorrise stranamente nel vedere il sangue: credeva
che le sue vene ne contenessero più!...
Riprese il cammino. Le sembrò di vedere un uomo fra gli alberi, forse
suo padre...; pure proseguì lo stesso. Che le importava? Massimo stava
là ad attenderla, e lei doveva andarci, voleva andarci ad ogni costo
per vederlo ancora una volta, l'ultima, e dirgli che moriva per lui.
Nella sua debolezza Lara era forte dell'energica volontà dei bimbi viziati
che vogliono ad ogni modo soddisfare un loro capriccio. Arrivò al fine,
aprì il cancello, ma non vide nessuno, e come la famosa notte in cui
erano rimasti sì a lungo insieme, Lara mormorò: - Ah, se non
venisse, se non venisse! - E non veniva infatti, benchè l'ora del convegno
fosse trascorsa; mille dubbi attraversarono la mente della fanciulla, che,
risoluta a tutto, uscì dal cancello e s'innoltrò per la campagna,
finchè una siepe che Massimo varcava per venire a lei non le troncò il
passo. Tutta questa campagna ora apparteneva a Marco Ferragna, che, proponendosi
di coltivarla a frutteto, cominciava già a farla lavorare. A destra
sfuggiva in una china tortuosa che finiva nella valle vicina e Marco faceva
costruire una muraglione tagliando a picco la china per impedire ogni comunicazione
del futuro frutteto con la valle. Stanca di aspettare, tremando di febbre e
di ansia, Lara gettò un cupo sguardo da quella parte. - Un salto, un
salto... e lì sotto!. - l'abisso, reso più profondo di ciò che
realmente era, dalla luce bianca della luna, sorrideva a Lara, ma Massimo comparve
subito dietro la siepe, e si fermò meravigliato di veder lì la
fanciulla, che per poco non mandò un grido nel vederlo.
Il cuore pareva volesse scoppiarle in seno: le labbra le fremevano tanto, che
non poteva parlarle, e a poco a poco quel tremito nervoso la invase tutta.
Massimo era là! Massimo! Massimo che lei adorava ancora, sempre, nonostante
tutto, per cui diventava pazza, per cui moriva lentamente, per cui dava il
suo sangue, le ultime stille del suo sangue impoverito dalla febbre e da quell'amore
fatale che le dilaniava la vita! Alla sua vista, l'effimera energia che la
sosteneva scomparve, e si appoggiò alla siepe per non cadere: tutto
le girava intorno in un vortice confuso, bianco, velato, tutto aveva una voce
per lei, i profumi estivi salienti dalla valle, il ruscello scrosciante in
lontananza, le creste dei monti sorridenti alle carezze della luna... Massimo
era là!... E Lara fu per gettarglisi al collo attraverso la siepe, e
scordare i dolori sofferti fra la voluttà dell'abbraccio fremente di
lui, e godere ancora un istante di gioia baciandolo, ricevendo sulle labbra
fredde, bianche, inaridite, la vita dalle labbra ardenti di lui. Ma fu un lampo...
- Lara!. - mormorò il giovine, cercando un varco nella siepe. Lei sussultò e
tornò in sè, nella sua triste calma da palude nel cui fondo s'agitavano
i vermi della morte. Comprese a volo che Massimo cercava dove passare e mormorò:
- È inutile! Non rimango! - la voce le fischiava quasi fra i denti stretti,
nella gola arida serrata da un nodo. Ma lui cercava ancora... Lara lo seguì e
ripetè più forte:
- È inutile! Non rimango! - Allora il giovine si fermò e stese
la mano, ma Lara non mosse la sua; solo chiese:
- M'hai scritto? - Si morsicò le labbra subito. Che importava ormai
delle lettere di lui? Per chè gliele chiedeva? E poteva forse accettarle?
- Sì, - rispos'egli guardandola con stupore. - E tu mi hai scritto?
- Sì, anch'io! ma prima di consegnarti la mia lettera, è necessario
che tu, come ti ho scritto, mi restituisca tutte le altre mie...
- Le ho qui! Eccole, Lara! perchè tutto questo?... - chiese Massimo
porgendole un grosso plico, e con accento stupito ed amaro.
Lara prese tremando il plico e lo avvolse subito nel suo grembiulino oscuro,
sembrandole che le bruciasse la mano, in cui realmente sentiva un acuto dolore
per la sua piccola ferita ancora sanguinante. Trasse la sua lettera e la porse
al giovine, ma siccome egli non si muoveva per prenderla, si chinò sulla
siepe e gli narrò con voce rotta e fremente il contenuto della lettera;
gli disse in poche parole l'infamia di cui lo aveva creduto e ancora lo credeva
capace, tutto il dolore che la conduceva alla tomba... - Senti, - conchiuse,
sempre china sulla siepe, gli occhi sfavillanti nella penombra, perchè i
raggi della luna le battevano sulle spalle lasciando il viso spaventosamente
pallido nella semioscurità, - tu mi hai ucciso, sì, esulta! fra
due mesi mi accompagnerai al cimitero! - C'era in queste parole una fredda,
orribile ironia, che fece impallidire il giovine, il quale esclamò con
angoscia:
- Tu dunque morirai?...
- Sì morrò! - rispose lei a voce quasi alta, sempre fremente,
col cuore pronto a scoppiarsele nel seno contorto da singulti spasmodici, nervosi,
atroci. - Morrò! Nel discorso funebre che certo mi farai, ricordati
di dire che è sta la famiglia Massari ad assassinarmi!. - Questa parola
parve susurrata sotto terra, tanto fu lugubre e odiosa. Lara gettò la
lettera sulla siepe e fuggì via, lasciando Massimo fulminato, impotente
a gridarle: - Fermati!, - impotente a dire una sola parola di giustificazione,
sbalordito, chiedentesi se non sognava.
Lara si allontanò; in quel punto due persone erano in lei: una le gridava
di fermarsi, di sentire le discolpe di Massimo, di perdonarlo se colpevole,
se innocente di abbracciarlo e far svanire a furia di baci la fosca nuvola
che velava il loro avvenire. L'altra invece le gridava: La vendetta è compiuta!
Fuggi, o sei perduta! - E Lara fuggiva, ma rasentando il muro altissimo che
pochi istanti prima l'aveva tentata, strisciò vicina all'abisso e ne
misurò l'altezza con lo sguardo. Oh, no! era troppo basso... la morte
non era certa... e poi due mesi in più, due mesi in meno, che importavano?
Passò oltre. Il cuore le batteva forte forte, la prima persona continuava
a invitarla ad indietreggiare, a tornare da Massimo, ma la seconda la spingeva
in avanti. E Lara andò. Andò in avanti, verso la sua camera,
verso la sua morte. Rinchiuse le porte, risalì rapida le scale e si
chiuse a chiave nella sua camera solitaria. Cadde affranta sulla sua sedia
davanti al tavolino, sparpagliò sopra le sue lettere e lesse quella
di Massimo. Perchè la leggeva dal momento che tutto era finito?... Quando
ne terminò la lettura, il suo volto non era più pallido, ma livido,
sfiorato dall'espressione di un'atroce e disperata sofferenza. Oh, se Marco
l'avesse veduta in quell'istante, come si sarebbe pentito della sua falsa rivelazione!
- La pazzia rumoreggiava nel cervello della povera Lara. Si strinse disperatamente
la testa fra le mani, la testa che le scoppiava, e solo allora pianse, in pianto
desolato, delirante, ogni cui lagrima lasciava un'impronta di morte nella sua
povera anima spezzata.
L'indomani Lara non potè levarsi neppure, invasa dalla misteriosa sonnolenza
di due giorni prima, nella quale conservava però tutto il ricordo dell'ultimo
convegno, e un barlume di gioia nel fermo pensiero che fra due mesi doveva
morire. - Sì, tutto era finito, decisamente finito! Lara non pensava
più a Marco, nè alla famiglia, nè a Massimo: non pensava
a nessuno: si ricordava di aver immensamente sofferto, ma si consolava ripetendosi
con un vago sorriso a fior di labbro: fra due mesi, fra due mesi!...
Per le imposte socchiuse penetrava la luce d'oro di una torrida giornata di
luglio, ma Lara non provava caldo, e con gli occhi chiusi, abbandonata ad un
torpore pesante, vagava su mille cose, su mille pensieri confusi, vorticosi,
indistinti fra la veglia e il sonno. Sul tardi la porta della sua camera si
aprì, entrò Pasqua e accostandosi al letto di Lara, la scosse
dicendole: - Ehi, signora! Sono le dieci! Perchè non ti levi! Ti sei
coricata tardi ieri sera?
- No! - rispose Lara senza muoversi, gli occhi sempre chiusi.
- E allora perchè non ti levi? Sono le dieci, sai!...
- Lasciami stare, noiosa! Mi sento male...
- Quand'è così... - fece Pasqua con leggera ironia. Girò sulle
calcagna, e se ne andò via canterellando, mentre Lara ricadeva nel suo
sopore. Ma dopo un poco la porta si aprì e comparve il volto pallido
e calmo di donna Margherita, che si avvicinò senza far rumore sino al
letto di Lara e le posò una mano sulla fronte, Lara trasalì e
spalancò gli occhi.
- Tu sei malata! - disse donna Margherita. - Vuoi che avvisiamo il medico?
- Il medico?. - esclamò Lara sedendosi sul letto. - Scherzate, mamma?...
- No! Pasqua mi ha detto che tu sei malata, e infatti...
- Lasciatela dire! Mi leverò subito, subito! Malata? Medico? Ma che!
Mi leverò, mi leverò... subito... subito!...
Donna Margherita uscì scrollando la testa. Allora Lara si mise a vestirsi
lentamente, pensando: - Un medico?... Farmi guarire? No, no io non voglio.
Bisogna mostrarmi sana... - ma vestita che fu, le gambe le si piegarono e cadde
seduta sulla sponda del letto, col viso orribilmente pallido.
- Mio Dio, mio Dio, - mormorò con angoscia, - come farò?...
Si rialzò, fece penosamente teletta, e scese le scale appoggiandosi
ai uri. Nella camera da pranzo una delle serve le chiese perchè s'era
levata così tardi, aggiungendo:
- Oh, com'è pallida, donna Lara! Si sente male? - Lara si provò a
scherzare, ma la voce le uscì strozzata dalla gola; ricadde seduta e
mormorò: - Rosa, portami una tazza di caffè nero, qui! Mi sento
stanca, non so perchè, e non posso camminare. Ah, che caldo!
- Sì, è caldo, molto caldo! Si stanno scatenando raggi di fuoco
dal sole, quest'oggi. Anch'io sono snervata, e non posso nè pure aprire
gli occhi, - rispose la serva; e mentre serviva il caffè aggiunse: -
forse lei si è trattenuta alla finestra di notte. Sa, fa male ciò,
male...
Lara finiva di bere il caffè e Rosa chiacchierava sempre, allorchè picchiarono
alla porta della strada. - Avanti - disse Lara. Entrò una servotta in
costume, con un giornale piegato in mano e Lara la guardò stupita, perchè riconobbe
in lei la serva della famiglia di Mariarosa. Che voleva?
- Buon giorno! - disse la serva, indirizzandosi a Lara dopo essersi accertata
che non v'era altri, Rosa essendo uscita; - la signorina Mariarosa le manda
tanti saluti, e le chiede come sta.
- Bene, grazie! - ripose Lara sempre più stupita.
- Inoltre la prega di leggere questo giornale, dove è segnato con un
lapis rosso.
- Che cos'è?
- Ma... io non so! - Lara prese il giornale e ripetè: Tante grazie,
dunque! - Non si degnò di ricambiare i saluti a Mariarosa e accomiatò la
serva con un freddo: - Buon giorno.
- Che cosa sarà? si ripeteva, spiegando il giornale. Era l'"Avvenire
di Sardegna". Cercò, cercò, e alfine trovò due tirate
di lapis rosso, appena visibile, ai lati di una piccola corrispondenza da un
villaggio del Logudoro, che diceva press'a poco così: "È accaduta
ieri una grave disgrazia. Al nostro giovine medico, Nunzio N***, che in un
mese dacchè era ritornato fra noi, si aveva acquistato l'affetto di
tutta la popolazione, è esploso il fucile, mentre egli stava per salire
a cavallo e recarsi ad una partita di caccia al cinghiale sulle nostre montagna.
Rimase cadavere sul colpo. Taluni pretendono che siasi suicidato: anzi, ne
indicano la causa: una signorina, che pare siasi fidanzata con latri, dopo
avergli fatto girare il cervello col suo amore e le sue promesse; ma ciò è assurdo, è infondato.
Resta confermata la disgrazia, e la popolazione ne è costernata...".
Come è facile credersi, Lara non prestò fede a quest'ultima versione.
Nunzio si era suicidato, per lei, dopo averla saputa fidanzata al altri, mentre
credeva giunto il momento di farla sua! - Il passato risorse, fiero, inesorabile,
profilato.
Lara si ricordò la sera, la prima sera d'amore, sull'onde di smeraldo
del mare, si ricordò l'ultima sua lettera a Nunzio, e diventò livida
in volto. Veniva il rimorso!...
Fu il colpo di grazia. Lara si lasciò scivolare il giornale per terra,
e ripiegandosi su se stessa, per la prima volta in sua vita, svenne.
XXXVI.
Oramai ogni finzione riusciva inutile e impossibile, nè Lara potè proseguirla.
L'ultima sfumatura di forza l'abbandonò, e quando rinvenne sul suo letto,
non cercò neppure di dire: - Non sono ammalata! - decisa però di
rifiutare ogni aiuto che la scienza potesse offrirle. Il vecchio medico di
casa, Lara lo conosceva: era un tantino imbecille, e di lui non temeva; ma
don Salvatore, ma Marco non sarebbero rimasti con le mani in mano e certo avrebbero
fatto venire al suo capezzale i medici distinti di X*** o magari di Cagliari
e Sassari, se la malattia si aggravava. Sicchè Lara, prevalendosi della
lucidità di mente, che le restava, mentre tutto il suo corpo era affranto
e addolorato, la febbre, essendo venuta, cominciò col deviare il vecchio
dottore, accusandogli un forte dolore allo stomaco, dolore che in realtà essa
non sentiva. Il medico scrisse una ricetta, e se ne andò, dopo aver
pienamente rassicurato donna Margherita, ordinando di dare alla malata solo
coi cibi liquidi e leggeri.
- Oh, perchè non mi lasciano morire tranquilla?... - mormorò Lara,
rinchiudendo le palpebre che le pesavano come se fossero di piombo.
Rimase lunghe ore immobile, respirando a stento, mentre Rosa, la serva, ritta
avanti al letto, le faceva vento con un ventaglio per rinfrescarle alquanto
l'arsura della febbre e della temperatura infuocata. Certo, nella mente di
Lara ferveva un misterioso e continuo lavorìo, perchè tratto
tratto un sussulto le agitava il seno, e le sue labbra si arricciavano sotto
le punture di uno spasimo atroce più morale che fisico; certo, ora il
suo sopore voluttuoso di persona che riposa dopo lunghe e tormentose fatiche,
veniva tormentato dagli affanni della febbre e dal ricordo di Nunzio, dal rimorso
del suo suicidio, perchè Lara non dubitava punto su ciò, come
il corrispondente dell'"Avvenire". Non si accorse neppure di Marco,
che entrò verso sera nella camera di lei, con donna Margherita.
Il giovane era più pallido del solito e molto triste; ma donna Margherita
si meravigliava perchè era venuto così tardi, mentre conosceva
la malattia di Lara sin dalla mattina.
Guardò a lungo, profondamente, la fanciulla e scosse la testa, dicendo
fra sè: - Ci siamo! e doveva finire così! Che stolto che sono!
Che stolto! Ah, se arrivassi tardi!
- Dorme? - chiese lievemente alla serva, che faceva sempre vento a Lara col
ventaglio.
- Non saprei! È così tutto il giorno.
- Lara, mia cara Lara!... - mormorò chinandosi sulla ragazza. Lei aprì gli
occhi e, visto il volto di Marco vicino al suo, fece un leggero movimento di
disgusto; egli se ne avvide e si morsicò le labbra. - Come ti senti?
- domandò, tastandole il polso.
- Così! Non è nulla... Non so perchè hanno chiamato il
medico... non so... Domani mi leverò... È nulla! solo ho caldo,
molto caldo... Rosa, apri la finestra... via questo ventaglio, via! Siete veramente
noiosi! Ma non ho nulla! non voglio medicine... - Rosa aprì la finestra,
e Lara sorrise al lembo di cielo color rosa sfumato in oro, che scorse attraverso
le imposte spalancate.
- È una bella sera! - proseguì. - Peccato che abbia un po' di
febbre... altrimenti usciremmo a passeggiare nell'orto...
E sorrideva, ma non sorrideva Marco che la guardava con tristezza e sentiva
il polso ardente di febbre fra le sue mani. Subito dopo venne il medico. Trovò che
Lara aveva molto migliorato, e, nell'andarsene, quando Marco lo accompagnò fino
alla porta, gli disse. - Avvocato, vorrei dirle due parole.
- Volentieri! - Marco rispose. Si accomiatò dalla malata e raggiunse
il medico, che, quando furono per via, gli disse:
- Lei è senza dubbio il fidanzato della malata. Dunque dovrebbe sapere
i di lei segreti...
- Sicuro, dottore, - disse Marco allarmandosi, mentre l'altro proseguiva:
- È un caso strano veda, ma mi pare che la malattia di Lara provenga
per due terzi da qualche forte dispiacere. Non mi son preso la libertà di
interrogarla su ciò, nè di farne parola a donna Margherita, ma
avevo deciso di rivolgermi a lei, avvocato, e giacchè mi si è presentata
l'occasione... scusi, sa, ma il medico deve toccare al vivo le piaghe, se è medico
coscienzioso... Eppoi a me, così vecchio, si perdona tutto... Dunque
dicevo... qualche dispiacere... forse lei non lo ignora. Non le chiedo quale
sia, ma e come a promesso sposo e come a parente di donna Lara, le indico la
ricetta unica. Far sparire questo dispiacere; con esso svanirà la malattia,
che le assicuro può condurre a serie conseguenze, tanto più che...
mi pare, ma forse mi inganno ancora, la malata non ha intenzione di guarire...
- Che?... - gridò Marco fermandosi su due piedi.
- È così! Veda, mi ha dato false indicazioni, accusando dolori
che non prova e nascondendo quelli che realmente prova!
Come si vede, il vecchio medico non era così cretino come Lara credeva.
Marco diventò sempre più pensieroso; assicurò il dottore
che non sapeva nulla, ma gli promise di fare il possibile. - Vedremo! - rispose
il medico, convinto invece che la malattia strana di Lara proveniva tutta da
quel bizzarro matrimonio fra cognati, di cui uno aveva quasi venti anni più dell'altro.
Marco non pensava a divertirsi quella sera; sicchè rincasò subito,
immerso in profonde meditazioni. La sua vecchia fantesca gli chiese come stava
Lara.
- È nulla! - rispos'egli. - Un po' di febbre che passerà subito.
- Ah, la febbre! Non bisogna poi fidarsi con la febbre! L'anno scorso, giusto
in quest'epoca, il mio povero fratello ha preso le febbri ed è morto
dopo un mese: povero Costantino! - La fantesca si asciugò una lagrima.
Marco si fermò in mezzo alla camera e i suoi occhi luccicarono misteriosamente
nella penombra cilestrina dell'imbrunire che si avanzava.
- Dove ha colto le febbri? - chiese con un bizzarro interessamento.
- Là, nella valle di "Muschias", sa, dietro il monte. Lei
anzi ha un possesso laggiù, e sa meglio di me, che in estate causa le
acque stagnanti, vi domina la malaria. Costantino lavorava nella vigna di don
Pasquale; dormiva sempre all'aria aperta, in riva al fiume immoto, stagnante.
Glielo dicevano pure i compagni: - Costantino, non dormire all'aperto, chè ti
coglierà un malanno. - Ma lui se ne rideva e preferiva il fresco fatale
della riva del fiumicello alla capanna dove dormivano gli altri... Ma un giorno
lo colse, lo colse la terribile nemica, lo colse in tal modo che lo uccise.
Povero fratello, poveretto! Ha lasciato dieci figli nella miseria...
Marco parve commosso da questa storia: se la fece anzi ripetere minutamente
e alla fine consigliò la fantesca di aiutare un po' i poveri nipoti,
con gli avanzi della sua lauta mensa.
Ritornò in casa Mannu, ma non disse a Lara le osservazioni del medico.
Quando la lasciò, la febbre l'aveva del tutto abbandonata. - Chissà!
- si ripeteva Marco. - Chissà che il medico s'inganni! - Ad ogni modo,
quella notte dormì assai poco, ma Lara dormì molto meno di lui.
Verso le nove disse a donna Margherita: - Come vedete, sto meglio e non ho
più la febbre. Quindi è inutile che mi vegliate, stanotte. Se
avrò bisogno di qualche cosa, chiamerò.
- Ebbene, - rispose la madre, - Rosa dormirà lì, nella camera
di Pasqua.
- Come volete.
Alle dieci il più profondo silenzio regnava in casa Mannu. Tutti dormivano:
ma Lara vegliava nel suo piccolo letto bianco, in fondo a quella camera ch'era
stata testimone del suo pianto e dei suoi sogni, illuminata debolmente da una
lampada ad olio posta in terra nell'angolo più romito. La porta di comunicazione
con la cameretta di Pasqua era spalancata e per essa si sentiva il placido
russare di Rosa, che aveva preso posto nel letto della piccola bionda, e vegliava
a suo modo sulla padroncina malata. - La febbre era cessata in Lara e con essa
l'ardore e l'ansia che l'aveva soffocata per il corso della giornata; rimaneva
l'immane stanchezza, e la strana sonnolenza della mattina. Ma Lara sentiva
nuovamente le idee lucide e la percezione vivissima di ciò che accadeva,
e vegliava... I pensieri sfilavano l'uno dietro l'altro nella sua mente travagliata,
quasi soldati in marcia, che non si arrestavano mai, le memorie incalzavano
e Lara pensava a tutto il suo passato, a tutte le figure apparse nella sua
vita solitaria, a tutti i suoi sogni, i suoi dolori e le sue gioie, quasi quella
fosse l'ultima notte della sua vita.
Il ricordo del suicidio di Nunzio, tanto recente, ma che alla malata pareva
assai lontano, ritornava spesso fra gli altri pensieri, come il ritornello
di una poesia popolare, e allora il volto bianco di Lara si offuscava e il
rimorso picchiava di nuovo alle porte della sua piccola coscienza, amareggiando
il pensiero confortante di una prossima morte. Ma altre venivano, e Nunzio
spariva, e tornava Massimo, con Marco, Mariarosa, la montagna, il ballo, la
notte del lungo convegno. Su di questa si fermava specialmente Lara, con un
acre sorriso sulle labbra inaridite. Addio, addio, sogni d'amore così a
lungo vagheggiati, addio convegni notturni, addio baci, avvenire, vita! - Oramai
tutto era rotto, tutto era finito; non le restava che due vite: la vita con
una continua infelicità; la morte con un infinito riposo. Ecco perchè Lara
moriva a diciotto anni, sorridendo alla morte, scegliendo il sonno eterno,
la lunga notte senza aurora, che si avvicinava a rapidi passi; - ecco perchè moriva
senza ribellarsi, anzi scossa da un fremito di disperazione al pensiero di
una fatale guarigione. - I quarti e le ore passavano: la lampada cominciava
a impallidire nel suo angolo oscuro, allorchè Lara pensò ancora
una volta al suicidio di Nunzio ed a Mariarosa.
La figura alta e bionda della fanciulla che aveva tanto amata si rizzò a
un tratto nei ricordi di Lara, offuscando con la sua ombra tutti gli altri
profili, e la guardò fissa coi suoi occhi limpidi, con un raggio di
rimprovero e di domanda. Lara sussultò: per un momento il suo cuore
palpitò forte dianzi alla larva di Mariarosa, ebbe la strana passione
di un tempo e un lieve rossore le colorì il volto pallido. E, come un
giorno sui monti, ella pensò che se la fanciulla le fosse stata accanto,
lei avrebbe ritrovato un sorriso di speranza e di conforto e forse non avrebbe
pensato così intensamente a morire. E intanto moriva, e la sua memoria
doveva sopravvivere nella mente di Mariarosa come un ricordo sdegnoso, macchiata
del sangue di un giovine che l'aveva immensamente amata! - Lentamente, senza
far rumore, Lara scese dal letto e, appoggiandosi ai muri prese la lampada
e la collocò sul tavolino. Poi, alla luce fioca e morente che lambiva
il tappeto verdastro con larghi riflessi sanguigni, Lara si mise a scrivere,
animata dalla stessa energia che la notte avanti l'aveva sostenuta per giungere
all'ultimo convegno con Massimo. Scrisse rapidamente per quasi due ore, e avrebbe
proseguito ancora, ancora, se la febbre non fosse ritornata. Allora la testa
di Lara ridiventò pesante, le idee ricominciarono a ballare una ridda
fantastica nella sua mente e la sua mano tremò; pure resistè per
qualche istante e proseguì, ma il tremito divenne così forte,
che la penna le sfuggì dalle dita e macchiò la carta. La lampada
moriva; la luce sfuggiva d'ogni verso. Resistè ancora fino a sigillare
la lettera che aveva scritto e a mettervi l'indirizzo. Indi si alzò e
trascinandosi nascose la lettera fra i guanciali e ricadde sul suo letto, col
sangue invaso nuovamente dalla febbre, emettendo un gemito.
XXXVII.
Appena Lara si trovò sola con Pasqua, le disse, attirandola a sè e
dandole un bacio: - Noi ci siamo amate sempre più di quello che usano
le sorelle, di questi tempi, non è vero Pasqua?
- Sì! - rispose la fanciulla, con un lampo misterioso negli occhi.
- Dunque non mi negherai un piacere, mia piccola Pasqua, tanto più che è l'ultimo
che ti chieggio... e forse anche il primo, così grave! Sai, io me ne
vado!... Come sarai ricca, Pasqua!...
Un vago sorriso brillò sul suo volto, ma Pasqua la coprì di baci
esclamando: - Tu sei pazza! Non morrai, no... non lo credi neppure tu! perchè scherzi
così? Non vedi che stai meglio?
- Sì, ho scherzato. Senti, dunque, mi farai il piacere di recarti in
casa di Mariarosa e di consegnarle in proprie mani una lettera.
- L'hai scritta stanotte? - chiese Pasqua.
- Sì, te ne sei accorta?
- Mi accorgo di tutto io, Lara!...
Lara trasalì e guardò la sorella, che, benchè sembrasse
ancora una bambina, aveva quindici anni suonati; ma il volto di Pasqua non
rispose nulla e Lara si rassicurò. No! la piccina non poteva essersi
accorta mai di nulla! se fosse Giunta ad avere il minimo sospetto, no, non
sarebbe rimasta muta, perchè anch'essa aveva le sue idee sull'odio coi
Massari!
Sicchè Lara, avuta la formale promessa di consegnare a Mariarosa la
lettera scritta la notte innanzi, diede a Pasqua quella lettera, in cui, spinta
dall'antica amicizia che faceva tacere nel suo cuore ogni altro affetto, le
narrava tutta la sua vita, i dolori sofferti, le onte, le umiliazioni subite,
per scolparsi del suicidio di Nunzio, e le narrava il nuovo amore per cui moriva,
e che non aveva lacuna esitazione a svelarle, dal momento che fra poco nulla
sarebbe rimasta di lei, nel principio della febbre, Lara aveva così chiuso
il suo racconto straziante, bagnato di lagrime: "addio!... Addio!... Perdonami
e prega per me... Io muoio... Addio!"
Pasqua pensò tanto a mantenere la sua promessa che, appena potè,
aprì la lettera e la lesse. Si mise a piangere dirottamente, e, con
la lettera in mano, corse in casa di Marco. Lo trovò solo nello studio.
Da qualche tempo Marco aveva pregato i giovani avvocati, che prendevano pratica
con lui, di cercarsi un altro studio, perchè egli non poteva più riceverli
nel suo. Rimase solo. Nessuno dei giovani si seppe spiegare questo procedere
di Ferragna; ma Massimo pensò con un fremito che forse Marco faceva
ciò per liberarsi di lui, la cui presenza pareva gli fosse tutto ad
un tratto divenuta odiosa. Perchè? Massimo non sapeva spiegarselo, ma
non osò certamente chiederlo a Marco, aspettando che Lara lo richiamasse
a sè per domandarle spiegazioni. Dunque, quando Pasqua entrò,
Marco stava solo nel suo studio, davanti allo scrittoio. Pareva lavorasse,
ma in realtà pensava profondamente a qualche cosa, con le mani abbandonate
sulle carte, pallido e gli occhi fissi verso un punto indistinto, vagante nel
vuoto, tanto che sussultò forte quando la fanciulla rinchiuse con fracasso
la porta e gli disse singhiozzando: - Marco, Lara muore!...
Egli si rizzò spaventato, coi capelli irti. - Muore? - gridò.
- Sì, muore, ma tu puoi salvarla, tu... Marco. Ritira la tua domanda
e lasciala libera di amarsi con Massimo...
- Che hai tu detto?... - esclamò Marco con stupore. - Tu sai?
- Sapevo tutto, da prima... - continuò Pasqua, sempre piangendo, - perchè mi
ero accorta di tutto... io... ma non credevo che Lara dovesse morirne... e
invece muore, vuol morire e morrà... ed io resterò sola... io
che non ho altra amica, altra sorella che lei, io che l'amo tanto... Ecco,
leggi... leggi... Alla fine, Marco, tu sei vecchio... scusa, sai, ma sei vecchio
per Lara... ma se vuoi riammogliarti, tutte ti vorrebbero, e se non trovassi
altre, vedi, sì, ma che Lara viva! Io la voglio viva.
Impossibile descrivere la meraviglia e l'emozione di Marco nel sentire parlare
così Pasqua, la piccola creatura nell'alba della vita, che dava una
sublime lezione di abnegazione e di sacrificio, a lui, cui il sole cominciava
a tramontare. Prese la lettera e la lesse con un fremito nelle mani, mentre
Pasqua continuava a piangere, a poco a poco il suo volto si illuminò,
e i suoi occhi, splendenti di un raggio arcano, del lampo che un giorno doveva
illuminare lo sguardo dei martiri, si rivolsero al cielo. Abbracciò Pasqua,
e baciandole i ricci d'oro che le cadevano sulle guance, bagnate di lagrime
le disse: - Sta' tranquilla, e non piangere più! Salveremo Lara.
Bruciò la lettera, dicendo: - Queste non sono confidenze da farsi a
nessuno! - poi uscì insieme con la fanciulla, e un momento dopo si trovava
presso la malata.
Stettero soli per più di un'ora, nella penombra d'oro della Camera di
Lara, mentre fuori il sole dardeggiava sulle campagne inaridite e le mosche
ronzavano per l'aria soffocante, coprendo colla loro musica monotona il lieve
susurro delle parole di Marco. - Che cosa diceva egli?...
- Non lo sappiamo, perchè, come dicemmo, Lara e lui parlavano senza
essere intesi da nessuno...; ma è certo che le frasi di Ferragna dovevano
avere un magico potere, perchè ridonavano il sorriso al volto bianco
della malata e il dolce riflesso dei bei gironi dalla febbre e dall'insonnia.
- Quel giorno Lara cominciò a credere che la sua malattia fosse in realtà un
nonnulla, e che, come il medico aveva predetto, si potesse levare da letto
fra qualche giorno, al più tardi fra una settimana.
- E ora, - rispose Marco, - mi perdonerai?
- Sì, - rispose Lara con entusiasmo, - anzi! - E gettandogli le braccia
al collo, lo baciò come lo baciava dieci anni prima.
Sul finire di luglio, una sera, Marco Ferragna, che a furia d'anni adottato
molte delle abitudini dei proprietarî di X***, salì a cavallo
e partì per visitare uno dei suoi numerosi possedimenti. - Mariagrazia,
- disse alla sua domestica, - probabilmente stanotte dormirò in campagna,
quindi non attendermi. Mariagrazia gli fornì di viveri per la cena la
piccola bisaccia bianca a fiorami rossi, legata alla sella, e non fece osservazione
alcuna, però osservò che quella sera era la prima volta che il
suo elegante padrone si adattava a passare la notte fuori della sua ricca camera
da letto.
Marco dunque partì; passando davanti alla casa di don Salvatore, vide
Lara seduta accanto ad una finestra. Lara che nella sua convalescenza aveva
ripreso la perfetta dolce fisionomia della "morta".
Un brivido passò per le spalle di Marco, che la guardò fisso
sinchè potè vederla. Quando la pallida faccia di lei scomparve,
Marco spronò a sangue il cavallo, morsicandosi le labbra con furore,
e s'immerse in pensieri ben tetri e profondi se non gli lasciavano neppure
intendere i saluti che la gente gli prodigava lungo la via. Galoppa, galoppa,
come un cavaliere da leggenda, Marco attraversò tutta la piccola città,
e vaste campagne, bruciate dal sole, e vallate estese, ondulate, scintillanti,
coperte di vegetazione bionda, disseccata, e colline ombreggiate da boschi
e lentischi, e si fermò finalmente nell'ultima valle poco profonda,
stendendosi dietro quelle colline, due ore distante da X***.
Quella valle si chiamava "Muschias;" era una regione fertilissima,
calda, che dava i frutti più squisiti del sud, dagli aranci al fico,
dalle nespole al cedro, - cosa insolita nelle parti montuose della Sardegna,
- ma che nei mesi caldi dell'anno riusciva fatale per la malaria. Marco ci
possedeva un magnifico frutteto.
Quando arrivò, cominciava a imbrunire. Dall'alto dell'entrata, Ferragna
scorse le acque stagnanti del fiume immobile in fondo, in fondo, fra i giunchi
e le eriche, e i sambuchi fioriti, le cui acque argentee, nel cui fondo si
nascondeva la morte, scintillavano al riflesso del cielo color di smeraldo
e di arancio e i suoi cocchi fissarono quelle acque con lo stesso sguardo di
intenso desìo, di sovrumano amore con cui due ore prima avevano fissato
il pallido volto di Lara. - Per qualche ora Marco, da buon possidente, vagò qua
e là, guardando le piante, i frutti che maturavano, i danni delle bestie
e degli uomini, pensando che era tempo di porre un guardiano fisso sino alla
raccolta, - ammucchiò del fieno per il cavallo, - e al sorger della
luna cenò davanti alla piccola casa di pietre costruita sotto gli alberi,
nella quale neppure entrò. Infine scese verso il fiume e, steso il suo
mantello da campagna sotto un gigantesco sambuco, si coricò... Che notte!
che notte! I grilli cantavano per la valle, e i loro trilli incessanti, tremuli,
argentini, si spandevano per l'aria rorida della notte bianca, quasi note di
chitarre microscopiche, misteriose, suonate da piccole fate nascoste fra i
giunchi e le ginestre della valle. Non altro rumore interrompeva l'alto silenzio
del plenilunio; la vegetazione secca, gli alberi e i sambuchi olezzavano senza
essere scossi sa un solo fremito di brezza, e le acque immobili del fiume dormivano
corrompendo quella notte orientale, bella e fatale come i sogni celesti causati
dall'ascisc e dall'oppio. E Marco riposava in riva al fiume, sotto il sambuco
le cui rame si disegnavano nere e lucentissime sullo sfondo del cielo d'argento,
e respirando con voluttà quell'atmosfera mortale pensava a Lara morta,
a Lara viva, al suo passato, al suo presente e al suo vicino avvenire.
Quella stessa notte, nella stessa ora in cui Marco cominciava ad assopirsi
sotto il sambuco della valle, il cancello del giardino di don Salvatore si
apriva sotto l'azione di una piccola mano cerea e scarna, e Massimo entrava
col cuore palpitante di amore e di speranza, dopo così lunghi giorni
di disperazione.
- Così è, mio diletto, - disse Lara, dopo i primi baci, - la
nuvola è sparita dal nostro orizzonte. Marco aveva scoperto il nostro
amore, e fu lui che mi narrò tutte le frottole che ti raccontati l'altra
notte che ci siamo veduti e che io credevo realmente l'"ultima"...
Sono stata malata, sai, molto malata...
- Lo sapevo, Lara mia, e il mio partito era preso.
- Morire anche tu?...
- Sì! lo stesso giorno!... - disse Massimo.
Lara gli strinse la mano e, guardandolo affettuosamente, proseguì: -
Ma quando mi vide malata, Marco provò pietà di me e non solo
ritirò la sua domanda, ovvero mi promise di ritirarla fra poco in modo
da non offendere mio padre, ma mi disse che tutto ciò che mi aveva narrato
sul tuo conto era menzogna, vile calunnia, che tu mi amavi sempre, e, chiedendomi
perdono, mi promise anche di aiutarci in modo che fra un anno saremo sposi!...
- Possibile - esclamò Massimo, stringendola con trasporto fra le sue
braccia. - io non posso credere a ciò! È un sogno, Lara! Se tu
sapessi come ho sofferto!
- Ed io, Massimo, ed io! Sai, ho creduto persino d'odiarti, e forse ti ho odiato
davvero.
- Me ne desti la prova, Lara! - Ma io morivo, e allora mi accorsi che il mio
odio per te era fuoco di paglia. Si spense dopo aver letto la tua ultima lettera,
e... ricominciai ad amarti più di prima. Morivo adorandoti, e tu?...
- Oh, io non ho cessato di amarti un solo istante, mia adorata Lara! e come
cessare di amarti?... - La baciò e proseguì: - Ma dimmi, che
mai farà Marco? Da qualche tempo non mi salutava più, ma ora è meno
sostenuto con me, anzi pare accenni a ridiventarmi amico. Che mai farà di
noi?
- Non lo so, ma mi fido di lui. - Massimo pensò un poco, poi disse:
- Che non sia un tranello? Non ti ama più, dunque?...
- No, dice che m'ama sempre alla follia e che, appunto perchè mi ama
così, mi renderà felice come io desidero e sogno.
- Caro Ferragna! Se fosse qui, gli darei un bacio!... - In mancanza di lui,
Massimo baciò Lara, che ne rise tanto
I due giovani rimasero lunga pezza confidandosi i dolori sofferti, le rinascenti
speranze, facendo cento supposizioni sulla misteriosa promessa di Marco Ferragna,
scambiandosi mille baci nell'ombra del vecchio cancello, senza paura e senza
sospetti, perchè nella loggia vegliava una piccola signorina bionda,
pronta a dare l'allarme in caso di pericolo.
Questa scena accadde molte notti di seguito, e molte notti di seguito l'aristocratico
ed elegante Marco Ferragna dormì sotto il sambuco, sulla riva del fiume
stagnante in fondo alla valle di "Muschias".
XXXVIII.
... Tre mesi dopo, in una fredda e nebbiosa mattina di novembre, una diecina
di persone erano riunite nello studio dell'avvocato Ferragna. Dai loro volti
composti ad un dolore che alcuni non sentivano es altri invece si sforzavano
di non dimostrare in tutta la sua intensità, si capiva che non erano
là per una riunione allegra o per una spensierata conversazione. Uno
era don Salvatore, pallido in volto, gli occhi gonfi e rossi: due rappresentavano
le domestiche di Ferragna, una vecchia e l'altra giovine, che piangevano col
viso nascosto nel grembiale: uno era Massimo Massari, anch'egli pallido, ma
calmo e come sorpreso; quattro passavano per stretti parenti del padrone di
casa che mancava; e nell'ultimo infine, - seduto con sussiego accanto al tavolo,
- vecchio, rosso, con gli occhiali neri e la cravatta bianca, s'indovinava
un notaio che sta per compiere uno dei suoi imponenti doveri del suo ufficio.
Infatti stava nientemeno che per aprire un testamento, il testamento dettatogli
otto giorni prima dallo stesso Marco Ferragna. Marco dunque era morto, dopo
due mesi di lunga agonia, corroso dalla febbre e da una passione che lo aveva
vinto, che non poteva soddisfare se non a prezzo della felicità e forse
della vita di una creatura innocente, e di un uomo che amava quasi fratello:
Lara e Massimo.
Nessuno, al mondo, sospettò l'orribile verità, neppure i due
amanti, che anzi, allorchè videro Marco in fin di vita, si guardarono
disperati, chiedendosi chi mai ora poteva prometter loro aiuto e conforto;
tutti credettero che Marco morisse per volere di Dio, colto da malattia naturale,
da febbre di malaria buscata chissà dove, - e tutta X*** pianse il giovine
così buono ed onesti; i poveri il loro generoso ed occulto benefattore,
i ricchi il disinteressato difensore delle loro cause, le fanciulle l'elegante
e pallido signore che faceva loro battere il cuore, i giovani l'amico sincero
dall'anima grande e gentile, dalla mente vasta e dal cuore leale. Lo piansero
i quattro cugini venuti da Sassari all'ultima ora, più per raccogliere
l'eredità che per vederselo spirare; lo piansero le serve che egli teneva
a cinque o sei anni, trattandole come sorelle, - ma soprattutto piansero i
Mannu, e con ragione.
Piangevano il loro figlio amato, l'essere che aveva portato la vita nella loro
vecchia casa gelida, per tanti e tant'anni, e che si apprestava a rendere Lara
la più ricca e felice fra le fanciulle della città. Anch'ella
pianse disperatamente, quasi avesse davvero amato Marco di amore da fidanzata,
e volle rimanere presso di lui fino all'ultimo istante confortandolo, prodigandogli
cure e baci che gli resero felicissimi gli ultimi giorni di vita. Lo indusse
a confessarsi, a pensare a Dio, gli parlò di Lara che l'aspettava al
di là, nei cieli d'oro del mistico oriente dei Cristiano, fra la luce
e i profumi di una felicità eterna, e fu lei che gli chiuse gli occhi
con un coraggio che niuno riusciva a spiegare in essa, fu lei che si vestì a
bruno per la prima, in realtà pazza di dolore e di angoscia. Un vago
presentimento le diceva che Marco era morto per lei. E pur senza spiegarle
tutta la verità, le narrava confusamente i dolori, e la lotta da lui
sofferta, e le faceva istintivamente pensare: - ecco un'altro che muore per
mia causa!...
Il ricordo, poi, della promessa fattale da lui di abbreviare il tempo che la
divideva da Massimo, promessa sfumata con la sua morte, le amareggiava ancor
di più l'anima. Chi, chi li avrebbe ora aiutati, se non il tempo?...
Ma una fredda e nebbiosa mattina di novembre, i parenti, le serve e Massimo
Massari furono riuniti per volontà del vecchio notaio nello studio del
morto, e venne aperto il testamento di lui. Don Salvatore, sempre afflitto
e sconsolato, da bravo zio e da buon suocero che ha visto morire il suo genero,
guardava con occhio sicuro gli altri sette personaggi, convinto qual era che
Marco avesse nominato sua erede universale Lara, e si spiegava la presenza
di Massimo e delle domestiche dicendosi: - Avrà lasciato loro qualche
ricordo! - In quanto ai parenti, poi... non v'era da pensarci: la loro presenza
era perfettamente inutile.
Ma finita la solenne lettura del testamento, un po' lungo e minuzioso, don
Salvatore cambiò d'aspetto e d'opinione, e mentre i volti dei quattro
parenti si allampavano per la disillusione completa delle loro speranze, il
suo diventò purpureo di sorpresa e d'ira. In quanto a Massimo, per poco
non svenne: Marco Ferragna lo istituiva suo erede universale, lasciando piccoli
legati alle serve e non nominando per nulla don Salvatore e le figlie, o i
parenti di Sassari.
Allora Massimo comprese a che alludevano le promesse di Marco e guardò don
Salvatore; ma vide solo l'ira e l'odio scolpiti sul volto di lui, e si chiese
tremando nel cuore, se realmente l'estinto aveva dato nel segno. Nel medesimo
tempo gli balenò al pensiero l'idea confusa dell'immane sacrificio di
Marco,; impallidì spaventosamente e congedò balbettando i quattro
cugini di Marco, che se ne andarono via con tre palmi di naso, convinti che
la sua emozione provenisse dalla gioia, credendo di lasciarlo felicissimo,
mentre egli in quell'istante si considerava il più disgraziato degli
uomini. - Partirono le domestiche, partì il notaio, dopo aver fatto
i più vivi complimenti a Massimo, e ultimo restò don Salvatore
nella casa in cui era entrato a piè sicuro, come in casa sua - da tre
giorni, cioè dopo i funerali di Marco, la palazzina era rimasta in custodia
dei Mannu, - e che d'un tratto, quasi in sogno, diventava del figlio del suo
nemico!... Immobile, come colto da un fulmine, inchiodato sulla sedia, a pugni
stretti e livido in volto, don Salvatore se ne stava così immerso nel
pensiero del come impugnare al più presto e annullare il testamento
di Marco, che certo doveva essere stato pazzo nel momento in cui lo dettava,
che non si accorse quasi del lento andarsene di tutte le persone poco prima
riunite intorno a lui. Massimo proseguiva a guardarlo, temendo di vederselo
sopra da un momento all'altro e pensava... A che pensava? Pensava che tutto
il successo pareva una scena da melodramma, di cui egli era il principale personaggio,
e ricordandosi che possedeva molto spirito e molto coraggio, decise di conoscere
subito la sua sorte decisiva.
- Don Salvatore!... - esclamò risolutamente.
- Eh? - fece l'altro, alzando il capo e colto da un brivido.
- Pare che le dispiaccia il testamento! Ma se ella vuole, tutto gli apparterrà...
Lei credeva senza dubbio che Marco lasciasse tutto alla signorina Lara... Ebbene,
se Lei vuole, don Salvatore, tutto sarà della sua signorina figlia...
lo stesso.
- Come! rinunzia?
- Oh, che! Solo Le chiedo la mano di Lara!
Fu tanta la sorpresa di don Salvatore, che più tardo confessava non
essere vero si possa morire di accidente, dal punto che egli non era morto
in quella mattina. Si alzò di scatto e fulminando Massimo con lo sguardo,
gli gridò:
- Senza dubbio, signor burattino arricchito, Lei vuole beffarsi di me? Però la
vedremo! Ride bene che ride ultimo! - E uscì pestando i piedi. Ma il
giovane non disperò ancora, perchè il fiero nemico non aveva
recisamente detto di no. Per una settimana, don Salvatore vagò come
un'anima dannata dall'uno all'altro avvocato, promettendo mari e monti per
annullare il testamento: anche i parenti di Sassari cercarono tutti i mezzi
possibili, ma invano. Il testamento era validissimo, e Massimo aveva per sempre
il posto di Marco Ferragna. I buoni abitanti di X*** per poco non perdettero
il cervello; al solito pensarono a questo avvenimento giorno e notte, per tre
mesi interi, e più d'uno dimenticò qualche volta i suoi affari
per pensare e commentare il testamento favoloso e gettare qualche pietra sul
fortunato erede.
Ma la meraviglia raggiunse il colmo allorchè si seppe sul finire dell'anno,
che Massimo s'era fidanzato con Lara Mannu e che le due famiglie nemiche avevano
finalmente conchiuso la pace.
Così era: viste sfumate le sue ultime speranze, don Salvatore, cieco
d'odio e d'ira, vieppiù per l'ultima domanda di Massimo, ch'egli credeva
solo un insulto vigliacco di nemico vittorioso, covava già in cuore
cruenti progetti di vendette tenebrose e terribili e pensava di riaccendere
la face dell'odio avito, qual era nei bei tempo antichi, allorchè, un
giorno, un alto personaggio di X*** lo onorò di una visita, e, seriamente,
gli rifece per parte di Massimo la straordinaria domanda. Sulle prime don Salvatore
divenne furibondo, scordandosi persino con chi era, - ma l'alto personaggio
lo richiamò all'ordine con parole assennate, ricordandogli che ormai
i tempi dell'odio sono trascorsi, e che un buon padre non poteva rifiutare
per sua figlia una simile fortuna qual era quella che gli si presentava con
Massimo. - Allora don Salvatore chiese tempo, e, sbalordito dal coraggio di
Lara, che gli confessò tutto, rispose con bel "sì",
che certamente non sarebbe uscito dalle sue labbra senza l'eredità conseguita
dal giovine nemico.
E ora Lara si chiama la signora Massari e non pensa più a morire, non s'ingolfa più in pensieri filosofici, in idee scettiche e melanconiche, non dice più che il suo cuore è simile ad un giacinto disseccato; crede che Nunzio sia morto per disgrazia e Marco di febbre; visita Mariarosa e frequenta la società di X***, che prima odiava, e sorride sempre, tra i fiori della palazzina bianca e fra i baci del forte cavaliere biondo, dei suoi sogni fantastici; di quel cavaliere biondo che, nelle notti di luna, prendendosela sulle ginocchia, sui veroni fioriti e fra i profumi salienti dalla valle, le narra care leggende, con gli occhi fulgenti d'amore e felicità.
- FINE -