Maria Concezione uscì dal piccolo ospedale del suo paese il sette dicembre,
vigilia del suo onomastico. Aveva subìta una grave operazione: le era
stata asportata completamente la mammella sinistra, e, nel congedarla, il primario
le aveva detto con olimpica e cristallina crudeltà:
"
Lei ha la fortuna di non essere più giovanissima: ha vent'otto anni
mi pare: quindi il male tarderà a riprodursi: dieci, anche dodici anni.
Ad ogni modo si abbia molto riguardo: non si strapazzi, non cerchi emozioni.
Tranquillità, eh? E si lasci vedere, qualche volta."
Ella lo guardò, coi grandi occhi neri nel viso scarno e verdastro d'angelo
decaduto: avrebbe voluto fargli le corna o qualche altro segno di scongiuro,
ma in fondo non credeva a queste cose e da molto tempo era rassegnata al suo
destino. Si contentò di proporsi di non tornare mai più all'ospedale.
Adesso se ne tornava a casa, tutta avvolta e imbacuccata in un lungo scialle
nero, che rendeva più sottile la sua persona alta, e più scuro
il suo profilo di beduina; rasentò il muro del giardino dell'ospedale,
poi il muro più basso di un orto piantato quasi tutto a cavoli con il
grosso fiore lunare, e sboccò subito in una strada campestre, sfossata
e pietrosa, che andava verso i monti vicini. Tutto le sembrava diverso del
come lo aveva lasciato; e lei stessa era diversa, vuota e, le pareva, con un
odore di morte nelle vesti; odore che non l'avrebbe lasciata mai più.
Eppure si sentiva contenta; di camminare, di respirare, di aver fame, di voler
bene a sua madre, alla sua casa, persino al gatto: gioia di vivere.
In quei giorni aveva piovuto abbondantemente, dopo una lunga siccità.
La terra era nera, così che in certi punti sembrava cosparsa di fondi
di caffè; ma dai lati della strada, fra i due ciglioni che scendevano
in chine lente alle valli del Birchi e del Capro, due fiumiciattoli adesso
appena ingrossati dai torrenti ravvivati dalle ultime piogge, vi risaltavano
meglio i massi di granito quasi argentei, picchiettati di scintille nere, che
affioravano come scogli fra l'erba umida lunga e scura simile alle alghe. Tutto
d'altronde aveva alcunché di fondo marino, per i meandri della valle
e le impronte ondulate del terreno, come se il mare in antiche epoche arrivasse
fino alle falde dei monti e all'altura dove sorgeva il paese. E i monti stessi,
sopra la casa di Concezione, avevano un aspetto arido, scaglioso, con le coste
frastagliate, corrose, come un tempo battute dalle onde. Solo più in
alto nereggiavano i boschi secolari di querce.
Insolita era anche l'abitazione davanti alla quale ella si fermò, nella
biforcazione dove la strada proseguiva, da una parte inerpicandosi sulla china
del monte, e dall'altra scendendo nella valle a sinistra. Era una chiesetta,
con la facciata che appunto guardava verso questa valle; circondata davanti
e a un lato da uno spiazzo rinforzato da un muricciuolo assiepato che chiudeva
una specie di orto, con alberi da frutta; un cancelletto di legno vi si apriva,
e un piccolo sentiero conduceva alla parte orientale della chiesetta, adibita
ad abitazione.
Solo due finestruole munite d'inferriata si aprivano sul muro della vecchia
costruzione, dove la strada svoltava sotto lo spiazzo: il tetto di tegole nere,
incrostate di musco e di erbe parassite, copriva egualmente la chiesetta e
l'abitazione; e due segni, due simboli, vi si guardavano, da uno spigolo all'altro,
sopra le due valli del promontorio: si guardavano come fratelli che, pure lontani,
separati da tutto un mondo, si ricordano con tenerezza, e son pur figli della
stessa madre: quello in cima alla facciata, sopra un piccolo arco dal quale
pendeva la campana, era una croce; l'altro, dalla parte dell'orto, e quasi
sopra la porticina dell'abitazione, era un comignolo: e ne usciva una bandiera
di fumo, che rallegrò il cuore di Concezione. Ella si fece il segno
della croce, prima di spingere il cancelletto, e si pulì i piedi sull'erba
quasi volendo lasciar fuori la polvere e il ricordo dei brutti luoghi e dei
tristi giorni attraversati: e sincera fu la sua gioia quando sulla porticina
della casa apparve la figura della madre, piccola figura dura e tutta grigia,
come partecipe del colore e della natura delle pietre intorno; ma come appunto
del granito aveva la chiarità argentea, e non so che di festoso e di
solenne assieme.
Non aspettava così presto il ritorno della figlia, e non si esaltò nel
vederla; sapeva che doveva tornare, che la Madonnina della chiesetta vigilava
su loro due e non le avrebbe mai tradite: quindi sorrise appena, con la bocca
grande incoronata di peli argentei, e finì di asciugarsi le mani nel
grembiale grigio. E Concezione, dopo un cenno di saluto, attraversata la cucina,
andò a riporre lo scialle nella cassapanca della camera attigua. Un
odore di mele cotogne uscì dalla cassa piena di robe. Un letto grande,
con una coperta di lana tessuta e ricamata a mano, tutta fiori e uccelli rossi
e azzurri, occupava quasi intera la stanza e serviva per entrambe le donne:
ed era alto in modo che, sotto, vi si rifugiavano cestini e arnesi, rotoli
di lana filata, un sacco di patate e uno, più piccolo, di legumi; ma
tutto in ordine, e pulito, sul pavimento di rozzi mattoni rossi. Entro un cestino,
fra la lana scardassata, stava il bel gatto nero, che pareva si fosse messo
una cuffietta bianca di pelo per dormire meglio: aprì un occhio verde,
fissò la padrona, tornò ad assopirsi: partecipava all'olimpica
tranquillità del luogo. Ritornando nella cucina, Concezione pero arrossì e
si turbò nel vedere che la madre aveva tirato fuori dall'armadio a muro
un porcellino morto, con la cotenna rossa e il ventre aperto ripieno di fronde
di mirto: e lo guardava anche lei, la madre, incerta e un po' inquieta, e pareva
rivolgergli la parola.
"
Povera bestiolina: avrà avuto solo tre giorni di vita. Mah!"
Sospirò, rassegnandosi al destino della piccola vittima: in fondo bisogna
sempre contentarsi quando la Provvidenza manda i suoi doni. Riprese, con la
sua voce ancora giovanile:
"
Ieri sera, è venuto Aroldo: e ha portato questo. Per te: per la tua
festa. Ritornerà stasera. Voleva venire all'ospedale, ma l'ho sconsigliato.
Era tutto felice, però. Ebbene, che ne facciamo, della bestiolina?"
"
Fate quello che volete. Se la mangerà lui", disse Concezione con
dispetto. "Poteva fare a meno di portarla."
"
Ma Concezione..."
La madre la guardò bene in viso, e solo allora si accorse che la figlia
era completamente cambiata: sembrava d'un tratto invecchiata, con la pelle
appassita intorno agli occhi foschi, i capelli tirati sulle tempia e raccolti
stretti sulla nuca come appunto usano le vecchie. E pensò che, sì,
Aroldo era troppo giovine per lei, un ragazzo, ancora, buono e innamorato,
sì, ma al quale non si poteva pensare per un probabile marito. Inoltre
era di razza diversa dalla loro; e anche diverso di linguaggio, tanto che la
vecchia ne capiva a stento le parole; ma dagli occhi celesti di lui, dal sorriso
luminoso e dalla voce calda ne intendeva la lealtà e la mansuetudine,
e gli voleva bene come ad un bambino. Anche Concezione gli si era sempre mostrata
non ostile: tutt'altro: ma adesso la malattia l'aveva cambiata.
Di questa malattia parlavano il meno che fosse possibile, come di una cosa
misteriosa; e il suo nome terribile che, del resto, neppure i dottori avevano
pronunziato chiaro, rimaneva, in fondo al loro cuore, con una segreta intesa
di non rivelarlo neppure a se stesse: quindi Concezione non riferì alla
madre le parole del primario dell'ospedale; e solo, mentre l'altra le porgeva
con premura il caffè, disse che si sentiva molto debole e non doveva
fare strapazzi.
"
Sì", confermò, quasi seguendo il pensiero della madre; "sono
cambiata; mi sento vecchia, ma tranquilla. Riprenderò il mio lavoro,
e vivremo contente."
Il suo lavoro era facile: cuciva biancheria, specialmente da uomo, e doveva
a questo la conoscenza di Aroldo, che nell'estate scorsa le aveva portato da
confezionargli sei camicie.
Ma prima di rimettersi tra la finestra e il camino, col paniere del lavoro
accanto, ella andò nella chiesetta, passando per la piccola sagrestia
che comunicava anch'essa con la cucina. Una finestruola alta s'apriva nella
stanzetta, a nord: si vedeva il monte, come in un quadretto melanconico, senza
sfondo di cielo, e la luce cruda delle rocce nude dava un senso profondo di
solitudine glaciale. Anche la chiesetta, alla quale si entrava per mezzo di
un usciuolo comunicante con la piccola sagrestia, sembrava scavata sotterra,
tanto era fredda e umida; il barlume della lampadina accanto all'altare, e
quello della lunetta polverosa sopra la porta, ne accrescevano la tristezza,
ma, aperta la finestra, un chiarore cilestrino che veniva dall'orizzonte schiarito
sopra le lontananze della valle, fece apparire meno gelido e desolato il povero
santuario. Nulla lo adornava; il tetto era di assi come quello di una capanna;
un sedile in muratura, lungo le pareti, faceva le funzioni di panca. Ma quasi
ricco era l'unico altare, con una tovaglia ricamata, lungo e prezioso lavoro
di Concezione: dieci candelabri di vetro dorato, con grossi ceri a scala, cinque
per parte, facevano ala alla statuetta in legno della Madonna della solitudine.
E la solitudine più iperborea e sconfinata pareva pronta a sfidare,
questa Madonnina quasi fiera, tutta scura e rigida nella sua nicchia azzurra
macchiata d'umido, che dava l'idea di una grotta marina, ma di quelle che appaiono
fra le nubi, in uno squarcio di cielo di sera tempestosa: uno spicchio di luna
sosteneva infatti i piedi della bruna immagine, ed era la sola cosa di sereno
che ne raddolciva la severità. Anche il Bambino che le sue mani lunghe
e svogliate reggevano un po' basso, quasi volesse scivolarle fra le pieghe
rugose della veste, era imbronciato, camuso, animalesco; ma i suoi piedini
grassocci, ribelli e mossi, con le ditina aperte e i pollici che sembravano
animati, conservavano pure a lui un senso di tenerezza, di umanità quasi
allegra; e fu verso quei piedini che Concezione guardò, più che
verso la dura e assente Madonnina, sola davvero sopra la luna.
Poi ravvivò la lampadina, spostò il vasetto dei fiori di carta,
polverosi e sbiaditi, e infine s'inginocchiò, con un brivido di freddo
alle spalle.
Anche la sua anima rabbrividiva di freddo, di tristezza, di paura: improvvisa
paura della vita, dei giorni che l'aspettavano tutti eguali, sempre eguali,
senza più amore né speranza; e quei piedini sacri, lassù,
nella luce rossastra simile al crepuscolo che precede la notte, le davano un
desiderio profondo di pianto.
"
Io non devo avere bambini: non devo averne", pensava, attraverso le parole
della sua preghiera: "ed è giusto, è giusto. Tutto è giusto,
nella tua volontà, o Signore. Ho peccato contro l'amore, ho seminato
il dolore e distrutto la vita di un uomo; e nella mia vita tu, Signore, spargi
adesso il sale della sterilità. Sia fatto il tuo volere. E tu, Vergine
Madre, aiutami adesso ad attraversare questa mia vita desolata; guardami dall'alto
della tua misericordia."
E le parve che quest'aiuto non le mancasse, durante le ore di quella giornata
grigia e ferma come le pietre intorno. Seduta davanti al suo cestino di lavoro,
dentro il quale era un rotolo di cotonina rosa da camicie da uomo, tentava
di fare le asole a dei polsini già imbastiti prima della sua entrata
all'ospedale; ma era fiacca, col braccio sinistro ancora indolenzito: tuttavia,
in confronto ai tristi giorni passati, le pareva di essere tornata in un palazzo
luminoso, e che lo sfondo della finestra, con lo spiazzo dell'orto, i cespugli,
i massi del ciglione, fosse un giardino primaverile; la gioia di vivere la
riprendeva suo malgrado. Era un ritmo umile, col ronfare del gattino arrotolato
sulla pietra del focolare, l'odore del porchetto che la madre aveva messo ad
arrostire nel forno ove ogni tanto ella cuoceva il pane; e l'andirivieni silenzioso
di lei, intenta alle faccende di casa; e lo stesso immoto silenzio di fuori,
rotto appena da qualche rotolìo di carretti o da passi di cavallo nella
strada campestre.
Ma verso sera la solitudine si animò; una figura d'uomo campeggiò,
grande, fra le piccole cose della cucina, quasi sproporzionata e stonata nel
piano del quadro povero e stupito. Era Aroldo, il forestiero. Aveva un sacco
sulle spalle; una specie di zaino che si sfilò lentamente dalle braccia
aitanti, e depose in un canto, allontanando con la palma della mano il gatto
subito curioso e avido.
"
Va via, mascalzone", disse, accarezzandolo: "non ti basta il buon
odore intorno?"
E lui stesso fiutò l'aria, come un ospite giunto al luogo ove troverà benessere
e riposo. Ma la figura nera di Concezione, con quel viso notturno e gli occhi
carichi di ombra, parve oscurare anche la sua. Il sorriso gli si sbiadì sulla
bocca: bellissima bocca, con le labbra lucide infantili e i denti che parevano
ancora quelli di latte.
Tutto del resto era bello e quasi troppo colorato, nel suo viso roseo, nei
capelli biondi, negli occhi azzurri che le sopracciglia nere, alte e arcuate
come quelle di una donna rendevano più vivi e dolci. E rosso era il
collo forte, rosse le mani forti, tutto forte, vivo, sanguigno, nel suo corpo
quasi gigantesco.
Eppure parve sbiancarsi e diminuirsi tutto, come cercando di nascondersi nell'ampiezza
del suo vestito di fustagno, per l'accoglienza non attesa di Concezione. Ne
vedeva chiaro il mutamento, ch'ella non ostentava ma non nascondeva; e anche
a lui sembrava un'altra, come se all'ospedale, invece dell'operazione che le
due donne gli avevano dato a intendere, cioè una semplice estrazione
di un polipo al naso, le avessero per opera malefica tolto il sangue, la carne,
la giovinezza. E qualche cosa di inesplicabile, oltre l'alito di tristezza
e di malattia, emanava da lei, quasi un senso di minaccia e di pericolo, gelando
l'atmosfera già così confortante della casetta ospitale. Egli
sentiva di essere di nuovo il forestiero, come quel giorno che era venuto portando
la stoffa per le camicie, e Concezione gli aveva preso le misure senza guardarlo
in viso: forestiero, di terra lontana, senza nessuno al mondo. Ma con quelle
misure, Concezione lo aveva legato, stregato; e le camicie cucite da lei erano
state poi per lui come l'abito nuovo per i ragazzi, il vestito di festa, una
fascia di speranza e di gioia.
"
Come va?", disse con voce bassa, turbata: e pareva avesse paura di essere
ascoltato da qualcuno più padrone delle stesse padrone, che lo potesse
cacciar via come un intruso.
"
Siedi; va bene, tutto bene", rispose la madre. "Concezione è guarita;
la vedi."
"
La vedo" egli dice, ma incerto; e non osa rivolgersi direttamente alla
giovane donna; anzi, in attesa ch'ella si degni di venirgli incontro, fa due
passi indietro verso la porta, pronto ad andarsene se lei glielo ordina: tanto
che ella, accorgendosene, ha un sorriso fra di beffe e di pietà.
"
E siedi", gli dice, in modo quasi rozzo, battendo la mano sulla spalliera
della sedia accanto al focolare. "Da dove vieni?"
Rosso di emozione e di gioia, egli fece un cenno, col braccio teso verso la
porta. Arrivava di lontano, di laggiù, dalla valle dove questa si congiunge
con un'altra vallata che piano piano si allarga, si stende quasi in pianura
e declina verso il mare. Si costruiva una strada provinciale laggiù,
che appunto dalla costa saliva verso il paese delle due donne: Aroldo, con
altri operai venuti d'oltre mare, guidati da un impresario pure lui forestiero,
lavorava alla costruzione di questa strada e specialmente a quella dei ponti.
"
Che novità, dunque?", gli domandò la vecchia, mentre Concezione
si dava un gran da fare per preparare la tavola, sulla quale depose un vassoio
colmo dei pezzi del porchetto che esalavano un buon odore di rosmarino.
Vedendo quei preparativi Aroldo ricominciò a rasserenarsi: già altre
volte le donne lo avevano invitato, e, con l'appetito destato dalla lunga camminata,
quella sera soprattutto si sentiva felice della loro ospitalità.
"
Novità? Che novità posso portare? Si lavora come schiavi, e il
padrone è sempre lì a urlare e pungere. Mai contento. Adesso,
poi, con le piogge dei giorni scorsi, il terreno è brutto; vengono giù delle
piccole frane, e l'acqua scorre dappertutto. Ma con la buona volontà tutto
si supera. A me, del resto, il padrone vuol bene, forse anche perché sono
il più coscienzioso. Anzi..." Guardò alle spalle di Concezione
e non proseguì. Il suo viso tornò a offuscarsi.
Quando però furono a tavola, e la vecchia gli versò da bere,
sebbene il vino fosse roseo e leggero come una bibita rinfrescante, egli riprese
coraggio. Mangiando lentamente, servendosi di forchetta e coltello come un
signore, riprese a raccontare, con la sua voce lievemente cadenzata, le vicende
della strada e dell'impresario.
"È
un tipo, però. È stato già due volte in America, a costruire
strade e ponti, e adesso ha per la testa qualche cosa di straordinario. Bisogna
premettere che è un gran lavoratore: vive con noi, e con noi passa la
notte al bivacco. Non ritorna in paese neppure alla festa, come possiamo fare
noi dipendenti. Del resto egli ci tiene, che si vada alla messa. D'altra parte
neppure io farei tutta quella scarpinata, se non fosse appunto per la messa..."
Concezione capiva benissimo che egli tornava solo per lei; ma rimase rigida
e dura. Non mangiava; non si moveva dalla tavola, come ogni tanto faceva sua
madre; era assente, però, e pareva non sentisse le parole dell'ospite.
Solo si scosse, quasi suo malgrado, quando egli riprese:
"
E adesso si tratta di questo: sì, ma lo racconto solo a voi, perché almeno
per qualche tempo, la cosa non si deve sapere. L'impresario, dunque, oggi mi
chiamò da parte e mi domandò se voglio andare con lui in America,
appena finita la strada qui, cioè fra un anno circa. Pare che questa
volta le sue idee siano grandiose. Non solo una strada vuole aprire, in una
regione boscosa e inesplorata verso la Patagonia, ma costruire addirittura
una città, e poi un tronco di ferrovia. Il luogo dico, è adesso
disabitato, ma fra due o tre anni sarà certamente magnifico, con case
tutte nuove, una terra fecondissima, orti, giardini, fontane. C'è molto
da lavorare, s'intende, ma anche molto da guadagnare: forse la ricchezza, certo
l'avvenire assicurato."
La vecchia si sforzava a capire bene: ma le sembrava un po' una favola, un
po' uno scherzo: poiché Aroldo, quando era di buon umore, non esitava
a darne ad intendere delle più grosse, contentandosi però di
burlare solo la madre, la figlia essendo troppo svelta e diffidente per dargli
retta.
Questa volta però egli era serio e impegnato, e la sua forse non era
una fantasia. Concezione quindi badava, senza dimostrarlo, ad ogni parola di
lui, con un misto di curiosità e di speranza.
Ecco che la Vergine della Solitudine esaudiva, in qualche modo, la preghiera
di lei: se Aroldo se ne andava, ella sarebbe ritornata completamente sola e
libera nella strada che la sorte le aveva tracciato. Una domanda della madre,
fece sorridere anche lei.
"
Ma chi andrebbe laggiù a fare questo nuovo paese? Tu e l'impresario?"
"
E centinaia e centinaia di compagni, un po' di qui, un po' indigeni. Poiché si
formerebbe anzitutto una specie di colonia, con piccole case per noi; poi una
vera cooperativa, con giuste divisioni di utili. Più si è bravi
e si lavora, più si partecipa all'impresa. E assicurazioni sul lavoro,
sulle malattie, sugli infortuni, sulla vita: e, infine, piena libertà ad
uno che voglia tornarsene indietro con indennità di lavoro e di viaggio.
Il clima è buono, bestie pericolose non ce ne sono. Molti insetti, sì,
e zanzare specialmente, che spariranno con le prime bonifiche."
"
E i fondi?", domandò con aria un po' beffarda Concezione.
"
Ma pare che l'impresario li abbia: non è un balordo, e non parla per
parlare: un po' strambo sì, ma ambizioso ed appassionato per queste
imprese. Del resto non c'è nulla da perdere, almeno per uno come me."
Anche lui prese un atteggiamento canzonatorio, ma verso se stesso; bevette
un altro bicchiere di vino, respinse il piatto che la vecchia gli aveva ricolmato,
e guardò avanti a sé, in alto, come vedesse un quadro che lo
interessava più che le altre cose intorno. Riprese:
"
Non sarò certamente io ad aver paura delle zanzare. E, se occorre, neppure
dei serpenti. Ho ammazzato tante bisce, e anche qualche vipera, da ragazzo.
Si viveva, io e la mia mamma, in una capanna peggio di quelle che si andrà ad
abitare laggiù. La poveretta lavorava nelle risaie, finché è morta
di stenti: eppure mi mandava a scuola, e sognava per me un avvenire felice.
Sì, e feci prima l'arrotino, morta lei, con un impresario, anche allora;
un cieco, che possedeva solo la macchina d'arrotare, e mi accompagnava, e controllava
il lavoro come neppure nella nuova città, laggiù, lo controllerà il
nostro ingegnere. Si andava da un paese all'altro, e specialmente d'estate,
il lavoro c'era. Falci, forbici, scuri; e coltelli per le donne che fanno la
pasta in casa e tagliano i salami a fette fini, per i ragazzi. Ci scappava
qualche fetta anche per noi, con un po' di polenta, nelle aie benedette. La
gente è buona lassù, ma verso le risaie è anche povera;
c'era allora molta miseria. Si dormiva dove ci si trovava; ed è in quel
tempo che ho imparato a cacciare le bisce, e far la pelle dura per le zanzare.
Poi, una volta, siamo capitati in un paese dove si era incendiata una casa:
il padrone voleva ricostruirla subito, intanto che il tempo era buono, e racimolava
tutti gli operai disponibili del luogo. Ma quasi tutti erano occupati perché si
costruiva una diga: e così ebbi la proposta di fare da manovale. Il
padrone della casa incendiata e il mio impresario mi disputarono: io ero stanco
della vita randagia, e delle angherie dell'arrotino, che spesso mi lasciava
senza mangiare; poi avvenne una cosa strana: la padrona della casa aveva conosciuto
mia madre, poiché da ragazza era stata anche lei nelle risaie; non solo,
ma disse di avere conosciuto l'uomo che secondo lei, aveva ingannato e poi
abbandonato mia madre. Un signore, diceva, uno di quelli che ispezionavano
i lavori della risaia. Io pensavo sempre a questo mio padre ignoto e mascalzone;
mia madre non me ne aveva mai parlato, neppure in punto di morte, e io credevo
di essere orfano; adesso la mia fantasia si accese; e fu questa illusione che
mi decise ad abbandonare l'arrotino e apprendere il mestiere del manovale.
Furono tempi duri anche quelli: per quante ricerche mi fu possibile di fare,
non riuscii a saper nulla di mio padre; finita la costruzione della casa, trovai
qualche cosa da fare nei lavori dell'argine; e poi un operaio mi portò con
sé per la costruzione di una strada ferrata: poco anche lui mi dava;
appresi però il mestiere, specialmente per i lavori dei ponti e delle
scarpate, e come suol dirsi, mi arrangiai. Adesso sono qui: poi andrò forse
laggiù, in America. Secondo... Del resto, la mia storia ve l'avevo già raccontata.
Non è vergogna essere figlio di nessuno: si vive delle proprie opere;
e io non mi faccio illusioni."
Pareva che egli tenesse molto a insistere sul passato di sua madre e la sua
vita randagia: sapeva che nel paese delle sue ospiti non si ha molta stima
dei figli del peccato, soprattutto se poveri; ma egli non voleva ingannare
nessuno; e se Concezione gli aveva già dimostrato un attaccamento non
privo di calore, non c'era ragione ch'ella mutasse a un tratto pensiero.
Del resto egli credeva che anche lei vivesse del suo scarno lavoro, in quello
strano rifugio mezzo sacro mezzo brigantesco ereditato appunto da avi che la
voce pubblica assicurava poco e niente scrupolosi, in fatto di onestà.
Ma a misura che egli parlava, ella pareva riprendere un po' della sua antica
cordialità; e sorrise di nuovo, questa volta con benevolenza, quando
la madre domandò con ingenua malizia se laggiù ci sarebbero state
anche donne, ad aiutare e consolare i pionieri.
"
Per i primi tempi niente, credo. Si va a vivere nelle baracche, soli, come
naufraghi. Ma appena pronte le case, il primo a voler le donne con noi è l'impresario.
Sono necessarie, per molte ragioni."
Un sorriso, che voleva essere anch'esso malizioso, gli scavò le fossette
delle guancie, e l'azzurro dei suoi occhi ne fu tutto indorato. Fissò Concezione,
ed ella ripeté, quasi per compiacerlo, le parole di lui.
"
Sì, per molte ragioni."
Allora egli tornò a guardare in alto, verso quel quadro che egli solo
vedeva.
"
I primi tempi, certo, saranno duri, ma io, ripeto, ci sono abituato. Sono forte",
disse stendendo le braccia coi pugni stretti, "sarò il capo fila:
e il padrone lo ha bell'e indovinato. Del resto si arriverà solo al
principio della buona stagione, e per noi uomini non sarà poi difficile
accamparsi come i soldati. È una vita, anzi, che fa bene. E poi si sarà provvisti
di tutto, anche di vino, di caffè, di medicine; anche il medico ci sarà,
promette l'impresario, che, d'altronde, non ingaggerà se non uomini
sani e più che capaci. Costruite le prime case, passata la cattiva stagione
si penserà poi a far venire le donne."
"
Ma, e come faranno? Sole?"
Era la madre, che di nuovo s'informava, sebbene anche lei già un po'
disincantata del racconto.
"
Oh, sì, e perché no? Ci sono le mogli e le sorelle degli emigrati
che non domandano di meglio che di raggiungerli. Si va dove Dio ci aiuta a
vivere; e non è detto che si debba vivere sempre in paese straniero.
Se qualche donna vorrà venire laggiù le si manderà i soldi
per il viaggio, e le si andrà incontro allo sbarco, che non è lontano.
Il difficile è piuttosto il viaggio nell'interno, se la strada ferrata
non avrà ancora raggiunto la nostra colonia."
"
Salute", disse allora Concezione, riprendendo la sua aria divertita; "io
non ci verrei, certo!"
La parola era detta: taglio lieve che però, come un colpo furtivo ma
sicuro, divideva nettamente il destino sognato da Aroldo: da una parte lui
con la sua fantastica città, dall'altra Concezione nella sua spelonca.
Il quadro sparve dalla parete di questa; ed egli sbatté lievemente le
ciglia nere sugli occhi diventati scuri. La bocca parve quella di un bambino
che rifiuta la medicina. E neppure lui credette al suo coraggio e alla voce
che domandava:
"
E se tu fossi mia moglie?"
Queste parole turbarono anche la madre: anche i suoi placidi occhi corsero
da un viso all'altro dei due giovani, e non sapeva neppure lei quello che desiderava;
se una risposta affermativa di Concezione o la sua definitiva rinunzia al sogno
del giovine pretendente.
Eppure Concezione, piegata la testa, parve pensare, prima di pronunziare la
sua decisione: poi rispose, pacata:
"
Una parola anche questa!"
Dunque, c'era ancora qualche speranza: allora la vecchia, che per antica saggezza
sapeva come una sola parola possa a volte influire sul destino altrui, pensò che
non doveva intervenire coi suoi consigli: anzi si alzò, con la scusa
di andare a prendere qualche cosa nella camera, e lasciò soli i due
giovani.
Lentamente, Aroldo tese la mano e la mise su quella di Concezione; ed ella
non la ritirò, ma nascose con durezza la commozione ardente che quel
contatto le dava.
Egli disse, sottovoce:
"
Ricordati; una sera, là nell'orto, ci siamo baciati; e tu hai promesso
di sposarmi, appena le mie condizioni lo avrebbero permesso. Queste condizioni
miglioreranno, certo, appena io sarò laggiù. E se ci vado, ci
vado per questo. Io non ti domando di seguirmi, finché non avrò anch'io
tenuto la promessa; ma tu devi promettermi di aspettarmi. Due anni, solo due
anni di tempo..."
Ella sorride: quel sorriso triste e stanco, e tuttavia ironico, che lascia
scoperti i suoi denti fino alle gengive un po' scolorite; ritira la mano che
sguscia quasi felina da quella di lui, e risponde a voce alta, poiché nulla
ha più da nascondere:
"
Fra due anni sarò vecchia: lo sono già, anzi; vecchia e malata.
Non sono più buona a niente; e tu sei giovane, Aroldo; tu hai bisogno
di una donna forte, sana, che ti segua e ti aiuti nei luoghi della tua fortuna."
"
Io ho bisogno di te, Concezione. Non so perché, appena ti ho conosciuta
ho sentito che tu sola potevi rendermi contento, e che Dio mi aveva mandato
in questi luoghi per raggiungerti. Non posso
più vivere senza di te. Anche se andrò in capo al mondo, anche
se diventerò milionario, penserò sempre a te. Ma perché dovrei
andare in capo al mondo a cercare fortuna, se tu non mi vuoi più bene?
Ogni cosa sarà inutile senza di te. Preferisco rimanere qui, anche miserabile;
e se tu mi scacci ritornerò alla tua porta come un mendicante. I mendicanti
non si mandano via."
Egli parlava chiaro e bene, con la sua voce eguale, cadenzata, che gli veniva
su dal cuore sincero: pareva una canzone, rassegnata ma d'una passione inesorabile
che fa luce a se stessa: una di quelle canzoni di amore senza speranza che
Concezione aveva sentito e imparato fin dalla sua prima adolescenza, ed anzi
erano state l'accompagnamento, quasi il motivo delle sue prime inquietudini,
delle sue curiosità e dei suoi turbamenti sensuali. Non era la prima
volta che Aroldo le parlava così; anche le sue prime dichiarazioni di
amore suonavano allo stesso modo; e lei se ne era lasciata vincere come da
una musica che ricorda e fa rivivere le cose passate. Un rifiorire di sensazioni,
d'impeti, anche di illusioni, l'aveva accostata a lui: accanto alla giovinezza
in apparenza povera eppure ricchissima di lui, al suo calore di uomo, all'esuberanza
frenata ma profonda della vitalità di lui, ella si era sentita come
quelle erbe e quei fiori selvatici e grami che nella vicinanza di erbe e di
fiori più ricchi di loro ne prendono, se non altro, la simiglianza.
E poi, oltre al desiderio fisico, allo slancio naturale della sua carne verso
quella di lui, l'attirava la stessa diversità di razza, di età,
di carattere, di linguaggio, che pareva dovesse allontanarli e invece li spingeva
maggiormente uno verso l'altro.
Avevano raccontato ad Aroldo, nella casupola dove aveva in affitto per poche
lire un buco per ripararsi nei giorni di riposo, che Concezione discendeva
da una progenie di violenti, di passionali, e che lei stessa aveva avuto una
passione tragica nella sua prima fanciullezza: sapendo ch'egli frequentava
la casa di lei, non insistevano nei particolari; ma egli era fisso nelle sue
idee; voleva Concezione, a tutti i costi la voleva; l'atmosfera stessa, fra
romantica e ambigua, che la circondava, pareva gli destasse nel sangue una
specie di febbre, tormentandolo con un pungiglione che lo feriva nel cuore,
ma sopra tutto nei sensi. Voleva Concezione: giorno e notte la desiderava;
e bastava un fissarsi di pupille di lei nelle sue perché egli sentisse
quasi una voluttà di possesso, un delirio che lo esaltava e lo rendeva
muto.
E adesso, dunque, era tutto finito: ella non lo guardava più; era divenuta
un'altra; ed egli aveva davvero l'impressione che all'ospedale l'avessero cambiata,
sostituita con una Concezione vuota, vecchia, spettrale.
"
Lo so", disse, ripensando alle storie che si accennavano sul conto di
lei; "tu non mi hai voluto mai veramente bene: e se io andrò lontano
mi dimenticherai facilmente; anzi ne prenderai un altro."
"
Non c'è pericolo, Aroldo!", ella disse, aggrottando le ciglia,
poiché sapeva a che cosa egli intendeva alludere: "io resterò sempre
qui, con mia madre e con la Madonnina. E morremo qui, se Dio vuole. E sì,
Dio lo vorrà, poiché noi abbiamo fede in lui: e nessuno mai potrà farmi
del male."
Quasi riconfortato, egli riprese:
"
E così sia. E, dimmi, se io, fra due anni, mettiamo fra tre, avessi
la possibilità di ritornare e portarvi via entrambe, tu e tua madre?
Che ne dite, Giustina?"
La donna era rientrata, col vassoio e le tazze: si rimise a tavola versò il
caffè. Era tranquilla, e il suo viso liscio, alla luce della lampada
ad olio, sembrava più giovane di quello di Concezione. Depose la tazza
davanti al giovane e disse:
"
Figlio caro, le parole che tu dici sono belle; ma sono come il soffio del vento,
che desta il fruscìo fra i rami e poi cessa."
Infastidito ma rispettoso egli ribatté:
"
Vediamo un po'; che cosa avete capito?"
"
Ho capito, ho capito. Tu vorresti sradicare il macigno che è sopra il
nostro orto e farlo rotolare in fondo alla valle: è mai possibile, questo?"
"
Oh, se parliamo per parabole, è inutile continuare. Insomma, le cose
stanno così: mi si offre la possibilità di crearmi una certa
fortuna: io offro a Concezione e a voi di dividere con me la buona sorte. Se
non volete seguirmi, che almeno Concezione mi aspetti due anni."
"
Ma perché ripeti a lei queste cose?", disse Concezione indispettita. "Ho
già risposto io: non sono una bambina e non mi piacciono le chiacchiere
inutili."
Aroldo si fece rosso fino al collo e non osò insistere: ma uno sguardo
furtivo della madre, parve dirgli: "Lascia passare il tempo: vedrai che
le cose cambieranno".
Inoltre fu bussato alla porta; ed ella, senza sorpresa né curiosità,
andò ad aprire. Apparve un uomo che, per la grossezza, occupava tutto
il vano della piccola apertura: era vecchio, ma con una testa possente: circondato
da una folta barba a collare, mista di nero, bianco e fulvo, il viso pareva
la maschera di un satiro, col naso largo e gli occhi dorati e selvatici di
cinghiale coraggioso. Indossava un cappotto corto, di panno ruvido, con un
grande cappuccio calato sulle spalle; e pareva che anche da vecchio continuasse
a crescere, poiché dalle maniche scappavano i polsi nudi e le mani da
pugilatore. Si tirò alquanto indietro sulla testa calva il berretto
di panno e poi se lo ricacciò sulla fronte fin sulle irsute sopracciglia:
era il suo modo di salutare.
Aroldo si scostò, come per lasciargli posto alla tavola; ma l'uomo,
chiusa la porticina, vi si sedette quasi addosso, su uno sgabello troppo piccolo
per lui, e si mise una mano all'orecchio peloso per sentire meglio le parole
di presentazione della vecchia Giustina.
"
Questo è il nostro amico Felice Giordano: e questo è il nostro
amico Aroldo."
L'uomo, che doveva sapere qualche cosa del forestiero, disse subito con una
voce straordinariamente sonora, ma anche aggressiva:
"
Cognome non ne ha? Tutti amici", soggiunse in fretta; e col bastone grattò la
schiena del gatto, che gli si era subito avvicinato: cosa che ingelosì puerilmente
Aroldo, e lo indispose ancor più contro il rosso visitatore, poiché la
bestia non si lasciava mai accarezzare volentieri da lui. Con voce forte pronunziò intero
il suo nome:
"
Aroldo Aroldi", ma già l'altro pareva non badasse più a
lui, concentrando tutta la sua attenzione sulla padrona giovane che, a sua
volta, lo fissava con una certa ironica sfida, invitandolo ad avvicinarsi:
"
Su, venite qui con noi: berrete un bicchiere d'acqua, se non volete altro."
Egli sollevò la mano destra, con l'indice uncinato, in modo che l'ombra
si disegnò sulla parete come la testa di un uccello di rapina; e fece
un cenno di minaccia; ma Concezione non aveva davvero paura, anzi, si mise
a ridere, e i suoi denti bianchi, nel viso che pur rimaneva duro, apparvero
ad Aroldo un po' crudeli.
La madre spiegò:
"
Il nostro compare Felice non ama il caffè: e neppure la carne di porco",
aggiunse, toccando il piatto con gli avanzi dell'arrosto. Per rinforzare l'affermazione
di lei, il vecchio si volse verso il muro e sputò, mentre un comico
ma sincero disgusto gli arricciava il lungo labbro superiore.
"
Il caffè alle donne: la carne di porco a quelli che la rubano."
"
Questa intanto non è rubata", ribatté Concezione, anche
per difendere il già mortificato donatore.
"
Io non so niente; solo dico che la carne di porco procura cattivi sogni, e
neppure i giudei la mangiavano. E io sono cristiano."
"
E dire che egli è padrone di duecento maiali: e tutti gli anni ne vende
più di cento, belli grassi, nutriti di ghiande del suo bosco sul monte,
che si vede a guardarlo anche dal nostro orto. E li vende ai cristiani, ma
con l'usura d'un giudeo."
Ecco che anche la vecchia si metteva canzonarlo: egli però non smetteva
la sua maestosa dignità.
"
Per forza li vendo ai cristiani; poiché qui non ci sono i nemici di
Cristo, sebbene i miei clienti in qualche modo lo sieno."
"
In che modo?"
"
Sono tutti ladri e imbroglioni: e se il porco me lo possono rubare dallo stabbio
non ci pensano due volte."
"
Tutto il mondo è paese", si azzardò a intervenire Aroldo;
ma il vecchio, pur avendolo bene osservato da capo a piedi e soprattutto in
viso e negli occhi, giudicò non essere necessario onorarlo di una risposta:
la sua attenzione era sempre più fissa a Concezione, della quale aveva
ben notato il profondo mutamento: eppure quel viso quasi di argento brunito,
quegli occhi una volta scuri e lucenti come l'onice, adesso sbiaditi e velati
di tristezza, e tutta la persona svuotata di lei, invece di pietà gli
destavano un senso d'irrisione.
Ma solo dopo aver pensato bene all'effetto che le sue parole potevano provocare,
domandò freddamente:
"
Che hai fatto Maria Concezione? Ti sei rinsecchita: sei come un albero che
ha perduto le foglie."
"
L'autunno viene per tutti: per voi è già inverno", ella
rispose; poi assunse un tono grave, e Aroldo capì che ella, più che
per il vecchio, parlava per lui. "Sono stata all'ospedale, perché avevo
un male grave al naso: mi hanno cavato molto sangue, ho molto sofferto, e ancora
non sto bene."
"
La tua voce però è chiara", osservò il visitatore,
non senza malizia. "Un mio amico, che aveva un verme nel naso, ha aspettato
che venisse fuori da sé; ma è rimasto senza voce. E tu hai fatto
male ad andare da quegli imbroglioni di dottori. Se stavi a casa e ti mettevi
al sole, il male se ne andava da sé."
"
Forse voi avete ragione: ma io non potevo più respirare; non potevo
più lavorare."
"
Lavorare! Che forse tuo padre, il beato Antonio Giuseppe, non ti ha lasciato
abbastanza da vivere? Dieci mila scudi, ti ha lasciato, oltre la casa e la
chiesa: e tu non li hai seppelliti sotto l'altare, no, ma da brava ragazza
li hai messi a frutto nella banca. E hai fatto bene."
Concezione arrossì: poiché Aroldo ignorava ch'ella avesse questo
capitale, come del resto lo ignoravano quasi tutti quelli del paese.
"
Non è vero niente", mentì; "io non possedevo che pochi
soldi; e li ho spesi adesso, per l'operazione e il resto."
Senza muoversi, senza più sollevare un dito, con le mani ferme una sull'altra
sul bastone che aveva messo traverso sulle ginocchia, egli ribatté:
"
Come, non è vero niente? Lo vieni a raccontare a me? Hai una bella faccia
tosta, fiore mio. Tuo padre, il beato Antonio Giuseppe, mio compare di battesimo,
poiché fu lui a far da padrino ai miei quattro nipoti, possedeva terreni,
boschi e bestiame: quando si sentì ammalare mi disse: bisogna che venda
tutto, e collochi a frutto i denari, poiché quelle povere donne non
hanno nessuno che possa badare alla roba; e le tasse e i ladri si pigliano
tutto. Vuol dire che quando la ragazza avrà l'età, e troverà un
buon marito, potrà ricomprare la terra e le bestie. E così fu
fatto. Tu avevi dieci anni, Maria Concezione, e ricorderai benissimo tutto."
"
Io non ricordo niente", ella disse con dispetto.
Imperturbabile, come se la presenza di Aroldo fosse quella di un'ombra, egli
riprese:
"
Io dissi, anzi: compare Antonio Giuseppe, due dei miei nipotini tuoi figliocci,
Pietro e Paolo, saranno grandicelli quando tua figlia sarà in età da
marito. Ed egli intese, e fu contento. Ma tu, Maria Concezione, non ne hai
mai voluto sentire; non hai esaudito il voto di tuo padre perché sembri
buona buona, ma hai il cuore di pietra, e la testa ancora più dura,
che un tuono te la spacchi".
"
Compare Felice!", protestò la vecchia, mentre Concezione rideva
di nuovo, fissando la sua tazzina di caffè.
"
Mandateli a balia, i vostri nipoti, se non sapete che farne", disse alzando
le spalle.
"
Ah, tu vuoi mandarli a balia; lo so io il perché; come so benissimo
perché, ti ridi di me e di tutti", ribatté il vecchio; poi
tacque un momento, e Aroldo ebbe quasi paura del silenzio che solo lo sbattere
un po' nervoso del cucchiaino di Concezione entro la tazzina vuota interrompeva.
Egli ascoltava calmo, domandandosi se non doveva andarsene; ma aveva l'impressione
che il vecchio parlasse per lui, per fargli conoscere la vita, il carattere,
i mezzi di esistenza di Concezione, e possibilmente distoglierlo dai suoi progetti
amorosi.
E infatti il Giordano riprese:
"
Te lo dico io il perché. Tu sembri la sorellina della Madonna, ma il
tuo aspetto inganna, figlia cara, inganna. Per questo rassomigli ai tuoi avi
paterni; dico paterni, perché quelli materni erano tutti di buona pasta;
prova ne abbiamo in questa donnina che, lei davvero, è madre e sorella
di Maria Santissima."
"
Amen" disse Giustina, che d'altronde non sembrava troppo lusingata. "Di
mio marito, almeno credo che la tua mala lingua non possa dir nulla."
"
Tuo marito, il beato Antonio Giuseppe, era mio compare di battesimo; e non
lo sarebbe stato se non più che galantuomo. Era uno stendardo, tuo marito,
una bandiera da processione. Ma suo padre, e il padre del padre, salve siano
le anime loro, se ancora non sono, mettiamo, in purgatorio, tutti sanno che
tipi erano. Belli a vedersi, belli come statue, ma... ma..."
Questa volta fu Concezione a protestare fieramente:
"
Parlate, parlate pure. Non c'è ragione che un uomo come voi, che non
rispetta i vivi, debba rispettare i morti."
"
Non sono venuto per questionare", riprese egli tranquillo: e dalla sua
bocca satiresca le parole continuavano a fluire sonore e uguali come l'acqua
d'una fontana: "sono venuto per salutarvi, poiché da molto tempo
non ci si vedeva. Ma se tu proprio lo vuoi, Maria Concezione, ti ricorderò che
il padre di tuo nonno aveva fama di aver preso parte, anzi di essere stato
il capo di una spedizione brigantesca contro un ricco prete che, del resto,
sia pace all'anima sua, era un mezzo brigante anche lui, e si era arricchito
coi denari della chiesa. Fra le altre cose, poi, si diceva che, pena la scomunica,
o il rifiuto di celebrarne il matrimonio, egli pretendeva la prima notte di
una sposa; e altre ribalderie. Questo indegno servo di Dio, si era costruito
un palazzotto, in una sua vigna, e là se ne stava spesso, facendo il
vino forte e l'acquavite con le sue mani, e poi invitando i suoi amiconi a
godersela in allegra compagnia. Fu dopo uno di questi festini, partiti gli
amici, che un gruppo di uomini mascherati assalì la casa del prete,
e poiché egli rifiutava di rivelare il nascondiglio dei denari, i bravi
ragazzi lo legarono e lo misero col sedere nudo su un treppiede infocato: in
modo che il marchio gli rimase per tutta la vita.
"
Favole!", disse Concezione. "E questa faccenda del treppiede si racconta
per tante altre invenzioni del genere."
"
Va bene; ma accadde questo. Dopo il fatto del prete, e altre imprese minori,
il tuo bisnonno, che era un povero pastore di capre, acquistò terreni,
vacche, case: morì ricco, e più ricco diventò il tuo nonno,
che seguiva, più cautamente, sì, ma con fortuna, l'esempio paterno.
La scomunica del prete, però, gravava sulla vostra famiglia: i fratelli
del tuo nonno morirono tutti di mala morte; e a lui, in seguito ad una infezione,
dicono venuta da una ferita, gli fu amputato il braccio destro, quello che
commetteva le male azioni. Allora il diavolo si fece eremita: egli costruì questa
chiesetta, e queste stanze per abitarci anche lui e i suoi discendenti e far
dire una messa tutte le domeniche e le altre feste comandate in suffragio dell'anima
sua. È favola anche questa, Maria Giustina?"
La donna non risponde: il suo viso però è triste, serio, ed anche
Concezione non protesta più. Dopo tutto, pensa, e meglio che Aroldo
sappia queste cose: si rassegnerà più facilmente. E tutti, ella
e sua madre lo sanno benissimo, tutti, in paese e nei dintorni, ripetono le
storie raccontate dal vecchio Giordano. Egli insiste:
"
Compare Antonio Giuseppe, anima buona, obbedì al padre; e fece del bene
ma provvide anche perché, dopo la sua morte, la vedova e la figlia vivessero
tranquille come adagiate fra due guanciali. Bene fece: chi non lo approva?
Il primo sono io, che dovunque passo onoro la sua memoria. Ma tu, Maria Concezione,
perché vuoi disconoscere la bontà di tuo padre? perché ti
fingi povera, costretta al lavoro, mentre lui ti ha lasciato come una signora?
Hai paura che ti rubino la tua roba? Oh, certo, stai attenta, che qualche gabbamondo
non ti si metta davvero intorno, o qualche brigante non ti faccia lo scherzo
che il tuo avo fece al prete."
Aroldo rise, ma a denti stretti; un riso che gli rimase in gola, pur facendogli
scintillare gli occhi. Avrebbe voluto rispondere al vecchio, difendersi, poiché si
sentiva aggredito da lui; ma sentiva pietà di Concezione e per sfuggire
alle ulteriori umiliazioni di lei decise di andarsene. Ma sarebbe tornato,
oh, sì, sarebbe tornato; le parole del rozzo proprietario di porci,
non smuovevano il suo cuore: e se Concezione era ricca, tanto meglio per lei.
Egli l'amava, povera: l'amava anche così com'era adesso, malata, appassita:
anche come la coloriva il vecchio, ingannevole e forse cattiva e crudele. Scacciato,
egli se ne andava; poiché non poteva difenderla; né aveva il
diritto di difendersi dalle insinuazioni dell'uomo selvatico, senza provocarlo
oltre; ma sarebbe tornato, come si torna alla fontana, come si torna in chiesa.
"È
tardi", disse, alzandosi; "io vi saluto."
Non guardò Concezione, ma ebbe come l'istinto di sollevarsi, di allungarsi,
per apparirle più alto, dritto e lineare; poi cercò la sua borsa,
si cacciò bene sul capo il berretto a visiera, che gli ringiovaniva
il viso fino a farlo apparire quello di un fanciullo, sollevò la mano
per salutare e s'avviò. Maria Giustina lo accompagnò sin fuori
della porta. Era una notte umida ma tiepida: i monti, di un nero fulvo fumigavano
come enormi carbonaie, e intorno alla luna si stendevano grandi nuvole giallognole
trasparenti. Anche l'orto, tutto bagnato come dopo una lieve pioggia, rifletteva
quel chiarore.
Aroldo si fermò, indeciso: pareva volesse dire qualche cosa, poi scosse
le spalle per tirarsi ben su la borsa, e andò via a lunghi passi. La
vecchia ne seguì l'alta figura finché non sparve dietro il cancello,
e sospirò: aveva l'impressione che il giovane fuggisse, giustamente
offeso, e volle dimostrare il suo risentimento al vecchio maligno, che la prevenì con
evidente soddisfazione:
"
Quando andrò via io", disse, "tu certo non mi accompagnerai,
come hai fatto con quello spilungone. Ma che voleva, costui, da voi? Ha gli
occhi di gatto e il sorriso del gabbamondo. Sì, accennavo a lui, quando
ho parlato di questi: poiché so che frequenta la vostra casa, ed è figlio
di nessuno."
"
Siamo tutti figli di Dio, Felis Giordano; e la nostra casa è frequentata
solo da galantuomini."
"
Sì, lo so; vengono qui i vecchi amici di Antonio Giuseppe, e le vostre
amiche devote alla vostra Madonna, e il pretino mio nipote, tre volte santo,
e il dottore e il flebotomo quando vanno a spasso; ma anche la gente della
strada si ferma da voi, e voi fate eguale accoglienza a tutti. Questo spilungone,
poi, lo sa lui cosa vuole."
Concezione era stanca e irritata: lo fissò con gli occhi ravvivati da
una luce di fierezza e disse, con sorpresa e piacere della madre:
"
Questo giovane è il mio fidanzato."
Allora il vecchio tirò su il bastone e picchiò forte il pavimento.
"
Bene; lo dicevo io, Maria Concezione, che si vuole farti la festa come al prete,
per spillarti i soldi."
"
Finiamola", disse la madre: e poiché aveva un certo timore del
compare cercò di essere conciliante. "Non ti accorgi, Felis, che
la ragazza ti prende in giro? Il giovinotto è bravo e onesto; viene
qui perché Concezione gli confezionava le camicie, come fa con altri
clienti, paesani e forestieri: ma altro non c'è né ci può essere.
Dimmi piuttosto dove sei stato tutto questo tempo. E adesso ti darò anche
da bere; è vino buono, lo avevo comprato per rinforzare Concezione,
ma essa non ne vuole. Bevilo tu, alla sua salute."
Gli portò un bicchiere di vino, ed egli parve convinto.
Anche Concezione si placò: dopo tutto, che le importava se Aroldo era
andato via, forse per non più ritornare? Oramai tutto è finito,
con lui e col resto del mondo. Sei sola col tuo destino, Maria Concezione,
e basta che la tua mano sfiori il tuo seno per ricordarti che la tua sorte è chiusa.
Anche le parole del vecchio non possono più che sembrarti vane come
il rumore del vento nella valle. Sorride di nuovo quindi, ma di un sorriso
vago e rassegnato, quando il vecchio, dopo aver bevuto, disse lo scopo della
sua visita: e la sua voce, adesso che Aroldo se n'era andato, e anche nel dubbio
che si fosse fermato fuori ad ascoltare, si abbassava e prendeva un tono più naturale.
"
Anzitutto si tratta di questo: Marcello il fabbro vuol rivendere il terreno
che Antonio Giuseppe gli ha venduto prima della sua morte. Ha bisogno di denari,
Marcello, perché i suoi nipoti studiano e vogliono diventare dottori;
e anche perché vuole ingrandire la sua casa. Insomma, sono fatti che
lo riguardano. A noi riguarda il fatto che egli vuol vendere il terreno a ottime
condizioni, e siccome nell'atto di vendita di Antonio Giuseppe è detto
che, in caso di rivendita, è da preferirsi lui o i suoi eredi, così io
vengo da voi per sapere che intenzione avete."
Madre e figlia si guardarono; ma Concezione pareva non avesse né la
forza né la volontà di rispondere.
"
Le nostre condizioni non sono mutate, dopo la morte di mio marito. Siamo sempre
donne sole, Felis, e non intendiamo di prenderci dei grattacapi."
"
Ma le vostre condizioni potrebbero mutare, e presto. Tu hai creduto che scherzassi
proponendo per tua figlia uno dei miei nipoti. Non sono poi dei bambini come
dice la superbona: hanno compiuti i ventitré anni e sono bravi e forti
in tutto. Pietro lavora già per conto suo: ha cinquanta vacche, e le
fa fruttare come cinquanta tesori. Paolo è con me, e lavora giorno e
notte senza mai stancarsi. Buoni tutti e due, senza vizi, sani e coraggiosi.
Ed io voglio Maria Concezione per uno di loro."
"
Voglio! Bisogna vedere se vuole lei",disse la madre, che non sapeva se
rallegrarsi o no.
"
O l'uno o l'altro. Scegliere."
"
Già, come si sceglie il frutto più maturo. Ma sai che vai per
le spiccie, fratello mio? Se neppure conosciamo bene i due ragazzi."
"
Ti ripeto che sono due giganti, belli e gagliardi. Gente tutta brava, siamo
noi; si conosce la nostra vita fino alle radici, e abbiamo in casa un sacerdote;
quale famiglia è più onorata e laboriosa? Anche mia figlia, la
madre dei ragazzi, lavora come una serva: sempre a far pane, a lavare i panni,
a preparare il cibo, a cucire e badare alla casa. Serafino, il nostro prete,
vorrebbe farla aiutare da una serva; ma lei non vuole donne estranee in casa.
Maria Concezione solamente potrebbe contentarla."
Un po' ironica, ma anche lusingata la madre si volse di nuovo a Concezione.
"
Ebbene, che dici, tu? Spetta a te rispondere."
"
Per quanto riguarda il terreno, avete risposto bene voi: e non se ne parli
più. Direte a Marcello il fabbro che cerchi un altro compratore: noi
non faremo nessuna opposizione. Riguardo al resto, è tutto uno scherzo:
ed io non ho voglia di scherzare, specialmente adesso."
"
Tu sei pallida, figlia", disse la madre; "va a letto; ti sei già abbastanza
strapazzata, oggi: e questo non era il consiglio del dottore. Va: farò compagnia
io al nostro vecchio Felis."
Egli però non voleva andarsene con un pugno di vento in mano.
"
Maria Concezione, pensaci bene: tu neppure conosci i miei ragazzi. Ebbene,
domani è domenica: li farò venire alla messa della vostra chiesa:
poi te li porterò qui."
"
Portateli pure, come due cagnolini", ella rispose, alzandosi. "Li
conoscerò volentieri; ma poi mi lascerete in pace."
"
Due cagnolini? Due leoni, sono; due querce fiorite, e tu faresti bene a rispettarli."
"
Io rispetto tutti; ma voglio essere lasciata in pace. Buona notte."
La sua voce era dolce e stanca; l'ombra delle sue ciglia si sbatteva sulle
occhiaie livide. Quando fu andata via, il vecchio parve anche lui diventare
triste, o almeno pensieroso. Riprese il bicchiere, che aveva deposto per terra,
e abbassò ancor più la voce:
"
Sì, è molto consunta, tua figlia: bisogna farla risanare. Dovresti
darle sugo di carne, zabaioni, uccelli arrosto. Mi fido di te, Maria Giustina:
bisogna che la ragazza si riprenda. E caccia via quel forestiero: non è uomo
per voi: è un omuncolo di stracci, nonostante la sua statura. E se torna
qui, e ancora infastidisce la ragazza, ci penserò io a metterlo a posto."
Concezione sentì queste parole, ma non si irritò. Era veramente
stanca, e desiderava solo dormire: ma coricata che fu, nel grande letto freddo,
dalla parte del muro, ricordò che bisognava prima recitare le sue preghiere,
per i morti e per i vivi: per tutti, anche per quel vecchio illuso, che continuava
a far progetti a bassa voce, uno più vano dell'altro. Quando egli finalmente
se ne andò, ella poté pregare meglio. Le pareva di essere ancora
nel lettuccio dell'ospedale, e si sentì a addosso l'odore dell'alcool
col quale le avevano pulito le spalle. Una suora notturna, vestita di nero
e viola, col viso lunare, coi piedi agili e silenziosi come quelli dei felini,
le sfiorava la fronte con la mano tiepida. Era un contatto piacevole, che a
Concezione ricordò quello della mano di Aroldo: ma subito ella scosse
la testa sul guanciale, per liberarsi dal ricordo. E Aroldo sparisce: rimane
la suora, nera e viola e bianca come la notte; Concezione finge di dormire,
e aspetta con pazienza di essere lasciata sola. E quando è sola, nella
sua cella a pagamento, che è al pian terreno dell'ospedale, scivola
dal letto, si avvolge nella coperta e fugge. Perché faccia questo non
lo sa neppure lei: si sa nulla di preciso nei sogni? Dapprima tutto le riesce
facile, rapido: tutto è liscio e lucido. La strada davanti all'ospedale è selciata
di lastre di granito, e una fila d'alberi giovani la ombreggia. Altri alberi,
vecchi, neri, si sporgono dal muro dell'orto attiguo al giardinetto dell'ospedale
e questo muro, verdiccio di musco, non è tanto alto che Concezione non
possa vederci sopra: e vede, infatti, la distesa dei cavoli coi loro bocci
chiari, e, in fondo, una casa a un piano, con una piccola loggia di ferro arrugginito.
Sui vetri della finestra batte la luna, e Concezione rabbrividisce, come se
quel chiarore fosse un fuoco fatuo: infatti ella sa che la casetta è disabitata
perché si dice che dentro ci siano fantasmi. Eppure si attarda a guardarla,
attirata da un fascino pauroso; finché le sembra che un'ombra passi
dietro i vetri; allora riprende la sua corsa, sboccando nella strada che conduce
a casa sua. Altri alberi sorgono lungo il ciglione sopra la valle, e la luna
va di ramo in ramo, come un uccello d'argento, ma più in là corre
anch'essa sul cielo latteo, precedendo e facendo luce a Concezione, finché si
fermano tutte e due, come a guardarsi e dirsi qualche cosa. E d'un tratto la
fuggiasca si accorge che ha perduto per strada la coperta; ma non ha freddo,
sebbene vestita di un leggero abito di stoffa nera, lo stesso che indossava
da ragazzina, quando andava alla scuola del paese, con la borsa dei libri fatta
della stessa stoffa del vestito, il tutto confezionato dalla madre.
Una fettuccia chiude la borsa, che ella dondola come faceva il chierico con
l'incensiere, nella chiesetta paterna; ed ecco, d'improvviso, questo ragazzo
nero di bronzo, con gli occhi tanto grandi che pareva non potesse aprirli del
tutto, le salta dietro e le ferma la borsa. Spavento e gioia, anzi allegria,
la fanno tremare e ridere.
"
Ma io non rido", dice il ragazzo, "non rido, no, hai capito?"
Ella cessa di ridere e stringe la bocca per non rispondere, come faceva Aroldo
quella sera, mentre il vecchio parlava. Ed ecco Aroldo nel sentiero che viene
su dalla valle: ritorna dal lavoro, con lo zaino sulle spalle; e il ragazzo
sparisce, ma prima dà un urlo che sveglia Concezione di soprassalto,
fredda di angoscia. Sentì la madre che russava lievemente, dall'altra
parte del letto, e le si accostò per scaldarsi, ancora con l'impressione
di essere ragazzetta, di aver paura delle voci notturne, di cercare insomma,
protezione. Ma non poté riaddormentarsi, e neppure ricominciare le sue
preghiere: il calore del corpo della madre e lo stesso russare di lei, al quale
era abituata, le diedero però una sensazione di benessere, di difesa,
anzi, tanto che le parve di poter guardare dentro di sé, nei suoi ricordi,
che erano appunto i suoi peggiori nemici, e di vincerli, una buona volta, e
non pensarci più.
Ricominciò dai suoi ritorni dalla scuola, quando aveva undici anni,
e si fermava, arrampicandosi sul muro, a guardare l'orto dei cavoli e la casa
col balconcino di ferro. Una famigliuola povera ma quieta, abitava il luogo;
l'ortolano, la moglie, un ragazzetto bruno coi denti lucidi sempre pieni di
fili d'erba come quelli dei capretti: era il chierico che assisteva la messa
nella chiesetta: voleva farsi prete, ma poi cambiò idea: cambiò anche
spesso di mestiere, senza riuscire mai a concludere niente. Gironzolava sempre
intorno alla chiesetta, e un giorno, quando Concezione aveva quattordici anni,
egli la sorprese sola in casa e l'avrebbe violentata se la madre non fosse
sopraggiunta a tempo, scacciandolo come un ladro e minacciando di denunziarlo
alla polizia. Eppure Concezione si sentiva attirata verso di lui da un potere
malefico, o meglio da un fascino sensuale superiore a ogni sua volontà.
Nonostante la sorveglianza della madre trovava modo d'incontrarsi con lui:
ed era un idillio quasi feroce, da giovani belve in amore, favorito dai recessi
del luogo: macigni, cespugli, muricciuoli, erbe alte, anfratti, solitudine
e spazio.
Concezione però resisteva validamente alle carezze di lui, ed egli,
d'altronde, diceva:
"
Tua madre non mi vuole perché sono povero e disgraziato: ma vedrai,
troverò il modo di diventare ricco, e ti sposerò, vedrai."
Un giorno, infatti, apparve vestito di nuovo da capo a piedi, con belle scarpe
e il taschino del corpetto gonfio di monete. E regalò a Concezione un
anello d'oro, che doveva essere quello del fidanzamento. Ma pochi giorni dopo
fu arrestato, assieme con altri, per fabbrica e spaccio di monete false. Condannato
a vari anni di carcere, s'impiccò nella sua prigione. Questo era il
segreto e l'inutile rimorso di Maria Concezione.
La prima ad alzarsi, la mattina dopo, fu la madre. Giornata grigia, anche
questa, e rigida: svanita la nebbia, i monti apparivano nudi, con le macchie
livide dei boschi, le chine solcate da striscie rossastre, come schiene scudisciate.
"
Avremo la neve", annunziò la vecchia, e per confortarsi accese
subito il fuoco e mise a bollire l'acqua per il caffè.
A momenti arriverà frettoloso, con la sciarpa al collo, il piccolo prete,
seguito dal chierico. Sebbene nessuna campana la annunziasse, parecchia gente
veniva dal paese per ascoltare la messa nella chiesetta: e Maria Giustina ne
era orgogliosa, come se i fedeli venissero per rendere omaggio a lei. A sua
volta ella aveva una profonda adorazione per Serafino, il giovine prete, che
tutte le domeniche si sacrificava a venire fin laggiù, sebbene malaticcio
e anzi, si diceva, toccato da un male ai polmoni. Il caffè era per lui,
ed ella glielo serviva nella piccola sagrestia, mentre il chierico si scolava,
dietro l'altare, il rimasuglio del vino per la messa. Nella piccola sagrestia
ella apparecchiò sopra il tavolino accanto alla finestruola verde, poi
andò ad aprire la porticina laterale della chiesa. Ed ecco, nella luce
ancora crepuscolare della lontananza, nella strada sterrata, vide avanzarsi
la figura nera del prete: camminava che pareva avesse le ali, ed ella provò,
al guardarlo, una tenerezza, uno struggimento materno: avrebbe voluto accoglierlo
fra le sue braccia, riscaldarlo come un bambino. Ne sentiva la tosse, lo vedeva
stringersi il cappotto sul petto; e avanzarsi di corsa; il chierichetto sbilenco
e quasi gobbo si attardava invece a sbattere una fronda contro i cespugli lungo
la proda erbosa della strada.
Non potendo far altro, ella spalancò la porta e salutò con un
profondo inchino il sacerdote, mentre egli ne faceva uno eguale alla Madonna,
dirigendosi poi rapido alla sagrestia.
"
Com'è pallido", ella pensava; "è giallo, anzi: le sue
mani rassomigliano alle zampe di un uccellino Mentre quell'animale..."
Il chierico non si affrettava: adesso sbatteva la fronda contro il muricciuolo
dello spiazzo, con una smorfia che gli tirava in su la bocca fin quasi all'orecchio.
"
Maledetto scarabeo", disse la vecchia: "tu fai aspettare quel santo,
mentre egli è tanto buono con te."
E gli strappò di mano la fronda, col desiderio di provargliela sulle
spalle; non lo fece, anche perché sopraggiungeva un gruppo di donnicciole,
quasi tutte vecchie, col naso rosso per il freddo.
Nella sagrestia il prete si vestiva, senza aspettare l'aiuto del chierico,
che del resto si affaccendava ad accendere i ceri e guardava nell'armadietto
accanto all'altare se c'era l'ampollina col vino bianco: c'era, ed egli avrebbe
voluto già assaggiarlo, ma ebbe paura della vecchia che, entrate le
donne, aveva socchiuso la porta e risaliva verso l'altare.
Altri fedeli arrivavano; vecchi contadini che fin dal tempo della loro fiera
giovinezza frequentavano la chiesa; anche qualche giovane; anche Aroldo. Sembrava
un signore; indossava una gabardine con le tasche gonfie; e una sciarpa bianca
e rossa intorno al collo faceva apparire il suo volto fresco e colorito come
una rosa. Si mise in fondo alla chiesetta, nell'angolo dietro la porta, e guardò se
si vedeva Concezione. No, non si vedeva: forse stava ancora a letto, forse
si sentiva ancora male. Una tenerezza simile a quella che le donne lì raccolte
sotto l'altare provavano nel guardare i piedini mossi del santo Bambino, gli
riscaldò il cuore. Era quasi contento che ella fosse sofferente: poiché solo
così spiegava il contegno duro di lei, i suoi propositi di solitudine
e di distacco dalle cose del mondo: ma subito egli vinse questo suo istinto
che in fondo era di egoismo. No, ch'ella sia sana e forte come prima; ch'ella
sia felice e buona; per se stessa e per gli altri. Non importa che sia cattiva
con me; ella può calpestarmi, come voi, Madonnina, fate col serpente:
mi parrà di essere sotto i vostri piedi, non come il serpente, ma come
la luna, e di essere contento lo stesso.
Così egli pregava, ancora in piedi, col cappello di feltro grigio fra
le mani, guardandosi le scarpe gialle ben lucidate; e si sentiva davvero contento.
Gli bastava di amare: e il sangue gli scorreva caldo nelle vene, e la giovinezza
gli fioriva intorno, nella chiesetta fredda, con tutte le rose della speranza
e dei buoni propositi. Ma d'un tratto la porta fu aperta bruscamente, ed entrarono,
quasi spingendosi l'un l'altro, due uomini giovani, che cominciarono a farsi
grandi segni di croce con l'acqua santa, ma volgendo le spalle all'altare.
Poi sedettero sul sedile in muratura lungo la parete, poco distanti da Aroldo.
Sembravano due gemelli, piuttosto piccoli e tozzi, con le grosse teste brune
ricciute e il viso scuro con le labbra tumide e rosse e le sopracciglia grandi
e folte. Rassomigliavano al vecchio che Aroldo aveva la sera prima lasciato
dalle donne, anche nel modo del vestire, col cappotto corto e le uose di lana
ricadenti sulle scarpe a chiodi unte di sevo.
"
Devono essere i nipoti di quel vecchio prepotente", egli pensò rabbuiandosi;
e gli sembrò di sentirne l'odore selvatico; ma sbirciandoli bene, dai
capelli oleosi alle grasse mani olivastre con le unghie nere, pensò che
non erano tipi da piacere a Concezione.
Quando il prete apparve sull'altare, entrambi i due giovanotti si buttarono
in ginocchio, più per timore di lui che per devozione. Aroldo, rimasto
in piedi, li vedeva davanti a lui come un paio di giovenchi ancora non domati,
e maggiormente si rinfrancava; si sentiva alto, sopra di loro, alto fino alla
luna ai piedi della Madonna; e di nuovo ebbe piacere che Concezione non venisse,
poiché gli sembrava che il solo sguardo di quei zoticoni l'avrebbe offesa
e profanata.
Quando però la messa fu terminata, ed egli uscì col proposito
di andare dalle donne e portare a Concezione il nuovo regalo che aveva in tasca
per lei, vide con dispetto che i due fratelli, sempre spingendosi a vicenda,
forse per farsi coraggio, si dirigevano anch'essi al cancelletto dell'orto.
Allora scantonò; discese un tratto del sentiero che andava giù dalla
strada nella valle, poi risalì, confuso e disorientato, e stette a spiare
accanto alla siepe dell'orto.
Quei due erano entrati nella cucina delle donne, senza bussare, senza chiedere
permesso; non c'era nessuno; però si sentiva la voce di Giustina nella
sagrestia, dal cui uscio socchiuso usciva l'odore del caffè. Uno dei
fratelli si spinse cauto a origliare, ma tornò indietro facendo segni
di comico spavento: poiché aveva sentito la voce fievole di Serafino,
che parlava con la vecchia; e tutti, nella famiglia Giordano, compreso il nonno,
avevano una grande soggezione, quasi una sacra paura, del giovane prete. Era
lui, in fondo, il padrone assoluto della famiglia: parlava poco, ma tutti di
casa sapevano quello che si doveva fare: e la madre, soprattutto, gli obbediva
come una bambina docile.
I due fratelli, quindi, che erano arrivati fin là per ordine del vecchio,
con la speranza che appena finita la messa Serafino sarebbe andato via, si
guardarono negli occhi, e mentre l'uno ammiccava con malizia, l'altro fece
una smorfia col labbro superiore e col naso, come nel sentire un cattivo odore.
Ma erano quasi contenti che le cose procedessero così: nessuno dei due
conosceva Concezione e la consideravano una vecchia zitella: quell'offrirsi
poi in società, affinché lei scegliesse uno di loro "come
si sceglie la pera più matura", li umiliava e li divertiva nello
stesso tempo: nel venire alla messa, via per la strada solitaria, si erano
dati parecchi spintoni: "avanti tu, Giudeo, che sei il più bello:
avanti tu, Maccabeo, che sei più alto di un centimetro", e in coro
ripetevano un ritornello, non riferibile, nel quale una donna esprimeva il
desiderio di trovarsi nuda fra due giovanotti.
Ed erano anche contenti di farla franca col nonno, che, forse per prendersi
la rivincita della ferma padronanza di Serafino, li comandava a bacchetta,
minacciando ancora di bastonarli se non filavano dritti. Adesso si era messo
in mente quest'idea del matrimonio con Concezione, ed essi sentivano che se
non venivano respinti da lei, lo scampo era difficile.
Uscirono dunque dalla cucina, decisi, almeno per questa volta, a svignarsela:
nell'orticello videro il chierico, che si leccava ancora le labbra per il sapore
del vino, e con la sua ghigna storta pareva deriderli. Il maggiore gli accennò con
l'indice di avvicinarsi, e gli disse minaccioso:
"
Guardati bene, animale, di dire a nostro fratello che ci hai veduto qui, altrimenti
ti mettiamo dentro un sacco come un porchetto."
E risero, ricordandosi che spesse volte avevano eseguito la faccenda con qualche
porchetto magari di comune accordo rubato nell'ovile del nonno; poi se ne andarono
spingendosi per le spalle allegramente. Aroldo, dietro la siepe, aveva veduto
e sentito tutto; per il momento provò di nuovo un senso di speranza,
e attese che anche il pretino se ne andasse. Serafino però si attardava
presso le donne. La vecchia disse che Concezione non aveva assistito alla messa
perché ancora non si sentiva bene, ed egli espresse il desiderio di
vederla. La madre andò a cercarla e subito dopo Concezione, alzatasi
nel frattempo, entrò nella sagrestia. Era grigia in viso e tremava di
freddo: a Serafino però bastò uno sguardo per accorgersi ch'ella
fingeva di essere sofferente più di quanto lo era. Disse la madre:
"
Ma andate a sedervi accanto al fuoco: discorrerete meglio".
Né l'uno né l'altra però avevano voglia di cose piacevoli:
ed entrambi, come d'intesa, scossero la testa, restando in piedi presso l'armadio
ove egli aveva riposto i suoi paramenti, sotto la luce cruda e verdastra della
finestrina sulla roccia. Dall'uscio della chiesetta veniva ancora l'odore dell'incenso,
ma freddo, funebre; e la piccola cella, con alcuni vecchi candelabri scrostati
in un angolo, aveva il clima di una tomba. Il primo a riprendersi dalla tristezza
di tutte quelle cose, fu Serafino: esilissimo nella sua sottana accurata e
quasi elegante, coi capelli un po' crespi intorno alla chierica, come cespuglietti
intorno a una radura, aveva anche lui, come il nonno e i fratelli, una strana
aria selvatica, fra di uccello di rapina e di santo eremita: le sue mani gialle,
un po' adunche, facevano contrasto con gli occhi grandi, dorati e buoni. Fissandoli
bene in faccia a Concezione, disse:
"
Perché non sei venuta alla messa?"
Ella piegò la testa; e avrebbe voluto dirgli tutte le sue pene, e l'esito
dell'operazione subìta, ma si vergognava, ed anzi, istintivamente, si
stringeva le mani al seno, per nasconderne il vuoto. Tuttavia, con una tenue,
umile voce di confessione, disse:
"
Sono malata, non lo vedi? Non mi reggo in piedi. Sono uscita ieri dall'ospedale,
e mi sento estremamente debole. Forse non guarirò più."
"
Questo lo sa solamente il Signore. O tu non hai più fede?"
Allora ella ricordò che anche lui era malato, di un male più certo
e inguaribile del suo, e tuttavia viveva e operava come un uomo forte e sano;
e ne provò conforto. Un senso di luce le veniva dalle parole di lui.
Sollevò il viso, lo guardò e proseguì:
"
Il primario dell'ospedale mi raccomandò di tenermi riguardata, di non
strapazzarmi, di non cercare emozioni. Io ho fede, sì, e voglio vivere,
per mia madre, per fare, se posso, un po' di bene. Ma ho bisogno di essere
lasciata tranquilla."
"
Hai qualcuno che ti molesta?"
"
Sì, ieri sera è venuto qui tuo nonno. Io ho un grande rispetto
per lui, anche perché era amico di mio padre. Ma ieri sera mi ha fatto
quasi paura. Vuole che io sposi uno dei suoi nipoti, uno dei tuoi fratelli,
Serafino. Mi disse che questa mattina sarebbe tornato con loro, per farmi scegliere;
ed io non posso, proprio non posso."
Uno sdegno mal represso fece arrossire il prete: adesso capiva perché i
suoi fratelli erano venuti alla messa; il vecchio, che all'alba era ripartito
per l'ovile, poiché qualcuno gli aveva portato la notizia che la sera
prima, mentre egli si perdeva in chiacchiere nella cucina delle donne, gli
erano stati rubati venti porci, piuttosto che portarsi appresso i due giovani
alla ricerca dei ladri, aveva preferito mandarli nella chiesetta. Più che
i porci gli premevano gli scudi di Concezione!
"
Io non posso sposarmi", ella riprese, ferma e triste. "Non è superbia; è necessità.
Non posso sposarmi, né coi tuoi fratelli, né con altri. Mai,
mi sposerò: ma voglio essere lasciata in pace. Cerca di convincere tuo
nonno. Dopo tutto egli ha in vista, per questo suo progettato matrimonio, solo
quei pochi maledetti soldi che mi ha lasciato mio padre."
"
Appunto perché te li ha lasciati tuo padre, non devi maledirli."
"
No, Serafino, lui lo sa benissimo, e tutti lo sanno. Quei denari vengono da
una sorgente di colpe, forse di delitti: ed io ci rinunzierei volentieri se
non fosse per mia madre. Ma ella ci tiene; e dopo tutto vivere bisogna. Io
morrò presto, Serafino, ma se dovessi campare dopo mia madre, ti assicuro
che con quei denari riatterò la chiesa e farò elemosine: e se
occorre mi metterò sulla porta a mendicare."
"
Uh, uh", disse Serafino, facendo dei gesti come per scacciare qualche
fantasma. "Non esageriamo, Concezione. Tuo padre era un uomo onesto e
lavoratore; e non sono poi milioni, quelli che ti ha lasciato. Riguardo al
resto, ti ripeto, Dio è grande: la vita, la morte, la salute nostra
sono nelle sue mani. Bisogna aver fede. Sai la parabola del fanciullo di Cafarnao?"
"
Non ricordo."
"
Ebbene, adesso non ho tempo, perché devo andare alla Cattedrale per
gli uffici divini. Ma domenica prossima, racconterò a tutti, qui nella
chiesetta, quella parabola: poiché tutti siamo più o meno infermi
e abbiamo bisogno di guarire. Riguardo a mio nonno ed ai miei fratelli, sta
tranquilla; non ti molesteranno più: a meno che..."
"
A meno che?"
"
Uno di loro non ti piaccia. Sono bravi ragazzi, allegri, generosi. Molto giovani, è vero,
ma la buona moglie deve essere anche la madre del suo sposo."
Egli scherzava, certamente, e al vedere il viso ch'ella fece, di allarme e
di spavento, anche lui ritorno serio:
"
Sai che cosa devo dirti, Maria Concezione? Tu sei un po' come la vita: tu mi
capisci: tutti guardano alla vita, con la speranza di riceverne piacere, denari,
amore: mentre invece la vita, in fondo, ci sfugge e non ci dà che delusioni
e spesso dolore. Mio nonno, i miei fratelli, altri, forse, guardano a te per
la tua fortuna, e ti credono una donna che oltre ai denari, può dare
anche felicità. Mentre anche tu sei una povera creatura debole e infelice."
Ella capiva: un sorriso spettrale fece vedere i suoi denti un po' grandi, d'avorio
lucidato: e Serafino strinse le labbra per non far vedere i suoi.
Aroldo lo vide andarsene, seguito dal chierico che si divertiva a tirargli
il lembo del cappotto; e fu geloso anche di questo pretino fatto di nulla e
di tutto, che si era trattenuto oltre il necessario dentro la casetta delle
donne. Si avanzò, ma prima di spingere il cancelletto si fermò di
nuovo a guardare giù verso la valle. Tutto sembrava pietrificato: anche
le erbe, i cespugli, gli alberi nudi e grigi. Col crescere del giorno cresceva
il freddo: un freddo opaco, fermo, incrinato appena dal grido di qualche passero:
ma bastava quel tremolìo di vita, e il fumo che saliva dal camino di
Concezione per sostenere la speranza dell'uomo solo e straniero. Senza cercare
oltre di nascondersi, egli penetrò nell'orticello e si avvicinò alla
porta: era chiusa, tiepida però del calore interno, e dalle fessure
usciva il profumo del caffè. Egli lo fiutò, come quello di un
fiore; avrebbe voluto inginocchiarsi sulla soglia, come il pellegrino davanti
al santuario chiuso: poiché era quello il suo rifugio, la sua sosta,
la sua gioia nella vita. Picchiò, una, due, tre volte, con la nocca
delle dita intirizzite: le donne non rispondevano, intente a rifare assieme
il loro vasto letto; ma per loro rispondeva la porticina, e pareva volesse
aprirsi da sé per lasciarlo passare.
Pazienza, Aroldo, oggi è proprio la giornata delle contrarietà;
tutto però si vince, con la pazienza, la buona volontà e soprattutto
con la forza dell'amore. E così, dopo qualche minuto, venne ad aprire
Concezione in persona: spalancò gli occhi, nel vederlo, in apparenza
contrariata; tuttavia egli vide la scintilla di gioia che le brillò nella
pupilla nera, dove si rifletteva l'immagine innamorata di lui, e non si disarmò se
ella, quasi sbarrandogli il passo, esclamò:
"
Così presto? Che vuoi?"
Egli avrebbe potuto rispondere che altre visite c'erano già state, prima
di lui; si contentò invece di sorridere, e trasse dalla tasca l'involto
che la gonfiava.
"
Sono stato alla vostra messa, Concezione. Oggi è la tua festa. Prendi."
E poiché ella non prendeva, ma anzi respingeva con ostilità il
dono, egli assunse un'aria desolata di bambino pronto a piangere: e se non
lo fece davvero, fu perché, sopraggiunta la vecchia, lo salutò benevolmente
e prese lei l'involto.
Tutto era buono, in quei tempi avari, quando la Banca diminuiva disastrosamente
l'interesse dei depositi, e Concezione non poteva più lavorare: e il
tempo minacciava la neve.
"
Entra, entra, figlio: tu sei sempre il benvenuto."
Egli entrò, guardingo, come un gatto in casa altrui: avrebbe voluto
sedersi nell'angolo dietro la porta, come il vecchio Giordano; ma la vecchia
lo spingeva verso il camino.
"
Non abbiamo finito la tua porchetta che già porti altra roba, sciupone
che sei. Che cosa c'è qui? Ah, del formaggio, e buono anche. Ebbene,
oggi si fa festa: vieni a mangiare con noi, a mezzogiorno: ti farò i
maccheroni."
Egli stava in piedi, a testa china, davanti al fuoco, col cappello fra le mani,
nello stesso atteggiamento assunto in chiesa: non osava accettare, ma il solo
invito lo consolava: avrebbe voluto accovacciarsi nell'angolo del camino, dire
con umiltà:
"
Lasciatemi qui; non fiaterò; tenetemi come un cane fedele, almeno fino
a che possa tornare al mio lavoro. Poiché nel paese non ci posso stare:
i miei compagni vanno dalle male donne, e poi all'osteria: poi camminano per
le strade, ubbriachi e contenti. Io mi sento smarrito, in loro compagnia. Non
bevo, non canto: la mia ubbriachezza e la mia gioia sono qui."
"
Vieni, o no?"
Egli volse la testa, cercando Concezione; era sparita; eppure si sentì più libero,
e disse di sì.
Tutto il giorno il cielo rimase basso, uniforme, l'aria gelida e immota: una
giornata cupa, che pareva meditasse un delitto e non si decidesse a consumarlo.
Si decise nella notte, nel buio, nel silenzio impressionante che l'aiutava
a compierlo. Ma era un delitto innocente, e quando alla mattina presto la vecchia
andò ad aprire la porticina la trovò sbarrata da un marmoreo
scalino di neve, e con una tenda mobile di merletto candido. Stette a guardare,
quasi felice come una bambina, sebbene lo spettacolo non le fosse nuovo; e
non richiuse del tutto la porta contro l'ospite gradita (la neve è la
lana dei campi, che al suo calore si fecondano felici), in modo che anche il
gatto si avanzò, fiutò, tornò indietro, starnutando.
Il fuoco fu presto acceso; bollì di nuovo il caffè; di nuovo
tutte le cose umili della casetta si rallegrarono. Si rallegrò anche
Concezione, nel grande letto tiepido che odorava di stoppia come un campo mietuto:
pensava che, almeno per quel giorno i suoi pretendenti non sarebbero venuti
a molestarla; eppure il ricordo di Aroldo non voleva lasciarla; e la figura
giovanile e sana di lui, la bocca fresca che non sapeva né di vino né di
tabacco, gli occhi pieni di azzurro il silenzio prudente ma appassionato di
lui, tutto le piaceva e le destava tenerezza. E di lui era sicura, poiché egli
si mostrava piuttosto intimidito e contrariato dalla notizia della ricchezza
di lei: ma l'ombra del suo avvenire non l'abbandonava: le pareva di essere
come una monaca, che non può e non vuole sciogliersi dai suoi voti:
e se respingeva Aroldo era per il bene di lui, per amore e non per altro. Maria
Vergine, tu che esaudisci chi si rivolge a te con la fede del cieco sicuro
di rivedere la luce in un'altra vita, Maria piena di grazia, accogli la preghiera
della tua povera Concezione: toglile dal cuore questa freccia, fa che non pensi
più ad Aroldo con desiderio carnale. Tre volte recitò l'Ave;
già alla terza sentiva il calore della protezione divina sfiorarle il
cuore, quando la madre entrò nella camera, e avvicinandosi allo scuretto
socchiuso della finestra, dopo aver passato la mano sul vetro appannato, disse:
"
Accidenti, anche con questo tempo c'è gente in viaggio."
Si vedeva, infatti, uno strano cavaliere avanzarsi nella strada solitaria,
nero il cavallo, che scuoteva di continuo la coda e le orecchie per liberarsi
da quelle innumerevoli mosche bianche che scendevano dal cielo; nera, tutta
imbacuccata in un mantello, con sproni da guerriero sulle scarpe alte, la punta
del cappuccio orlata di neve come la cima dei monti, la figura che lo cavalcava.
"
Oh", riprese la madre, sempre più sorpresa e incuriosita; "adesso
si ferma proprio qui davanti. È un uomo o una donna? Adesso smonta e
tira il cavallo verso il nostro cancello: pare voglia venire qui. Oh, Gesù e
Maria, è lei, quell'indiavolata di comare Maria Giuseppa."
E corse nella cucina ad aprire la porta. La donna con gli sproni era entrata
senz'altro nell'orticello, tirandosi appresso il cavallo e affondando vigorosamente
i piedi nella neve, gelata e granulosa come fior di farina: nell'arco del cappuccio
ben legato sotto il mento, si vedeva un viso pallido e grasso, con la bocca
stretta sormontata da due baffi che sembravano quelli di un adolescente: e
gli occhi neri corruscanti guardavano come quelli di una volpe dalla profondità della
sua tana. Anche la voce era maschia, e rimbombò nel silenzio del luogo.
"
Salute, e fatto tutto. Salute, comare Giustina. Mi volete o no? Ho la bisaccia
piena."
"
Piena o vuota, la bisaccia è vostra; mio è il piacere di rivedervi."
Allora l'ospite allungò le mani e carezzò il viso di comare Giustina;
poi, essendo pratica del luogo, portò da sé il cavallo sotto
la tettoia che copriva il pozzo e ospitava alcune galline freddolose: gli legò al
collo un sacchetto con dentro un po' d'orzo; tirò giù la bisaccia
e la sella e le portò dentro la cucina, avendo prima cura di scuotersi
di dosso la neve.
"
Non per me, ma per il cavallo mi sono permessa di fermarmi da voi; altrimenti
mi toccava di portare la povera bestia fin davanti al palazzo del Tribunale.
Ho un'udienza che durerà chissà fino a quando; poiché i
giudici, peste sia a loro, fanno il comodo loro."
Pur piegata a trarre la roba dalla bisaccia, fece molti gesti di scongiuro
contro i giudici, mentre l'altra, già intenerita per i regali che l'ospite
generosa portava, le faceva tanti complimenti.
"
Sempre voi, comare Maria Giuseppa; sempre intrepida e coraggiosa e giovane.
Ma perché sempre queste vostre liti, che non vi lasceranno in pace neppure
il giorno del Giudizio universale?"
"
Quello meno che mai: sarà però il giorno della vera giustizia,
quando io prenderò di mano a Lucifero, il tridente col quale inforca
i dannati, e lo adoprerò contro i miei nemici, nudi e crudi, maledetti
loro e tutte le loro generazioni."
"
Che causa è quella che oggi dovete discutere? Non si poteva rimandare,
con questo tempo? Non c'è l'avvocato?"
Senza smettere di trarre cestini e involti dalla bisaccia, la donna sollevò il
viso inferocito.
"
L'avvocato? Tre, ne ho avuto, che mi hanno rosicchiato le ossa fino al midollo.
I primi ad essere inforcati dal tridente di fuoco, nel giorno del Giudizio,
saranno loro. E li morderò, anche, perché i denti mi rimarranno
apposta anche dopo morta, tanta rabbia ho contro quei malfattori. Per adesso
l'avvocato delle mie cause sono io: e non ho bisogno di carta né di
penna: ho la lingua, e basta."
"
Calma, comare Maria Giuseppa: pigliate una tazza di caffè, che vi riscalderà e
vi farà bene. E datemi notizie di vostro marito."
"
Mio marito sta bene. Sordo come una pietra, beato come un angelo del cielo,
non si preoccupa di altro che della sua pipa, lui. Seduto tutto il giorno davanti
al fuoco, non pensa agli affari di casa, no: ma di lui vi racconterò dopo:
adesso ho fretta."
Sbuffante, accaldata come in un giorno estivo, per poco non versò addosso
all'ospite la tazza di caffè che questa le porgeva: poi, con un gran
botto, mise sul tavolo il cestino tratto dalla bisaccia.
"
Questo per Maria Concezione. Che fa, la bambina?"
Per lei, come del resto anche per la madre, Concezione era sempre una bambina;
e comare Giustina s'intenerì.
"
Sta poco bene: è ancora a letto: volete vederla?"
"
Adesso ho furia: alle nove devo essere in Tribunale, e di qui ci sono dei passi."
E corse via, come un fantasma nero; il fantasma dell'inverno; lasciando sulla
neve l'impronta bucherellata delle sue scarpe coi chiodi.
Maria Giustina non sapeva se ridere o stare seria. Voleva bene alla donna bisbetica,
ricca e litigiosa, con la quale da molti anni erano amiche, ma la considerava
alquanto pazza. Veniva costei da un paesetto sui monti, un povero gruppo di
casupole di pastori, del quale poteva considerarsi regina: aveva un marito
molto più vecchio di lei, che la lasciava libera nelle sue stravaganze:
senza figli, padrona di terre, di armenti, di molto denaro, era sempre in lite
coi confinanti delle sue proprietà; litigava per ogni più piccola
cosa; per diritti di passaggio, per limiti di pochi centimetri di terra, per
scoli d'acqua piovana, per alberi che sfioravano i muricciuoli di divisione:
e dilatava questi conflitti sino a farsene una continua appassionata lotta
vitale; non per avarizia, o per amor proprio, e neppure per istinto di proprietà,
ma perché aveva bisogno di agitarsi, di sfogare l'energia esuberante
del suo corpo robusto e della sua natura prepotente.
Concezione, ancora a letto, aveva sentito l'irruzione della comare di sua madre,
- comari di San Giovanni, poiché s'erano incontrate, spose e in viaggio
di nozze, ad una festa campestre, e, mentre i relativi mariti bevevano e giuocavano
alla morra, si erano legate di amicizia scambiandosi i fazzoletti sette volte
annodati, - e se ne rallegrava, per il diversivo che l'ospite portava nella
piccola dimora.
C'era sempre da divertirsi, con Maria Giuseppa: per le sue storie, i suoi contrasti,
le sue superstizioni, il suo fare chiassoso e sincero. I suoi regali, poi,
erano straordinari e ricercati. Aveva portato alla bambina cose rare: uva fresca,
pere, dolci di mandorle e un vaso di miele: e alla comare un intero prosciutto,
e latte cagliato secco.
"
Questa è proprio la casa dei regali", disse Concezione: "bisognerebbe
però ricambiarli."
"
Che vuoi ricambiarle? Già butterebbe tutto per aria, e poi ha tanta
roba, a casa sua, che non sa cosa farsene. E, infine, è la nostra Madonnina
che ci protegge: è lei che ci fa arrivare i doni."
Ci credeva anche Concezione: e su questa fede non cieca né fanatica,
ma tranquilla e luminosa, le galleggiava sempre, come la ninfea su un'acqua
trasparente, il fiore della speranza. Anche il suo male, forse, era un dono
misterioso, che l'avrebbe preservata dal peccato e da altri dolori. Sia fatta
la volontà di Dio.
Eppure Aroldo le tornava davanti, coi suoi occhi che parevano anch'essi due
fiori di luce: e pensava che quel giorno egli non sarebbe forse potuto tornare
al lavoro, passando così una ben triste giornata.
Per liberarsi dai suoi pensieri si alzò, sebbene sentisse molto freddo,
e disse alla madre, che almeno, bisognava preparare un buon pranzo all'ospite.
Impastò un po' di farina, con uova e strutto, e ne fece tante treccioline
che, dopo fritte, spalmò di miele: sì, davvero, le pareva di
essere tornata bambina. Anche la madre si dava da fare: odori buoni si sparsero
nella casetta: odori di ospitalità, e quindi quasi di festa. Anche il
cavallo non fu trascurato: Giustina lo abbeverò, mescolò un po'
di paglia all'orzo del sacchetto, gli batté la mano sulla testa: era
una bestia buona e paziente; pareva di legno nero verniciato: tanto che il
gallo prepotente, tutto giallo e rosso come una fiamma, gli beccava le zampe
quasi per assicurarsi se erano vere o finte.
E la neve continuava a cadere, meno fitta ma incessante, e lieve come il fiore
del biancospino che si sfoglia; e tale era il silenzio che fino alla cucina
arrivava il ruminare del cavallo e il pigolìo supplichevole delle galline.
Ma ecco, dopo mezzogiorno, a rianimare il luogo, tornò comare Maria
Giuseppa. Sedette anche lei nell'angolo della porta, come il vecchio Giordano,
col quale aveva qualche sfumatura di rassomiglianza, - erano per lo meno della
stessa razza, - dichiarando che aveva un caldo da crepare. Buttò giù il
mantello, e apparve in un costume di panno scuro orlato di giallo e di verde
che le stringeva la persona potente: la gonna era corta, tanto che si vedevano,
sopra gli scarponcini allacciati con stringhe di pelle, le calze di cotone,
bianche, con le cifre rosse: gambe salde, un po' divaricate dall'uso del cavalcare.
Dopo aver guardato bene Concezione, scuotendo la testa nel vederla così deperita,
cominciò a raccontare dell'udienza in Tribunale; ma pareva facesse,
più che alle sue ospiti, un resoconto a se stessa, con alti e bassi
di voce risonanti. E imitava la voce del presidente e quella del cancelliere,
in modo che Concezione si divertiva, come aveva sperato.
Si trattava di una delle solite cause, per la contestazione di una casupola
che Maria Giuseppa aveva acquistato senza regolare contratto di vendita: ma
pareva si parlasse di un castello, e c'erano di mezzo testimonianze false,
ingiurie fra le parti, minacce d'incendi e di morte: anche una stregoneria
la parte avversa aveva messo in opera, contro la nuova proprietaria della catapecchia
contrastata.
"
Sì, ho trovato nell'angolo sotto l'arco del pagliaio, dove io passavo
tutti i giorni, un lungo bastone con una testina di stracci tutta trapunta
di spilli. Ogni spillo un malanno. Infatti cominciavo a sentire dolori alle
ossa, quando feci la scoperta: ma tanti furono i miei scongiuri e le mie imprecazioni
che seppi di poi uno dei miei avversari malato di lombaggine. Oggi non ha potuto
venire neppure all'udienza; e ben gli sta. Lo stesso giudice diceva: non deve
aver paura del male chi il male non commette."
Ella, certamente, metteva in bocca agli uomini della giustizia, sentenze di
sua speciale invenzione: e pareva recitasse una tragedia antica, citando gli
articoli della legge, quasi sapesse a memoria, come un poema, il codice penale
e anche quello civile e quello commerciale.
Le ospiti, la madre occupata a cuocere la pasta, Concezione a preparare la
tavola, l'ascoltavano con interesse; d'un tratto ella cambiò tono di
voce, e domandò:
"
Ma chi è quel badalucco che, nel venire in qua ho visto girare due volte
intorno alla chiesetta? Ha l'ombrello, e pare abbia smarrito qualche cosa fra
la neve."
"
Ha smarrito questo", disse Maria Giustina, battendosi un dito sulla fronte;
e rise giovialmente, guardando Concezione fatta scura in viso: entrambe avevano
capito che si trattava di Aroldo.
"
Oh, certo", affermò l'ospite; "solo un pazzo può girare
così con questo tempo. Non mi ruberà il cavallo?"
E balzò sulla porta, per sorvegliare il vagabondo. Anche lui l'aveva
vista entrare dalle donne ed era sparito.
"
Meno male, non si vede più. A meno che non si sia nascosto. Io, in fede
mia, non ho paura di nessuno, né dei vivi né dei morti; ma i
pazzi mi destano un terrore invincibile."
"
Non è un pazzo: rassicuratevi, comare Maria Giuseppa: è un forestiere
che lavora nella strada in costruzione, e oggi, con questo tempo, è in
vacanza. Venite a tavola."
A tavola ella ricominciò a parlare dei suoi nemici. Adesso ce l'aveva
coi parenti.
"
Gente tua, morte tua. Tutti cercano di succhiarti il sangue, tutti aspettano
la tua fine, per godersi la tua roba. Solo mio fratello Gaspare mi voleva un
po' di bene; ma il Signore se l'è preso giovane ancora; se l'è preso,
il Signore, come un pastore al suo servizio. Gaspare ha lasciato solo un figlio
illegittimo, Costante, buon ragazzo, troppo buono anzi, sempliciotto ma lavoratore.
Anche lui mi vuol bene: è l'unico parente, anzi, che ci voglia bene.
E va a finire che lascerò a lui la mia roba; bisognerebbe però che
gli trovassi una buona moglie. E su da noi chi c'è? Ragazze morte di
fame, straccione con le sottane sfrangiate, figlie di mendicanti o bagasciotte.
Io e mio marito si ha sempre avuto l'intenzione di adottare una figlia, trovarle
un buon marito, lasciarle la roba; finora le nostre ricerche sono state vane:
adesso io cerco una buona moglie per Costante. Sarebbe ricca e fortunata: e
la padrona sarebbe lei, poiché il ragazzo, ripeto, è un po' semplice
e ha bisogno di aiuto. Non te la sentiresti, Maria Concezione?"
Concezione ebbe dapprima voglia di ridere; poi si volse tutta di un pezzo verso
l'ospite, fissandola con gli occhi quasi spaventati. Oh, anche lei, adesso?
Era proprio una persecuzione. Eppure la madre aveva còlto la palla al
balzo, e il pensiero che un giorno la figlia sarebbe potuta diventare ricchissima,
accese la sua fantasia. Tuttavia disse:
"
Concezione è povera; e non intende, per adesso, abbandonare la sua vecchia
madre. Ma vi ringraziamo, comare Maria Giuseppa, per la vostra buona intenzione;
e vi auguriamo, che tutti i vostri desideri siano esauditi. Per adesso godiamoci
questa ora di svago. Mangiate, mangiate; ancora un pezzo di porchetta."
L'ospite non si faceva pregare: il viaggio, il freddo, lo strapazzo, avevano
aperto una voragine nel suo stomaco potente: e beveva anche; poiché il
vino, perché l'ospitalità fosse completa, non mancava sulla tavola.
Allora divenne affettuosa, di una cordiale umanità che le affiorava
negli occhi corruscanti e, a momenti, glieli riempiva di lagrime: e li fissava
sul viso duro di Concezione come su quello di una santa di marmo dalla quale
si spera tuttavia di ottenere un miracolo.
"
Noi abbiamo bisogno di te, rosa mia. La nostra casa è piena di ogni
ben di Dio, ma è fredda come la casa dei morti. Abbiamo bisogno di un'anima
sincera, e di bambini, di speranze, di amore. Mio marito sembra tranquillo,
col suo fuoco e la pipa, ma quando è solo sospira e sospira. Non è detto,
rosa mia, che tu debba abbandonare tua madre. Essa potrebbe venire a stare
con noi; la casa è grande come un convento; e se vuole la sua libertà ho
altre case accanto, e tutte sono a sua disposizione: e avrà, se vuole,
serve e servette: e anche un orto, dieci volte più grande di questo:
se vuole posso farle costruire anche una chiesa. Basta che tu mi levi questa
melanconia dall'anima, Maria Concezione; che tu voglia diventare nostra figlia."
Concezione piluccava un po' svogliatamente uno dei grappoli d'uva portati dall'ospite,
e non rispondeva.
"
Non credere", proseguì la tentatrice, "che io ti voglia in
casa mia per servirmi di te. Sarai una signora, una regina. Ti alzerai all'ora
che ti piacerà: ti porteremo a letto il caffè, ti laveremo i
piedi, accenderemo il fuoco nella tua camera: avrai tante ancelle quante quelle
delle mogli di Salomone. Di primavera andremo nelle nostre terre, dove l'erba è alta
come l'acqua del mare; e toseremo le pecore, faremo festa, ci coricheremo all'ombra
degli alberi. Sai quanto è bello sentire gli uccelli, su questi alberi,
e il vento stormire fra i rami. E un servo suonerà la fisarmonica. E
mangeremo il formaggio fresco cotto col miele, e il dolce fatto con i cedri
canditi. Se ti piace il caffè e il rosolio, li avrai a portata di mano.
Se vorrai, cuore mio, andrai a tutte le feste anche le più lontane,
a cavallo, o sul carro ricoperto da una tenda, ed anche in carrozza. Non avrai
che a esprimere un desiderio e sarà subito esaudito. E se avrai figli
faremo venire il vescovo con la mitria a battezzarli."
Solo questa prospettiva toccava il duro cuore di Concezione: ma era come il
vento che, al dire dell'ospite, stormiva sulle querce dell'altipiano, nei meriggi
di primavera: soffio d'illusione.
L'altra proseguiva:
"
Lo sai, tu, la roba che c'è nella mia casa? Non lo so precisamente neppure
io, a dirti la verità. Armadi pieni di lenzuola, di tovaglie e di tela
antica; casse zeppe di coperte di lana, di cotone e di seta; anzi te ne voglio
regalare una, per farti vedere come sono tessute. Roba buona, non ragnatela
come quella che si vende nelle botteghe. E abbiamo cose d'oro e d'argento che
formano un tesoro: anelli con le corniole, e orecchini e collane di corallo;
e un rosario in filigrana, con le poste d'oro, e una croce dentro la quale
si vede la vera immagine di Cristo: è un talismano, venuto, si dice,
da Terra Santa, e preserva dalla mala morte. Non ti dico poi delle provviste:
ogni ben di Dio ti aspetta: olle piene di olio, e grano e farina, e mandorle
e legumi, lardo e frutta secche. Abbiamo persino il frutto del giuggiolo e
le olive secche che sembrano prugne. Quando i venditori ambulanti vengono al
paese, la casa dove scaricano la loro roba è la nostra: ma a che serve,
se nessuno ne profitta? Mio marito vuole solo la zuppa di farro, ed a me piace
il pane d'orzo e il baccalà. Bambini, ci vogliono, per schiacciare le
noci e masticare le castagne secche: e gente giovane per nutrirsi di agnelli
arrostiti e di fegato di porco. La casa dove non c'è gente, come la
nostra, ripeto, è la sagrestia del cimitero; non c'è fuoco che
la scalda, né sacchi di denaro che la tengano allegra."
"È
vero, è sacrosantamente vero", ammise Maria Giustina: e un po'
ammaliata, un po' anche impietosita per l'accento lamentoso dell'ospite guardava
anche lei con occhi supplichevoli l'inesorabile Concezione. Ella aveva finito
il grappolo dell'uva, e rosicchiava uno dei dolci di pasta fatti da lei: quelli
portati dall'ospite, sebbene ricoperti di zucchero e in vaghe forme di uccellini
e di fiori, le destavano nausea. E si sentiva soffocare, alla sola idea di
dover abitare la casa "piena di roba" della ricca paesana. Quando
poi questa fece un ritratto particolareggiato del nipote Costante, alto e bruno,
capelluto e forte come uno degli antichi pastori venuti dalla Libia, ma un
po' balbuziente e così semplice da aver ancora paura degli spauracchi
e dei gatti selvatici, impazientita disse:
"
Mille donne se lo prenderebbero ad occhi chiusi: ma non fa per me."
"
Insomma, ho capito: tu non lo vuoi. Chi vuoi, dunque? Il re di Spagna?"
"
Non voglio nessuno, non offendetevi: io sono già vecchia, sono malata;
non sposerò nessuno."
Dunque, la speranza non era del tutto perduta: e Maria Giuseppa continuò imperterrita
a enumerare i suoi beni: terre cintate di muri, bestiame, cavalli, alveari,
boschi di sugheri che da soli producevano una rendita considerevole. Ma Concezione,
buttata un po' indietro sulla spalliera della seggiola, socchiudeva gli occhi
e aspettava solo il momento che l'ospite se ne andasse.
La domenica seguente tornò Serafino, e tenne la promessa della predica.
Il tempo si era raddolcito, e nella chiesetta non faceva molto freddo. C'era
parecchia gente, ma di uomini solo qualche vecchio e Aroldo timidamente inginocchiato
nell'angolo in fondo. Il prete, dunque, dall'altare, raccontò una specie
di fiaba, che a poco a poco prendeva con un fascino quasi musicale, gli umili
ascoltatori.
"
La casa era appena finita, bella, solida, bianca, con terrazze e portici per
la stagione calda, e stanze con tappeti e camini per l'inverno. Molti servi
l'avevano messa in ordine, e coltivavano il giardino pieno di palme e di ori.
Questa casa era del Regolo, cioè del Capitano che governava la città;
e questa città si chiamava Cafarnao ed era in Palestina, ai tempi di
Gesù Cristo. Il Regolo era di religione pagana; non credeva in Dio,
derideva le dottrine nuove del Messia. Egli dunque e la sua famiglia, composta
della moglie, della suocera e di un fanciullo che era tutta la sua gioia e
la sua speranza, vennero ad abitare la nuova casa.
Aveva appena dodici anni, il figlio, ma ne dimostrava di più: forse
era cresciuto troppo presto, e la nonna e la madre tremavano ad ogni soffio
di vento che potesse fargli male. Infatti, appena furono nella nuova casa,
si ammalò. La nonna, che era di razza ebrea, fece gli antichi scongiuri;
portò due colombe in offerta al Tempio, e non smetteva mai di piangere
e pregare. Il Regolo, già assai prepotente e cattivo nei tempi sereni,
nel vedere il figlio malato diventò quasi feroce. Maltrattava i soldati
e i servi, bestemmiava e s'infuriava per ogni cosa. Solo la madre pareva cupamente
rassegnata: diceva: io lo sapevo; fatta la casa entra la morte.
Chiamarono i più famosi dottori, ma nessuno di loro seppe definire il
male del ragazzo, mentre il poveretto si consumava lentamente, aveva sempre
la febbre e non accettava cibo.
Fu chiamato anche un medico della città di Cana, vicino a Gerusalemme,
ed egli, mentre se ne andava, disse al padre:
"
Mi dispiace, ma il male del giovinetto è uno di quelli dai quali non
ci si salva. Neppure il Rabbi, coi suoi pretesi miracoli, potrebbe guarirlo."
Eppure come un arcobaleno brillò tra le nuvole che opprimevano il cuore
del Capitano. Il Rabbi, così veniva chiamato Gesù, in quei giorni,
andava predicando per le contrade della Palestina. Egli, il Regolo, era incaricato
di sorvegliarlo e con lui i suoi seguaci, ma, come si è detto, non ne
faceva gran conto, anzi lo credeva un esaltato, quasi un pazzo. Ma poiché in
quei giorni egli aveva consultato, per la malattia del figlio, anche maghi
e stregoni, pensò di andare in cerca dell'uomo che, si diceva, faceva
miracoli, e domandargli una medicina. Ed ecco che questo solo pensiero lo colmò di
speranza.
In quei giorni il Rabbi si trovava appunto nella città di Cana; il Capitano,
dunque, vi si recò, a cavallo, con alcuni servi. Trovò la città tutta
in festa: pareva fosse primavera; tutte le finestre erano piene di fiori; nelle
osterie si sentivano canti e suoni. Molta gente si dirigeva verso una casa
che era quasi al limite della città: e il Regolo, lasciati i servi e
i cavalli nel cortile di una caserma, si diresse anche lui verso il luogo dove
accorreva la folla. Era quasi sera: nell'aia davanti alla casa di un contadino
si vedeva brillare un grande fuoco; e Gesù vi sedeva davanti, in mezzo
a molti uomini del popolo. Era tutto vestito di bianco e pareva che la sua
persona risplendesse come l'argento: anche le sue dita sembravano raggi, e
i suoi capelli erano del colore della seta appena filata.
Così, almeno, lo vide il Regolo di Cafarnao; che al suo apparire, con
le sue vesti e le sue armi da Capitano, destò un senso di paura, poiché si
credette che venisse a perseguitare il Maestro e i suoi seguaci. Ma Gesù continuava
a parlare, con la sua voce forte e dolce nello stesso tempo, e tutti si rassicurarono.
Infatti il Capitano si avanzava serio e addolorato, con le mani ferme sul pomo
della spada; arrivato davanti a Gesù disse al alta voce:
"
Ho un figlio che sta per morire: Rabbi, ti prego, scendi in Cafarnao e vieni
a visitarlo. Ma vieni subito, o sarà tardi."
Gesù lo guardò, eppure pareva non lo vedesse, o che non si curasse
di lui: tuttavia rispose:
"
Voi, se non vedete miracoli o prodigi, non credete."
Replicò l'altro, con disperazione:
"
Vieni, Signore, prima che il fanciullo muoia."
Gesù allora disse:
"
Va, il tuo figlio vive."
Il cuore del padre credette subito a queste parole; ed egli andò via
senz'altro, ma portando con sé una grande luce: gli sembrava di sentire
dentro il suo cuore ardere il fuoco davanti al quale Gesù continuava
a parlare ai suoi discepoli. E la notte stessa fece ritorno a Cafarnao; i servi
spronavano i cavalli, tutti erano pieni di speranza. Arrivati poco distanti
dalla città, egli mandò di corsa uno dei suoi servi, a prendere
notizie del figlio: corse, l'uomo, tornò verso i viaggiatori come un
uccello di buon augurio.
"
Il fanciullo è vivo: non ha più febbre, è quasi guarito",
gridava con gioia.
Il Capitano, l'uomo che fino a quel giorno aveva usato bestemmiare per esprimere
la sua contentezza, questa volta guardò le stelle e gli sembrò che
piangessero: era invece lui che piangeva.
Dalla casa altri servi gli corsero incontro: e il più vecchio, il più affezionato,
piangeva anche lui.
"È
dall'ora settima che il fanciullo non ha più febbre", disse.
Era l'ora appunto in cui Gesù aveva detto: "Va, il tuo figlio vive".
E anche lui, il Regolo, si sentì come rinascere a una nuova vita, guarito
dal peggiore dei mali; la mancanza di fede; gli parve di ritornare fanciullo,
come il suo figlio diletto, e di poter ormai vivere di una eterna giovinezza:
poiché adesso egli credeva nella parola di Dio. E con lui, sentito il
suo racconto, si convertirono i suoi familiari."
Concezione era abbastanza intelligente per capire che Serafino predicava per
lei: gli altri fedeli ascoltavano, sì, di buona volontà, e pensavano
che i parenti malati, e loro stessi, con la volontà di Gesù potevano
guarire dai mali più gravi; ma non andavano più oltre, poiché tutti
possedevano la fede e non sentivano bisogno di convertirsi: solo Aroldo, che
tormentava con le mani nervose il suo cappello di feltro, capiva che il prete,
oltre che di salute fisica parlava anche di salvezza morale; e accompagnava
la musica in sordina della parabola con un suo canto umile e silenzioso che
lo riempiva di gioia e di tristezza. Sì, Concezione, tu devi guarire;
per la tua felicità stessa, per il bene di chi vive di te solamente,
e quando tu sarai guarita tutti intorno a te si sentiranno ringiovanire, tutti
si convertiranno.
Eppure, nel capire che il prete parlava solo per lei, sentiva di nuovo una
vena di gelosia: avrebbe voluto essere lui al posto di quel fantasma di cera,
vestito di merletti, che si affacciava dalla balaustrata dell'altare come da
un mondo sovrannaturale, e con appena un soffio di voce arrivava al cuore di
Concezione, mentre lui, con tutto il suo ardore e la sua vitalità, la
lasciava fredda e indifferente.
"
Maria Vergine, Maria della Solitudine, guarda sopra di noi, dalla tua altezza
lunare, e fa che c'incontriamo ancora, io e Concezione, nel deserto della vita:
sono così solo, e sola è anche lei, col suo cuore che pare sia
stato punto dal serpente."
Il senso di desolazione e di gelosia crebbe in lui, quando la gente se ne andò e
Serafino si indugiò nella sagrestia. Il chierico spegneva i ceri, la
chiesetta tornava grigia e fredda: che ci stava a far lui, in quell'angolo
senza luce, con la testa bassa come un colpevole? Ecco una festa che gli si
presentava tetramente vuota e sconsolata; meglio tornarsene all'accampamento
degli operai della strada, e spaccare le pietre per intontire la sua pena.
Si avviò, infatti, passo passo, fino alla proda della strada, ma non
ebbe il coraggio di avanzare.
I macigni più alti del monte ancora coperti di neve, parevano, ai primi
raggi del sole, blocchi di marmo; ma dalla valle saliva un alito tiepido, come
di un fanciullo che dorme: il rumore del torrente, ingrossato dallo scioglimento
delle nevi, era la ninnananna. E quel respiro riaccese un po' di speranza nel
cuore di Aroldo. Coi suoi occhi sani, egli vedeva in lontananza, a riparo di
una insenatura tra la valle e il monte, l'accampamento suo e dei suoi compagni,
fatto di capanne e di qualche tettoia, e pensava ai luoghi ove sarebbe dovuto
andare, volendolo, per scavare strade ben più lunghe e difficili di
questa, e trovare fortuna.
"
Ebbene, è meglio che me ne vada, sì: che devo fare oltre qui?
Sono come le volpi che vengono fino al nostro accampamento, poiché non
trovano da nutrirsi che le corbezzole acide, e si contentano di sentire l'odore
del nostro cibo. È meglio andarsene: almeno laggiù ci sarà da
lavorare in grande: farò io il primo ponte; col primo guadagno mi comprerò una
chitarra, che già so suonare, e la domenica farò divertire i
miei compagni. E poi, sì, col tempo, verranno anche le donne."
Sospirò; pensò se aveva qualche parente giovane dalla quale farsi
accompagnare laggiù. Nessuna: era proprio solo al mondo.
Una cornacchia, poi due, poi tante, passarono alte sul cielo di un azzurro
marino: si inseguivano con gridi dolci e lamentosi; parvero sciogliersi come
fuse nello splendore del sole.
Egli pensava seriamente alla chitarra. Prima di partire, con l'impresario,
sarebbe già estate, con le notti calde, la luna rossa sui monti, l'odore
delle stoppie ancora gialle: bello, suonare la chitarra, accompagnandosi al
canto dei grilli e al tremolio delle stelle; senza parole: poiché certi
dolori non si possono esprimere a parole.
Ricordò che il padrone di un'osteria del paese, dove qualche volta egli
andava a mangiare, aveva una chitarra appesa al muro. Forse la si sarebbe potuta
comprare, e portarsela addirittura in viaggio. E prima di partire mettersi
davanti alla finestruola di Concezione, una notte scura, appoggiato al muro,
e col berretto tirato sugli occhi, e farle la serenata dell'addio.
Il mercoledì santo, Concezione preparò nella chiesetta il Sepolcro
di Nostro Signore. Poco più sotto i gradini dell'altare stese un'antica
coperta filata e tessuta dalla nonna del padre, la moglie del famoso rapinatore,
riserbata solo per l'uso della sacra ricorrenza: era di lana di pecora, ma
sembrava di seta cruda, con un bordo di greche nere, e sul fondo fiori di asfodelo.
Vi depose al centro il crocefisso di legno, che il resto dell'anno rimaneva
appeso, stanco e rassegnato, alla parete nell'angolo della chiesa. Steso sulla
coperta parve un altro; il viso dolce e olivastro, bucato dai tarli come quello
di uno che ha sofferto il vaiuolo, pulito dalla polvere, si rivolgeva in alto,
gli occhi si socchiudevano, le membra tutte, pur così inchiodate e insecchite,
si distendevano, nude e d'una castità di ramo stroncato dal vento, con
un vero abbandono di riposo. Era, sì, come il ramo caduto sull'erba,
stroncato dal vento o dal potatore, non morto, anzi pronto a germogliare di
nuovo, se la terra lo riprende: e Concezione, in quel giorno di acerba primavera,
sentiva anche lei qualche cosa di simile. Sette piattini fondi, dove ella aveva
fatto germogliare nell'acqua un po' di grano, furono collocati, come diadema
di rinascita, intorno alla testa del Cristo: era bianco, il grano, e odorava
di amido: come simbolo poteva andare, ma sarebbe stato troppo melanconico,
quasi innaturale, come i capelli dei neonati, cresciuti nel buio delle viscere
materne, se in sette bicchieri di vetro, uno diverso dall'altro, non avessero
riprodotto i colori dell'arcobaleno i primi fiori dell'orto e quelli del ciglione
sopra la valle: viole, narcisi, violacciocche, margherite bianche e arancione,
e pervinche nel colore cielo di marzo. Stretti e lunghi erano i mazzolini;
e pareva si sorridessero, infantili, al di sopra dei pallidi ciuffi del grano,
illuminando l'aria coi loro colori.
Quando ebbe finito, Concezione s'inginocchiò sul lembo rimasto libero
del tappeto, piegandosi a baciare i piedi di Nostro Signore: e le parve che
il freddo di quelle dita stanche non fosse il freddo della morte, ma quello
di un povero che non ha fuoco e aspetta il primo sole primaverile per riscaldarsi.
Ed ella pensò ad Aroldo: anche lui, povero, anche lui in attesa di un
raggio d'amore. La pietà, la tenerezza per il Cristo morto, si fusero,
in lei: poiché, se Aroldo non si era più fatto vedere, ed ella
credeva di esserne contenta, in fondo sentiva che la loro storia non doveva
finire così: e l'immagine di lui le rimaneva nell'anima, senza mai chetarsi,
come di uno che annega ma che con tutte le forze della vita tende a risalire
a galla e salvarsi. Ella non gli tendeva una mano, ma neppure lo respingeva.
"
Non è peccato, il mio", dice al Cristo morto per amore degli uomini; "non
vado contro la tua legge: lascia dunque, o Signore, che io ami senza speranza,
che io sola soffra per lui."
A giorni - in quei primi giorni di primavera - si sentiva anche lei andare
a fondo: se non puoi aiutarmi a vivere - le diceva l'altro - vieni e muori
con me.
Ed ecco, mentre ella è ancora piegata sul tappeto, la porta rimasta
socchiusa si apre, e una striscia di luce arriva fino a lei: la figura rapida,
silenziosa di Serafino attraversa quella scìa luminosa, e prima che
ella si sollevi, le sfiora la testa con la mano.
"
Brava: hai fatto le cose per bene."
Anche la voce di lui s'era rischiarata; roseo, sebbene di un roseo giallognolo,
pareva anche lui in via di guarigione; ella se ne rallegrò, e lo invitò ad
andare a prendere il caffè.
Non passarono per la sagrestia; anzi Serafino volle attraversare lo spiazzo
davanti alla chiesetta, dove sotto il muricciuolo fiorivano i biancospini;
poi si aggirò nell'orticello, fra le fave e i piselli già sparsi
di farfalle bianche e nere di fiori. Si piegava a guardare i fili d'erba, il
musco che copriva i sassi, le lucertole fuggenti; con scatti di riso, come
quelli di un bambino lasciato in libertà.
"
Se è felice lui, perché non dovrei esserlo anch'io?", pensò Concezione;
e d'improvviso si sentì davvero contenta; contenta della bella giornata,
delle montagne che rinverdivano, del sole già caldo. Disse, andando
a prendere il vassoio col caffè:
"
Mia madre è fuori: è andata giù a lavare i panni nel torrente.
Avevi da dirle qualche cosa, forse?"
No, egli era venuto per lei. Sedette sulla panchina di pietra accanto alla
porta, e accarezzò il gatto che pretendeva saltargli in grembo.
"
Maria Concezione, sono venuto per te. È da molto che non vedi l'Aroldi?"
Ella arrossì, ma rispose la verità: erano quasi tre mesi che
non vedeva il giovine; e nel calcolare quel tempo, che con la tristezza delle
cattive giornate, non era stato breve, si domandò come faceva a vivere,
così, di nulla come una povera vecchia rassegnata.
"
Perché?", domandò con una pallida curiosità, ma già preoccupata
per l'interessamento di Serafino.
"
Senti, Concezione, tu devi parlarmi con sincerità. Sei proprio decisa
a non aver più a che fare con lui? Lo hai dimenticato?"
"
Ma, non so neppur io. Non si comanda ai propri pensieri: ad ogni modo è meglio
che il giovane sia lui a dimenticarmi. E sarò contenta quando i lavori
della strada saranno finiti ed egli se ne sarà partito."
"
Un'altra cosa prima di proseguire su quest'argomento. Ma non ti sdegnare. A
suo tempo ho imposto ai miei fratelli e al nonno di non darti molestia: egli
però sembra preso dalla manìa di un possibile matrimonio fra
te e Pietro: s'è deciso per Pietro", aggiunse sorridendo, "perché è il
maggiore: e mi ha tanto ossessionato, che sono venuto anche per questo. Non
c'è proprio nessuna speranza?"
"È
proprio una domanda di matrimonio?"
"
E perché no, se ti fa piacere?"
Senza rispondere ella riportò in cucina il vassoio, poi tornò,
mandò via il gatto importuno e sedette rigida accanto a Serafino.
"
Tu hai voglia di scherzare, oggi; segno che stai bene: e questo mi fa davvero
piacere: ma non parliamo più delle idee di tuo nonno. Tu stesso, se
ricordi, me lo avevi promesso."
"
Ma anche tu, adesso, stai bene, Concezione: sembri un'altra. Dio ti conservi
fino alla più tarda vecchiaia. Non c'è quindi ragione che tu
non pensi al tuo bene. Come amico tuo e di tua madre, come uomo e come sacerdote,
io desidero che la tua vita non trascorra così, triste a te, inutile
agli altri. Il mio dovere è di consigliare il bene alle anime che mi
circondano: e tu sei una fra le predilette, perché capisco che meriti
una sorte migliore di quella che la tua fantasia vuole crearti. La donna è fatta
per sposarsi, per crearsi una famiglia, compiere il proprio ciclo, come lo
hanno compiuto le nostre madri e le nostre nonne."
"
Ma sta zitto", ella disse, cercando di prendere la cosa alla leggera; "non
devo poi sposarmi per forza, con uno che non amo."
"
Non è vero. Ammetto che tu non voglia sentir parlare dei miei fratelli;
e se te ne ho accennato è per soddisfare mio nonno e mettergli il cuore
in pace. Dopo tutto la sua fissazione è innocua, e né lui né i
miei fratelli possono serbarti rancore. Ma tu non sei tranquilla, Concezione;
io ti conosco; e tu, più di tante altre donne, hai bisogno di amore.
Perché vuoi sciupare la tua vita? È un dono di Dio, la vita,
e bisogna accettarla con gioia."
Ella piegò la testa. Capiva che Serafino parlava convinto: nel suo cerchio
di piccolo apostolo, egli voleva il bene delle anime che vivevano accanto a
lui: era la sua missione; e ancora una volta ella fu per raccontargli le sue
pene, le sue paure; ma non riuscì che a ripetere:
"
Sono malata, Serafino; sono molto malata: voglio, per questo, solamente per
questo, restare libera: se questa è la mia sola soddisfazione, se la
mia vita può ancora essere utile per mia madre, perché cercare
di convincermi altrimenti?"
"
Ma tu, senti, pensi al male che, anche senza volerlo, puoi fare a chi ti vuol
bene?"
Ella ricordò: e il pensiero che anche Aroldo potesse commettere per
lei qualche sciocchezza, le fece sollevare il viso quasi spaurito.
"
Ascoltami bene, Concezione. C'è una donna, nel nostro paese, che la
voce pubblica dice figlia di tuo padre. Uomo buono era tuo padre, ma ignorante
e di poca religione vera, come la maggior parte degli uomini incolti abbandonati
a se stessi. Egli ebbe questa figlia da una serva, e non se ne curò:
chi è il paesano benestante che non ebbe relazioni con donne facili,
e non lasciò qualche bastardo sperso per il mondo? D'altronde la madre
della bambina aveva relazioni con altri uomini; e neppure lei si curò dei
suoi diritti. Crebbe, la ragazza, sotto il cattivo esempio della madre e, morta
questa, ne seguì la via. Adesso vive in una sua casetta quasi nascosta
in mezzo a un orticello, che, a vederla, sembra un nido di pace e di virtù,
ed è invece un covo di serpi. Ho qualche volta tentato di rimettere
la donna nella buona strada, ma inutilmente. Essa è contenta della sua
mala sorte; è anche, come tutte le sue pari, una squilibrata e irresponsabile;
io non dispero, col tempo, di richiamarla in sé; ma intanto non posso
nulla: troppo grandi sono le forze del demonio."
"
Lo so", disse Concezione mortificata e dolente; "è una storia
che da lungo tempo ci umilia, me e la mamma. Lo so; e poiché, né vivo
mio padre, né dopo la sua morte, anche noi nulla abbiamo potuto fare
per porre qualche rimedio al peccato di lui, tante volte io ho pensato di far
parte, almeno, dell'eredità di lui alla disgraziata: ella, lo sappiamo,
non ha bisogno di aiuto materiale, ed ha rifiutato, una volta, una mia offerta; è d'animo
malvagio, e disse che sperava lei di vederci ridotte in miseria, di veder distrutta
la nostra chiesa, e di poterci un giorno soccorrere lei col suo denaro maledetto.
Allora, la miglior cosa per noi è di lasciarla in pace e pregare per
lei: ma se adesso che tu me ne parli, Serafino, se adesso posso fare qualche
cosa per lei, eccomi pronta."
"
Ecco", egli riprese, un po' turbato, "quello che devo dirti non è piacevole,
e prima di riferirtelo ho voluto esserne sicuro. L'Aroldi frequenta la casa
di Pasqua, di quella donna, insomma. Perché lo fa? Per disperazione,
o per farti dispetto? Pasqua è bella; ti rassomiglia; e sebbene sia
più vecchia di te sembra più giovine: perché non si strapazza,
no; fa una vita comoda, e fra gli uomini che la cercano sa scegliere bene:
li vuole sani, giovani e ricchi."
"
Aroldo non è ricco", scattò Concezione; ma subito si pentì e
riprese la sua cupa rigidezza.
"
Non è ricco; ma può diventarlo, così almeno va raccontando
lui a chi vuol sentirlo. E adesso chiacchiera con tutti: è diventato
un altro; tutte le feste è all'osteria, e suona e canta e, purtroppo
beve. Certo, sembra, come dice la gente superstiziosa, che gli abbiano fatto
una stregoneria. E fama di queste cose ha appunto la sciagurata Pasqua; ma
la vera malìa, certo, l'Aroldi l'ha avuta da te."
"
Oh, Serafino", disse allora Concezione, con rimprovero amaro; "tu
non devi parlare così. E, del resto, che cosa posso farci io? Mi dispiace
che egli vada da quella donna; ma, credi pure, non sono gelosa; e non ne ho
io la colpa. Tutti gli uomini fanno la stessa cosa: un giorno, poi, egli se
ne dovrà pure andare, e tutto sarà finito."
"
Non so; credo che tutto non sarà finito così presto. Pasqua lo
rovinerà; forse riuscirà a farsi sposare."
"
E lascia che si sposino. Non sarà un modo, per l'infelice, di redimersi?"
"
Tu non mi intendi, sorella mia: non mi vuoi intendere. L'uomo è disperato; è traviato:
nulla di buono, qualunque ne sia la conclusione, può nascere da questa
avventura. Tu sola puoi e devi salvarlo."
"
Poco fa tu mi chiedevi di aiutare Pasqua; non sarebbe il modo, di lasciare
invece che la sorte di lei e quella di Aroldo si uniscano?"
Serafino scuoteva la testa: un po' irritato disse:
"
Tu parli senza convinzione. Fingi con me come vuoi fingere con te stessa: così non
ci si può intendere. La vita non deve essere commedia, Concezione, almeno
fra persone di fede e di giudizio, come io ti ritengo. Ora, io ti dico: sono
venuto per metterti in avvertenza: non si scherza con l'anima delle persone
a cui si vuol bene: e tu vuoi bene a quell'uomo."
Per la seconda volta ella arrossì, e stava per rispondere, quando vide
spingere il cancello socchiuso, e senz'altro avanzarsi nel vialetto, una donna
con un canestro in testa. Era del paese di comare Maria Giuseppa; anche lei
con le scarpe a chiodi, la persona forte e dura come una colonna; il viso lucido
e rosso e gli occhi neri maliziosi sorrisero con ironia nel vedere Concezione
e il prete seduti accosto sulla panchina quasi stretti come due innamorati.
"
Buon giorno e salute", disse, deponendo ai piedi di Concezione il canestro
e sollevando il panno che lo copriva; "questo te lo manda Maria Giuseppa
Alivia: è il regalo di Pasqua. Sarebbe venuta lei, ma ha male a un piede
poiché è caduta da una scala nel fare le pulizie per la settimana
santa."
Di nuovo rigida e ostile, Concezione si era alzata e guardava la roba del canestro,
accanto al quale la donna stava piegata in adorazione.
"
Vedi quanto bene di Dio? Burro, formaggio, uova, pizze e salami: roba solida,
figlia mia: e poiché sono venuta col cavallo di San Francesco, ti dico,
figlia cara, che il mio collo si risente del peso del canestro."
"
E perché non vi ha dato uno dei suoi cavalli, comare Maria Giuseppa?" domandò Serafino.
La donna lo guardò male: non era convinta che la visita di un pretino,
a quell'ora, a una bella ragazza come Concezione, fosse del tutto innocente.
"
Mi piace camminare col cavallo di San Francesco", disse, "ognuno
ha i suoi gusti."
"
Ma questa roba è troppa per me", protestò Concezione. "Si
può aprire un negozio."
"
O dare un pranzo ai poveri", aggiunse serio il prete.
"
E poi, come sdebitarmi? Io non ho proprio nulla da poter mandare a comare Maria
Giuseppa."
"
Tu sai bene il modo di ricambiarla", disse la donna, guardandola di sotto
in su con un cenno di intesa. "Basta un tuo saluto."
Oppressa, ma decisa a ribellarsi, Concezione si rivolse a Serafino:
"
Pare impossibile: anche Maria Giuseppa Alivia mi vuol dare marito: che ho,
di tanto bello, da essere così ricercata? No, buona donna, io non posso
mandare alla tua padrona il saluto ch'ella desidera. Le auguro buona Pasqua;
ogni bene le auguro, a lei ed a tutta la sua famiglia: ma che ella non pensi
più a me che come ad una buona amica. E questa roba, sì, l'accetto;
poiché scortesia sarebbe rifiutarla, ma ne farò parte ai poveri,
come Gesù nostro Signore comanda. È dentro la chiesetta, steso
sul pavimento, più povero di tutti i poveri: vuoi vederlo, donna?"
La donna si chinò in ginocchio.
"
Tu parli come un libro d'oro", disse, fattasi triste e quasi severa; "ci
sono tanti poveri che hanno fame. Anche da noi, lassù. Riporterò le
tue parole a Maria Giuseppa: sta pur sicura, anima mia. E adesso fammi vedere
il Cristo morto."
E prima di andarsene, Serafino disse:
"
Concezione, ti manderò qualche povera madre di famiglia, e qualche bisognoso
che non vuol dimostrarsi tale: e tu farai loro parte di questo ben di Dio."
Fu come un raggio di sole in una giornata sia pure calma e tiepida, ma grigia
e uniforme: e grigio, tiepido, ma fermo e grave era quel giovedì santo,
con gli alberi coperti di piume verdi, e le montagne tigrate melanconiche come
belve assopite. D'un tratto però il cielo si aprì; una spada
d'oro sfolgorò toccando il mandorlo dell'orto che si coprì di
perle: e i monti buttarono via, definitivamente, le loro pellicce invernali.
Un piccolo uomo d'età e di condizione indefinibili, ancora smilzo nel
suo cappotto nero di vecchio taglio, ma attillato e pulito, con una bombetta
lucida sulla testa piccola irrequieta come quella di un uccello, i guanti,
il bastone, le scarpe di coppale, entrò nella chiesetta, piegandosi,
senza inginocchiarsi, sopra il santo Sepolcro: ma pareva lo facesse più che
altro per osservare il tappeto, del quale aggiustò un lembo con la punta
del bastone, e per sentire l'odore dei fiori; poi andò dalle donne.
Anche lì si guardò bene attorno, con un lieve fiuto, e disse
con voce un po' tremula:
"
Prete Serafino mi ha incaricato di farvi sapere che oggi non può venire
perché occupato nelle cerimonie della Cattedrale. L'ho appunto incontrato
in piazza, e saputo che venivo a passeggiare da queste parti mi ha pregato
di entrare da voi. Così ho visitato anche il vostro grazioso Sepolcro:
la parola grazioso non sarebbe giusta a proposito; ma immaginando che lo abbia
combinato la nostra amabile Concezione non ne trovo una più adatta.
Brava, brava: hai gusto, fanciulla. E, dunque, come va la salute? È un
pezzo che non ci si vede."
"È
vero; non si è fatta più vedere, da queste parti, signor dottore:
ma avrà avuto molto da fare; con l'inverno vengono tanti malanni."
Se non fosse stata la buona Giustina, a parlare così, l'uomo avrebbe
sorriso male; poiché era un vecchio flebotomo, che aveva, sì,
esercitato abusivamente medicina, ma dopo l'apertura dell'Ospedale, e le nuove
teorie sul salasso, perduto ogni prestigio; e, adesso, mezzo alcoolizzato e
senza più un cliente, viveva in completa miseria.
Ricordando le parole di Serafino: "ti manderò qualche povero bisognoso
che si vergogna di esserlo", Concezione capì subito di che si trattava.
Il viso scarno ma pulito dell'uomo, i suoi occhi azzurri, infossati e smorti,
la piega amara delle sue labbra grigie, persino il vestito che ricordava l'antica
dignità, le destarono una pietà profonda. Non seppe perché,
pensò ad Aroldo vecchio; ad Aroldo logorato da una vita di fatica, di
errori, di vizi; di quei vizi che, una volta preso possesso di un uomo, lo
marciscono fino alle ossa: e l'inquietudine che già dal giorno avanti
la rodeva, scoppiò in tenerezza e carità.
"
Senta", disse, sapendo di fare una doppia elemosina; "io avevo proprio
bisogno di lei, pensavo a lei, anche ieri. Sono stata, forse lei lo sa, venti
giorni all'ospedale, per una operazione: non le parlerò di questa, poiché tutto è andato
bene, grazie a Dio; ma mi è rimasta una gran debolezza, e non so come
curarla. All'ospedale non voglio più tornare, no: mi è rimasto
in odio. Ma lei può ordinarmi qualche cosa, dottore: se non vuole che
le compensi le visite, le farò un regaluccio."
"
Niente, niente", egli disse, con fierezza, battendo il bastone sulla pietra
del focolare. "Fammi sentire il polso."
Il polso batteva regolare; l'aspetto di lei era abbastanza buono: egli la guardò negli
occhi. e una scintilla s'accese nei suoi.
"
Sai che cosa hai, Maria Concezione? Hai bisogno urgente di marito."
Ella rise, ritirò la mano che egli le palpava con le dita nervose.
"
E dove lo trovo, il marito?"
"
Birbante, figlia di birbanti! Dove lo trovi? Dovunque si posino i tuoi occhi
di sirena. E se vuoi, te ne mando uno io, fra un'ora al massimo, a spron battuto."
"
Non si disturbi, dottore: e, intanto, prendiamo il caffè, alla salute
del futuro sposo."
L'uomo non accettava mai niente, per timore che volessero fargli l'elemosina;
ma tanta grazia era nei modi di Concezione che accettò non solo una
grande tazza di caffè, ma anche i biscotti ch'ella gli offriva. Giustina,
poi, disse:
"
Un tempo, dottore, io usavo mandarle il regalo di Pasqua, si ricorda? Mio marito
aveva tanta amicizia per lei; e fu lei a curarlo. Dopo, i tempi sono diventati
duri, per noi donne sole; ed io ho trascurato i miei doveri. Ma adesso pare
che vada meglio: mi permette dunque, poiché io non posso più fare
il viaggio fino a casa sua, e questa ragazza selvatica non esce mai dalla sua
tana, mi permette di farle un regaluccio? Roba da poveri: ma lei accetterà la
buona intenzione."
"
Niente, niente", egli tornò a protestare; ma Concezione era corsa
di là, nella camera, e fece un involto di roba: ci mise anche un pane,
di quelli che si usavano regalare agli amici ed ai poveri per Pasqua, in simbolo
di comunione come l'ostia consacrata; e tanto insisté, che il dottore
lo accettò.
"
Da' qui, figlia di ladroni."
"
Roba da poveri", ripeteva la madre.
"
Sì, lo so; povero sono io, e vecchio e solitario. Ma un giorno verrà bene
a liberarmi, quella vecchia troia della morte."
E se ne andò, arrabbiato: però nei suoi occhi la scintilla si
era spenta, sotto un velo di lagrime.
Poi venne una donna, anche lei decaduta. Madama Peperona, la chiamavano, forse
per il suo grande naso rosso che rivelava lo stesso vizio del dottore. E anche
lei aveva uno scialle di antica grandezza, ma che adesso pareva una ragnatela;
e un cappellino piumato, in cima al cocuzzolo di capelli grigi: e anche lei
i guanti, con la punta delle dita tutte in fuori per le rotture. Dapprima entrò con
una certa dignità in chiesa, trascinando le scarpe di stracci; s'inginocchiò davanti
al Cristo, che riposava tra i fiori e il grano come un pastore addormentato,
e pregò a lungo. Anche lei voleva serbare una certa compostezza, tanto
che fu Giustina stessa che andò a chiamarla, pregandola di accettare
una tazza di caffè.
La donna andò nella cucina, e sedette davanti al fuoco, come stanca
di un faticoso viaggio: il viaggio della sua vita disastrosa: e non si fece
pregare, ma neppure mostrò avidità, anzi togliendosi con lento
gesto signorile, quella sua parvenza di guanti, prese la tazza di caffè e
latte, i biscotti, l'involto che Concezione le porgeva. Ed era non senza interesse,
che Concezione glieli porgeva, poiché la donna abitava una stanzetta
terrena, un vero buco, in un cortile sul quale s'apriva la casa, pur essa terrena,
dove Aroldo abitava anche lui, in una cameretta presa in affitto da una vecchia
paesana. Fu di questa paesana che dapprima Concezione domandò notizie.
"È
malata", disse madama Peperona; "da due mesi ha una pleurite secca
dalla quale non so se camperà. Ed è sola, e la poca assistenza
che posso gliela do io."
"
Ma che dice il dottore?"
"
Ma che dottore? Chi può pagarlo, in questi tempi? La disgraziata è più povera
di me: vive, si può dire, di quello che le dà il forestiere:
anche lui però è buono, e, quando torna dal lavoro, le compra
sempre qualche cosa, qualche medicina: anche lui però è povero;
ci aiutiamo così, fra poveri, come si aiutano gli uccelli feriti; e
Dio vede ogni cosa."
Concezione fu contenta di aver così, indirettamente, notizie di Aroldo
e di saperlo ancora buono: e avrebbe insistito, se un'altra donna non fosse
sopraggiunta, questa veramente povera, smunta in viso, con gli occhi di gatto
affamato. Di solito questa infelice, che aveva il marito infermo e un mucchio
di bambini anch'essi più o meno malati, veniva ogni tanto dalle donne,
sapendo di trovare qualche piccola elemosina; e adesso non era mandata da Serafino
ma spinta proprio dalla fame sua e dei suoi. Nel vedere madama Peperona, che
nel suo scialle tutto sfrangiato pur conservava un'aria dignitosa, l'altra
la fissò spaurita, per paura di essere arrivata troppo tardi; la signora
decaduta invece si scostò verso l'angolo del camino, per farle posto,
quasi fosse lei la padrona, e volle darle il rimasuglio del suo caffè:
ma Giustina fu pronta a preparare un'altra tazza di latte caldo, e così la
poveretta fu consolata. E se ne andò quasi felice, per l'involto che
Concezione le consegnò senza parlare, ma anche da quel tepore di amor
del prossimo che persino la sua compagna di miseria le dimostrava.
"
Poter fare del bene", pensava Concezione, anche lei sollevata da un senso
di gioia mai prima di allora provato così a fondo. Questo era il raggio
di sole che rompeva la desolazione del suo cuore e della sua carne, l'elemosina
che anche a lei veniva distribuita dall'alto dei cieli.
Fino al giorno di Pasqua, il tempo, quasi partecipando alla passione dolorosa
del sempre rinnovato Mistero, si mantenne triste, con rade apparizioni di sole,
sì, ma poi con acquazzoni e grandine. Tutte le cose piangevano, accompagnando
il pianto della Madre di Dio. Ma la mattina di Pasqua il tempo si rischiarò:
i fedeli accorsero nella chiesetta, e le donne fecero la comunione: anche Serafino
apparve lieto e quasi raggiante.
Più tardi, mentre la madre preparava i ravioli tradizionali, di cacio
fresco e mentuccia, Concezione fece scaldare un paiolino di acqua per lavarsi.
Bisognava pur fare un po' di pulizia personale, dare anche al corpo la sua
parte di freschezza e di rinnovamento.
Mentre l'acqua si scalda, Concezione, davanti alla finestruola della camera,
si scioglie i capelli, li divide, li manda tutti giù sul viso e sul
petto come una tenda nera: col pettine grosso, col pettine fitto, con un'antica
spazzola da panni, ne fa cadere una nevicata di forfora; poi li ricacciò indietro
e ripeté la faccenda, fino ad arrossare la cute, che infine strofinò con
un fazzoletto bagnato e insaponato: mezzi primitivi, che tuttavia le lasciarono
i capelli freschi e gonfi come acconciati da un abile parrucchiere.
E portato in camera il paiolino chiuse a chiave l'uscio: adesso si trattava
di fare le abluzioni, e cinque litri d'acqua le sembravano anche troppi. Lentamente,
con ordine, le sue vesti furono stese sulla sponda del letto: il corpetto di
lana, la camicetta di cotone a quadretti bianchi e blu; e poi un altro corpetto
di tela con una parvenza di merletto alla scollatura, e il sottanino di lana
a maglia, e infine la camicia lunga e larga come la misericordia divina. E
apparve tutta nuda, bruna ma lucida, col seno che le mancava; pareva un'amazzone
di bronzo dorato.
E con l'agilità pronta di un'amazzone ella si piegava e sollevava, strofinandosi
con un panno insaponato le gambe lunghe e sottili, le ginocchia piccole dove
appariva un po' di rosso come su una melagrana che comincia a maturare, sul
ventre piatto quasi rientrante, sotto le ascelle pulite come quelle di una
bambina. Infine, trattandosi delle spalle, il panno vi fu buttato a tracolla;
e su e giù, e su e giù, dall'omero all'ascella opposta, l'abluzione
fu completa: e l'asciugatoio non fu risparmiato, tanto che lasciò qualche
striscia rossa sul bel dorso e i fianchi rabbrividenti. Brividi piacevoli,
ai quali seguiva un senso di caldo; tanto caldo che ella avrebbe voluto restare
nuda, coi capelli sciolti umidi come di rugiada. Le pareva di essere tornata
fanciulla, quando correva all'appuntamento dietro i ciglioni bianchi di margheritine;
e le parole e i consigli di Serafino, nonostante il seno mutilato e il ricordo
degli ammonimenti del dottore dell'ospedale, le davano un calore di gioia.
Vivere; voleva vivere; amare, dimenticare le sue pene e i suoi scrupoli. Gli
occhi di Aroldo le sorridevano nell'azzurro della piccola finestra; e il pensiero
di richiamarlo non le sembrava più tanto innaturale.
A incoraggiarla in questo proposito, arrivò, più tardi, un compagno
di lavoro del giovine, che già Concezione conosceva perché aveva
pure a lui confezionato un po' di biancheria. Era un ometto anziano, ma col
viso che sembrava quello di un ragazzino: aveva già bevuto qualche bicchierino
di acquavite, ed era disposto a ridere e chiacchierare: si beffava di Aroldo,
ma a Concezione pareva che fosse venuto mandato dal compagno.
"
Adesso s'è dato alla musica, e tutte le sere suona come un grillo. Farebbe
piacere a sentirlo, se non si sapesse che i grilli ce li ha lui, in testa:
sappiamo per chi", aggiunse strizzando gli occhietti verdi verso Concezione. "Però è un
bravo ragazzo: e io le consiglierei, signorina, di essere meno crudele con
lui."
"
Non avete altri a cui rivolgere i vostri consigli?"
"
L'avrei sì; ci sarebbe una donna che consolerebbe Aroldo, in modo da
fargli subito deporre la chitarra; e tutti lo sanno; ma non è una donna
per lui: anzi, mi dispiacerebbe se il ragazzo si lasciasse irretire."
"
Dispiacerebbe anche a me", disse Giustina, alla quale Concezione non aveva
ancora riferito le parole di Serafino. "Si potrebbe sapere chi è?"
E quando l'ebbe saputo si fece rossa e pensierosa.
"
Concezione", disse, andato via l'uomo, "è una brutta faccenda.
Quella lo fa certo per vendetta; bisognerebbe salvare il ragazzo: salvare l'anima
sua."
Concezione aveva il suo orgoglio; e non voleva andare proprio lei in cerca
di Aroldo, adesso che appunto c'era di mezzo la triste avventura: ma attese
che egli ritornasse di sua volontà. Sarebbe stata, questa, anche una
prova che egli non era cambiato.
Adesso i lavori della strada s'erano avvicinati all'ultima salita delle valli
verso il paese. Si scavava il fianco del monte, e il rimbombo delle mine arrivava
fino alla casetta delle donne: negli intervalli di silenzio già singhiozzava
il canto del cuculo e pareva si lamentasse per essere disturbato nella sua
solitudine. Anche Concezione si lamentava, fra di sé, inquieta e incerta.
Altre volte il canto del cuculo aveva accompagnato la sua solitudine rassegnata,
i ricordi del passato, la speranza di una vita sempre così, eguale ma
tranquilla. Aroldo non tornava; e il pensiero che egli andava da quella donna
a bere, come nell'osteria, il veleno dell'oblio, le pungeva il cuore.
Seduta a cucire sulla panchina di pietra, ella ascoltava l'eco delle mine,
il canto del cuculo, e trasaliva ad ogni fruscio di passi dietro la siepe.
Non sapeva però quello che veramente voleva: il pensiero del suo avvenire
oscuro non l'abbandonava; e la sua attesa era un po' fatta di superstizioso
fatalismo. Ecco, bisognava affidarsi a Dio; e non sentiva rancore contro quell'altra;
se Aroldo l'avrebbe preferita a lei era segno che così Dio voleva: dopo
tutto era sua sorella; e forse stava appunto nella volontà divina che
la figlia legittima dovesse in qualche modo scontare il peccato del padre.
In fondo sentiva di non essere gelosa, perché sicura dell'amore di Aroldo:
egli sarebbe tornato, e bastava un cenno di lei per riaverlo: qualche volta,
però, quando era sola in casa e le ore passavano lente, si muoveva dalla
panchina e andava fino al muretto dell'orto. Tutta la valle era già piena
di vita e di vaghi odori di vegetazione, si vedeva l'acqua del torrente scivolare
di pietra in pietra come una biscia d'argento verdastro, e il canto del fringuello
ne accompagnava la voce: anche i monti si rivestivano, ma senza fretta; anzi
le querce lasciavano cadere le vecchie foglie color rame come bruciate dalla
fiamma gelida dell'inverno, e nello stesso tempo mostravano i nuovi germogli,
di un verde perlato. Concezione sollevava gli occhi all'azzurro sopra le cime:
e pensava a quell'altro azzurro.
Anche nell'orto tutto era fresco e fervido: i piselli si arrampicavano fin
sulle piante, le violacciocche diventavano rosse come spruzzate di sangue.
Concezione coglieva una margheritina bianca orlata di rosa, con l'occhio d'oro
fra le ciglia dei petali e se la portava per compagna nella sua solitudine;
ma il fiorellino si rattristava subito, si chiudeva, si addormentava: ed ella
si pentiva di averlo stroncato inutilmente. Possibile che non si possa vivere
senza far male agli innocenti?
E quei rimbombi delle mine che parevano correre e sperdersi tra gli anfratti
del monte, e di là sbucare e salire violenti per i sentieri delle macchie,
per arrivare fino a lei, torcendosi e infine placandosi ai suoi piedi, come
messaggeri minacciosi e affannati? Ella aveva voglia di alzarsi, di salvarsi,
come se davvero qualche cosa di vivo e di tangibile si rotolasse ai suoi piedi:
e negli intervalli, dunque, era poi il grido del cuculo a finire di inquietarla:
tutto le sembrava si rivolgesse a lei, per ricordarle che la sua vita non era
giusta, che ella aveva sempre sbagliato strada e fatto del male: forse peggio
dell'altra sorella fuori legge. E se il lamento del cuculo veniva da un mondo
di là, il rombo delle mine le diceva anche di un passaggio sotterraneo
che Aroldo si scavava da sé per arrivare di nuovo fino a lei, ma stroncato
come la margheritina.
Ecco un giorno arriva il vecchio Giordano, con un viso scuro da giustiziere.
Aveva accumulato molto sdegno, in tutto quel tempo, e veniva, nonostante le
ingiunzioni di Serafino, a rovesciarlo addosso alle donne. Volle essere ricevuto
dentro: al fresco si fanno solo le chiacchiere che si sperdono col venticello.
Seduto al solito posto, afferrandosi al bastone, cominciò senza preamboli:
"
E dunque il vostro spilungone, il vostro Gesù di stoppa va dalla Maddalena.
Ma siete tutti in famiglia. Sicuro."
Concezione si sentì pungere come ella pungeva la stoffa con l'ago, da
una parte all'altra: vide la madre arrossire, poi avvicinarsi al vecchio infuriata
ed ebbe quasi paura che si accapigliassero.
"
Ti proibisco di bestemmiare, in casa mia", disse Maria Giustina, piegandosi
minacciosa: "se sei venuto per salutarci sii il benvenuto, ma non parlare
in quel modo. Che importa a te, e che importa a noi, se un uomo che non è nostro
parente va dove gli pare e piace?"
"
Ah, a te non importa? Importa a me, invece, per l'onore del paese."
"
Oh, oh", si permise di ridacchiare Concezione; ma il vecchio questa volta
era sdegnato sul serio e alzò la voce.
"
Non ridere, sai, cuore mio: c'è poco da ridere, e te ne accorgerai presto.
M'importa, sì, perché il nostro paese non è abitato solo
da asini, ma anche da cristiani e galantuomini e teste quadrate. E che sono
venuti a far qui questi forestieri senza midollo? A portare lo scandalo e il
subbuglio: sono sempre ubbriachi e cantano come galli arrochiti. Che sono venuti
a fare? Una strada? Ma noi non ne avevamo bisogno, di questa strada, il diavolo
ci passi. Sappiamo camminare di pietra in pietra, come i giganti, ed entrare
fino al collo nell'acqua corrente. Mi fa ridere, il ponte che stanno a fare
su quel filo d'acqua che io scavalco con un passo: e parlo di me, che sono
vecchio: i miei nipoti, poi, passano avanti ai caprioli, e il torrentello,
quando essi lo saltano, scodinzola come fa il loro cane. Razza di forti, siamo
noi, e non strimpelliamo la chitarra; se andiamo una volta tanto da una donna
come quella, nel lasciare la sua tana sputiamo, e il giorno dopo in fede mia,
andiamo a confessarci."
"
E a me, ripeto, che importa?", ribatté Concezione; ma poi si pentì,
scosse l'oggetto che aveva in mano e riprese a cucire decisa a non più parlare.
Capiva che il vecchio sfogava la sua rabbia: bisognava lasciarlo finire. Ma
egli non l'avrebbe finita tanto presto, se Maria Giustina, affacciatasi all'uscio,
non avesse visto i due nipoti del vecchio appiattati dietro la siepe dell'orticello:
ora l'uno, ora l'altro, allungavano il collo a spiare dentro il recinto, e
dovevano, come al solito, darsi dei pugni, perché facevano smorfie e
sberleffi; e non due nobili caprioli, come li vantava il nonno, ma due leprotti
sembravano.
Nell'accorgersi ch'ella li aveva scoperti si nascosero del tutto: si sentì il
loro ridere soffocato, e anche la vecchia cominciò a divertirsi; pensò di
umiliare il Giordano col dirgli che i caprioli erano lì a giocare nascosti;
egli però doveva essere d'intesa con loro perché, mentre pure
aggrottava le sopracciglia setolose, si sporse dall'uscio e li chiamò,
con un fischio, quasi si trattasse di cani.
I due accorsero, uno dietro l'altro: Pietro rideva silenzioso, e Paolo si lasciava,
timido, rimorchiare da lui: così si presentarono sull'uscio, tentando,
anche il più giovane, di assumere un'aria canzonatrice, quasi per pigliarsi,
più che altro, beffa del nonno e della loro grottesca situazione.
Grottesca, sì, e ridicola: tuttavia Concezione ebbe un freddo di paura,
quasi di terrore, nel veder la casetta invasa da quei selvaticoni: per la prima
volta sentì la debolezza e la desolazione sua e della madre, che non
avevano chi potesse difenderle e aiutarle in caso di pericolo; e quei due scervellati,
che si presentavano così, senza dignità né orgoglio, aizzati
dal vecchio prepotente come in un gioco da circo, le destarono più che
mai disprezzo e ribrezzo. Rimase tuttavia immobile, con l'ago fermo sulla tela,
come una immagine dipinta; e più che altro parve offrirsi allo sguardo
dei due fratelli, come il ladro che alza le mani per essere meglio derubato.
Ma ella si sbagliava: un velo di soggezione, se non di ammirazione, avvolse
i due giovani; e solo dopo che Giustina ebbe loro offerto da sedersi, rassicurati
dal silenzio di entrambe le donne, dalla loro accoglienza forzata ma non ostile,
il maggiore si provò ad essere disinvolto, anzi goffamente spiritoso:
si volse da una parte e dall'altra sulla sedia, stirò le gambe, si batté il
petto con la punta delle dita.
"
Soldato intrepido", disse, "un gorilla, ottanta di torace, stomaco
sano, appetito pari al coraggio."
Fermo sul suo bastone, come il vecchio orso che ammira gli orsacchiotti, il
nonno s'era rischiarato in viso; sperava.
Infatti, Concezione, rassicurata, preso il tono leggero di canzonatura del
giovane, e facendo scorrere lo sguardo ridente sulla persona di lui, disse:
"
Sì; ma come va che ti hanno preso, con quelle gambe corte?"
L'altro fratello scoppiò a ridere in modo che gli schizzi della saliva
gli irrorarono il viso: ed egli si asciugò col dorso della mano. Pietro
si sentì quasi scalzato, poiché gli occhi di Concezione corsero
subito sulla persona del fratello: corrugò le sopracciglia che sembravano
segnate col carbone, e ribatté con voce che poteva anche sembrare minacciosa
sul serio:
"
Ebbene, ti sfido allora a correre con me, tu che hai le gambe di pioppo sciolto.
Provati; andiamo fuori, corriamo dove ti pare. In un baleno ti prendo, anche
se tu vai avanti di un chilometro: ti acchiappo, ti carico sulle spalle come
una pecora ammattita, ti porto su di corsa fino alla cima del monte."
Il fratello gli diede un forte colpo sulle spalle, non si sa se di approvazione
o di rimprovero: egli si rivoltò:
"
E lasciami stare, figlio di una cornacchia."
"
La mia madre è la tua, manigoldo."
Questi erano i complimenti che sapevano fare i due fratelli: e il nonno continuava
a fissarli, non sapendo quale dei due fosse più bravo. Più severa
fu Giustina, che si era completamente rassicurata, e sedeva col suo atteggiamento
da idolo, con le mani sul ventre.
"
Neppure vostra madre rispettate, cattivi ragazzi che siete. Ad ogni modo, adesso
Concezione vi darà il caffè: vino non ne ho. Quel diavoletto
di Biblino, il chierico, s'è scolato anche quello della messa."
"
Non sarà stato nostro fratello Serafino?", dissero a una voce i
pretendenti; e cominciarono a beffarsi anche del loro santo di casa, adesso
che era lontano e non poteva sentirli. "Perché a lui piace solo
il vino bianco; per ciò è di quel colore, in viso; e non pare
neppure un discendente di nonno nostro."
E risero del vecchio, per far vedere a Concezione che neppure di lui avevano
timore. Ma ben altre prove del loro coraggio e della loro forza avrebbero voluto
darle: come si fa, per esempio, a massacrare un nemico, in pace e in guerra,
schiacciandogli la testa con le ginocchia; o ad afferrare per le corna un toro
infuriato; a cacciare un'aquila, più pericolosa del toro; a spegnere,
battendo il fuoco con le fronde, un incendio già avanzato. Non potevano,
lì per lì, mostrare la loro bravura; Pietro però, esaltato
dalle sue vanterie, osava guardare con occhi di maschio, e di maschio che se
ne intende, la persona di Concezione; e l'altro, accorgendosene, mentre lui
aveva quasi paura di fissare gli occhi sul petto di lei, cominciava ad essere
geloso; così, solo per spirito di emulazione: e venutagli l'improvvisa
idea di giocare col fratello una partita pugilistica, come spesso facevano
per esercitarsi fraternamente, gli diede un pugno sotto il gomito.
Sollevò il braccio con dolore, mordendosi le labbra, Pietro lo spiritoso;
e avrebbe immediatamente restituito il complimento manesco se il nonno, a sua
volta, non avesse sollevato il bastone con un vero ringhio di orso.
"
Ma vi credete all'ovile, asini che altro non siete? Smettila, Paolo; e fate
e dite cose meno stupide."
"
Ebbene, cantiamo una canzone, quella che dice: "Sono andato alla festa
di santa Gasta; quella che viene in primavera"."
L'avrebbero cantata, se un nuovo avvenimento non avesse smorzato il loro ardore
e la loro incipiente rivalità, spingendoli anzi a stringersi l'uno contro
l'altro come per difendersi da un comune pericolo.
E tutto fu movimento, novità, chiasso e vita vera, intorno e dentro
la casetta ospitale.
Arrivava d'improvviso, e non certo, quel giorno, per una vertenza giudiziaria,
comare Maria Giuseppa; non più camuffata da uomo, ma sempre coperta
di vesti pesanti, con una cuffia di seta nera e, sopra, un fazzoletto che pareva
avesse strappato, per decorarsene, tutti i fiorellini e le frange verdi della
strada campestre. Intorno alle possenti caviglie, sopra le alte scarpe ad elastico,
aveva allacciati due grossi sproni lucenti. Dopo aver condotto il cavallo sotto
la tettoia, facendo segni di saluto alle galline, tirò giù la
bisaccia colma e la portò sulla panchina di pietra accanto alla porta.
Aveva già veduto nella cucina i due giovanotti, e corrugò le
sopracciglia che, in quanto a foltezza e ribellione, gareggiavano con quelle
di Giordano; ma il suo cipiglio divenne addirittura guerresco, aggressivo,
quando scoprì il vecchio che la fissava anche lui sorpreso, curioso,
e infine allarmato.
Non si conoscevano personalmente: egli però sapeva bene chi era Maria
Giuseppa Alivia; e della sua autentica ricchezza, della sua prepotenza e infine
del nipote bastardo e scemo al quale ella destinava la sua roba. Lui, Felice
Giordano, s'infischiava, per non dire la vera espressione pensata in quel momento
da lui, di tutte quelle cose; tuttavia si armò, pur senza fare un solo
movimento; si armò come quando spiava i ladri dei suoi porci, pronto
a ferire e ucciderli senza misericordia se osavano eseguire i loro progetti.
E qui c'era davvero da stare attenti a Maria Giuseppa; oh, molto di più che
al forestiero suonatore di chitarra. La sua collera crebbe nel veder Concezione
alzarsi, dopo che la madre era corsa d'un balzo incontro all'ospite, e cambiare
aspetto.
In fondo ella era contenta per l'arrivo della donna che avrebbe messo fine
alla sgradita visita degli altri; sentiva però che la cosa non sarebbe
andata liscia, e non sapeva se divertirsi o rattristarsi. Ricordava bene le
parole di Serafino: tu sei come la vita, che desta tante lotte e bramosie,
e lascia tutti delusi.
No, ella non voleva deludere, e sopra tutto non voleva ingannare nessuno; ma
provava quasi un vago sentimento di vendetta contro il suo male, e il conseguente
dolore, a veder quella gente contendersi una cosa che non esisteva. Dopo aver
salutato con sostenuta cortesia l'ospite, reprimendo il primo impulso che era
stato quello di far dispetto ai Giordano, tornò a sedersi ma non riprese
il suo lavoro; e seguì come una spettatrice la scena degli altri. I
giovanotti ed anche il nonno avevano per buona creanza, pur senza alzarsi,
salutato con cenni della testa la donna: essa, che aveva già intuito
di che si trattava, pensò di punzecchiarli immediatamente e farli andar
via.
"
Comare mia Giustina", disse piegandosi a levarsi gli sproni, "vi
ho portato qualche cosetta che voglio credere riesca gradita a Maria Concezione.
Non è quello che Maria Concezione si merita: lei si merita tutti i tesori
del mondo, però... però..."
Si sapeva in che consistevano le cosette che ella usava portare in regalo,
e Giustina era troppo donna di casa e buona massaia per non rallegrarsene:
tuttavia non si affrettò a metter dentro la bisaccia, e questo incuriosì maggiormente
i tre uomini.
"
Ecco", pensava malignamente il vecchio; "per amicarsi queste donnette
bisogna portar loro dei doni; io non ci avevo pensato, ma sono sempre a tempo."
Disse, con dignità patriarcale:
"
Anch'io allevo un bel porchetto, per comare Maria Giustina: anche lei merita
qualche tesoro."
Pietro, invece, liberatosi dal primo imbarazzo, volle riprendere a fare lo
spiritoso, e disse che lui, per conto suo, appena sarebbe la stagione, avrebbe
portato un cestino pieno di cavallette.
"
Di locuste si nutrivano gli ebrei", disse seria l'ospite, attaccando familiarmente
gli sproni a un chiodo; "e noi siamo cristiani battezzati, e ci nutriamo
di pane e di santi cibi."
Egli fu per replicare, ma la donna finse di non badare oltre a lui e agli altri,
con la stessa tattica che una sera il vecchio Giordano aveva usato con Aroldo.
Ed egli dovette forse ricordarsene perché, per pungere meglio l'ospite
e vendicarsi subito di lei, un po' imitandola nel suo fare, si rivolse a Concezione.
"
Riprendendo il discorso interrotto", disse, "ti dirò dunque
che quel giovinotto, quello spilungone, quel tuo pretendente favorito..."
"
Chi, chi?", si rivolse subito l'ospite, senza più potersi frenare. "E
a me non dite mai niente."
"
Ma lasciatelo cantare; ha voglia di scherzare, il vecchio. Io non ho pretendenti,
né favoriti né altro: finiamola con queste storie."
Però il vecchio era troppo inquieto per non tentare di tirare ancora
qualche frecciata, e quando Giustina servì a tutti il caffè egli
respinse la tazzina con disprezzo.
"
Figurati se voglio di quest'acquetta nera! Ho già bevuto tre bicchierini
d'acquavite; e in buona compagnia li ho bevuti, con compare Francesco Marcello,
quello che ha comprato i terreni del tuo beato marito, e adesso ha intenzione
di rivenderli perché vuol fabbricare un palazzo per i suoi nipoti che
studiano da avvocati e dottori. Io credo, veramente, che egli voglia vendere
perché questi ragazzi, orfani anch'essi come i miei, ma di ben altro
sangue, si stanno a rosicchiare il patrimonio; questo a noi non importa: importa
che se tu, Giustina, e tu, Maria Concezione, non volete riscattare i terreni,
come era volontà del beato morto, ho intenzione di comprarli io."
"
Sì", pensò Concezione, "coi miei denari. Stai fresco,
vecchione."
L'ospite, seduta a gambe larghe e con la tazzina fra tutte e due le mani, adesso,
sì, prestava attenzione alle parole di lui e i suoi occhi scintillavano
come perle nere: però si rivolgeva sempre a Giustina, e misurava anche
il suono delle sue parole.
"
Come, come? Vostro marito aveva stabilito questa sua volontà?"
"
Ma lasciate dire il vecchio: ha proprio voglia di scherzare: oggi è festa,
e l'acquavite già scorre a rivoli nell'osteria del paese."
Un colpo di bastone del vecchio fece tremare il pavimento e scappare il gatto:
ma egli non insisté per non sembrare maleducato, ed anche perché le
due donne si erano completamente rivolte l'una all'altra e parlavano fra di
loro come se egli non ci fosse.
Giustina s'informava della salute del marito dell'altra e delle novità lassù del
paese, ascoltando con reverenza le risposte un po' vanitose con le quali Maria
Giuseppa esagerava le miserie del suo luogo natio per meglio far risaltare
il benessere suo e della sua casa: tanto che Concezione cominciò a irritarsene
e a sua volta si mise a parlare coi Giordano.
Intanto la bisaccia rimaneva fuori; non doveva contenere roba da mangiare,
perché il gatto, dopo averla fiutata ben bene, raspandone i fiori e
gli uccelli di lana ricamativi sopra, se ne andò nel folto delle fave.
Faceva già caldo e la natura era in pieno fiorire. Il musco nuovo, come
un velluto verde sul quale si posavano le perle della rugiada, copriva le rocce
e gli angoli di terra in ombra: l'odore vivo della mentuccia insaporiva l'aria;
e il suono delle campane che arrivava dalle chiese della cittadina, con oscillazioni
musicali come di danza, accresceva gioia e festa alle cose innocenti, mentre
nella cucina delle donne, gli animi in apparenza amici, o almeno senza ragioni
di ostilità, si rodevano per le loro vane bramosie.
"
Sì", ripete comare Maria Giuseppa, stringendo le labbra color prugna
per rendere più calme e nello stesso tempo più acute e pungenti
le sue parole, "mio marito, grazie a Dio, è sano e florido come
un pontefice. Poco si muove, sebbene le sue gambe siano buone; ma tutti vengono
a trovarlo, a fargli compagnia: il parroco, il dottore, il segretario, il podestà:
e i poveri anche, per tastargli il taschino; e lui se ne sta in mezzo a tutti
come Salomone. Poco parla e molto ascolta, ed è saggio; non offende,
non si fa offendere da nessuno. Nel tempo buono se ne va sotto il portico della
nostra casa, un vero portico, sapete, non una rustica tettoia, con le colonne
vere, tagliate nel granito; e lì c'è l'aria fina che viene dai
monti e la vista grande che apre il cuore solo a vederla. E là se ne
sta proprio come Salomone, a fumare la pipa, e molti vengono anche da lontano
per domandargli consiglio e sottomettere al suo retto giudizio le loro questioni."
Avrebbe voluto aggiungere che no, non era davvero stolto come quel bestione
imprudente e vanitoso che come gli scimmioni si conduceva appresso i nipoti
per far divertire la gente; ma ricordando appunto certe osservazioni del marito
a proposito della lingua sfrenata di lei, non aggiunse parola.
"
E anche la vostra casa è come quella di Salomone", disse comare
Giustina, affascinata ma anche un tantino adulatrice, "piena di tesori
e di ogni ben di Dio, che Egli ve li conservi lungamente."
Il vecchio aveva voglia di grugnire; pensava alla sua casa, bassa, che sorgeva
nel quartiere più popolare della cittadina, ed era quasi buia. Oh, Concezione
avrebbe preferito certo quella dell'ospite: tuttavia ascoltava anche lui un
po' incantato, confortandosi solo al pensiero che la donna esagerava il colore
dei quadri che esponeva.
"
D'inverno, invece, si sta in cucina: non nella cucina dove c'è il forno
e si fa il pane, ma in quella del camino, che è grande e sto per dire
bella quanto la sala comunale. Intonacata, sì, e con le tavole e le
panche lucenti: i camini, poi, sono due, perché anche le spalle della
gente, quando fa freddo, hanno da essere scaldate. Quando nevica, e gli uomini
non possono andare al lavoro, ecco, tutti vengono da noi: giocano alle carte,
e mio marito ogni tanto si alza, quieto quieto, e va a prendere un boccale
di vino. Ah, per questo, è generoso: ha bisogno di veder la gente felice
intorno a lui; e se un povero vergognoso lo guarda come il cane quando ha fame,
egli finge di stendergli la mano per soccorrerlo di nascosto."
"
Insomma, lo faremo santo", scattò il vecchio, ed ella volse a lui
uno sguardo serio, come se anche lui avesse parlato seriamente."
"
Oh, certo, in paradiso andrà."
"
E allora, tanti saluti, e che preghi per noi", egli disse, alzandosi.
Era sdegnato di doversene andare così, senza aver raggiunto il suo scopo;
ma nel vedere che i nipoti, protesi tutti e due verso Concezione, come per
scaldarsi al fuoco della sua persona, sorridevano mostrandole i forti denti
bianchi pensò essere bene lasciarli lì. Forse da soli, spronati
dalla presenza dell'ospite rivale, se la sarebbero sbrigata meglio; tanto più che,
e questo lo sentiva bene, avevano già cominciato a scaldarsi sul serio.
Quindi, accennò loro di restare, poi se ne andò bruscamente,
lasciando spalancata la porta.
E andato via lui, un senso di migliore cordialità animò gli astanti.
Dopo tutto, comare Maria Giuseppa amava la gioventù, e i due ragazzi
non le riuscivano antipatici. Come al vecchio il ricordo della sua casa tetra,
così a lei tornò in mente la figura del suo nipote illegittimo,
con gli occhi di montone e la bocca quasi sempre aperta come il becco degli
uccelli che aspettano il cibo. Oh, il Signore divide in parti eguali i beni
della terra, ed è sempre giusto anche quando meno lo pare. Ella si volse
dunque verso il gruppo dei giovani, e interrogò Pietro con benevolenza:
ma egli rispose riprendendo la sua aria diffidente e beffarda.
"Ho duecento pecore, tutte mie: non sono le vostre greggie, ma insomma
non sono poi duecento accidenti. Si campa. E poi nonno ha pure lui qualche
cosa: non sono le vostre ricchezze..."
"
Oh, ragazzo, smettila", disse lei bonariamente; "non si pigliano
in giro le persone anziane. E tu poi, agnello mio, hai una ricchezza che pochi
re posseggono."
"
Abbiamo capito", intervenne l'altro, non senza una punta di gelosia; "è la
gioventù; che è anche la bellezza dell'asino."
Pietro gli diede un pugno sulla spalla; al che Paolo si raddrizzò e
parve ingoiare una pietruzza; ma fingeva, e si sentiva contento lo stesso.
Dalla porta spalancata si vedeva, attraverso il merletto scintillante degli
alberi, un lembo celeste di montagna e di cielo; e la lontana voce del cuculo
diceva di luoghi segreti, di angoli morbidi e ombrosi di bosco, ove sarebbe
stato per i giovani aspiranti, infinitamente dolce baciarsi con Maria Concezione.
A lei però, che si era di nuovo piegata sulla sua tela, e pareva rifletterne
il grezzo pallore sul viso, il lamento del cuculo scavava intorno un vuoto
improvviso, freddo e solitario. Eppure di tanto in tanto le pareva di sentire
il rimbombo pietroso delle mine, e poi, ricordandosi ch'era giorno festivo,
si domandava dove era Aroldo. Da quella donna? O errava smarrito, straniero
fra stranieri, anche lui circondato di vuoto e di solitudine. Senza sollevare
il viso, mentre i due giovanotti si erano adesso rivolti all'ospite e scherzavano
con lei come con una ragazza, si ficcò la mano sotto l'ascella, incrociò l'altra
mano sul braccio piegato e vi piegò il mento: pareva dormisse.
Strambo sarebbe parso questa volta il dono dall'ospite offerto, senza il significato
che le donne subito intesero senza però gradirlo. Era una coperta antica
da letto, di lana che sembrava seta, leggera e morbida, che a soffiarla si
gonfiava come un velo: e più che di seta pareva tessuta di fili di piume;
e di certe piume di uccelli, fra il grigio, il rosso, il giallo, il viola,
l'azzurro e il nero, aveva il colore e la trama, mentre tutto intorno le correva
un fregio arcaico, una fuga di agnellini, di croci, di colombi e ramicelli
di mirto: pareva, ed era veramente, un arazzo; e subito Concezione pensò,
non senza una certa tenerezza, che poiché la preziosa coperta non poteva
servire al suo letto nuziale, sarebbe stata bene e in luogo degno, sotto il
Cristo nudo, nei giorni del Santo Sepolcro.
Non lo disse: accettò lo strano e fastoso dono lasciando alla madre
il modo alquanto brusco di piegare la coperta il più stretto possibile
e riporla sopra le altre modeste robe nella cassapanca della camera da letto.
Chi non taceva era Maria Giuseppa, mentre con un piede appoggiato alla panchina
si stringeva il laccio delle calze di cotone turchino, lasciando vedere le
gambe che sembravano grossi e sodi zamponi di maiale.
"
E dunque quei due giovani cinghiali ti fanno la ronda? Non sono belli; eppure
non dispiacciono: però bisognerebbe fonderli e farne uno solo per formarne
un cristiano a modo. Quello che non mi piace è il nonno, l'inferno lo
aspetti: è un cinghiale davvero, ma di quelli buoni, che vivono fra
le spine e si nutriscono di serpi. Se gli occhi potessero uccidere, a quest'ora
sarei morta, sotto il pugnale del suo sguardo. L'angelo custode ci liberi da
lui."
"
Ma no, non è cattivo: è un galantuomo, che brontola ma è incapace
di far male a una lucertola", lo difende Giustina, che ama la verità. "Certo,
vuol bene ai nipoti, e cerca di favorirli come può."
"
E dei ragazzotti, che ne pensate?"
"
Non so, bisogna domandare a Maria Concezione."
"
Maria Concezione, che ne pensi?"
"È
la prima volta che li vedo: non mi fanno né caldo né freddo."
"
Bene", approva l'ospite, riconfortata. "In quanto a fisico, il mio
Costante è più forte e bello di loro: è semplice, sì,
ma tu ne farai quello che vorrai."
"
Io non ne farò nulla", disse Concezione, con ferma tristezza. "Io,
lo ripeto, non mi sposerò mai. Se volete restarci amica ne saremo sempre
felici; ma non parliamo più di queste cose."
Era tuttavia fatalità che nessuno dovesse credere ai suoi propositi:
e Maria Giuseppa pensò piuttosto a quel maledetto forestiero, al quale
aveva accennato il vecchio. Concezione ne doveva essere innamorata, e qualche
cosa le impediva di sposarlo; ma per amore di lui non accettava altre proposte
di matrimonio. Bisognerebbe eliminarlo, il malvenuto forestiero, farlo andar
via, toglierlo in tutti i modi di mezzo.
Durante il pasto, ella cercò di sapere, di conoscere meglio la faccenda
di Aroldo; le donne non le diedero soddisfazione, ed ella pensò di fare
un'inchiesta per conto suo. Disse che aveva da salutare in città una
sua conoscenza, e si avviò a passi lunghi e decisi. Tornò un'ora
dopo; ma poco doveva aver scoperto perché aveva l'aria scontenta di
chi ha fatto un viaggio inutile: e con quest'aria rimontò sul suo cavallo
e partì.
"Maria, Madre di Dio, fa che mi lascino in pace", pregava Concezione
inginocchiata ai piedi dell'altare, "non domando che di poter vivere finché vive
mia madre, e di non farla soffrire: dopo, fa di me quello che tu vuoi. Sono
pronta a tutto; non mi spaventa il dolore, ma il peccato mortale. E tutta questa
gente, intorno alle mie povere ossa, come i cani affamati mi fa peccare di
odio, di rabbia, di vanità. Sì, di vanità: poiché a
volte mi illudo che sia la mia persona a destare desiderio e rivalità,
mentre essi sono tutti guidati da meschini interessi personali; e se sapessero
che un male terribile, il peggiore di tutti, è annidato come un serpente
velenoso nel mio povero seno, mi fuggirebbero come si fuggono i lebbrosi e
gli indemoniati. Maria Santissima, fa che mi lascino in pace, come una vecchia
che nulla più possiede al mondo tranne un metro di terra per morirci
sopra, e sotto esserci sepolta."
Tre volte recitò l'Ave, poiché la Madre di Dio non nega il suo
conforto a chi la saluta come un'amica fedele; ma intanto il profumo denso
delle iris di velluto violetto con le quali Concezione aveva adornato l'altare;
e quello dei cespugli, dei ciclamini e dei convolvoli selvatici, che penetrava
dalla finestruola aperta sulla valle, arrivava fino all'anima di lei. E quei
segnali vulcanici delle mine, che avevano ricominciato fin dalla mattina presto,
la scuotevano tutta, minacciavano di spaccarle il cuore e mandarlo in frantumi
per aria come le pietre della montagna. Pregava più per questo che per
la persecuzione dei suoi pretendenti: la vera persecuzione era dentro il suo
sangue, nell'amore tenace per la vita, nella paura del male, del dolore, della
morte.
Rimase a lungo sotto l'altare, a poco a poco piegandosi sulle ginocchia fino
ad accovacciarsi: le pareva di trovare un rifugio, un nascondiglio contro se
stessa, nella chiesetta ancora fredda e grigia, dove i ragni anch'essi trovavano
da ripararsi, e il Cristo nudo e giallo sulla croce nera, col viso reclinato
a sinistra, pareva infastidito dalla sua corona di spine. Ella ne sentiva una
pietà materna, più che per il Bambino dai piedi mossi come per
tentare i primi passi sopra la luna e le stelle: e avrebbe voluto metterlo
giù, il rassegnato eppur dolente Cristo bruno, stenderlo sulla coperta
nuova, farlo riposare tra i fiori come nei giorni del Santo Sepolcro.
E d'improvviso, per associazione di idee, pensò più intensamente,
volontariamente, ad Aroldo: le parve di nuovo che il Cristo in qualche modo
gli rassomigliasse.
"
Maria, Madre di Dio, levatemelo dal pensiero: fate che egli se ne vada lontano,
nelle altre parti del la terra; che io non senta più sue notizie: che
egli sia felice, libero dal peccato, e rimanga buono e puro come l'ho conosciuto
io."
Ma l'immagine viva e vera di lui, l'onda quasi argentata dei suoi capelli,
l'azzurro implorante degli occhi, e sopra tutto la viva bocca sensuale e casta
nello stesso tempo, la perseguitavano giorno e notte, anche nei sogni, anzi
specialmente nei sogni, quando il controllo della volontà non frenava
i suoi sensi ancora giovani e avidi.
Spesso vi si mischiava il ricordo, l'immagine torbida dell'altro; un senso
mortale di angoscia la premeva, allora, come se il morto la innalzasse, dall'inferno,
fatto anche lui essenza del demonio, del male, del dolore che non ha fine.
Si svegliava tutta in sudore, e per calmarsi pensava, ripiegandosi di nuovo
sulla realtà, che la sua era forse una pena di espiazione: Dio gliene
avrebbe tenuto conto nel momento di fare il grande viaggio.
Un'altra figura quasi diabolica le sembrava quella del primario dell'ospedale,
che personificava per lei il primo giudice che aveva pronunziato la sua condanna:
qualche volta pensava di andare a farsi visitare da lui, come egli le aveva
ordinato; ma ne aveva quasi terrore: temeva che egli le annunziasse una prossima
ripresa del male, una morte lenta ma non remota. E lei voleva vivere: per sua
madre, diceva, ma in realtà per il solo istinto di vivere. Che importa
l'amore, la discendenza, il nutrimento superfluo che si domanda alla vita,
quando il solo pane di essa basta per farci godere e comunicare con Dio? Concezione
non aveva studiato, non leggeva che il suo libro da messa, ma era intelligente;
e la solitudine e l'atavismo sviluppavano in lei, ogni giorno di più,
come nei pastori sulla montagna, un primordiale ma sensato concetto filosofico
e quasi stoico della vita. Capiva benissimo che il suo male era, in rapporto
all'amore, come un legame, un voto, un ostacolo simile a tanti altri: e che
ella aveva da lottare coi sensi, coi sogni, con gli stessi istinti che l'ostacolo
stesso destava: ma, come molta gente raffinata, provava, in fondo, la gioia,
il gusto del dolore.
Quel lunedì la madre era andata a lavare i panni al torrente, già scarso
d'acqua ma ancora abbastanza provvido: Concezione sperava che nessuno venisse
a molestarla, e se ne stava all'ombra della casa, col suo ago, la camicia del
compagno di Aroldo e il saluto delle mine lontane. Ecco invece passa, rasentando
il cancelletto, il vecchio pseudo dottore, col pastrano bene abbottonato, come
se l'inverno sia ancora vivo: passeggiava spesso da quelle parti, quando il
tempo lo permetteva, di tanto in tanto fermandosi e piegandosi a guardare per
terra, quasi vi scorgesse un oggetto smarrito, che egli però non voleva
raccogliere per non avere impicci.
Era invece una lucertolina guizzante fra l'erba come un pesciolino nell'onda;
o un gruppo di formiche intorno al minuscolo pozzo da loro scavato, o una famiglia
di fiorellini rossi; e anche una semplice eppure meravigliosa goccia di rugiada
che nel suo nulla rifletteva tutto il folgorante mistero dell'universo.
"
Forse non ha mangiato da due giorni", pensò Concezione, e gli andò incontro,
lo fece entrare, gli portò fuori una sedia buona.
"
Come va, come va?", egli diceva, fissandola tra beato e triste, come prima
aveva fissato la goccia di rugiada. Tutto era ancora meraviglia per lui in
questo mondo; la stessa meraviglia del bambino che osserva per la prima volta
le cose ma non sa spiegarsele; che vorrebbe toccarle col dito e non osa per
paura, non di distruggerle, ma di esserne punto: per questo avevano cacciato
via il flebotomo dalla comunità degli uomini di vera scienza, per i
quali non esistono misteri. Ed egli errava ancora, per il sentiero della vita,
come un fanciullo scappato di casa per paura del castigo, ma felice di vagabondare
senza far niente. Anche a costo di soffrire la fame.
"
Come sta, signor dottore?", insiste Concezione, e nel vedere che la piccola
testa di lui si muove come quella di un uccellino implume che aspetta il mangime,
pensa che cosa può offrirgli, senza offenderne la dignità; vino
no, a quell'ora, caffè era troppo poco: allora ricordò che aveva
del cacao, e biscotti ben grossi: e aspettò il momento opportuno per
preparargli una buona tazza di cioccolata, e offrirgliela con gentilezza signorile.
Egli non cessava di fissarla: i suoi occhi lattiginosi si accesero di quella
scintilla di conforto ch'ella ben gli conosceva, e anche lei si confortò.
"
Ti trovo un po' sciupata, Concezione", egli disse poi, "ma è la
primavera. La primavera è fatale alle donne. Come la terra, esse hanno
bisogno, in questa stagione, di fiorire, godere, essere feconde. L'amore è il
miglior polline per loro. Tutto va bene quando c'è l'amore: null'altro
conta, nella vita, poiché la vita stessa è l'essenza, il principio
e la fine dell'amore. Se tu, mia cara amica, ti fossi sposata dieci anni fa,
a quest'ora avresti tre o quattro bambini, qui intorno, a far compagnia ai
fiori, agli uccelli, e sopra tutto al tuo cuore. Ma tu, forse, hai badato alle
altre vane cose della vita, e così adesso ti sciupi, ti consumi lentamente,
sei come una mandorla che si secca entro il suo guscio prima di esser venuta
a maturazione."
Ella ricordava il suo primo amore, il suo involontario delitto, e in cuor suo
approvava il vecchio; ma adesso che il sole rendeva nitide le cose non voleva
abbandonarsi ai suoi fantasmi: quindi osservò, con un sorriso che mostrava
tutti i suoi denti ancora intatti:
"
Anche la mandorla secca è buona: anzi è più buona di quella
fresca, e ci si fanno i dolci, però io sono vecchia", aggiunse
subito, per non essere fraintesa; troppo vecchia: e quando è troppo
vecchia, la mandorla si baca.
"
No, cara amica, tu mentisci a te stessa. Basta guardare i tuoi occhi. Sembri
una zingara mascherata da monaca. E dunque, lasciando le teorie, veniamo alla
realtà. Confidami qualche cosa, consultami: sono buono a darti ancora
qualche ricetta."
Col bastoncino da zerbinotto, che questa volta aveva aggiunto alle altre sue
eleganze, faceva qualche mulinello per aria; anzi si divertiva a buttarlo in
alto e riprenderlo fra le dita con destrezza giovanile: e Concezione, che dapprima
aveva avuto quasi desiderio di confidarsi davvero con lui e accennargli al
suo segreto tormento, vedendolo intento a quel gioco, ridicolo in lui, prese
un tono comicamente sentimentale e falso quando gli disse che, sì, era
innamorata, ma di uno che non poteva sposare: uno già ammogliato, con
famiglia lontana; e pensando al compagno di Aroldo, al forestiero del quale
cuciva la camicia, s'investì nella sua parte, lo descrisse, lo abbellì,
lo ringiovanì, e infine rise per la sua davvero divertente invenzione.
"
Tu mi pigli in giri, anima mia; conosco quell'operaio: è un vecchione,
peggio di me; l'amore, però, non ha età", egli disse, dopo
aver fermato il suo gioco del bastoncino: e allungando la piccola mano gialla,
le cui vene sembravano sanguisughe nuotanti sotto la pelle rugosa, tentò di
toccarla.
Ella rabbrividì tutta di ribrezzo, e pensò che, dunque, neppure
i morti la rispettavano. Allora volle vendicarsi; scostandosi sulla panchina
disse:
"
No, non è un vecchio: è giovane, anzi è molto più giovane
di me, di quelli che possono masticare le mandorle col guscio e tutto. E non è vero
che è sposato. È libero, è bello, è sano; e buono:
ha i capelli che sembrano di seta dorata, e gli occhi e la bocca come fiori;
ecco, quei fiori lì, quelli del fioraliso e quelli della peonia: anzi,
la bocca è più bella ancora; è come la prugna rossa ben
matura, quando si spacca e lascia colare il miele. E alto."
"
E ti tradisce, s'intende."
"
Con chi? Come lo sa, lei?"
"
Ma, precisamente non lo so. Con un'altra donna, suppongo. Ci sono tante belle
figliuole, nel nostro paese, che aspettano solo l'uomo che le baci. Anch'esse
hanno la bocca solo per questo, come i frutti maturi che aspettano di essere
succhiati. È giusto, che sia così: è la natura. E se tu
fai la schifiltosa, come il fico d'India che per esser goduto ha bisogno di
essere scorticato col coltello dalla sua buccia spinosa, è giusto che
il tuo giovinotto si volga da un'altra parte: specialmente se è forestiero.
Una volta ho conosciuto un fantaccino, un ragazzo del settentrione, che volle
mangiare un fico d'India, e non sapendo che si doveva sbucciare, lo morsicò con
le spine e tutto. Venne da me con la bocca che gli bruciava come un forno acceso,
e ne ebbe per un bel pezzo. Il tuo forestiero, dunque, va verso i pomi e altri
bei frutti amabili. I forestieri, poi, sono famosi per tradire le donne; e
qualche volta lo fanno anche innocentemente: ne amano due e tre alla volta,
e non badano alla qualità; oh, per questo, anche i nostrani non guardano
per il sottile, e spesso la donna più scadente, ma dotta nelle arti
amorose, li accalappia come anche la volpe più astuta si lascia accalappiare
dalla trappola nascosta."
"
Non è il caso, non è il caso",ella disse, già pensando
che il vecchietto alludesse ad Aroldo. "Il mio caso è un altro.
Si tratta che io non ho mai avuto fortuna, in amore. È il destino, la
sorte, la mala sorte."
"
Parole. La sorte ce la facciamo noi. E se io fossi stato più furbo,
se io avessi tenuto a bada la mia clientela, se io avessi salassato bene anche
nella borsa i miei malati, avrei tenuto alto il mio prestigio, adesso non sarei
come un vecchio operaio disoccupato. Invece sono stato sempre onesto e generoso;
e se un salasso non era necessario non lo facevo, e se non conoscevo abbastanza
bene la malattia per la quale la buona gente ricorreva con fiducia a me, li
mandavo dal dottore laureato. Una volta venne da me una donna benestante, dei
paesi di montagna: aveva paura di avere un cancro, e a tutti i costi voleva
che la operassi di nascosto, perché al suo paese la sua malattia era
vergognosa come la lebbra. Rifiutai. Ella non aveva che male di nervi, fissazioni,
fobie. Ebbene, ella andò da un altro, che le portò via una fetta
di mammella e si beccò mille scudi: e poi raccontava la cosa e rideva.
Il mondo, cara mia, è fatto di furbi e di imbecilli. E il tuo biondino,
dunque?"
Concezione palpitava: le sembrava di essere stretta da una mano invisibile;
ma non era quella di Aroldo, povera mano bruciata dal lavoro e timida come
quella di un bambino: era quella dell'illusione. L'illusione che il dottore
dicesse il vero, che l'esempio raccontato da lui fosse adattabile al suo caso:
che i dottori dell'ospedale l'avessero ingannata e il suo male fosse solo una
immaginazione dolorosa della sua mente.
E aspettava che il vecchio portasse altri esempi; ma egli già divagava;
fra le altre cose raccontò che da bambino credeva esistesse un lungo
passaggio sotterraneo, fra la chiesetta della Solitudine e una grotta giù nella
valle a tramontana, dove il luogo era più scosceso brullo e disabitato.
"
I tuoi nonni e bisnonni, il Signore li abbia perdonati, se ne servivano, al
dire della gente, per le loro bellissime imprese: da una botola della chiesa,
sotto l'altare, penetravano nel passaggio, uscivano per la grotta e si recavano,
come i cavalieri erranti, in cerca di fortuna. E col bottino rientravano nella
grotta, dove le pecore sgozzate rimanevano come in un frigorifero, e ben altre
provviste vi si accumulavano."
Leggermente inviperita, Concezione disse:
"
Intanto le faccio osservare che la chiesetta fu costruita da mio nonno, che
nessuno mai incolpò d'altro che di essere troppo buono e scrupoloso."
"Umh", sogghignò l'altro; "l'hai conosciuto tu, tuo
nonno? No: e, dunque, tira via. Tuo padre, sì, non dico, era un galantuomo,
lavoratore, religioso, onesto: e anche tua madre è una donna biblica:
tu, amica mia, hai preso un po' da tutti i rami, sei come il frutto dell'albero
innestato, che tuttavia conserva un certo sapore di selvatico. Sei buona e
cattiva nello stesso tempo; sei la vera figlia di Eva, che vorrebbe anche lei
mangiare il pomo e se non lo fa è perché sente il terrore del
castigo ancora vivo sulla pelle della madre. E dunque, tornando al discorso
del passaggio nascosto, non è detto che partisse proprio dalla chiesetta:
troppo i tuoi avi erano superstiziosi per calarsi nel pozzo delle loro nequizie
proprio sotto gli occhi della Madonna. Ma la terra, qui intorno, era tutta
loro: il bosco scendeva fin qui, e vi pascolavano le capre e i porci. Probabilmente
qui, dove noi sediamo come due colombi innocenti, sorgeva la loro capanna;
o forse la capanna di quei prodi mascalzoni era più in là, verso
quella roccia; e la botola si partiva di là, ben mascherata di terra
e di foglie secche."
"
Lei conta una bella favola: la conti alle galline, però, eccole lì."
Infatti, nel loro recinto di canne, si vedevano le galline bianche e nere,
bionde o tigrate, con in mezzo il loro sultano dalla cresta rossa come un papavero;
e alcune, dietro la siepe, con una zampa sospesa e guardando con un occhio
solo, parevano davvero intente al racconto del dottore.
"
Si raccontavano, allora, storie paurose, a proposito dei tuoi illustri antenati:
un bambino, avanzatosi fin qui in cerca di more, sparì e non fu più ritrovato.
Pare avesse visto a sollevare la botola: ad ogni modo non fu più ritrovato.
Le urla della madre si sentirono in paese per settimane intere: poi ella morì col
cuore crepato. Io però non credo alle maledizioni, siano pure di una
madre alla quale è stato ucciso il figlio bambino. Balle: le maledizioni
le ha sparse Dio prima di tutti, sulla terra e sugli uomini: il vero perché ancora
bene non si sa, ma è certo che il dolore e il male sono leggi naturali,
come la tempesta, la guerra, la morte."
"
Mi parli di cose più allegre", supplicò Concezione, che
tuttavia lo ascoltava volentieri.
Ma egli non ricordava più che cosa fosse l'allegria, quella cioè che
fa ridere la gente; e d'altronde anche lui si divertiva a suo modo, quel giorno,
con la favola del passaggio sotterraneo, con le gesta degli avi di Concezione,
e sopra tutto con l'impressionare la sua ascoltatrice.
"
Be', qualche volta anche i tuoi venerati bisnonni, - poiché tu non vuoi
si tocchi il tuo nonno; e lasciamolo lì, - i tuoi venerabili bisnonni
se la spassavano anch'essi. Non parliamo della faccenda del prete messo a sedere
sul treppiede ardente: era forse, quello, un seggio degno di lui; parliamo
di quando un giorno invitarono a un banchetto un loro amico e gli diedero da
mangiare l'arrosto di una vitella che il giorno prima gli avevano rubato: e
questa volta avevano rubato la vitella solo per fare quello scherzo all'amico:
scherzo più innocente di così non si può fare; ma il bello
viene dopo, quando ubbriacarono l'amico e lo calarono giù per la botola;
tanto che quando gli fu passata la sbornia egli si credette sepolto vivo; ma
a tastoni raggiunse poi l'apertura della grotta e il primo a ridere della burla
fu lui."
"
Oh, basta, signor dottore", dice Concezione; "tanto, io non credo
a queste fandonie, che sono poi indegne di lei. Le lasci al vecchio Giordano."
"
Buono, anche quello! Il passaggio sotterraneo ce l'ha anche lui, dentro la
sua anima di macigno, e può nascondervi i più truci sogni, senza
però metterli in esecuzione: i tempi sono cambiati, e adesso c'è il
nostro bravo don Calogero che non ama gli scherzi di nessun genere."
Don Calogero era il brigadiere dei carabinieri, temuto e amato da tutta la
popolazione. E il dottore, che si sapeva sorvegliato da lui, ne parlò bene,
e disse che la vigilanza del bravo milite arrivava, senza parerlo, fino alla
chiesetta e alle sue solitarie abitatrici: cosa che però non rianimò Concezione.
Ella si sentiva triste; si domandava se non erano le maledizioni della madre
alla quale era stato ucciso il bambino, a gravare ancora su di lei; invano
il dottore, nell'andarsene, le disse che le sue chiacchiere erano tutte invenzioni
sue, e le consigliò di divertirsi e fare all'amore.
Ella invece, nelle sue fantasticherie, pensava che avrebbe avuto piacere di
compiere qualche opera pietosa: assistere i malati, lavare e vestire i morti,
aiutare i poveri, raccogliere in casa qualche orfano: persino alla sorella
perduta, pensava, col desiderio di andare a trovarla, a salvarla dal male.
Era disposta a dividere la sua eredità con lei: ma la madre era una
donna saggia e pratica, e con la sua presenza le impediva di fare sciocchezze.
Così arrivò l'estate: un luccicare di pendici coperte di orzo
maturo, di frumento già spigato, di pascoli che s'indoravano: un canto
chiassoso di usignoli che finivano la covata, e di merli che li imitavano quasi
beffandosi del loro sentimentale richiamo. Nell'orto il ciliegio piangeva grosse
lagrime di sangue, e gli ultimi carciofi aprivano i loro duri fiori violetti:
del resto tutta la vegetazione era già un po' decomposta, di una decomposizione
secca che tuttavia alla notte aveva un profumo ardente come di ginepro bruciato:
rassomigliava a quella del cuore di Concezione. Ella si sentiva stanca e fiacca,
come avesse lavorato a cavar pietre con gli operai della strada; e tutto le
era, o le sembrava indifferente, inutile, vano. Il rimbombo delle mine era
cessato, e con ciò le parve che Aroldo si fosse allontanato per sempre
da lei, mentre invece i lavori della strada procedevano verso il paese, e affacciandosi
al muricciuolo ella poteva vederli.
Un giorno ritornò l'operaio al quale ella cuciva e rammendava la modesta
biancheria, e le disse che Aroldo, al contrario di quanto ella sperava, era
sempre in paese, da quella tale. Faceva chilometri di strada, e perdeva le
notti per andare a trovarla: e spendeva i suoi risparmi per farle regali onde
la gente non credesse interessato il suo attaccamento.
"
In fede di Dio, pare stregato. È magro come un'aringa, vecchio peggio
di me. Quella tale però è furba; gli si è finora negata,
per farlo istupidire di più. E così certo, l'andrà a finire;
che in ultimo partiranno assieme."
Fredda e ostile, eppure con un vago sollievo, ella disse:
"
Buon viaggio; e buona fortuna."
E ogni volta che il ricordo, o la tentazione, come diceva lei, del giovane
forestiero le tornava in mente, e spesso in modo quasi tangibile, gonfio di
angoscia e di gelosia, cercava di schiacciarlo, come si schiaccia un insetto
molesto; ma l'insetto rinasceva più vivo e pungente, ed ella ne era
tutta tormentata. Non aveva più voglia di pregare; le avemarie le uscivano
di bocca appassite, mentre il suo pensiero vagava lontano: non mangiava, dimagriva,
desiderava chiudersi sempre più nel suo cerchio di morte e svanire come
le piccole nuvole d'estate.
La madre si arrabattava a prepararle buoni cibi dolci, frollate e zabaioni;
ella lasciava tutto intatto e mangiava cipolle aspre e pomidoro crudi.
In luglio c'era la festa del patrono della piccola città: San Cirillo
martire. I contadini avevano già raccolto l'orzo, i pastori venduto
la lana e i vitelli, la festa, quindi, che durava tre giorni, fra scampanii,
processioni, fuochi artificiali, vendita di vino e di gelati, diventava una
piccola baldoria, e tutti andavano a gara a far bella figura: poiché non
era gente tirchia, anzi i più poveri diventavano, per l'occasione, più spendaccioni.
Dalla strada nuova e da quelle vecchie, su e giù per i monti e le valli,
arrivava gente a cavallo e a piedi; ospiti e pellegrini; gente, anche questa,
che aveva voglia di divertirsi per commemorare il martirio del Santo.
Fu così che arrivò anche comare Maria Giuseppa, e con fastidio,
se non con paura, Concezione vide, rimorchiato dalla fiera donna, un giovine
a cavallo, vestito bene, con un costume quasi sportivo: giacca con cinta, pantaloni
messi dentro le ghette di panno grigio, berretto nuovo, pure grigio, a visiera,
che ombreggiava un viso sanguigno, glabro, dai lineamenti di statua greca:
anche la bocca era bella, sporgente, sensuale, gonfia di sangue: ma gli occhi,
fermi sotto le sopracciglia nere, una più alta e più folta dell'altra,
erano cupi, rotondi, di un marrone torbido, con la sclerotica venata di rosso:
sembravano quelli di un cane che sta per arrabbiarsi.
Anche Giustina, andata al cancello, sentì con un certo sollievo che
gli ospiti non si sarebbero fermali da loro: andavano da un altro conoscente,
in paese, e sarebbero tornati in visita nel pomeriggio. Concezione si era nascosta,
e pensò di fingersi malata per sfuggire alla persecuzione: e malata
davvero si sentiva, di caldo, di noia, di tristezza. Comare Maria Giuseppa
aveva lasciato una scatola, con una torta di miele, ornata di fiori e uccellini
di zucchero e di carta dorata; ed ella propose di mandarla a Serafino; ma intanto
la mise dentro la cassa, sopra la famosa coperta che le dava una funebre melanconia
ogni volta che ne sentiva l'odore della lana tinta con colori vegetali, e le
ricordava il Santo Sepolcro. Poi si fece coraggio, dicendo a se stessa che
bisognava pur essere gentile con quei due per riguardo alla madre, e per le
antiche leggi dell'ospitalità; però, con la scusa che aveva mal
di denti, si camuffò da vecchia, con un fazzoletto nero tirato sugli
occhi e avvolto bene fin sulla bocca; si guardò nello specchio, e si
sarebbe sentita soddisfatta della sua maschera, se gli occhi non fossero apparsi,
in quella cornice monacale, più grandi, belli di tutto il mistero della
sua anima triste e in esilio sulla terra. Abbassò le ciglia, e fece
le prove per nascondersi meglio, per sfuggire all'agguato malefico; ma a misura
che l'ora passava sentiva un'oppressione, un veleno di odio contro quella pazza
di comare Maria Giuseppa e del suo degno nipote. Andò a cogliere, per
l'altare, un mazzo di oleandri rosa, dell'unica pianta che era nata spontanea
in fondo all'orto, e s'incantò a berne come un liquore amarognolo il
loro profumo. Era un profumo che pareva venisse di lontano, dal fiume, dalla
valle, dalla fanciullezza di lei: e i ricordi che ella credeva di aver definitivamente
scacciato, e che se ne erano andati via come uccelli da un luogo ove non trovano
più acqua né nutrimento, le risalirono quasi rapaci dal cuore.
Sì, l'oleandro era lì da molti anni; ella lo aveva conosciuto
fin da ragazzina, con tutte quelle foglie che sembravano lancie verdi, che
si arrugginivano al sole; e i fiori di un rosa vivo, piegati verso il muricciuolo
sopra la valle, come ad ascoltare con nostalgia il rumore dell'acqua lontana
dalla cui vicinanza anch'essi erano stati esiliati. Ella stava, in quel tempo,
piegata ore ed ore sul muricciuolo, all'ombra della pianta fiorita, ad ascoltare,
senza saperlo, le voci del suo passato, del suo sangue, della sua stirpe appassionata
e sognante; sognante anche nelle sue crudeltà e nelle sue miserie: ed
ecco la figura del ragazzo di bronzo, con gli occhi di leopardo in amore, che
vien su fra le erbe e le pietre, agile e silenzioso, la bocca e le gengive
in colore degli oleandri, l'alito amarognolo e fresco come il loro; e la chiama
sottovoce, invitandola a saltare il muricciuolo e a nascondersi con lui fra
i cespugli, con le lucertole accoppiate e le bisce freddolose.
Se ella avesse davvero dato ascolto a lui e alle voci della natura, egli non
avrebbe rubato, non si sarebbe impiccato per lei; e forse il male che adesso
la rodeva non sarebbe venuto. Ma lei era ricca, del denaro di rapina dei suoi
avi, e la maledizione dell'oro la perseguitava: negli occhi dello scemo aveva
intraveduto questo castigo demoniaco, e gli occhi del ragazzo adesso le ritornavano
alla mente come quelli di un arcangelo che ella aveva mandato all'inferno.
"
Dio, Dio, liberami dal male", disse ad alta voce; poi andò a mettere
i fiori sotto la Madonnina impassibile, che pareva avesse solo cura di non
lasciarsi scivolare di grembo il bambino irrequieto.
Nonostante il caldo di fuori, la chiesetta era fresca, sempre col suo odore
di cantina misto a quello delle erbe aromatiche del ciglione sotto la finestruola
socchiusa.
Concezione si avvicina a quest'apertura e vede la valle rocciosa, coi monti
calcarei all'orizzonte, che sembrano ancora bianchi di neve. Il sentiero donde
sono saliti Maria Giuseppa e lo scemo nipote, serpeggia come il letto di un
torrente asciutto, si perde fra le macchie di ginepro, ha qualche cosa di ambiguo,
di brigantesco, che fa pensare al passaggio sotterraneo accennato dal flebotomo
fantasioso. Eppure le piacerebbe di scoprirlo, questo passaggio, se non altro
per nascondersi in caso di bisogno: e si aggira per la chiesetta, premendo
qua e là col piede il pavimento polveroso: guarda anche intorno e sotto
l'altare, tasta le pareti; infine si fa rossa e si vergogna, poiché le
sembra che la Madonnina, dall'alto della mezza luna, la guardi con fredda ironia.
Come può essere, Maria Concezione, stolta creatura, che io resti quassù,
sopra un pozzo colmo di peccati mortali? Oh, no, me ne sarei andata da un pezzo;
e tu, stolta, va, torna al tuo lavoro, smetti le tue oziose fantasticherie.
Ed ella tornò nella casetta, preparò le sedie, il caffè,
i biscotti, per le visite: desiderò che venissero anche madama Peperona
e le altre mendicanti, per far loro l'elemosina; spazzò e innaffiò davanti
alla casa, rincorse e richiuse nel recinto una gallina che ne era evasa e vagabondava
stolta come lei. Giungevano dall'abitato i suoni delle campane, gli spari della
gara di tiro a segno, musiche lievi di fisarmonica: ma parevano irreali, come
provenienti da un paese che non esisteva se non nella fantasia di lei, come
i suoni che produce il ronzìo delle orecchie malate. Intorno non si
vedeva nessuno, e la chiesetta pareva perduta nella solitudine più aspra
dei monti. D'un tratto però ella ebbe come una allucinazione, o meglio
le parve di sognare uno dei suoi soliti sogni. Un uomo vestito in colore del
granito, stava seduto appunto su un macigno sopra l'orto, e quasi vi si confondeva:
pareva dormisse, o fosse una delle parvenze illusorie che si disegnano sui
profili delle rocce o sulle nuvole. Nuvole non ce n'erano, sebbene il cielo
fosse lievemente velato dai vapori del caldo, di un color lilla striato di
rosso. L'uomo teneva le mani strette fra le ginocchia, e la testa, nascosta
da un cappello grigio, china sul petto. Che faceva lassù, solo, quasi
dominando il paesaggio come un padrone che vigila la sua terra? Pareva fosse
fuggito dal chiasso della festa, ma che i rumori, le musiche, il suono delle
campane, lo addormentassero come un bambino inquieto. Concezione lo riconobbe,
più che altro, dal suo turbamento. Era Aroldo. Ed ebbe paura che comare
Maria Giuseppa e il nipote lo vedessero e lo giudicassero male. Avrebbe voluto
correre su a svegliarlo, a pregarlo di andarsene; ma con che diritto? E inoltre
aveva paura di accostarlo: tutto, quel giorno, la opprimeva, le dava un senso
di angoscia come quando si avvicina un temporale estivo: poi alzò le
spalle: forse, sì, era meglio che quei due lo vedessero, e pensassero
male di lui ed anche di lei: così avrebbero finito di molestarla.
Anche Giustina però si era accorta di lui e senza dir nulla uscì sul
sentiero che saliva al monte: il sentiero passava sotto i macigni sui quali
stava Aroldo, ed ella, che aveva buone gambe e forte cuore si arrampicò fin
sotto il selvaggio piedestallo che serviva da trono al sentimentale forestiero.
Di lassù ella poteva vedere la strada che va al paese; e sospirò;
poiché anche lei aveva paura che, accorgendosi della presenza di Aroldo,
la gente chiacchierasse, e sopra tutto che le dicerie dei maligni arrivassero
ai Giordano, sui quali nutriva ancora qualche speranza. Di comare Maria Giuseppa
e del nipote anche lei non era entusiasta, ma giovava che anch'essi non vedessero
Aroldo nei dintorni della chiesetta. Chiamò quindi il giovane, dapprima
sottovoce, poi più forte: arrivò fino all'orlo del macigno, e
vide che alle spalle del dormiente, in un incavo della roccia, stava una chitarra
che pareva dormisse anch'essa, capovolta, come una tartaruga giallastra. E
se avesse saputo di letteratura, la buona Giustina avrebbe paragonato il giovine
a un trovatore vagabondo, che dopo aver attraversato le brune selve dei monti,
si riposasse prima di riprendere il suo estroso viaggio. Ma ella pensava piuttosto
alla riputazione della figlia, e non arrivando col braccio a toccare Aroldo,
prese con cautela lo strumento e lo allungò verso di lui. Vibrarono
le corde, e questo gemito scosse l'uomo che, più che da sonnolenza,
pareva colto da incantesimo. I suoi grandi occhi azzurri, cerchiati di ombra,
fissarono la donna senza riconoscerla: ed anche lei stentava a rivedere in
lui il fresco ragazzo di pochi mesi avanti: era scarno, come risucchiato da
una malattia: le labbra grigie, i capelli, già una volta morbidi e dorati,
corti e ruvidi come la stoppia falciata: infine, essendosi egli sporto in avanti,
ella sentì che puzzava tutto di tabacco di pipa e d'acquavite: e con
vero dolore si accorse che egli era completamente ubbriaco.
Con impeto superstizioso pensò anche lei alle maledizioni della bastarda
del marito morto: ecco che ella aveva appestato il giovane, solo perché egli
amava Concezione: lo faceva morire lentamente, ed egli avrebbe finito con lo
sfasciarsi come un avanzo di barca abbandonata sulle onde, e perdersi anche
davanti a Dio.
Quasi inginocchiandosi disse:
"
Figlio, figlietto caro, non mi riconosci? Sono la madre di Concezione."
Egli sbadigliò; lasciando poi la bocca aperta quasi non potesse più richiuderla:
pareva dicesse: "E a me che importa, di voi e di questa Concezione? Non
vi conosco. Lasciatemi in pace: stavo così bene".
"
Stavo così bene", brontolò alle insistenze di lei, con la
voce vaga degli ubbriachi. "Non mi rompete le scatole: andate via, vecchia
ruffiana."
"
Figlietto mio", ella insisté con angoscia, "vieni giù,
mettiti almeno qui sotto, all'ombra. Possono vederti, possono rubarti il portafoglio:
c'è tanti vagabondi in giro, venuti per la festa."
Istintivamente egli si toccò la giacca, per assicurarsi che il portafoglio
c'era, e l'idea che potessero rapinarlo parve convincerlo a scendere dal macigno,
scivolando giù malamente e logorandosi i pantaloni: senza l'attenzione
di Giustina sarebbe caduto facendosi del male; ella lo aiutò con pazienza
e forza, tirò giù la chitarra, e non fu tranquilla se non quando
lo vide sdraiato sull'erba sotto le rocce, invisibile dalla parte dell'orto
e del sentiero. Gli mise accanto lo strumento, e decise di tenerlo d'occhio
perché non lo derubassero davvero.
"
Concezione", disse sottovoce, tornando a casa, "c'è là dietro,
quello sciagurato, ubbriaco morto, che non connette più. Che si deve
fare?"
Neppure lei lo sapeva. Aspettare che gli passasse la sbornia; aspettare che
qualche ragazzo si avanzasse fino alla chiesetta e pregarlo di andare a chiamare
il compagno di Aroldo perché sorvegliasse il disgraziato e lo riaccompagnasse
a casa: non c'era altro da fare. Ma nessuno passava: tutti erano alla festa,
attirati come le api dall'odore del vino e dei dolciumi: anche gli ospiti si
facevano aspettare e il sole già si arrossava, spogliandosi dei suoi
raggi incandescenti. Una pace quasi tetra cadeva col tramonto: le montagne
calcaree si coloravano come illuminate da un incendio, mentre l'ombra calda
dalla valle saliva di roccia in roccia, dalla parte dell'orto, e pareva volesse
rifugiarsi nei boschi di querce per passarci la notte. Il profumo del tasso
si mischiava a quello dell'oleandro, con una dolcezza di droga aromatica che
dava alla testa; e davanti allo spiazzo inaffiato vaporava una improvvisa frescura
che ricordava a Concezione i gelati dei venditori ambulanti. Col pensiero sempre
rivolto allo sciagurato ubbriaco, e il timore che egli si riavesse e venisse
giù magari a farle una scena imprudente, aspettava gli ospiti e sentiva
crescere il suo disgusto e il suo odio per loro. Tutti, del resto, tranne la
madre, le pareva di avvolgere in questo sentimento inquieto e cattivo: perché non
la lasciavano in pace?
Sedette stanca sulla panchina, mentre la vecchia, seguita dal gatto come da
un cagnolino, inaffiava con parsimonia, poiché l'acqua del pozzo era
già scarsa, i pomidori fragranti. "Tornare indietro", sospirava
Concezione, "a quelle sere calde piene di tentazioni e di illusioni, della
prima fanciullezza! Dare ascolto al fischio del ragazzo nero, sotto il muricciuolo
ancora rosso di tramonto; fuggire con lui, peccare con lui, amare, soffrire,
aver figli e lavorare per loro! L'infermiera del maledetto ospedale le aveva
detto che se avesse allattato, il male non le sarebbe venuto; e il ragazzo
con gli occhi di stella nera non avrebbe battuto moneta falsa e non si sarebbe
impiccato come Giuda."
Però, nulla si sa mai di preciso, nella vita: via, andate via, cattive
ricordanze, inutili rimpianti, tentazioni scure; via, coi pipistrelli che svolazzano
come pezzi di carta bruciata, sopra il tetto della chiesa.
Si faceva tardi; forse quei due, ammaliati scioccamente dalla festa, non sarebbero
per quel giorno più venuti; e quell'altro, là dietro le pietre,
addormentato come una biscia, avrebbe passato lassù la notte, e impedito
anche a lei di dormire tranquilla.
Irritata, chiamò la madre.
"
Io direi di cercare di svegliarlo, quello stupido: se lo trovano lì può avere
delle noie."
"
Aspettiamo un altro poco, alle volte non sopraggiunga comare Maria Giuseppa."
"
Maledetta sia, e con lei il suo scemo. Uffah, uffah!"
Si sventolava sul viso la cocca del grembiale: avrebbe voluto andarsene a letto
e mettersi nuda fra le lenzuola fresche. Col cadere della sera il caldo aumentava:
non si moveva un filo d'erba; le pietre esalavano un calore di brage coperte;
e ad accrescere questa oppressione ecco apparve in cima al monte una fiamma
cremisi; la luna sorgente.
Al suo chiarore, con uno scalpitìo di cavallo, arrivarono finalmente
quei due: a dire il vero il nipote camminava con passo elastico, poiché aveva
le scarpe coi tacchi di gomma e la sua andatura era istintivamente felina,
come di giovine belva che insegue la belva con la quale vuole accoppiarsi.
Concezione capì subito questo istinto animalesco di lui verso di lei;
lo capì subito, al solo vedere come il giovine si volgeva a chiudere
il cancelletto di rami come per tentare di precluderle lo scampo: e poi dal
modo con cui egli la guardò tutta, avidamente, dalle gambe al seno,
fermandosi lì con occhi di vampiro. Ebbe voglia di gridargli: "Disgraziato,
tu guardi i fiori della morte".
Avrebbe voluto fargli paura, come lui ne faceva a lei: pensava: "Se questa
bestia feroce scopre Aroldo, è capace di schiacciarlo davvero come una
biscia" .
E appunto per paura, cercò di essere gentile e allegra: insisté perché gli
ospiti entrassero dentro, nella camera ripulita e ordinata per l'occasione;
infine chiuse la porta con la scusa che fuori c'erano le zanzare. Ma si accorse
che il giovine, che era stato a farsi aggiustare e anche profumare i capelli
neri lucenti, si guardò dapprima nello specchio poi non cessò di
fissare il letto con gli occhi torvi venati di sangue: e quando andò a
prendere in cucina la coccuma del caffè, ella digrignò i denti
per il disgusto e la rabbia.
Si parlò della festa; comare Maria Giuseppa insisteva perché il
giorno dopo la Concezione andasse con loro a vedere la processione e poi i
fuochi artificiali; per sedurla prometteva di condurla a sedersi ad uno dei
tavolini del Caffè, sul marciapiede del Corso, a prendere il gelato,
- quello vero, non quello di acqua di pozzo e di limone guasto che distribuivano
i gelatai ambulanti.
"
Poi ti riaccompagneremo qui, con questa bella luna che pare un fuoco di San
Giovanni: e saremo tutti contenti. Parla, Costante", si rivolse al nipote, "invitala
anche tu."
Egli fece vedere i suoi bellissimi denti, che al lume della lucerna ad olio
parevano di porcellana; ringhiò, si portò un pugno alla tempia.
Finalmente disse:
"
O Maria, o pumh!"
"
Che vuol dire?", domandò Giustina, mentre comare Maria Giuseppa
rideva con un nitrito di leonessa. Non rise però Concezione quando le
fu spiegato quello che il "ragazzo" con quel gesto e quelle parole
intendeva significare.
"
Intende significare che se non avrà Maria Concezione si sparerà."
E furono le sole parole con le quali egli esprimeva la bestiale passione che
la zia, con le sue promesse e le sue suggestioni, gli aveva inoculato nel sangue
per la povera Maria Concezione.
Per fortuna se ne andarono presto, senza aver accettato l'invito di tornare
il giorno dopo a prendere un boccone con le donne. Giustina li accompagnò un
tratto di strada, verso il paese, mentre Concezione s'era rimessa a sedere
sulla panchina illuminata dalla luna.
C'era, sì, qualche zanzara, ma innocua; i grilli cantavano e il loro
vibrante stridìo si fondeva col profumo del tasso e dell'oleandro e
col chiarore della luna tremolante su ogni foglia. A Concezione doleva il cuore:
non volle rientrare a cena, anzi rispose male agli inviti insistenti della
madre; e questa la irritò maggiormente quando, dopo aver mangiato, uscì fuori
di nuovo e cominciò a frugarsi i denti.
"
Andiamo a letto, figlia, e chiudiamo bene la porta", disse dopo un momento. "Chi
sa se quel disgraziato è ancora là dietro, o si è svegliato
e se ne è andato via."
"
Speriamo sia crepato, lui con tutti i suoi pari."
"
Speriamo di no", insisté pacatamente la madre. "Ad ogni modo,
Concezione, è meglio andare a letto e chiudere bene la porta."
"
Ma neanche per sogno: non ho voglia di dormire; e non ho paura di nessuno,
anche se venissero per ammazzarmi."
La madre si fece il segno della croce, ma stringeva fra le dita il fuscellino
per i denti, e Concezione s'irritò ancora di più.
"
Fate una bella cosa, mamma: andate voi, a letto: io starò qui un momento
ancora, finché non mi si calmano i nervi. Non è la prima volta."
Alzò la voce e tirò accanto a sé un randello che stava
appoggiato al muro: la madre ebbe l'impressione che volesse bastonare qualcuno;
poi si mise a ridere.
"
Hai ragione, di arrabbiarti, anima mia. Comare Maria Giuseppa è matta
da legare, e del suo nipote può farsene un salame o una frittata: non
pigliartela così a cuore."
Ma l'ira di Concezione era contro quell'altro, l'ubbriaco: avrebbe voluto andare
a svegliarlo a colpi di randello, cacciarlo via dai dintorni come la faina
che sta in agguato contro il pollaio. Va, sciagurato, torna dalla tua donnaccia:
che sei venuto a far qui, all'ombra santa della Madonnina? Va, maledetto forestiero:
e maledetta sia l'ora che sei venuto a farmi le tue commissioni; e chi mi ha
insegnato a cucire roba da uomo.
Le venne in mente quella specie di maestra dell'ago e delle forbici; era una
bellissima donna, che viveva anche lei sola in una casetta appartata ricinta
da un cortiletto con alti muri. Si diceva che un uomo ricco, ammogliato e con
figli, fosse il suo amante. Un giorno la donna morì: gli eredi abbatterono
la scaletta della casa, per certi restauri, e sotto vi trovarono le ossicina
di neonati, probabilmente soffocati dalla madre.
"
E pareva una santa, e parlava evangelicamente, come un predicatore dall'altare.
Maria Vergine, abbi pietà di noi; prega per noi tutti peccatori, adesso
e nell'ora della nostra morte. E prega, sì, anche per quello sventurato
che dorme sotto le pietre."
Cominciò a recitare molte avemarie, in modo che le venne sonno; allora
pensò di contentare la madre e andare a letto anche lei: la Madonnina
avrebbe sorvegliato Aroldo. Ma quando sentì la madre russare, si levò le
scarpe, camminò come una sonnambula, aprì la cassa e ne tirò fuori
la coperta che le aveva regalato quella pazza da legare di comare Maria Giuseppa.
Dalla cassa usciva l'odore dello spigo e della torta di miele; Concezione fu
per prendere anche questa, ma aveva le mani impicciate con le scarpe e la coperta,
e lasciò ricadere il coperchio. Le pareva di sognare: un sogno lucido
e preciso, di quelli che si delineano più vivi della realtà.
Uscì, ma non dalla cucina, della quale anzi aveva sprangato la porta:
entrò dapprima nella sagrestia, illuminata dal chiarore arancione della
luna sopra la finestrina alta, e si rimise le scarpe; poi entrò nella
chiesetta, e al barlume della lampadina ad olio sempre accesa in una nicchia,
andò giù fino alla porta e la socchiuse. Un'ondata di canti di
grilli la investì; sullo spiazzo la luna stendeva un drappo d'argento,
e all'orizzonte il cielo aveva ancora come un riverbero dei fuochi della festa.
Ci si vedeva come all'alba: sul terreno si distingueva l'ombra di ogni stelo,
di ogni sassolino; pareva che ogni cosa si fosse denudata, coi vestiti stesi
davanti, per godersi la frescura della notte. Ed ella camminava cauta, per
non svegliare neppure un filo d'erba, per non disturbare il sogno quasi allucinante
della notte meravigliosa: e quando, passata la chiesetta, sfiorò un
sasso ricoperto di una peluria di musco, trasalì come nel toccare un
animale assopito. Aveva ancora il fazzoletto intorno alla testa, con la bocca
coperta, e le pareva di sentire davvero un aspro male di denti: inciampò,
fece un po' di rumore, e le valli le rintronarono intorno come ancora percorse
dallo scoppio delle mine. Ma si fece coraggio: dopo tutto andava a fare un'opera
buona, ad assicurarsi che quello là, l'orfano, il figlio di nessuno,
l'uomo senza terra e senza pace, fosse vivo o morto. Riuscì facilmente
a scovarlo, con la chitarra che luccicava alla luna: tutti e due, l'uomo e
lo strumento, vigilati anch'essi dalle loro ombre. Più che altro, essendo
il viso di Aroldo coperto dal cappello, ella riconobbe questo cappello, e le
scarpe, e una mano che sembrava quella di un morto, posata anch'essa sul guanto
della sua ombra.
Una pietà prepotente, quasi selvaggia, come quella che spinge anche
gli uccelli di rapina ad aiutare e cercar di salvare il loro simile in pericolo,
le sciolse e raddolcì il sangue inacidito: se lo sentì scorrere
come un vino generoso, dai piedi alle orecchie; ebbe desiderio di inginocchiarsi
presso il giovane, scuoterlo dal suo cattivo sonno, dirgli:
"
Senti, Aroldo; siamo entrambi due infelici, ma se tu ne hai la forza, possiamo
vivere come fratello e sorella, come gli uccelli della stessa tribù,
che sono troppo vecchi per accoppiarsi ancora."
Ma aveva abbastanza conoscenza degli uomini, ed anche di se stessa, per non
abbandonarsi alle sue romanticherie. Ad ogni buon fine, poiché aveva
portato la famosa coperta per coprirne Aroldo, difenderlo dall'insidia malarica
della notte, dagli insetti, da qualche falco che all'alba poteva piombargli
addosso e cavargli un occhio, la distese su quel corpo immobile e freddo, avendo
cura di metterla alla rovescia, dove il colore si confondeva con quello delle
pietre, del musco, delle erbe intorno; e pensò ancora una volta al Santo
Sepolcro, con un Cristo momentaneamente morto, che però sarebbe presto
resuscitato .
Anche il primo pensiero della madre, appena si alzò, fu di andare a
vedere se il disgraziato era vivo o morto. Poteva essere l'una o l'altra cosa,
poiché quando lei andò ad esplorare il luogo lo trovò deserto,
e neppure l'erba, che l'alba aveva risollevato come un bambino dormiente, conservava
tracce di lui. Meglio così: ed ella tornò alla sua diletta caffettiera,
alle sue care galline, che già annunziavano al mondo di aver fatto l'uovo.
Adesso era Concezione, che pareva caduta in un sopore letargico, come nella
malattia del sonno; e quando la madre andò a chiamarla, a sole già alto,
rispose con un mugolìo lamentoso, poi si riaddormentò.
Era il giorno centrale della festa di San Cirillo martire, e poiché Serafino,
occupato nelle funzioni della Cattedrale, non poteva venire alla chiesetta,
Giustina avrebbe voluto recarsi in paese a sentire la messa. A dire la verità,
era curiosa anche di vedere come andavano le cose laggiù; a dare un'occhiata
ai banchi dei rivenditori, alla folla dei forestieri, all'albero di cuccagna
con in cima, dondolanti, appesi ad un cerchio di legno, i frutti favolosi dei
formaggi, dei salami, dei pacchetti e della borsa piena di quattrini, premio
al vincitore della scalata.
Con la stessa piacevole ansia con la quale ella si recava alla festa mezzo
secolo avanti, si vestì accuratamente, si mise lo scialle buono da vedova,
e uscì quasi andasse a un appuntamento furtivo, chiudendo dentro casa
Concezione e il gatto. E la dormiente sentì subito di esser sola, con
un misterioso senso di paura e d'angoscia; balzò dal letto, si vestì,
pronta a difendersi da qualche pericolo. Ma se c'era un giorno di quiete inalterabile,
era proprio quello. Solo, una nuvola che pareva un cuscino di raso bianco,
si appoggiava con dolce pigrizia alla cima più alta del monte: più tardi,
mentre i rintocchi delle campane arrivavano dal paese, smorzati dall'afa della
giornata caldissima, la nuvola si mosse, si allargò, si lacerò come
un sacco dal quale uscirono e si sparsero per tutto il cielo bluastro stracci
che parevano il bucato di una povera famiglia di zingari.
Solo quando tornò la madre e riaprì la porta, Concezione si sentì più sicura:
come tanti anni prima, Giustina le portava una tavoletta di torrone, ed ella
cominciò a sgretolarlo coi suoi forti denti di beduina: e fu contenta
quando sentì che nella folla, fra tanti cappelli e cappellini e berretti
e scialli, non si vedevano il fazzoletto a fiori e il berretto a visiera di
comare Maria Giuseppa e del suo degno nipote.
"
Ma che hai fatto della sua coperta, anima mia?", domandò la madre,
rimettendo i vestiti nella cassa.
"
L'ho messa in fondo, perché mi dava fastidio vederla."
"
Questa torta, poi, bisogna tirarla fuori: altrimenti fa la muffa: e poi mi
ha imbrattato di miele la roba, e ci andranno dentro le formiche."
La torta fu tirata fuori; Concezione la portò nell'armadietto della
sagrestia; e siccome l'armadietto non si chiudeva bene vi entrarono le mosche
e le vespe, festeggiando a modo loro il santo martire Cirillo. Nel pomeriggio,
afoso e adesso completamente annuvolato, mentre Concezione sudava poiché s'era
rimessa intorno alla testa e al mento il fazzoletto di lana, per la commedia
del mal di denti, un fulmine attraversò l'aria come una cometa, con
una grande coda di fuoco; e non subito ma quasi dopo averci pensato bene, un
tuono formidabile fece tremare la chiesa e le pietre intorno. Giustina corse
a rifugiarsi ai piedi della Madonnina, seguita dal gatto impaurito. Concezione
invece, d'un tratto come alleggerita da un peso, corse fuori a raccogliere
sul viso e sulle mani aperte, i primi goccioloni di pioggia. Oh, così,
quei due non sarebbero più venuti: piovi, piovi, buon Dio; San Cirillo
glorioso, sferra ancora saette e tuoni, allaga la strada, manda in giro gli
arcangeli del paradiso a far stare a posto i diavoli della terra. E infatti
venne giù un acquazzone odoroso di terra, di stoppie, di pietre, seguito
da un'acquerugiola sorniona che non finiva mai. Fu per Concezione la vera festa;
poiché quei due non si fecero vedere. Venne solo il chierico sbilenco,
con un ombrello sgangherato che pareva un uccellaccio con le ali ferite; disse
che Serafino, se le donne ne avevano piacere, sarebbe venuto il giorno dopo
a celebrare la messa; annunziò che i fuochi d'artificio erano rimandati
alla sera dopo e che la pioggia impediva la gara dell'albero di cuccagna e
le corse dei barberi: tutte notizie che per lui e per Giustina erano più importanti
di quelle delle prime pagine dei giornali. E quando Concezione gli consegnò la
torta per portarla a Serafino, egli non esitò a leccarla tutta intorno,
sebbene qualche vespa vi fosse rimasta appiccicata come ad una carta insetticida.
Vennero, alla messa del giorno dopo, comare Maria Giuseppa, e il signorino
Costante, tutto azzimato e, parve a Concezione, anche incipriato; - era stato
quel burlone del barbiere a ridurlo così: - ma adesso c'era chi poteva
proteggerla e difenderla; c'era Serafino, al quale ella, mentre gli serviva
il caffè in sagrestia, si rivolse fervidamente.
"
Quello scemo mi fa schifo e paura: e quella tarantola della zia lo stesso.
Aiutami a liberarmi da loro, Serafino: tu solo puoi farlo; e lo farai."
Sotto la sua fragile corazza di angelo, il pretino chiudeva un'anima di guerriero:
intese subito il terrore fisico e morale di Concezione e decise senz'altro
di affrontare i nemici di lei. Finché si trattò di stare in buona
compagnia, nella cucina delle donne, si mostrò gentile e umile, anzi
quasi intimidito dalla gigantesca presenza del giovinotto, il quale, del resto,
non faceva che esporre i denti bianchi minacciosi; ma quando se ne andò,
e capì che anche gli altri due, non invitati a restare, dovevano ritornare
in paese, li aspettò nella strada, camminando lentamente, col breviario
aperto fra le mani, dopo aver mandato avanti il chierico malizioso.
Sentì il loro scalpitare dietro le sue orme, ed ebbe anche l'impressione
che lo scemo avesse qualche cosa di bestiale, fra di satiro e di centauro.
Bisognava salvare Concezione.
Il centauro andò avanti: non sembrava contento, stringeva i pugni e
continuava a mostrare i denti con una smorfia simile appunto a quella dei cavalli
indomiti quando rodono il freno: la donna invece si fermò a fianco del
pretino e guardò curiosa nel libro nero col taglio rosso che egli aveva
chiuso, tenendoci però un dito dentro per segnare la pagina interrotta.
Curiosa ed anche un po' turbata: poiché le antiche superstizioni del
suo paese dicevano che i sacerdoti, per mezzo dei libri sacri, potevano fare
scongiuri, lanciare scomuniche, maledizioni, malanni; guarire gli infermi,
esorcizzare gl'indemoniati, incantare le bestie, allontanare le tentazioni;
infine possedevano, volendolo, una potenza divina e infernale nello stesso
tempo. E quel pretino, che pareva da gioco, fatto di cera, colorito un po'
sulle guancie e sui capelli appunto come le bambole di cera, e che sembrava,
in proporzione a Costante lo scemo, uno di quegli omettini che vengono disegnati
accanto ai tronchi di certi alberi millenari per farne risaltare la grandezza,
le destava una paura religiosa, simile a quella di certi idoli megalitici che
esistevano sull'altopiano roccioso delle sue terre, e ai quali si attribuivano
virtù favolose, come, per esempio, quella di ingoiarsi i fulmini come
spaghetti. Quasi affascinata, fu lei stessa ad entrare nell'argomento di Concezione.
"
Io voglio un bene dell'anima a quella creatura: ma è stramba; pare quasi
affatturata. Vossignoria", ed egli non capì s'ella parlasse sul
serio o per scherzare, "dovrebbe coi suoi libri, farle qualche scongiuro."
Egli si mise il breviario sotto il braccio, quasi per nasconderlo ai sacrileghi
occhi di lei; e guardando davanti a sé, improvvisamente fiero, disse
con voce rude:
"
Intanto, i libri sacri bisogna rispettarli: sono la voce di Dio. Maria Concezione è una
donna seria, anche troppo saggia, per la sua età. Certo, non gode buona
salute, ma la sua anima è sana e gagliarda."
"
Oh, sì; ed io le voglio un bene da non dirsi; più che a una figlia.
E io vorrei..."
"
Voi, carissima, siete anche voi una brava donna, forte e generosa: forse vi
manca solo un po' di religione; e avete, inoltre, certe fissazioni che a voi
non si convengono: questa, per esempio, di pretendere di voler bene a Concezione,
e intanto desiderarle e tramarle una infelicità senza rimedio."
"
Io? Signor prevosto!"
"
Io non sono prevosto: e adesso vi parlo da semplice cristiano: lasciate in
pace la povera creatura. Essa fa il suo dovere; assiste la madre, vive, si
può dire, per la madre: e, quando può, fa opere di pietà.
Non domanda altro. Lasciatela in pace."
La faccia accesa della donna si smorzò: lagrime di rabbia, di umiliazione,
ma anche di tenerezza, le velarono gli occhi. Non riusciva a capire come ella
volesse il male, l'infelicità di Concezione; lei che era disposta a
lasciarle la sua roba, la sua casa, persino il suo letto. E lo disse: ma camminando
sempre a lenti brevi passi, Serafino si volse e la fissò in viso.
"
Va bene", disse; "voi potete anche farlo, quando sarà l'ora;
ma non pensate, neppure per sogno, che nel vostro rispettabile letto Concezione
possa dormire con vostro nipote."
Ella spalancò la bocca, mostrando i forti denti quasi come faceva lo
scemo.
"
Ma perché?"
"
Ma possibile, donna, che non intendiate? Anzitutto perché vostro nipote
non dovrebbe mai sposarsi, né con Maria Concezione né con altra
donna della terra: da lui non possono nascere che figli degenerati, forse peggiori
di lui: e poi anche perché Concezione non può e non vuole e forse
anche lei non deve sposarsi. È malata, volete capirlo, sì o no?
E anche i suoi figli sarebbero infelici."
"
Di questo passo nessuno si può sposare, in questo mondo. Tutti, più o
meno, abbiamo qualche malanno: e tutti, infine, prima o dopo, dobbiamo morire.
Quindi..."
"
Santa donna, voi parlate da vera zia di vostro nipote."
Allora ella s'inviperì.
"
Dica piuttosto, vossignoria, che Concezione ha un debole: ha un debole per
gli uomini di poco conto, per non dire peggio. Sappiamo la storia della sua
fanciullezza; e passi. Quando le donne sono molto giovani sono tutte matte.
Ma adesso c'è quell'altro, quel forestiero con gli occhi di gatto, spiantato
e puttaniere, scusi la parola: gira intorno a Concezione perché vuole
i quattrini di lei; le gira intorno come la vespa che si finge farfalla. Anche
avantieri fu visto girare intorno alla chiesa, con un piffero, ubbriaco morto:
tutti lo sanno. Lo hanno raccontato anche al mio Costante, perché al
mondo c'è molta gente cattiva, che si diverte a tormentare anche le
anime innocenti: e il povero mio ragazzo si rode, è geloso, è furibondo,
sebbene non lo dimostri: ma se gli capita sottomano il forestiero lo ammazza
come una pulce."
Il povero innocente, che aveva orecchie da volpe, rallentò anche lui
il passo, strinse i pugni, cominciò a tremare. D'un tratto si fermò,
si volse a Serafino, e, con gli occhi rossi d'ira, portandosi un pugno alla
fronte, mugolò:
"
O Maria o pumh!"
Questa volta la zia non rise; mentre Serafino prendeva a forza l'altro pugno
di Costante: e lo tenne fra le sue mani come un pomo duro. Invano lo scemo
cercò di liberarsi: il pretino non mollava. Misurandosi col gigante
disse:
"
In nome di Dio, fanciullo, manda via da te la tentazione."
Colta da un brivido la donna si fece il segno della croce: e fu davvero come
uno scongiuro, come l'esorcismo di un indemoniato. Costante lasciò cadere
l'altro pugno, si afflosciò: il suo viso bellissimo parve quello di
un angelo ribelle perdonato da Dio.
Essi partirono la mattina stessa, senza tornare dalle donne. La festa era stata
un pretesto per far conoscere Costante a Concezione; ma la zia dovette pentirsene,
poiché egli, passata la chiesetta, non fece altro che volgersi indietro,
affascinato, poi quando s'inoltrarono nella valle chinò la testa sul
petto e gli venne un singhiozzo così forte e insistente che comare Maria
Giuseppa ebbe desiderio di battergli una mano sulle spalle come ai bambini
ingozzati. Così, per il momento, e più che altro per paura di
Serafino e della sua occulta potenza, ella pensò di lasciare in pace
Concezione: c'era tempo avanti, e non si sa mai quello che può succedere
in avvenire.
Era tuttavia destino che Concezione non dovesse aver pace tanto presto. Ed
ecco l'ultima sera della festa, mentre lei e la madre guardavano dalla muriccia
dell'orto i lontani fuochi artificiali che ricamavano il cielo di comete, di
ruote di perle, di favolosi fiori incandescenti, e fin lassù, nell'eremo
delle due donne arrivavano, fra lo scoppiar dei razzi, i gridi della folla
e le musiche pazze delle fisarmoniche, un uomo con un cappellaccio che faceva
aureola al viso rosso dorato dalla luna, si avvicinò al cancelletto
e fischiò.
"
Oh", dice Concezione, subito allarmata, "è il signor Bartoli,
il compagno di Aroldo. Non verrà a cercare le sue camicie, a quest'ora.
Mi sembra anche lui brillo."
La madre andò a vedere, ma non aprì il cancello, fermato già da
una catenella e un lucchetto arrugginiti. L'uomo, infatti, puzzava di vino;
ma aveva gli occhi buoni, beati, umidi di tenerezza come due rugiadose pervinche.
E il suo sorriso si poteva paragonare solo a quello dei lattanti, quando succhiano
e poi si staccano dal seno materno: eppure la donna non aprì. Aveva
anche lei, da qualche giorno, paura di tutto: la rottura poi, almeno apparente,
con la sua antica comare Maria Giuseppa, le causava un vago malessere, un presentimento
di dispiaceri più grossi.
Il Bartoli domandò, con voce sommessa e balbuziente:
"
Dov'è quello scimunito?"
"
Chi?"
"
Chi può essere se non Aroldo?"
"
E chi l'ha visto? È da mesi che non lo si vede."
"
Tach, tach!", egli disse, pizzicando come corde i ramicelli del cancello. "Ditemi
dov'è. È dentro?"
"
Ma lei è matto. Perché poi il signor Aroldo debba essere dentro
casa nostra non so. Ha commesso forse qualche cosa, per nascondersi?"
"
Ha commesso questo, che il matto è lui." Si toccò la fronte,
parve sdegnarsi, poi tornò a sorridere. "E da tre giorni che non
lo si vede più: oh, sì, io però l'ho veduto che veniva
da queste parti. Avevamo bevuto assieme, e lui aveva la sua brava chitarra,
e diceva di voler fare una serenata. Ma va all'inferno, gli dissi io, tu e
le donne: perché solo per le donne si fanno le serenate. E lui è venuto
da queste parti; e adesso dov'è?"
"
Ma lei è matto, ripeto: noi non l'abbiamo né veduto né sentito.
E la nostra casa non e un'osteria, per alloggiarvi gli ubbriachi e i loro strumenti."
Allora il Bartoli, con una voce di galletto arrabbiato, chiamò:
"
Signora Concezione, è pregata di degnarsi di venire qui."
Ella si avvicinò, cauta, severa, ascoltò l'uomo, lo pregò di
abbassare la voce.
"
Senta", disse infine, con un certo disprezzo, "se lei crede che il
suo compagno sia qui, lo venga a cercare coi carabinieri."
Tirò via la madre, che tremava alquanto, facendola rientrare in casa:
e là, mentre il Bartoli se ne andava brontolando e barcollando, cominciarono
a commentare il fatto. Un dubbio vago, ma già tinto di spavento, le
turbava entrambe. Che Aroldo, se veramente non era tornato all'accampamento
dei lavori, e neppure nella stamberga dove alloggiava in paese, avesse subìto
qualche dispetto - diciamo così per il momento - da parte di Costante
lo scemo: o anche dai Giordano. Tutti ce l'avevano con lui; ma in che modo
potevano averlo costretto a nascondersi in qualche posto, a non lasciarsi più vedere
in giro? Disse la madre, sottovoce, come fra sé:
"
Che l'abbiano ucciso?"
"
Ma no, mamma, non dite sciocchezze: non esageriamo; e poi, infine, che ce ne
importa?"
La madre trasalì: le parve di sentire passi e rumori nell'orto: e voleva
uscire di nuovo, ma Concezione la trattenne con forza proterva.
"
Basta con queste storie, mamma: adesso ne sono stufa. Sono proprio stufa. Perché vengono
tutti a molestarci? Noi non cerchiamo nessuno, non diamo fastidio a nessuno.
Abbiamo, sì o no, la coscienza pulita? Sì: e dunque state ferma
e tranquilla, mamma; tutto passerà." Ma non era tranquilla neppure
lei, e i rumori che realmente si sentivano, ed erano gli scoppi dei razzi e
la loro eco nella solitudine, le sembravano fucilate fra gente nemica e selvaggia
intenta solo a odiarsi e distruggersi. Costrinse la madre ad andare a letto,
ed ella si mise a leggere il suo libro di preghiere popolato d'immaginette
sacre che, più che le parole stampate, le tenevano onesta e santa compagnia.
Alcune le aveva fin dalla sua infanzia; ecco quella della sua prima comunione,
con un bel puttino grasso che accarezza un agnellino bianco, in mezzo a rose
e margherite: ecco l'ultima, quella che le ha regalato una suora dell'ospedale,
con la deposizione di Cristo, fra un gruppo di donne che sembravano eroine
dolorose di teatro: Cristo che ha tanto sofferto, che è stato umiliato,
che ha dovuto mostrare alla folla inumana la sua nudità, che ha sentito
la cancrena spandersi dalle sue piaghe alla sua carne giovine e pura, e non
si è lamentato, mentre noi ci lamentiamo se nel cogliere una rosa ci
punge una piccola spina.
Rimase alzata finché i rumori lontani e vicini si spensero, e solo ritornò a
galla, con un tremolìo argentino che pareva quello della rugiada sull'erba,
il canto dei grilli. Allora anche lei andò a letto, si stese silenziosa
accanto alla madre che russava, e in quel russare tranquillo, che non le dava
noia poiché da lunghi anni ci era abituata, le parve di sentire il borbottare
di una fontanella montana. Sì, la madre era tranquilla: la sua coscienza
pura come l'acqua di sorgente. E anche lei si sentiva in pace con se stessa
e con gli altri, almeno per gli avvenimenti di quei giorni; e se il dolore
e la morte erano di nuovo vicini a lei, li offriva in espiazione dei suoi errori
passati.
Trascorsero tre giorni: il caldo era grande, ma fermo, quasi piacevole, come
un bagno a vapore: si suda, ma non si ha paura di sudare: dopo, la pelle rimane
fresca e purificata dal benefico lavacro. Specialmente alla sera, dopo che
Giustina aveva inaffiato il piccolo spiazzo e la fila dei pomidoro che odoravano
come piante tropicali, una pace veramente religiosa, da antico eremitaggio,
regnava intorno alla chiesetta. La luna calante ricordava quella ai piedi della
Madonnina, e le costellazioni l'accompagnavano nel suo viaggio come principesse
al seguito di una regina.
Le due donne sedevano sulla panchina, e la vecchia, con le mani sotto il grembiule,
sgranava il suo rosario. Concezione no, non aveva più voglia di pregare:
le pareva che non avesse più nulla da chiedere: e non sapeva più le
preghiere: le bastava scaldarsi al fianco della madre, come nelle notti lontane
dell'infanzia, quando tutto il suo mondo era quel fianco onesto e protettore.
Che ci vuole, per vivere? Tanto poco: un alito, una parola buona, un odore
di orto, la speranza, anche senza stare a chiederlo e richiederlo con parole
indifferenti, del Regno di Dio, che un giorno o l'altro, sia pure con la pace
della morte, deve pur venire. Ed ella s'immaginava questo Regno come un orto
sempre fresco, sempre tiepido, senza zanzare; una panchina, contro un muro
illuminato dalla luna, lo spirito della madre accanto al suo, per l'eternità.
Tentava d'immaginare anche la presenza del padre; ma non le riusciva: gli spiriti
degli altri avi più lontani ancora, sebbene ella li assolvesse dei loro
presunti delitti. Ed ecco, invece, d'un tratto, pare che le anime disperate
degli avi birbanti tornino in questa terra a smuovere la pace delle due donne
innocenti. E una mattina torrida, afosa, con un cielo velato come di una garza
medicinale: soffi infernali di scirocco portano polvere e avanzi di stoppie
bruciate fino allo spiazzo della casa. Per salvarsi da tutta quest'immondezza,
Giustina ha chiuso la porta, e poi va ad aiutare Concezione a rifare il grande
letto. D'un tratto si sente bussare: colpi discreti ma insistenti, finché Concezione
non va ad aprire, allarmata, e spalanca gli occhi nel vedere un personaggio
impressionante. Ha una divisa scura, con strisce rosse, un berretto analogo,
a visiera; il viso è piacevole, quasi bello, paffuto, roseo e fresco,
tagliato però da due baffoni, neri come code di gatto nero irritato;
sembrano appiccicati sotto il naso corto per far paura alla gente. Gli occhi
neri e grandi, volontariamente corrucciati, accrescono questa impressione.
Nel vedere l'effetto inevitabile sul viso pallido di Concezione, fece una smorfia,
ma per nascondere un sorrisino di beffa; e si presentò, parlando con
voce cadenzata che pareva anch'essa burlesca.
"
Sono il brigadiere dei carabinieri: avrei bisogno di una informazione."
Ella era incerta se farlo entrare o no, quando sopraggiunse la madre che capì subito
di che si trattava, e parlò in punta di forchetta:
"
Entri, la prego; vossignoria si accomodi; scusi la povertà del luogo."
"
Ecco", egli dice, entrando, ma non accomodandosi, né badando alla
povertà del luogo, "si vorrebbero avere notizie di un certo Aroldo
Aroldi, operaio dell'impresa stradale."
D'impeto, Concezione protestò:
"
Che ne sappiamo noi?"
La madre, invece, col cuore, sì, turbato, ma forte della sua coscienza
pulita, domandò:
"È
permesso sapere il perché?"
"
Da sei giorni il giovinotto è scomparso; e l'ultima volta fu visto dirigersi
da queste parti."
"È
vero", risponde risoluta la madre, "lo abbiamo veduto anche noi,
sei giorni fa, seduto su un masso qui sopra la strada del monte. Era ubbriaco.
Io andai a dirgli che non stava bene in quel posto, che poteva addormentarsi
e farsi rubare il portafoglio. Egli mi rispose male: tuttavia lo aiutai a scendere
e sdraiarsi all'ombra: dopo non l'abbiamo più veduto, né saputo
nulla di lui."
Concezione taceva: tuttavia era verso di lei che l'uomo della legge guardava,
e con una strana melodia gutturale nella voce calma, riprese:
"
Che egli, il giovinotto, aveva da molto tempo fatto la vostra conoscenza? E
per quale ragione?"
Concezione rispose trucemente:
"
Io lavoro in biancheria da uomo, e tutti gli scapoli del paese, quelli che
non hanno famiglia specialmente, ricorrono a me: mi portano la stoffa, io prendo
le misure e confeziono la roba."
Il brigadiere, scapolo, senza famiglia, fu dentro di sé colpito gradevolmente
dalla notizia, tanto più che gli occhi di Concezione, seri e limpidi
nonostante la sua fierezza, anzi, appunto per la sua fierezza, lo fissavano
quasi sfidandolo: e nel parlare le si vedevano tutti i denti bianchi e puliti
come quelli di una fanciulla di quindici anni.
"
Ah, lei cuce? A mano o a macchina?"
"
A mano, a mano: la roba viene più precisa e non si strappa mai."
"
Allora, questo giovinotto, questo Aroldi, è venuto per questo?"
"
Appunto", confermò Concezione, mentre la madre ammirava tremebonda
la perspicacia del funzionario; "è venuto, sarà un anno,
quando si cominciavano i lavori della strada. Voleva anche alloggio, da noi,
ma noi non abbiamo posto e siamo donne sole. È tornato parecchie volte,
fino a qualche mese fa: dopo, non abbiamo saputo più nulla di lui."
Il brigadiere però ne sapeva di più.
"
Qualcuno afferma che l'Aroldi e lei, signorina, fossero fidanzati."
"
Non nego", dice recisamente Concezione, lusingata da quel serio "signorina", "non
nego che il signor Aroldi mi facesse un po' di corte; ma io non badavo a lui.
Né a lui né ad altri."
Subito si pentì di questa inutile aggiunta, tanto più che il
brigadiere aggrottava le foltissime sopracciglia, e sebbene non gli riuscisse
a perfezione, fingeva di essere torvo, sicuro del fatto suo. Nel guardare Concezione
non gli passava neppure per la mente che ella fosse colpevole o almeno responsabile
della scomparsa di Aroldo; ma qualche cosa a proposito ella pur doveva sapere
e bisognava a tutti i costi farla parlare: per il prestigio dell'arma benemerita.
Fu lui che cominciò a dire qualche piccola inesattezza:
"
Informazioni precise ci dicono il contrario di quello che lei afferma. E cioè che
il signor Aroldi ha sempre frequentato questi dintorni; che veniva qui anche
di sera, e che lei..."
"
Non è vero! Gl'informatori sono per lo più gente poco scrupolosa,
interessata a fare pettegolezzi."
"
Mi faccia qualche nome."
"
No, io nomi non gliene faccio: lei li conosce meglio di me."
"
Signorina!", egli esclama severo, per richiamarla all'ordine e al rispetto
che gli erano dovuti; ma Concezione aveva già capito con chi aveva da
fare; e voleva difendersi, anzi vendicarsi di tutti coloro che la molestavano.
"
Sissignore; c'è gente che si diverte a disturbare anche le povere donne
come noi. Io e mia madre si vive qui come già sepolte, lontane dal mondo,
senza chiedere nulla ad anima viva: eppure non siamo lasciate in pace. Si metta
bene in mente, signor brigadiere, che né io né mamma sappiamo
nulla del fatto per il quale lei si è disturbato a venire qui: questa è la
verità; il resto è in mani di Dio."
"
Lei dimentica, signorina, che io posso darle anche il fermo."
Ella si mise a ridere: tese le mani lunghe e pallide e disse con calma:
"
Mi metta pure le manette: ce le ha?"
Anche il viso di lui si rischiarò, divertito: e la madre, allora, credette
di intervenire di nuovo.
"
Sa cos'è? Quel ragazzo diceva sempre di voler partire, di andare in
America in cerca di fortuna. Anzi diceva di aver già qualche proposta
favorevole. Sarà partito senza dirlo a nessuno."
Ma l'uomo scuoteva la testa, poiché la denunzia della sparizione di
Aroldo era venuta appunto da parte dell'impresa stradale: e lo scomparso non
aveva denaro né passaporto; era inoltre diligentissimo, nel suo lavoro,
scrupoloso nel contratto con l'impresario, fedele ai compagni, leale e sincero.
Nonostante il suo tono quasi insolente, Concezione si sentiva il cuore gonfio;
pensava al passaggio sotterraneo, forse conosciuto da qualche malvivente, e
nel quale, forse, s'era chiuso qualche nuovo truce mistero. Nello stesso modo
però, il segreto dei suoi sospetti doveva, almeno per il momento, restare
chiuso nella sua anima: anche per salvare la memoria degli avi.
Il brigadiere riprese:
"
Nel mondo si sa tutto, cara signorina; è l'aria stessa che spia e porta
in giro le cose. Dunque, si sa che lei e il signor Aroldi erano quasi, diciamo
pure così, fidanzati: un bel momento, brutto per lui, il progetto andò a
monte. Allora l'Aroldi fu visto cambiare tenore di vita: andò dalle
femmine, andò all'osteria: adesso non si sa di preciso dove sia andato.
E bisogna saperlo, e al più presto. E lei non faccia quegli occhi di
colomba; ella sa qualche cosa, ed è suo dovere di informare la giustizia."
Ella incrociò le braccia; si toccò il petto, pensò che
il primo giudice di ogni azione umana è Dio: fece quindi un fulmineo
esame di coscienza, si sentì innocente, e non volle accusare nessuno.
"
Le giuro come se fossi in tribunale che io non so darle indicazioni precise,
signor brigadiere."
"
Sospetti ne ha, però."
"
Se li ho me li tengo; non posso accusare anima viva, non so nulla di quanto
può essere accaduto: neppure se mi mette sul fuoco posso dire altro."
Allora egli si volse alla madre; ma ormai anche lei sapeva la condotta da tenere:
e non fu possibile farle pronunziare una parola di più di quelle dette
da Concezione.
Tuttavia entrambe si sbigottirono quando il brigadiere le invitò ad
accompagnarlo al posto dove s'era visto Aroldo dormire ubbriaco; e dovettero
seguirlo a malincuore.
Il vento soffiava forte, sollevava le sottane di Concezione, ed ella si accorse
che, nel guardarle le gambe, il brigadiere lasciava scorgere che anche lui
era un uomo del mondo come tutti gli altri. Piegata a stringersi le vesti,
dopo essersi legata bene sotto il mento il fazzoletto, che, in quei casi, le
serviva sempre da mezza maschera e da riparo, si affiancava alla madre e le
toccava le sottane per avvertirla di essere cauta. E cauta la donna procedeva
per il sentiero fra i sassi e le rocce sulle quali il muschio, al brivido del
vento, aveva riflessi di felpa: nessuna traccia dello scomparso appariva; solo
si vedevano, fra l'erba, come delle bacche nere, da evitarsi, poiché erano
il segno del passaggio di un branco di capre.
Il brigadiere s'inerpicò, un po' pesante ma intrepido, sui massi dove
Giustina gli disse di aver veduto Aroldo: esplorò i dintorni con gli
occhi che parevano lenti di binocolo; difese le ali dei suoi baffi dagli sbuffi
impertinenti dello scirocco. Nulla: il monte, le valli, la chiesa, le strade,
il profilo nero dentellato del paese, tutti assorti nel vento, non gli dicevano
nulla; né alla fantasia, né ai fini per i quali si affaccendava.
In fondo, se non fosse stato per il prestigio dell'arma benemerita, e per il
suo dovere, non gli sarebbe importato gran che dello scomparso: ma col suo
grezzo istinto di uomo della legge e dell'ordine, sentiva che Concezione si
burlava di lui, e voleva spuntarla .
Scese, palpò le pietre, si piegò a osservare per terra: e qualche
cosa finalmente scoprì: come un filo di sangue rivelatore, una trama
rossa si allacciava a uno stelo di avena selvatica: era più esile di
un filo di ragno, eppure potente come una corda alla quale attaccarsi in caso
estremo. La prese, l'allungò delicatamente fra il pollice e l'indice
di una mano e dell'altra, come un capello, la mise davanti agli occhi di Concezione.
Ella non batté ciglio; ma dentro la bocca chiusa si sentì tremare
i denti. Era, sì, una trama della famosa coperta: ma, infine, che importava?
Ella aveva fatto un'opera di carità a coprire l'ubbriaco, perché doveva
tremarne? Eppure ne tremava. Sentiva che Aroldo doveva essersi fatto del male,
come quell'altro, ed era l'antico rimorso che si aggiungeva a questo.
"
Sono fili che portano gli uccelli", disse la madre, convinta; e il bravo
signor Calogero mise la trama nel suo portafoglio, pensando che quel semplice
filo poteva guidarlo lontano.
Poi venne Pietro Giordano. Adesso che il posto era vacante, anzi, in macabra
apparenza vuoto, egli poteva tentare di nuovo. Il fatto è che lui si
era innamorato forte di Concezione, quella strega dagli occhi di fata: e se
contava sui dieci mila scudi di lei ci contava in modo egregio, cioè per
il benessere della loro futura famiglia. Si mutavano magicamente in porci,
vacche, pecore, quei dieci mila scudi; ed egli li vedeva camminare, pascolare,
accoppiarsi, moltiplicarsi evangelicamente.
Sedette su un ceppo che era sullo spiazzo, e cominciò col dire una bugia.
Disse che lo mandava Serafino, per sapere quanto c'era di vero nelle chiacchiere
correnti a proposito della scomparsa di Aroldo.
Irritata, Concezione rispose male. Che ne sapeva lei, che gliene importava?
Forse lo stesso Pietro era meglio informato. Ed egli aggrottò le feroci
sopracciglia.
"
Che vuoi dire con questo? Che lo abbia ammazzato io?"
"
Tutto può darsi."
Egli si piegò fino a stringersi i piedi con le mani; un ringhio di cane
bastonato gli uscì dal petto ansimante. Ella ebbe paura. Oh, come questi
uomini bestiali venivano a darle la caccia, rendendola davvero simile alla
cerbiatta presa di mira nel suo covo!
"
Pietro, non ti ho voluto offendere: scherzavo."
"
Non si scherza su queste cose, donna! Basta una parola ad accendere un fuoco
distruttore. Non solo, ma ti dirò che, se tu vuoi, se tu me lo comandi,
io posso giovarti in questa brutta faccenda; cioè scovare la verità."
Ed ella ebbe uno slancio, il desiderio di afferrarsi a lui: ma si riprese subito.
La brutta faccenda, disse, la interessava solo fino a un certo punto: toccava
a chi di dovere scovare la verità. E poi ella riteneva che il forestiero
fosse scomparso di sua piena volontà, per sottrarsi, beato lui, appunto
alle chiacchiere e ai fastidi di questo maledetto paese. Pietro le diede ragione.
"
In quanto a questo è proprio vero. Io sono contento quando me ne sto
con le mie vacche, che mi vogliono bene e non chiacchierano e fanno il fatto
loro. Non verrei mai in paese, perché ogni volta mi si piena il cuore
di pietrisco e di spine."
"
E allora perché sei venuto?"
"
Anzitutto per affari miei: e ti giuro che non sapevo nulla di quelli del forestiero.
Ma subito hanno cominciato a stuzzicarmi, a dirmi che tu quasi quasi sei contenta
di esserti liberata di lui. Allora ho pensato..."
Ella afferrò un sasso e lo scaraventò contro di lui: lo colpì al
ginocchio: ed egli ne provò dolore, ma con beatitudine: anzi tornò a
piegarsi, raccattò il sasso, lo tenne nel pugno come una cosa preziosa.
"
Hai ragione", ripeté; "tu non avevi impegni, con lui; tu non
ti leghi con nessuno: e fai bene. Però, dimmi, cosa farai, bella, quando
sarai vecchia?"
"
Quello che fanno tutte le vecchie, bello. Mangerò pane bagnato, pregherò,
aspetterò la morte. Ma io non arriverò, ad esser vecchia",
aggiunse, come parlando a se stessa, "morrò ancora giovane, e forse
fra non molti anni."
"
Bumh! Adesso vuoi farmi piangere. E i soldi, a chi li lascerai?"
"
Questo è un affare che mi riguarda: e poi, soldi io non ne ho: è tuo
nonno che ha messo in giro questa fanfaluca."
"
Meglio", disse Pietro con gli occhi accesi. "Così, se io ti
dico che sono cotto di te, ma cotto bene, sai, come una pera al forno, così mi
crederai. C'è anche mio fratello Paolo, che ti chiama in sogno: ma io
ho parlato chiaro: fratello, ti voglio bene come agli stessi miei occhi, ma
in queste faccende bisogna intendersi: il primogenito sono io; e se non la
senti con le buone la sentirai con i pugni. Infatti egli ha cominciato a ringhiare:
allora gli ho dato davvero una scarica di pugni, per fargli capire una volta
per sempre che non siamo i fratelli siamesi, da andare assieme a letto con
una donna. Egli mi tiene il muso, ma io me ne infischio; ed ecco perché sono
venuto qui solo."
"
Mi dispiace, Pietro, che per causa mia ci siano questioni fra voi; ma, te lo
ripeto, voi fate come quei pastori che litigarono per via delle stelle: la
sai, la storia? Stavano, i due bravi giovanotti, coricati a pancia in su, in
una bella notte stellata: uno diceva: "Vorrei avere un prato grande come
il cielo": e diceva l'altro: "Ed io vorrei avere tante pecore quante
stelle vedo". "E dove le pascoleresti?", domandò l'altro. "Nel
tuo prato." "Ma io non intendo dartene il permesso." E così vennero
a parole, e poi a botte."
Ma Pietro non aveva voglia di ridere.
"
Eppure tu mollerai, Maria Concezione, ti assicuro che mollerai. Perché io
sono giovane, forte e testone: quando mi metto una cosa in mente, non c'è Cristo
che me la leva. Ti farò la corte per venti o trenta anni: e tu mollerai."
"
Salute!", ella rise, veramente lusingata e divertita. "Basta che
tu non dia fastidi."
"
Questo si vedrà", egli disse, alzandosi dal ceppo, al quale diede
una pedata. Si era fatto torvo, acceso dal desiderio di assalirla, baciarla,
morderla in viso; ma ella si difese con astuzia femminile.
"
Bada a te, ragazzo: non fare sciocchezze; altrimenti t'incolpano di aver fatto
sparire tu il forestiero."
Pietro ebbe un lieve sussulto: e Concezione sospettò anche di lui.
L'ombra dello scomparso si ingrandì e incupì ogni giorno di
più, come quelle che si allungano al tramonto. Venne in persona un Commissario
di pubblica sicurezza, interrogò le donne con lo stesso risultato del
brigadiere: si fece un sopraluogo al posto dove Aroldo era stato veduto l'ultima
volta, si minacciò Concezione di arresto. Poi di nuovo silenzio.
L'estate seguiva il suo corso lento e soffocante. Da tanto tempo non pioveva,
e il pozzo delle donne era quasi secco. La madre faceva chilometri di strada
per provvedersi d'acqua, e Concezione avrebbe avuto paura a star sola, se di
continuo non fosse arrivata qualche innocua persona a farle compagnia.
Anche il vecchio flebotomo era diventato un assiduo frequentatore del luogo:
però non finiva mai di parlare dello scomparso, non senza una certa
ironia: pareva lo divertisse molto la strana avventura: e del resto tutti gli
sfaccendati ne parlavano; le donne tenevano i bambini chiusi in casa per paura
che venissero rubati. La gente tranquilla era convinta però che il forestiero,
munito di passaporto, come si venne a sapere, e forse anche di soldi, se ne
fosse andato per i fatti suoi.
Il "dottore" esasperava Concezione, anzi riusciva qualche volta a
suggestionarla e impaurirla, tessendo tutto un suo speciale processo sul misterioso
avvenimento.
"
La cosa deve essere andata così: quel badalucco era maggiormente rimbecillito
dalla passione per te, e più ancora dal succhiamento vampiresco della
graziosa Maria Pasqua. Lo sanno tutti che razza di pipistrello è quella
lì: uccello mammifero, progenie del diavolo. Le piacciono i denari,
i bei giovanotti; e niente figli, né maschi né femmine. Pare
le piaccia anche il vino; e il rosolio. Come certi vampiri di America, che
nella stagione tropicale piombano sul collo dei cavalli accaldati, e con le
ali fanno vento alle loro vittime, in modo che queste sentono un certo refrigerio
e si lasciano dissanguare con piacere, così fa quella sirena con i suoi
adoratori. Si è bevuta il sangue di Aroldo - bel nome, da trovatore;
e non gli mancava neppure la mandola; - e quando il biondo ragazzo ha tentato
di consolarsi, oltre che con la musica, col vino e l'acquavite, è andato
sempre più giù. Quando era ubbriaco raccontava le sue pene per
te, ohé, per te, signora Maria Concezione; e alcuni ne ridevano; altri
lo ascoltavano seri e lo pedinavano; e questi, probabilmente, son quelli che
lo hanno fatto sparire come una nuvola al tramonto."
"
Ma chi, ma chi, per amor di Dio? Lo dica, dottore lei è con me come
quei vampiri d'America!"
"
Magari! Mi rifarei davvero il sangue, se tu mi lasciassi succhiare la tua dolce
nuca. Perché tu, amica mia, tu il sangue ce l'hai, e caldo, bollente,
sebbene tu finga il contrario. Beato chi riuscirà a succhiartene solo
una stilla dalle labbra."
E tendeva la mano tremula, con quelle sanguisughe delle vene, simili a quelle
che un tempo egli applicava ai malati; ma Concezione era lesta a scostarsi,
con ripugnanza indicibile, e aveva più paura di lui che di tutti gli
altri suoi spasimanti messi assieme. Eppure, come i bambini nelle sere tristi
d'inverno, rabbrividiva di piacere angoscioso quando egli riprendeva a raccontare
le storie del passaggio sotterraneo, e concludeva, ma scherzando, che anche
Aroldo era stato attirato là dentro e forse vi stava ancora, con la
sua chitarra, come un uccello in gabbia.
Allora ella protestava; tuttavia ripetendo con dolore la sua vana domanda:
"
Ma chi? Ma chi può essere stato?"
"
Tu lo sai meglio di me, capricciosetta."
"
Lasci gli scherzi, dottore. E mi faccia il piacere, se ne vada, e non parli
così in altri posti."
Egli fingeva di obbedire: s'inchinava, se ne andava, dignitoso, lasciandola
in grande agitazione. Le sembrava di impazzire: la figura di Aroldo le stava
sempre davanti, viva, palpabile, coi begli occhi mesti e le labbra protese
per baciare: e adesso che non c'era più, che non ci sarebbe stato mai
più, ella sentiva di amarlo, di desiderarlo, con tutto il suo sangue
davvero incandescente; non solo, ma le sembrava che l'unica ragione di vivere,
adesso, per lei, non era più l'affetto per la madre, ma questo amore
per lui.
"
Se riapparisse! Se tornasse! Mi darei a lui, senza pensare ad altro: mi stringerei
a lui, fino ad essere un solo corpo col suo: così, così."
E si mordeva le labbra per lo spasimo; si buttava sul letto piangendo, abbracciata
all'ombra del nulla.
Tornò, una sera di luna, il brigadiere. Disse subito, con la sua voce
gorgogliante di fontana:
"
Non si spaventi, signorina: sono entrato così, per caso, poiché passavo
di qui per certi affari."
È
vero che di affari, per personaggi come lui, ce ne sono in tutti i più disparati
angoli del mondo: dovunque cerca di nascondersi il diavolo con tutte le sue
invenzioni maligne: ma infine, da quelle parti della chiesetta, protetta dalla
Madonnina, il male aveva adesso, dopo la morte degli antenati, poca presa:
anche il fatto di Aroldo ancora non si poteva giudicare chiaramente. Ad ogni
modo Concezione aveva la segreta vanità di credersi più furba
del brigadiere, e si mise sull'attenti, gentile però, fino al punto
di domandare se una tazza di caffè era gradita.
"
Graditissima; tanto più se preparata dalle sue belle mani."
Le mani di Concezione non erano belle, nel senso comune della parola, ma piene
di espressione, brune, pallide, nervose, con le unghie corte pulite e di loro
natura rosee e lucenti: ella se le guardò, parve loro sorridere; e le
mani le risposero che l'uomo era lì per lei.
Anche questa volta era sola in casa, essendo la madre andata in cerca d'acqua:
mise la caffettiera sul fuoco e preparò il vassoio.
Egli ne seguiva i movimenti composti, con uno sguardo umido di tenerezza quasi
paterna: aveva saputo molte cose, in quei giorni di investigazioni: fra le
altre dei denari depositati alla banca: e un'aureola lievemente dorata stava
bene intorno alla testa di Madonna copta di Concezione. Ma anche lui voleva
essere furbo: galante, sì, ma furbo.
"
Ben gentile, ben gentile, signorina. Ottimo, questo caffè: è il
primo caffè squisito che bevo in questo paese."
"È
da molto in questo paese?", ella domandò, sedendosi davanti a lui,
ma a rispettosa distanza.
"
Sei mesi, circa. E, dico la verità, ci sto benissimo. Non è poi
un covo di birboni, per non dir peggio, come me lo avevano dipinto; forse",
aggiunse, fra il vanesio e il beffardo, "per lusingarmi a venirci. È gente
per bene, invece, tranquilla, laboriosa. Il peggio sono i paesetti dei dintorni,
specie quelli di montagna: l'aria fina, bisogna riconoscerlo, aguzza le fantasie,
e i nostri bravi montanari non sempre sono disposti a fantasticare imprese
cavalleresche. Si pungono fra di loro, e quando possono, scendono nella valle
in cerca di avventure. Ma lei, signorina, li conosce forse meglio di me. Sono
stato l'altro giorno lassù", col cucchiaino indicò attraverso
la finestra un vago punto lontano, "ed ho conosciuto dei bei tipi: fra
gli altri la signora Maria Giuseppa Alivia: anzi mi ha detto che è molto
amica sua e della signora Giustina."
"
Ah", fa Concezione, con distratta sorpresa: poi pare ricordarsi; "ah,
sì, la conosciamo: è un tipo strambo davvero, ma buona, generosa,
schietta."
"È
stata lei ad attirarmi a casa sua, per mezzo di un comune amico; e con la vanità propria
delle ricche paesane selvatiche mi ha fatto vedere tutto il suo castello e
i tesori che contiene; anche le provviste, anche la roba che tiene nelle casse.
Divertente, non lo nego. Ha, la signora Maria Giuseppa, per lo meno un centinaio
di paia di lenzuola, e una cinquantina di coperte da letto, tessute forse fin
dal tempo in cui Berta filava. Anzi, mi fece sapere che una di queste coperte
l'ha regalata a lei, signorina Concezione, per augurio di prossime nozze. (Concezione,
nonostante tutta la sua religione, imprecò fra di sé contro quella
cavalla pazza di comare Maria Giuseppa.) C'era anche il marito, il signor Battistino
Alivia, un bonaccione che sputava, ridacchiava, beveva, faceva bere e poi tornava
a sputare: la moglie dice che lui non apre mai bocca per fare altro; eppure,
quando mi sedetti accanto a lui mi domandò a bruciapelo: "Come è andata
la faccenda del forestiero scomparso? Non lo avranno ricattato, per caso?".
Capirà, signorina, io non potevo parlare: però la signora Alivia
intervenne e ne disse una grossa. Disse: il forestiero è stato certamente
fatto sparire da qualche pretendente di Maria Concezione."
"
Di chi?"
"
Suo, signorina."
"
Mio?", ella gridò: e spalancò gli occhi, che parvero quelli
di una serpe calpestata. E, davvero inviperita, stanca di tutte quelle maligne
e malvage allusioni, disse:
"
Del resto, fra i miei pretendenti c'è anche Costante Alivia, lo scemo
nipote della signora Maria Giuseppa."
Si pentì subito, ma troppo tardi: il brigadiere aveva deposto la tazza
sulla tavola accanto; e ficcata poi una mano in tasca, con le grosse dita dai
polpastrelli sensibili, palpava un involtino di carta, dentro il quale c'era
il filo trovato fra l'erba dove Aroldo aveva smaltito la sua sbornia; e quel
filo, sebbene così bene avvolto, gli dava come una scossa elettrica,
poiché egli aveva osservato che il colore e la trama di esso corrispondevano
perfettamente a quelli di alcune coperte della signora Maria Giuseppa: e da
uomo di giustizia, ma anche da uomo sensuale e malizioso, ricostruiva a modo
suo gli avvenimenti di quella famosa notte. Aroldo aveva l'appuntamento con
Concezione: ella vi era andata, si era coricata sull'erba col giovane amante,
e per varie ragioni di decenza aveva portato con sé la coperta quasi
nuziale. Questa fantasia lo eccitava, ne svegliava altre, lo rendeva quasi
felice.
"
Ah", disse bonario e sornione, "anche il signor Costante! Insomma,
quanti pretendenti ha, lei? Vediamo un po'."
Ma Concezione gli mostrò i denti ringhiosi, come aveva veduto fare appunto
allo scemo.
"
Sì", disse, "e poi lei me li mette tutti in gattabuia."
Egli riprese a raccontare della gita al paesetto di montagna, senza naturalmente
dire che c'era stato appunto perché denunzie anonime gli avevano fatto
sapere che Costante lo scemo, nei giorni della festa, ubbriaco come gli altri,
nonostante la sorveglianza della zia, aveva espresso propositi di morte contro
il forestiero che gli voleva portar via Concezione: e tutto, l'andata al paese,
l'incontro con l'amico comune con gli Alivia, la visita alla casa di questi,
tutto era prestabilito e bene ordinato; e gli pareva anche ben riuscito.
"
Sono gente curiosa e primitiva, quelli del paesetto: in una casa ho veduto
una specie di culla, fatta con una scorza di sughero, attaccata per quattro
funi a una trave: e in quest'amaca di selvaggi ci stava un bel bambino. "Per
salvarlo dai topi, dai vampiri e dal porco", disse la madre, che macinava
ghiande abbrustolite per fare il caffè. E la chiesa? Diroccata del tutto:
eppure le vecchie ci vanno a pregare lo stesso; e la signora Alivia, che spende
migliaia di lire per liti di pochi centimetri di terra, non pensa a restaurare
l'altare.
Visto il silenzio freddo ma attento di Concezione, egli riprese:
"
Ho conosciuto anche il suo baldo pretendente, questo signorino Costante, che
non fa nulla tutto il giorno, appoggiato con una spalla al muro dell'osteria;
non sapendo altro che fare, gioca alla morra con la sua ombra. È un
bel ragazzo, però, un pezzo di ragazzo che pare un toro. Lei se lo dovrebbe
sposare, signorina; potrebbe fare molto bene al miserabile luogo."
Concezione lo fissava torbida e gelida come la neve calpestata; aveva già capito
ogni cosa, e la sua furberia se n'era andata, per lasciar posto di nuovo a
un'angoscia profonda. Oh, no, ella non voleva far male a nessuno; fosse stata
anche indiscutibile la colpabilità dello scemo, ella non avrebbe aggiunto
una sillaba per aggravarla. Ma neppure difenderlo poteva: quindi stava zitta;
e l'arrivo della madre, con la brocca grande sulla testa e due piccole una
per mano, le portò un doppio refrigerio. Le tolse la brocca di testa
con ambedue le mani ardenti, la depose sulla panchina e si piegò a bere
come da una fontana; poi, mentre Giustina andava a calare le due brocche piccole
nel pozzo, legate per le anse a una corda, perché l'acqua vi restasse
fresca, ella tornò a sedersi davanti al brigadiere e, senza quasi sentire
oltre quello che egli diceva, aspettò con pazienza che finisse e se
ne andasse.
Andavano, venivano, sostavano dalle due donne, uomini, vecchi, ragazzi, paesani,
borghesi. E tutti tiravano fuori l'argomento del forestiero scomparso. Il luogo
non era mai stato così frequentato. Lo spiazzo della chiesetta, in quei
lunghi crepuscoli estivi, con quel brivido di fresco che veniva giù dai
monti, e la luminosità degli orizzonti aperti in fondo alle valli, che
poteva anche dare l'illusione del mare, era la mèta di tutte le passeggiate
serotine degli sfaccendati del paese. Alcuni sedevano sulla muriccia intorno
allo spiazzo, altri proseguivano nei dintorni; e ancora si andava a vedere
dov'era sparito ingoiato dal terreno o rapito da qualche orco delle grotte
montane, il giovane forestiero, la cui figura cominciava a prendere una tinta
leggendaria e unirsi così alle altre del quadro che aveva per sfondo
il paesaggio primitivo e le sfingi di granito delle grandi rocce.
Qualche volta Giustina usciva a prender parte alle conversazioni senza mai
perdere la prudenza e la misura delle parole. Concezione invece, anche se la
gente entrava nell'orto o in casa, si nascondeva col suo lavoro dietro la tettoia,
aspettando che tutti se ne andassero. Le pareva che ad abitare in una popolata
casa di città si sarebbe stati più soli che in questo luogo detto
per ironia della solitudine.
Dal brigadiere non aveva ricevuto più visite, ma sentiva che egli non
si rassegnava, che continuava le sue investigazioni; e questo non le dispiaceva:
desiderava anche lei conoscere la verità, anche fosse una verità crudele:
solo così avrebbe potuto calmarsi e riprendere l'antica vita. Fece un
voto alla Madonna:
"
Se egli torna, se è vivo e salvo, spenderò metà dei miei
denari per abbellire la chiesa."
Intanto avrebbe voluto spenderli per fare ricerche per conto suo; ma non osava
parlarne con nessuno; non si fidava di nessuno. Quando la madre era assente,
ella scivolava furtiva nella chiesetta, ne tentava uno per uno i mattoni, batteva
sul pavimento, faceva buchi, avendo poi cura di chiuderli col cemento; si sollevava
sudata e anelante, stringendosi la testa fra le mani.
"
Sono pazza; lo so, sono pazza", gemeva ad alta voce; ma non desisteva
dalle sue vane ricerche.
Avrebbe voluto confidarsi almeno con Serafino, sotto il sigillo della confessione,
ma anche lui, lui più degli altri, le destava diffidenza e quasi ripugnanza.
Lo vedeva per la prima volta nel suo vero aspetto di uomo debole, malato, esaltato:
che aiuto poteva darle? E quando si accorse che questa sua disperazione intaccava
la sua fede religiosa ne provò un terrore freddo e duro, come se un
pericolo soprannaturale, più spaventoso di quello del suo male, la minacciasse.
Sognava, in quelle notti chiare di fine estate, che due lune si rincorrevano
in cielo; si azzuffavano, si frantumavano: la terra si riempiva di pezzi di
oro giallo, sui quali non si poteva più camminare; e la gente moriva
di fame e di sete. Di oro si colorava davvero la natura: cadono le foglie del
fico, carnose e rattrappite come mani stanche di lottare; cadono le foglie
del salice, che corrono sull'erba come lucertole lucenti al sole; quelle della
vite si accendono come fiamme, e i grappoli sono assaliti da vespe pur esse
d'oro. La sera comincia a far fresco, e la gente non viene più a passeggiare
fino alla chiesetta. Meglio così. Concezione preferisce, non da adesso,
l'inverno all'estate: d'inverno i desideri si smorzano, i sensi si attutiscono
come la terra in riposo; la compagnia del fuoco vivo ricorda la compagnia dei
cari morti. E già il ricordo del forestiero biondo si confondeva con
quello del ragazzo bruno: forse i loro spiriti correvano assieme, con le nuvole,
sulle cime dei monti, giocando come fanciulli nel giardino dell'eternità.
Così ella, un po' visionaria, confondeva la terra col cielo; e a volte
amava figurarsi che quei due spiriti, gli spiriti di quei due che da vivi avevano
conosciuto il sapore della sua bocca, stessero accanto a lei, parlando dei
loro affari. Uno raccontava i progetti che aveva fatto, di un viaggio per fondare
una città lontana, l'altro raccontava tranquillamente come era riuscito
a impiccarsi.
Concezione non li scacciava: non si scacciano gli spiriti, ma qualche volta,
nella sua lucida e innocua allucinazione, le pareva che quei due finissero
col questionare. Aroldo, il mite, accusava il violento suo predecessore di
aver rovinato Concezione con le sue prepotenze, la sua sensualità, l'offesa
alle leggi umane e divine; l'altro ribatteva:
"
E tu l'hai rovinata peggio di me con le tue minchionerie."
Ella si scuoteva, tentando di ridere di se stessa e delle sue fantasticherie:
perché, in fondo, non le mancava un certo umano senso di attesa, di
cambiamento di situazione, di un fatto, insomma, che dovesse smuovere quella
calma gelida e paludosa che le stagnava intorno: quell'istinto di attesa che
non manca neppure ai vecchi e ai malati; e invano pensava che se la vita dovesse
cambiare anche per lei, non poteva che cambiare in peggio: la speranza le luceva
in fondo al cuore, come un gioiello, se pur rubato, nascosto in fondo a un
pozzo.
Ed ecco un giorno arriva comare Maria Giuseppa, con un viso scuro e torvo come
la giornata d'inverno: non ha dimenticato di riempire la bisaccia, ma questa
volta non la scarica in casa delle ospiti; e neppure fa entrare il cavallo
nell'orto assiderato, lasciandolo fuori del cancello, quasi per subito ripartire.
Deve avere qualche grossa causa da discutere in Pretura o in Tribunale; qualche
intruglio più torbido e complicato degli altri.
"
Sì", disse con arroganza, sollevando la gamba con lo sprone come
fa il gallo irritato, "me l'avete combinata bella. Quel disgraziato, quell'idiota,
quell'animale di mio nipote Costante, è stato arrestato sotto l'accusa
di aver ammazzato e nascosto il forestiero."
Concezione ribatté, pronta e sdegnosa:
"
Che ci abbiamo da vedere noi?"
"
Maledetta sia l'anima mia; e che ci hai da vedere tu, se il forestiero bazzicava
da queste parti per i tuoi occhi? Se sei stata tu a lusingarlo e attirarlo."
In sua coscienza Concezione sapeva che era così, ma non poteva confessarlo.
Si fece livida e disse:
"
Misurate una buona volta le vostre parole. Non potete che far del male a vostro
nipote, se pure si può fargli più male di quello che Dio gli
ha fatto. E riguardo alle mie azioni, sono venuta io a raccontarvele? Vi ho
forse mai dato confidenza, e neppure dato ascolto?"
"È
questo, appunto, maledetta sia l'anima mia. Se tu procedevi da donna saggia,
("Senti chi parla", dice fra sé Concezione); se davi ascolto
ai miei consigli, le cose non sarebbero andate così: si sarebbe tutti
contenti, adesso, non tra le granfie della giustizia e del diavolo."
Si fece il segno della croce, non si sa contro la giustizia terrena o il diavolo;
ma intervenne, calma e poco allarmata, comare Giustina:
"
Infine, sedetevi, e prendete almeno una tazza di caffè. Tutto si aggiusta
col tempo e col denaro. E raccontateci come sono andate le cose."
"
Sono andate così: mio nipote, appena ha veduto Concezione, se n'è innamorato
pazzamente, stoltamente. ("E come poteva fare, in altro modo?", pensa
Concezione.) L'avete sentito, del resto; non faceva che ripetere: o Maria,
o mi sparo. Poi il pretino, quel pretino di sputo (adesso che era lontano,
col suo libro, ella poteva permettersi di parlare così), lo ha calmato:
lo ha come sciolto dalla tentazione: ma un'altra fissazione gli è venuta,
all'idiota Costante; quando cioè ha sentito l'affare del forestiero
si è messo in mente, e vantato con tutti, di averlo ucciso e nascosto
lui. Così hanno finito con l'arrestarlo. Adesso è qui nelle carceri,
e bisogna che io gli cerchi un maledetto avvocato."
"
Ma la verità, qual è?"
"
La verità è che egli è innocente come un asino che è.
Tocca a me, adesso, tribolare, spendere, perdere il sonno e la salute."
Concezione fu per dirle "bene vi sta", ma rassicurata dall'accento
stizzoso e non dolente della donna, che in fondo forse aveva piacere di darsi
da fare con gli avvocati e i giudici, pensava che lo scemo doveva essere senza
dubbio innocente e le cose si sarebbero appianate presto. Si ribellò dopo,
alle pretese di comare Maria Giuseppa, che voleva essere accompagnata da lei,
da Concezione in persona, presso l'avvocato, per affermare l'innocenza di Costante.
"
Ma voi siete matta. Io non so nulla, e abbastanza ho avuto ed ho noie per questo
affare."
"
E allora ti conduco qui l'avvocato. Tu devi assolutamente parlargli, tu devi
salvare uno che è in pericolo di morte per te. Tu sei la causa di tutto,
e non ti devi sottrarre alla tua responsabilità."
Questa era la logica di comare Maria Giuseppa. Ella tirò fuori anche
gli articoli del Codice penale contro i subdoli istigatori di reati, le testimonianze
reticenti, i taciti incoraggiamenti a mal fare; e dopo altre insistenze, minacce
e pugni sulla tavola, andò via pestando i piedi e promettendo di ritornare
con l'avvocato e, occorrendo, con svelti testimoni. Ci sarebbe stato da ridere,
se Concezione avesse almeno avuto chi difenderla: ma si sentiva sola, smarrita,
in preda a una fatalità davvero diabolica.
Non c'era che da nascondersi: e il passaggio sotterraneo sarebbe stato adesso
molto utile per lei. Spinta da una specie di mania, nonostante le assicurazioni
e i conforti della madre, sgattaiolò fuori dell'orto e andò verso
il sentiero della montagna, dirigendosi al punto dove Aroldo era scomparso.
Quasi l'istinto morboso dei delinquenti che tornano sul luogo del loro delitto,
la guidava.
L'erba rinasceva fitta, quasi nera, all'ombra delle rocce, e anche il muschio,
su di queste, prendeva il colore delle vegetazioni invernali, di un verde bruno
giallognolo: ed era alto, denso, come se le pietre si rivestissero di pelo
più fitto per resistere al freddo.
Il sole era tiepido, ma l'aria fredda, d'una rigidità cristallina: i
corvi avevano fatto la prima comparsa, annunziando col loro gracchiare non
solo la cattiva stagione ma qualche cosa d'indicibilmente triste: pareva venissero
dalle terre ove il gelo è perenne, le notti eterne, e portassero con
loro, spandendola come un seme di morte, una funebre disperazione. E anche
su, in certe forre dei monti, nonostante la giornata chiara, fumava qualche
principio di nebbia: anche lassù, gli spiriti della solitudine avevano
già acceso i loro fuochi invernali.
Concezione sentì i piedi inumidirsi, ma continuò a salire: ecco
il posto dove Aroldo si era seduto, con la sua chitarra, il suo amore e la
sua sbornia: di lassù si vedeva tutta la strada che conduce al paese
e il profilo di questo, affacciato alla valle, con la torre della cattedrale
e quella delle carceri, avanzo di una antica rocca, che quasi si rassomigliavano.
Le parve di vedere, nel cortile della prigione, lo scemo Costante, beato del
delitto che credeva di aver commesso; e ne provò rabbia: ma proprio
in quel momento sentì che il suo primo dovere non era quello di fuggire,
di sottrarsi a tutti quei dolorosi pasticci, ma di aiutare gli innocenti, di
salvare i deboli. Il panorama della sua coscienza le appariva d'improvviso
diverso del solito, come quello delle valli e del paese visti dall'alto; triste,
sì, vibrante di voci sinistre, ma chiaro e trasparente nella sua durezza.
Bisognava fare il proprio dovere: dire quello che sapeva della verità;
caricarsi della sua parte di responsabilità. Ridiscese, quindi, riprese
il suo lavoro, aspettò con cuore fermo gli avvenimenti. Ma comare Maria
Giuseppa tornò sola, con la bisaccia vuota, col viso cascante. L'avvocato
l'aveva accolta quasi con beffa, consigliandole di lasciare in pace Concezione
e di non far chiacchiere.
"
A me però, è venuta un'idea", disse sottovoce. "C'è quel
pretino giallognolo, che sembra una piccola volpe addomesticata, che ha dimostrato
di avere un potere quasi magico verso Costante non si potrebbe mandarlo a parlargli,
nelle carceri, perché lo induca a non dire più corbellerie, a
non proclamarsi colpevole, a rimetterlo insomma nella via della salvezza? A
me, oggi, non hanno permesso di vedere il ragazzo; ma se il pretino dice di
volerlo confessare, lo lasciano entrare di certo. Gli farò un regalo;
gli manderò tre libbre di miele e due forme di cacio fresco."
Senza smettere di lavorare Concezione disse:
"
E perché non andate voi stessa a dirglielo?"
"
Perché credo che tu abbia più potere su di lui. Anche lui è innamorato
di te; e di lui tu puoi fidarti."
Nonostante le nuove induzioni di comare Maria Giuseppa, Concezione pensò che
forse davvero Serafino poteva fare qualche cosa per lo scemo. Ma era poi innocente
davvero, lo scemo? Ella non sapeva: non era più sicura di nulla. Ad
ogni modo scartò presto l'idea di rivolgersi a Serafino, poiché il
chierichetto arrivò con cattive notizie di lui. S'era dovuto mettere
a letto, il pretino, poiché i primi freddi, gli strapazzi religiosi
ai quali egli non si sottraeva mai, alzandosi all'alba per la messa, facendo
lezione di catechismo ai ragazzi e alle donne, avevano riaperto il vuoto dei
suoi polmoni: aveva vomitato sangue, e adesso giaceva esausto nel suo lettino
di vergine martire, tormentato, più che dal suo male, dall'impotenza
a proseguire la sua opera di bene.
Concezione si sentì anche lei ripresa in quel cerchio di dolore e di
morte. Che poteva fare? Ricominciò a pregare. "Signore, sia fatta
la volontà tua"; e ricadde in un senso di attesa, come chi è caduto
in fondo a un burrone e spera, pur con le ossa rotte, in un aiuto sovrumano.
E un filo di speranza le arrivò proprio da chi meno se l'aspettava:
dal signor Calogero, che venne verso sera, quando già anzi faceva buio,
ed era vestito in borghese, con la cravatta azzurra, i polsini bianchi inamidati
che gli arrivavano fino alla metà delle mani. Gli occhi brillavano nel
viso colorito; sembrava un mercante di campagna, vestito a festa, che spera
in ottimi affari. Concezione sentiva per lui una certa simpatia: quella simpatia
che tutti i veri galantuomini ispirano alla gente onesta; ed ella sentiva in
lui l'uomo buono, semplice, cordiale, pur senza riuscire a spiegarsi perché egli
avesse scelto quel suo ingrato mestiere: ma poi pensava che appunto per il
mestiere dell'uomo di giustizia occorrono le virtù del signor Calogero,
e aveva fiducia in lui.
Egli cominciò col dire al solito l'ingenua bugia che era passato di
lì per caso, ed entrato per sapere se Concezione aveva saputo più nulla
di Aroldo. Così, in via privata, da amici, ella poteva parlare con confidenza.
Ma ella spalancò gli occhi e si sentì battere il cuore.
"
Ma come, notizie? Se ho saputo che hanno arrestato Costante lo scemo, con l'accusa
che abbia ammazzato e nascosto lui il forestiero?"
"
Questo non significa niente. Gli idioti sono sempre stati così, fin
dalla creazione del mondo. Non era un idiota lo stesso Adamo? E se il signor
Costante prova gusto a farsi credere un eroe, per piacere a lei, signorina,
che ci vuol fare?"
Ella scrollò la testa, seria: egli proseguì, abbassando la voce:
"
Del resto non è lui solo il semplice, il visionario, qui intorno. Ce
ne sono altri, creda: è un male che si comunica, nei luoghi solitari,
dove tutto pare quieto e invece è un subbuglio peggio che nei centri
abitati. Ebbene, c'è un altro suo adoratore, signorina, e in apparenza
molto più in gamba dello scemo, uno che pretende di aver veduto il signorino
Aroldo su nei boschi della montagna. Si aggira sparuto e lacero, come un animale
inseguito, e dorme nelle grotte, e mangia quello che gli danno per elemosina
i pastori di porci."
"
Ma sono tutti pazzi?", ella gridò: e le parve che il mistero della
malattia mentale accennata dal brigadiere, si comunicasse pure a lei; ma in
fondo provò un senso di sollievo. Aroldo vivo! Fosse anche svanito di
mente; lo prendessero pure, come una lepre, e lo portassero al manicomio; tutto
andava meglio che s'egli fosse morto di mala morte e seppellito in terra non
consacrata.
Il brigadiere sorrideva, con due solchi beati intorno alla bocca: e non si
stancava di guardarla, di godersela quasi, così smarrita e trepida davanti
a lui, contento di tormentarla e consolarla nello stesso tempo.
Contando con l'indice della mano destra le dita della mano sinistra, disse:
"
Sì, tutti pazzi. Pazzi per colpa sua. Vuole che gliene conti cinque
o sei?"
E nominò i Giordano, lo scemo, Aroldo, il dottore, e, infine, scoppiando
a ridere, il signor Calogero.
"
Ma vada, ma vada", dice Concezione, presa anche lei da una improvvisa
allegria. "È un grande burlone, lei, e mi fa meraviglia che lo
abbiano messo a quel posto."
Allora egli si sollevò, fiero, austero, sporgendo il petto che pareva
imbottito; i suoi baffi si drizzarono, come quelli di un gatto arrabbiato.
La sua voce gorgogliante parve quella di un torrente.
"
Nessuno al mondo sa stare al suo posto come io al posto mio. E ringrazi il
cielo, che lei sia stata a dirmi queste parole mentre io indosso questi panni.
Capito?"
Impaurita, ella chinò la testa, decisa a non più parlare con
confidenza: non domandò scusa, e questo forse piacque al bravo uomo,
sembrandogli che le avesse impartito una lezione di dignità. Il discorso
però prese un altro tono: egli tornò ad essere l'inquisitore,
e insisté s'ella veramente non avesse saputo nulla di Aroldo.
"
Nulla."
"
E sa chi ha messo in giro la voce che il signor Aroldo fa la vita del bandito?"
"
Non lo so."
"
Posso dirglielo io: sono i signori Giordano. Lei non li ha più veduti?"
"
No."
Ella, veramente, avrebbe voluto insorgere; dire che i Giordano, se mai, avrebbero
fatto meglio a occuparsi dei fatti loro e pensare al povero Serafino che se
ne andava all'altro mondo; ma non aprì bocca, non sollevò gli
occhi. Ed anche così piacque all'uomo, che tornò a volerle bene
ed a provarne quasi pietà. Era sola, era assediata "come una cerbiatta
nella sua tana"; egli avrebbe voluto difenderla, poiché questo
era anche il suo dovere.
"
Per conto mio non credo molto a quella diceria insulsa: quei Giordano, vecchi
e giovani, sono gente di fantasia, e finiranno col buscarsi anche loro qualche
guaio: ad ogni modo è bene tener conto di tutto: e se vengo qui a molestarla,
signorina, è nel suo interesse. Bisogna che questa faccenda sia definita
subito, nei riguardi di tutti. E lei deve mettersi di buona volontà a
coadiuvare l'opera della giustizia; è anche un atto di buona coscienza."
Allora anche Concezione si commosse; era appunto quello che lei avrebbe voluto
fare, ma nulla le risultava di positivo, e la buona coscienza le suggeriva
di non esprimere inutili sospetti. Tuttavia disse che realmente Aroldo era
stato molto innamorato di lei, che ella lo aveva respinto per ragioni sue personali,
e che la notte prima della scomparsa di lui, lo aveva realmente e pietosamente
coperto col drappo di Maria Giuseppa.
Poi arrossì, fece uno sforzo e disse del passaggio sotterraneo. Con
sorpresa vide che il brigadiere rideva.
"
Vecchie leggende, signorina. Fioriscono dappertutto, dove si trova una chiesetta
campestre, una torre, una rovina. Qualche volta esistono davvero, questi passaggi
sotterranei, ma nei veri castelli; qui, creda a me, non c'è nulla. I
suoi riveriti antenati avevano bene a loro disposizione grotte e labirinti
naturali, per non mettersi a raspare la terra. Ad ogni modo, sulla partenza
dell'Aroldi per altri lidi, io ho i miei bravi dubbi; al momento della scomparsa
egli non aveva che pochissimi denari, e se si fosse avviato a piedi a quest'ora
lo si saprebbe. Io ritengo piuttosto... Mi dica tutta la verità: lei
proprio non ha parlato con lui, sebbene ubbriaco, la sera prima della scomparsa?"
Ella lo fissò, rapida, con occhi selvaggi: capiva; scrollò la
testa, non rispose. Egli riprese.
"
Per un momento ho creduto anch'io alla colpabilità dello scemo Alivia:
tutto può essere possibile. E mi sono affannato a seguire le tracce
di un semplice filo della coperta: ma, interrogato l'Alivia, mi sono quasi
convinto che è stupidamente innocente: e la signora Maria Giuseppa ha
trovato per lui, non uno ma cento alibi. Sebbene neppure con quella gente ci
sia da fidarsi. Bisogna cercare un altra pista, ed io la fiuto già,
e, volendo, scoverei subito, fra un quarto d'ora, il giovinotto. Non lo faccio
per un riguardo a lei, sì, proprio a lei, Concezione."
Era la prima volta che egli la chiamava col solo suo nome, con accento quasi
paterno; ella ebbe voglia di piangere, di baciargli la mano; si contentò di
sorridergli, e questo fu per lui il miglior compenso.
"
Ascolti, Concezione: qui non si tratta di delitto né di alcuna delle
fantasie messe in giro dalla gente curiosa ed eccitata. Scovare con mezzi,
dirò così, pubblici, il disgraziato giovinotto, sarebbe per questo
paesetto, uno scandalo che ricadrebbe tutto a ridicolo scapito di noi che lo
cerchiamo da tanto tempo, e a danno suo, signorina. Bisogna che l'Aroldi parta
di nascosto, scriva dalla prima stazione che gli capita, e così tutto
finisce tranquillamente. Ma una sola persona può persuaderlo a far questo:
e lei sa chi è."
"
Ma perché, ma come ha fatto a nascondersi per tanto tempo? Chi gli ha
dato da mangiare? Mi dica, mi dica."
Egli la guardò fisso: e d'un tratto ella si morsicò la nocca
dell'indice.
Aveva capito. E un impeto di gelosia le morse il cuore, come i suoi denti avevano
morsicato il dito: poi si fece livida, di rabbia e quasi di vergogna. Vergogna
per quel disgraziato, indegno di lei, vergogna per aver sofferto per lui, per
aver tanto fantasticato, tanto inutilmente essersi abbassata e umiliata. E
ora toccava a lei salvarlo? Oh, no; che egli si sprofondi nelle sue tenebre
e nel suo fango, che egli vada all'inferno vivo e sano.
"
Faccia pure lo scandalo", disse al brigadiere, "io non mi muovo."
Egli la fissava, coi suoi occhi rotondi e lucenti come diamanti neri. Disse,
lentamente:
"
Quella notte l'Aroldi, smaltita la sbornia, scese al paese e andò in
una casa. Là prese un coltello e si tagliò le vene dei polsi.
Fu nascosto in un pagliaio, salvato a stento; aveva perduto quasi tutto il
sangue. Adesso è ancora lì, ma tenta sempre di rifare la brutta
faccenda. Bisogna salvarlo sul serio e farlo partire. Ha capito, adesso, Concezione?"
Ella aveva capito: ma domandò tempo per decidersi.
"
Torni domani sera", disse: "mi lasci pensare: adesso sono troppo
stordita."
O venuto per conto suo, o per suggerimento d'altri, il giorno dopo tornò il
dottor flebotomo; aveva il pastrano, puzzante di benzina, tutto bene attillato
e abbottonato, i guanti con le dita bucate, il bastoncino da zerbinotto: e
un'aria furba nel viso di pera grinzosa e bacata. Anche gli occhi, insolitamente
vivi, parevano messi a nuovo da una ripulitura di benzina. Concezione capì subito
che anche lui sapeva il segreto di Aroldo; ma non volle stuzzicarlo, aspettando
che egli parlasse da sé. E nell'offrirgli il caffè coi biscotti
osservò che questa volta egli non aveva urgente bisogno di nutrirsi:
doveva quindi aver già mangiato, in qualche posto, o ricevuto denari.
"
Come s'è ringiovanito", ella disse, per lusingarlo e farlo parlare. "Che
ha fatto? È innamorato?"
"
Se mai, questo è da molto tempo prima d'oggi. Sono stato sempre innamorato,
fin dall'età di un anno."
"
Della balia?"
"
Proprio della balia. Raccontava mia madre che avevo appena una settimana e
già, quando la donna veniva, poiché non era fissa in casa, io
ne sentivo il passo e aprivo la bocca come un uccellino. E quando crebbi, in
verità, me ne innamorai proprio: era una bellissima donna, perbacco,
bruna, alta, con certe trecce simili a quelle delle antiche damigelle che le
lasciavano pendere dalla finestra perché l'amante vi si potesse arrampicare."
Concezione rise tanto che dovette piegarsi per smettere: e nell'atto si ricordò del
suo male e s'irrigidì: che le importava, infine, di tutto questo? Del
vecchio, dal quale aspettava notizie più precise di quelle che sapeva,
e dello stesso Aroldo, ora che lo sapeva vivo e salvo?
Ma era il dottore stesso che voleva chiacchierare.
"
Sono stato a visitare il povero Serafino. Non che ci sia andato di mia spontanea
volontà, poiché io non uso cercare i malati; ma fatto chiamare
da lui. È davvero in uno stato pietoso, ed ha pochi giorni di vita:
il suo spirito è vivo, però, vivissimo, come una fiamma che sta
per spegnersi e divampa più alta, pronta al volo nel nulla. Si direbbe
che egli è felice: e lo è infatti, poiché sola cosa veramente
bella, dopo l'amore, come dice un poeta, è la morte. Abbandonare il
nostro corpo schifoso e volarsene fra le cose grandi, pure, eterne. Ecco. Io
non credo nel così detto Iddio, ma, insomma, morire è rientrare
nella gioia dell'universo. Serafino, dunque, si preoccupa della sorte di Costante
Alivia; dice che è innocente, e che lo tengono al fresco, anzitutto
perché lo scemo ci prova gusto, e poi per un certo lustro della polizia,
che lo rimetterà in circolazione appena si avranno notizie dell'Aroldi.
A questo scopo, Serafino dice che tu potresti giovare a tutti e mettere una
buona volta fine a questa tragicommedia."
"
Io?"
"
Tu, sì, cara. Nessuno meglio di te sa che quell'idiota è innocente."
"
Lo sarà, ma come provarlo? Può farlo lei, dottore, meglio di
me: lei che forse conosce dove si nasconde il signor Aroldi."
Il dottore mandò in aria il bastoncino, lo riprese, non rispose. Con
voce seria, ella continuò:
"
Però nessuno più di me desidera che tutte queste storie abbiano
fine: voglio ritornare tranquilla; e vorrei che anche il povero Serafino se
ne andasse tranquillo. Per lui, dunque, ed anche per sgravio di coscienza,
sono disposta a fare quanto lui mi consiglierà."
Il dottore piegò la testa, appoggiò il mento al pomo del bastoncino.
"
Senti", disse, "io vado adesso a fare una piccola passeggiata: intanto
ritornerà tua madre; poi verrò a prenderti e andremo assieme
da Serafino."
"
Non posso, fino a stanotte: aspetto prima una persona."
Così tutti erano d'accordo perché la "storia" finisse
nel miglior modo possibile. E quando ripassò il brigadiere ella disse
che era pronta a tutto, senza nascondergli che anche il povero Serafino desiderava
vederla e darle qualche consiglio.
Egli parve contrariato, anzi un po' geloso; ma si trattava di un moribondo,
e diede il permesso di andarlo a visitare.
"
Però lei deve promettermi, signorina, che non farà nulla, senza
prima consultarmi. Troverò io il modo di farle avere un colloquio col
signor Aroldi, e provvederò io alle spese per la partenza di lui: domani
mattina sarò di nuovo qui."
Ella promise; e quando tornò il dottore si avvolse bene nello scialle
e si allacciò forte le scarpe, quasi si trattasse di un lungo viaggio.
Era una notte tiepida e chiara; la luna piena sorgeva dai monti, grande e limpida
e come nuova: al suo chiarore i boschi rilucevano di riflessi argentei, come
una cascata pietrificata: anche la strada, davanti al dottore e a Concezione,
pareva il letto asciutto di un torrente, col profilo del paese, in fondo, staccato
sul cielo turchino, e con tanti fili di fumo, eguali, lucenti come canne d'organo:
una vera notte da presepio, o da incantesimo, con l'odore umido dell'acanto
e del lapazio, e qualche fiamma che si accendeva e si spegneva nelle lontananze
azzurrognole della valle come quella dei fuochi fatui.
"
E il braccio, dunque, non me lo dai?", disse il dottore, che era lui a
stringersi a Concezione per paura d'inciampare. "Ti racconterò una
storia. Una notte di luna, come questa, sono passato di qui con una donna:
non era una passeggiata d'amore, no; figurati che fra me e lei avevamo circa
un secolo d'età: ed io avevo trent'anni: fa il conto dunque. E andavamo,
sì, ad un appuntamento: il figlio della donna era un latitante, un omicida,
e moriva miserabilmente di carbonchio, in un nascondiglio sopra la vostra chiesetta,
press'a poco fra le rocce dove è scomparso il signor Aroldo. Io avevo
curato il malato, ma troppo tardi ero stato chiamato: adesso egli moriva, e
non voleva il prete, non voleva che rivedere sua madre. Si arrivò al
posto; la donna sedette accanto al figlio, per terra, e gli prese la mano.
Non si dissero una parola; rimasero così circa un'ora, finché io
dichiarai che era tempo di finirla. La vecchia si alzò; e vidi una cosa
inaudita: il malato aveva ripreso un colore naturale; sedette, domandò da
bere. Riaccompagnai la donna a casa sua ed ella neppure mi ringraziò.
Il giorno dopo il malato, miracolosamente guarito, tornò su fra i cinghiali
e le pietre; la vecchia fu trovata morta, per una misteriosa infezione al sangue.
Capisci: con la sua volontà, con la sua potenza d'amore, ella aveva
assorbito il veleno dal corpo del figlio; e lo aveva salvato."
Concezione rabbrividì: le parve che quella fosse una delle solite invenzioni
del flebotomo, eppure rabbrividì. Se non esistessero di queste invenzioni,
forse il mondo andrebbe ancora più male di quello che va.
Serafino giaceva in un lettino che sembrava una culla: e lui un povero piccolo
angelo di cera a cui avessero strappato le ali e si sciogliesse gradatamente
in freddo sudore. Tutto intorno pesava un silenzio funebre; poiché la
casetta dei Giordano aveva qualche cosa di misterioso, come un rifugio di gente
che si vuol nascondere a tutti i costi: un muro quasi più alto della
stessa abitazione, ricingeva il cortiletto sassoso, ed era tutto rivestito
di erbe grasse e incoronato da un barbarico diadema di frammenti di vetro che
al riflesso della luna sprizzavano ironiche scintille verdi rosse e gialle
di pietre preziose: mentre la casetta, piccola e scura, con porticine, finestruole
e sportelli non uno simile all'altro, sembrava una dimora di nani e folletti,
anche a giudicarne da un fico contorto, dal quale cadevano le grandi foglie
nere accompagnate da strani pigolii di uccelli fantastici. La figura della
madre di Serafino rassomigliava a quella della madre di Concezione, ma con
un aspetto tragico, del resto giustificato dallo stato doloroso del figlio:
aveva accolto in perfetto silenzio i due visitatori, facendoli entrare non,
come si usava, nella cucina ospitale, ma in un andito freddo e oscuro e di
là su per una scaletta di pietra tutta a una rampata. L'uscio della
camera di Serafino era aperto, e ne usciva un odore misto di chiesa e di farmacia:
una piccola lampada ad olio, sul cassettone col ripiano di legno, illuminava
un quadretto con una Madonna anch'essa notturna e quasi velata di nebbia; ma
sopra, sulla parete bianca, un Crocefisso di metallo dorato brillava come una
spada.
Concezione si avvicinò quasi di slancio al lettino bianco, e vide i
grandi occhi di Serafino spalancarsi simili a quelli di un fanciullo che si
sveglia da un sogno: il suo viso di alabastro giallognolo pareva illuminato
dalla luna; era una luce interna, che si colorì d'una lieve tinta azzurra,
quando il malato riconobbe Concezione; ma la bocca era amara, e le labbra tumefatte
pareva serbassero il sapore e il colore nero del sangue vomitato. Senza voce,
scuotendo qua e la sul guanciale la testa come per liberarsi da un involucro
molesto, fece a Concezione cenno di sedere. Ella sedette; e si accorse che
li avevano lasciati soli.
"
Sono venuta", disse senz'altro, per non affaticarlo, "per sapere
che cosa devo fare."
E si piegò su lui, come parlando in confessione. Ma con sua meraviglia
la voce di Serafino risonò alta: una voce ch'ella però non gli
conosceva, come venisse di lontano, da una profondità di burrone.
"
Ascolta: c'è un uomo, un cristiano, che ha corso il più grave
pericolo che una creatura di Dio possa correre: quello di perdere l'anima.
Tu devi salvarlo; il pericolo è sempre grave."
"
Lo so: egli ha tentato di uccidersi."
"
Sì, ma questo non basta ancora: la donna, che lo nascose, più che
per pietà per non aver noie con la giustizia; che lo ha coperto di paglia
come la neve perché non si sciolga; che ha chiamato e pagato il flebotomo
per curarlo e salvarlo, adesso pretende da lui una ricompensa adeguata. Vuole
che partano assieme, che emigrino come gli uccelli, ma senza sposarsi; poiché ella
vuole la sua libertà, pur tenendo nel pugno quella del disgraziato:
e questo, Concezione, è il pericolo maggiore. Bisogna che egli parta
solo, che fugga solo. Un primo passo è fatto: egli è qui, adesso,
in casa mia; bisogna che tu lo veda."
Ella piegava la testa, avvilita: aveva paura di veder Aroldo: e ora che lo
sapeva vivo, salvo, le pareva di non provare più passione per lui.
"
Ma perché non lasciarli andar via assieme? Finiranno con lo sposarsi,
come tanti altri, che prima sono stati amici..."
"
Tu non sai, figlia mia. Hai tu pure commesso qualche errore, ma non conosci
la vita. Aroldo questa sera è potuto uscire inosservato dalla sua tana,
perché la donna s'intratteneva con un altro uomo. Donne così non
si possono sposare, da un uomo che deve salvarsi l'anima. E poi, fosse egli
innamorato di lei: l'amore, purifica tutto. Ma egli pensa ad un'altra; e per
quest'altra solamente ha commesso tante pazzie."
"
Ma neppure io posso sposarlo."
"
Io non ti dico di sposarlo: ti dico di farlo partire. Tu sola puoi rianimare
il suo coraggio, salvarlo dalla disperazione."
Ella si torceva le mani, disperata più di Aroldo: infine si decise,
poiché bisognava pur finirla e bere fino in fondo il calice amaro.
"
Gli dirò tutto: gli dirò che un male terribile mi separa da lui
e da tutto il resto del mondo."
"
I mali e i beni stanno in mano di Dio", riprese Serafino; ma adesso la
voce si era abbassata, come una fiamma che si spegne. "Anche io ho un
male terribile, eppure sono contento, poiché è una prova che
Dio ha voluto mandarmi sulla terra. Adesso sto per entrare nel suo Regno, e
sono contento. Così sarà di te, se farai il tuo dovere, se spargerai
il bene intorno a te. Adesso si tratta di salvare un'anima. Va."
Ella si alzò: la sua ombra coprì il letto, attraverso il corpo
di Serafino: ed egli sollevò le braccia, le abbandonò sull'ombra
e parve accarezzarla.
"
Sono proprio contento", sussurrò; e chiuse gli occhi; adesso che
aveva compiuto l'ultima opera buona, aveva l'impressione di potersi addormentare
come un viandante stanco, sull'erba, all'ombra di un albero.
Concezione uscì in punta di piedi, scese a tastoni la scaletta: le pareva
di sognare, di camminare tra fantasmi. E invero sembra pure lui un fantasma,
l'uomo seduto davanti al fuoco della fumosa cucina. Ella lo riconobbe dal vestito
grigio, lo stesso che egli indossava nei giorni che andava a visitarla, ma
logoro, largo, floscio, come fosse stato anch'esso malato. Una sciarpa dello
stesso colore avvolgeva il collo di Aroldo; collo diventato sottile come quello
di un uccello pelato; e dello stesso colore era anche il viso scarno, con gli
occhi fissi e stanchi; ma quando ella gli posò una mano sulla spalla,
egli parve svegliarsi da un triste sogno: le mani gli tremarono, gli occhi
ripresero luce, sebbene luce di lagrime.
E la madre di Serafino, e il flebotomo, che, seduto accanto alla tavola beveva
di tanto in tanto da un boccale pieno di vino, sparirono di nuovo, in silenzio.
Concezione sedette accanto al forestiero. Forestiero, sì, le sembrava,
come la prima volta che lo aveva veduto; non più l'Aroldo che ella sognava
quell'estate, in un delirio di amore; la passione della sua carne era caduta,
come cadevano le foglie; e a vederlo così smorto e invecchiato, lungo
e fragile come una canna, ne sentiva quasi una ripugnanza fisica: ma il cuore
le batteva egualmente, di un sentimento simile alla tenerezza destata da una
musica lontana, vaga, inafferrabile, che fa piangere di tristezza e assieme
di gioia: e che si vorrebbe precisare, sentirne bene il significato, e non
si può, come non si possono prendere gli uccelli a volo. Le tornarono
in mente le donne povere che venivano alla sua casetta per chiedere l'elemosina
e scaldarsi al fuoco del suo camino e della sua pietà: anche Aroldo
era diventato un bisognoso, più bisognoso di quelle; ed ella sentiva
la gioia di potergli fare un po' di bene: dopo averlo spogliato e martoriato, è vero,
ma non per colpa sua.
"
Aroldo", disse subito, "devo domandarti perdono di quanto ti è accaduto.
Credi, la colpa non è mia: e quando ti avrò detto la verità,
vedrai che la colpa maggiore è stata appunto quella di non avertela
detta subito. Ti dissi che ero malata, ma non di che male. È un male
che, come la lebbra, come la tisi, è finora inguaribile; e, dicono,
si trasmette ai figli. Peggio di ogni altro ostacolo, dunque, per chi ha coscienza,
separa quelli che si amano. Quando ti ho conosciuto, non sapevo di averlo:
ecco perché, dopo, mi sono comportata con te come una donna capricciosa
e volubile. C'è una specie di vergogna a parlare di certi mali, a mostrare
le intime piaghe del corpo: io ho avuto questa vergogna, dimenticandomi che
Gesù fece delle sue piaghe le lampade che illuminano il mondo più del
sole e le stelle. Ecco tutto."
Aroldo si piegò: coi gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani parve
un bambino che volesse nascondersi: ma Concezione si accorse che egli piangeva.
Lo lasciò sfogare, perché sapeva che le lagrime sono il farmaco
più efficace per un grave dolore. Lo sapeva, sebbene a lei non riuscisse
mai di piangere. E grave era il dolore dell'uomo, anch'esso inesprimibile a
parole; rassomigliava a quella musica che Concezione sentiva salirle dal cuore,
come dalle profondità delle valli, nei giorni del suo primo amore, aveva
sentito la voce stessa della vita risonare nel mormorio dell'acqua, delle erbe,
del vento: ma il pianto dell'uomo era una musica, ancora più profonda
e potente delle musiche e delle canzoni d'amore: era la voce del mare in tempesta,
che ingoia i pescatori poveri e innocenti; quella del fulmine che spacca gli
alberi puri; quella dei bambini violati e uccisi da mostri umani; quella dei
mali che Dio manda agli uomini per far loro gustare, in ultimo, come un premio
inestimabile, il sonno della morte: era la voce del dolore.
Poi il giovane tentò di ribellarsi; si sollevò, anche lui vergognoso
del suo pianto, e disse con voce rauca:
"
Guarirai, Concezione. Si troverà qualche rimedio. Se hai fede, guarirai.
Ricordati quella predica di Serafino, nella chiesetta..."
"
Il fanciullo è guarito, sì, perché Gesù lo ha voluto.
Ma anche lui, poi, è morto, il fanciullo: da quasi duemila anni è morto,
eppure è ancora vivo e gioca accanto a noi. E anche noi guariremo, Aroldo,
con la volontà di Dio, dopo la nostra morte. E adesso, senti, bisogna
appunto parlare della vita eterna. Tu, Aroldo, sei più malato di me; è la
tua anima, che è malata; e bisogna salvarla. Tu devi andartene da questo
paese, ma solo, senza più rivedere quella donna. C'è chi ti aiuterà a
fuggire. E di me puoi stare tranquillo, perché io penserò sempre
a te. Come ad un fratello", aggiunse, per non riprendere la via delle
illusioni.
"
Perché devo fuggire? Da quella donna non tornerò più,
ne puoi stare certa, né lei verrà a portarmi via sulle sue spalle.
Del resto, tu puoi averlo bene immaginato: io andavo da lei per farti oltraggio
e dispetto: il più grave dispetto che io potessi farti. Se fossi andato
per amore non avrei fatto quello che ho fatto. E lei ne profittava, perché nel
cuore ha per te l'odio di Caino: e anche lei non ne ha colpa."
"
Nessuno ha colpa dei propri mali; ma è meglio evitare le tentazioni."
Egli si batté un pugno sul ginocchio e riprese, alzando la voce:
"
No, non me ne vado. Perché ho commesso una debolezza devo essere sempre
debole? S'impara più dai propri errori che dalle proprie virtù."
"
Il brigadiere..."
"
Io me ne infischio, del brigadiere. La cattiva figura l'ha fatta lui, ed io
non ci posso niente. Che ha da rimproverarmi? Sono stato malato: adesso sto
meglio: domani tornerò a presentarmi all'impresario e, se mi vuole,
riprenderò il lavoro. E se no, cercherò altrove; tornerò a
fare l'arrotino, se occorre, e penserò a mia madre come fosse ancora
viva e ancora dovessi aiutarla; e questo, sì, davvero, mi salverà dalle
tentazioni."
"
Anche Serafino desidera che tu te ne vada."
"
No", egli grida; poi torna a piegarsi, come spaventato dalla sua voce. "Perché devo
andarmene? Quella donna non esce mai di casa sua, ma venisse anche a cercarmi
per le strade saprei metterla a posto. Io le sono riconoscente di quanto ha
fatto per me, e se ella un giorno avesse bisogno la aiuterei anch'io; ma come
da buoni cristiani e null'altro. Ma ti giuro, Concezione, ti giuro sulla memoria
di mia madre, io non tornerò più in casa sua con scopi disonesti.
E neppure in casa tua verrò più: te lo prometto: a meno che tu
non mi richiami. Poiché..."
"
Poiché?", ella domandò, di nuovo inquieta e triste.
"
Ascolta, Concezione. Ti devo dire tutto. Il dottore mi curava, dunque, di nascosto. È abile,
a queste cure segrete, perché, lo dice lui stesso, ci è abituato.
Diceva: ecco però che cosa mi tocca di fare: io che cavavo sangue, devo
cercare di rimetterne nelle tue vene di scimunito. Bisognerebbe fare una trasfusione
di sangue, ed io sarei capace anche di questo, meglio che quegli asini dell'ospedale;
ma dove trovare il cristiano che ti dia il suo sangue? Si potrebbe provare
con quello di una pecora; ma già tanto pecora lo sei. Allora quella
donna offrì il suo; bisogna riconoscerlo: è generosa, quando
occorre, generosa come un brigante. Anche queste sono parole del dottore. Ma
io non accettai. Anzi avevo voglia di ricominciare, di finirla; e se non ritentai
la prova di morire, fu però, credi, per riconoscenza verso la mia ospite,
perché non volevo crearle noie con la polizia; e anche seppellirmi di
nascosto non poteva. Ma di muovermi non mi riusciva, perché ero debole
da non reggermi in piedi, ed ella vigilava la mia prigione. Pensavo: ci sarà tempo;
e appena potrò me ne andrò in qualche luogo solitario, dove possano
trovare la mia carcassa spolpata dagli avvoltoi. Ma veniva il dottore e mi
faceva sorbire per forza certi suoi intrugli che mi rinsanguavano; credo mi
facesse bere sangue di bue appena scannato; e mi faceva mangiare tanto fegato
crudo e tante uova che mai più in vita mia tornerò ad assaggiare
fegato e uova. La cura migliore la sapeva lui, però: e quando la donna
ci lasciava soli, egli mi parlava di te. Stavamo al buio, perché egli
veniva di sera, e solo un po' di chiarore scendeva da un abbaino del pagliaio.
Io non capivo perché la donna, che non possedeva né cavalli né buoi,
tenesse un pagliaio: me lo spiegò appunto il dottore: ella lo aveva
messo su per nascondere, qualche tempo prima, un suo amico latitante: e tanto
bene lo fece, che anche quella volta l'uomo riuscì a star lì in
sicurezza tutto un inverno: poi si stufò, e anche lui preferì scappare
e nascondersi all'aria libera della montagna. Il dottore, dunque, mi portava
tue notizie; mi raccontava che tu pensavi sempre a me, che mi volevi bene,
che ti consumavi per me."
"
Che ne sapeva, lui, il vecchio pasticcione?", ella protestò: ma
arrossì, poiché quella era la verità.
"
Lo sapeva, lo sapeva. Certe cose non si possono nascondere; e dove c'è fumo
c'è fuoco. A me sembrava di fare un sogno: e, del resto, nel dormiveglia
continuo in cui la debolezza mi gettava, sognavo sempre di te. Ma era piuttosto
come un'allucinazione. Venivi, ti sedevi sulla paglia, accanto a me, e non
parlavi; ma mi guardavi, e i tuoi occhi erano così luminosi che il pagliaio
sembrava rischiarato dal sole. Io, che avevo sempre freddo, mi scaldavo. E
così, piano piano, per questa magìa più che per altro,
non ho più pensato a morire. Adesso..."
"
Adesso?..."
"
Le cose si sono capovolte. Adesso sei tu che dici di essere malata, o almeno
di aver paura di ammalarti gravemente. Speriamo che così non sia: Dio
può fare miracoli, ed io pregherò giorno e notte per te. E se
vuoi essere lasciata da me tranquilla lo sarai. Ma se tu, che Dio non voglia,
dovessi ammalarti davvero, e vorrai chiamarmi, sarò ai tuoi piedi come
un cane; e ti guarderò come tu mi guardavi nel sogno; sono certo che
la luce dei miei occhi ti farà guarire."
Ella sorrise, col suo sorriso bianco e triste.
"
Sono fisime del dottore, Aroldo: egli racconta bene le sue fole. Ma la vita
non è una fola."
"
Eppure", disse Aroldo, imitando il sorriso di lei "se il nonno Giordano
pensasse che noi due siamo qui, seduti al suo focolare, crederebbe anche lui
di sognare."
"
E correrebbe giù con un bastone, per mandarci via a furia di botte.
Meglio dunque andarcene presto di nostra buona volontà. Prima io, poi
tu. Ma insisto prima nel desiderio comune: devi andare lontano: anche Serafino è disposto
a provvedere al tuo viaggio, finché non hai trovato lavoro."
Egli volse il viso verso di lei: ed era un viso livido e duro, che ella non
gli aveva mai veduto.
"
Ecco che tu mi offendi, Concezione; tutti, mi offendete. Ed è giusto,
perdio: ho fatto quello che solo gli uomini vili possono fare. Ma forse ho
fatto anche bene: il mio sangue si è cambiato. Il dottore dice che qui
da voi i bambini, e anche qualche adulto, mordono il fegato ancora caldo e
fumante della bestia appena squartata, per diventare coraggiosi. E mi ha nutrito
di fegato crudo e di sangue di bestia: quindi sono diventato un po' forte pure
io: forse un po' bestia anch'io, ma forte e coraggioso, anzi selvatico. E non
accetto l'elemosina di nessuno. Da domani ricomincio a lavorare: spaccherò le
pietre, soffrirò la fame, dormirò per terra. Ma l'esser povero
non vuol dire essere miserabile. Accattone non sarò mai. Mai. Mai."
Le sue parole cadevano lente, miti, ma ferme, inesorabili: e Concezione, in
fondo, ne era contenta e orgogliosa: sentiva che il ragazzo d'ieri s'era fatto
uomo, come un soldatino che è stato alla guerra, e adesso aveva preso
davvero qualche cosa della razza di lei: tenace nell'odio e nel male, ma anche
nell'amore e nel bene.
"
E allora salutiamoci: e che Dio ci accompagni."
Si alzò; non gli tese neppure la mano: ed egli non si mosse.
La luna si era alzata sul cielo chiarissimo: sarebbe parsa una notte di estate,
senza i rami già spennacchiati degli alberi e il suono del torrente
sul fianco del monte.
Davanti al cancelletto aperto, Concezione notò che doveva essere venuto
qualcuno, durante la sua assenza, ma non s'inquietò.
"
Dev'essere quella matta di comare Maria Giuseppa. Essa viaggia anche di notte,
come le streghe."
"
O come le fate", disse il flebotomo. "Chissà quanta roba buona
ha portato. Dì un po' Concezione, non mi inviteresti a cena, per caso?"
"
Si figuri! Ma lei non avrà paura a tornarsene solo?"
"
Sono da meno di una donna io? Eppoi l'arma ce l'ho anch'io: ho la lancetta
per cavar sangue, e se l'altro giorno un ciabattino ha potuto uccidere un ladro
con la lesina, posso anch'io difendermi dai miei nemici. Ma lasciamo adesso
le storie tristi: che buon odore esce dalla tua cucina!"
Piegata sul focolare, la vecchia infatti arrostiva allo spiedo una salsiccia
grassa e odorosa: altre salsiccie fresche, stavano sulla tavola, e circondata
da quei rosei e bruni serpenti innocui, si ergeva una Madonnina di gesso, di
quelle che vendono i merciai ambulanti. Sì, si capiva benissimo che
c'era stata comare Maria Giuseppa Alivia.
"
Non è scesa neppure di cavallo, porgendomi solo un involto coi salumi
e questa statua, che teneva in arcioni come un bambino. Dice di aver avuto
notizie che domani mattina Costante sarà scarcerato, ed essa è venuta
a prenderlo. È andata via spronando il cavallo come alla corsa dei barberi.
"
Purché domani il suo leggiadro nipote non cerchi di ammazzare davvero
il suo rivale: questi però potrà dirgli: tu ammazzi un uomo morto."
"
Non tanto", fu per protestare Concezione, ma lasciò correre.
Il flebotomo era allegro in modo insolito; sembrava persino ringiovanito. Gli
pareva di essere il personaggio centrale della vicenda finita, almeno per il
momento, con sollievo di tutti. Non s'illudeva che il giorno dopo la vita sarebbe
ricominciata lo stesso, con piccole e grandi tribolazioni per chi è ancora
vivo e alle prese col prossimo; la vita è un'avventura che finisce solo
con la morte; ma intanto egli, dopo anni d'ingiustizia, di abbandono e di miseria,
aveva ancora goduto un poco dell'antico prestigio, dell'intrugliarsi in un
avvenimento non ordinario, di aver in qualche modo cooperato al bene dei suoi
fedeli clienti.
Chiuse la porta, s'avvicinò alla tavola, fiutò le salsiccie e
sollevò la statuetta che, sebbene alta quasi mezzo metro, vuota dentro,
era leggera come una bambola. poi sedette accanto al fuoco, tentando di calmare
la curiosità di Giustina raccontandole solo una parte dell'avventura
di Aroldo.
"
Quella notte, col dormire all'aperto, col caldo della sbornia che ci aveva
addosso, s'è buscato una pleurite ostinata e lunga: s'è rifugiato,
ancora brillo, da Maria Pasqua, e a lei non è parso vero di sequestrarlo
e tenerlo prigioniero, con la speranza di far poi di lui quello che le piaceva.
Bisogna compatirla: è anche lei una creatura infelice e squilibrata:
sola, in questo schifoso mondaccio, perseguitata nella sua tana come una volpe
immonda. E non dico che della volpe non abbia gli istinti: ma anche lei discende
da certa gente; con la differenza che non è stata proprio colpa sua
ad esserlo."
Questa volta, perché la madre non venisse oltre mortificata, Concezione
credette bene d'intervenire.
"
Lasciamola stare: adesso tutto è finito."
Intanto apparecchiava la tavola: poi portò la statuetta in chiesa. Solo
il chiarore della lampadina illuminava il luogo triste e freddo; ma Concezione,
inginocchiata sul nudo pavimento, ricordava le parole di Aroldo: "i tuoi
occhi, nel buio, erano luminosi, tanto che il pagliaio pareva rischiarato dal
sole".
Ed ecco che adesso le parevano tali; di una luce inestinguibile, che le saliva
dall'anima; che neppure quando li avrebbe chiusi per sempre, si sarebbe spenta.
- FINE -