DISCORSO
SOPRA LA BATRACOMIOMACHIA
Quando, dopo aver letta qualche opera di autore sconosciuto, la troviamo interessante
e degna di osservazione, siamo tosto spinti dalla curiosità a ricercarne
lo scrittore. Avendone rilevato il carattere dall'opera stessa, bramiamo avere
un nome a cui applicarlo. Ci duole d'ignorar quello di una persona che c'interessa,
e di dover lodare e stimare un Essere anonimo e sconosciuto. Forse il suo nome
non ce lo farebbe conoscere più di quello che può fare l'opera
stessa, ma noi crediamo di essere abbastanza informati intorno ad uno scrittore,
quando ne sappiamo il nome. Riguardo alle opere antiche, questa curiosità
va ancora più avanti. La difficoltà di conoscere l'autore di qualcuna
di esse, non fa che aumentarla. Pochi sperano di acquistar gloria collo scuoprire
l'autore di uno scritto moderno, ma ogni scoperta fatta nei campi dell'antichità
è creduta interessare tutta la Repubblica dei Letterati. Il solo aver
tentata un'impresa di questo genere senza mancare di qualche successo, basta
talvolta a render famoso il nome di uno scrittore. Intelligenza di antichi linguaggi,
esame di vecchi libri, acutezza di critica, finezza di giudizio, tutto si pone
in opera per ottenere l'intento desiderato, o per persuadere ai lettori d'averlo
ottenuto. Una scoperta difficile è sempre bella, se non per la sua utilità,
certamente per la sua difficoltà, poiché l'ingegno fu sempre stimato
più della sodezza, e lo strepito più della riflessione.
La Batracomiomachia però, ossia la Guerra dei topi e delle rane, può
veramente dirsi un'opera interessante. La bassezza dell'argomento non può
farle perdere nulla del suo pregio. Il Genio si manifesta dappertutto, e tutto
è prezioso ciò che è consacrato dal Genio. Boileau non
è meno famoso per il Lutrin che per l'Arte Poetica; la Dunciade e il
Riccio Rapito sono parti dei traduttore dell'Iliade e dell'autore del Saggio
sopra l'uomo; e l'Ariosto contrasta ancora al Tasso il primato del Parnaso Epico
Italiano. Famosa è la proposizione di Iacopo Gaddi. "Voglio",
scrisse egli, "pronunziare un paradosso, benché abbia alquanto paura
dei censori nasuti e dei motteggiatori. La Batracomiomachia mi par più
nobile e più vicina alla perfezione che l'Odissea e l'Iliade, anzi superiore
ad ambedue nel giudizio, nell'ingegno e nella bellezza della tessitura che la
rendono un poema giocoso affatto eccellente" (1). Martino Crusio analizzò
la Batracomiomachia con tutte le regole della critica, e la trovò Poema
Eroi-Comico esattamente corrispondente a tutte le leggi dell'arte poetica, e
perfetto in tutte le sue parti. E già senza il voto del Gaddi e l'analisi
del Crusio, il disegno, l'invenzione e la condotta del poema, la felicità
e lepidezza dei ritrovati, e quell'acconcia mescolanza di cose basse e volgari
con parole, e cose grandi e sublimi, dalla quale nasce il ridicolo, fanno conoscere
ad ogni uomo di gusto che la Batracomiomachia non è parto di un poeta
mediocre.
Si desta quindi in noi il desiderio di sapere il nome di questo poeta. Già
da molti secoli il poema porta quello di Omero, a cui espressamente lo attribuì
Marziale, che scrisse sopra la Batracomiomachia quell'epigramma (2):
Perlege Mæonio cantatas carmine ranas,
Et frontem nugis solvere disce meis.
Così anche Fulgenzio (3):
Quod Mæonius ranarum
Cachinnavit proelio.
Stazio volendo mostrare che i maggiori poeti, prima di esercitarsi in oggetti
grandi, aveano preso a cantare cose basse e pedestri, citò la Zanzara
di Virgilio e la Batracomiomachia (4), con che diè a vedere che riguardava
questo poema come opera di Omero, il quale solo potea citarsi al fianco di Virgilio.
L'autor greco della Vita di Omero attribuita ad Erodoto, dice che quel poeta
compose la Batracomiomachia, dopo l'Iliade, e prima dell'Odissea, nella terra
chiamata Bolisso, vicino alla città di Chio, in casa del padrone del
pastore Glauco. È inutile rammentare gli autori greci più moderni
che attribuirono ad Omero la Batracomiomachia, come Tzetze citato dal Bentley,
che annovera la Battaglia dei topi fra le tredici opere lasciate, a suo dire,
da Omero (5); ed Apostolio, di cui ricorda il Labbé (6) alcuni versi
politici in lode della Batracomiomachia. Fra quelli che hanno scritto nelle
lingue volgari, moltissimi hanno riguardato quel poema come parto veramente
di Omero, e il Lavagnoli in una lunga prefazione premessa alla Batracomiomachia
da lui tradotta, ha sostenuta con tutte le sue forze questa opinione. "Non
potrebbe esser questo per avventura", dic'egli parlando di Omero, "un
primo parto della sua mente? un esperimento che volle egli fare di sé
medesimo in mira delle maggiori cose che divisava di scrivere?" Maittaire
e Francesco Redi nell'Avvertimento premesso alla Guerra dei Topi e dei Ranocchi
di Andrea del Sarto, giudicano la Batracomiomachia, produzione degna di Omero,
e Pope dice che un grande autore può qualche volta ricrearsi col comporre
uno scritto giocoso, che generalmente gli spiriti più sublimi non sono
nemici dello scherzo, e che il talento per la burla accompagna d'ordinario una
bella immaginazione, ed è nei grandi ingegni, come sono spesso le vene
di mercurio nelle miniere d'oro.
Ciò è verissimo, ma prova solo che Omero poté scrivere
un poema giocoso, non che egli è in effetto l'autore della Batracomiomachia.
Sarebbe un pazzo chi negasse la prima proposizione, non però certamente
chi negasse la seconda, la quale ha avuti in realtà moltissimi oppositori.
Proclo parla della Batracomiomachia come di opera attribuita ad Omero solamente
da alcuni. "Scrisse", dic'egli di Omero (7), "due poemi: l'Iliade
e l'Odissea. Alcuni gli attribuiscono ancora dei poemi giocosi, cioè
il Margite, la Batracomiomachia, l'Entepazzio, la Capra, e i Cercopi vani."
Così anche Eustazio. Il primo dei due autori anonimi delle Vite di Omero,
pubblicate dall'Allacci, sembra rigettare espressamente la Batracomiomachia
come supposta e di autore differente da Omero, poiché dice di questo
poeta: "Nulla gli si deve attribuire, fuorché l'Iliade e l'Odissea.
Gli Inni e gli altri poemi che gli si ascrivono, si hanno a tenere per opere
di altri autori, a cagione della differenza, sì del carattere che della
bellezza degli scritti. Alcuni gli vogliono attribuire anche due opere che vanno
intorno coi titoli di Batracomiomachia e di Margite. Quanto ai poemi che veramente
gli appartengono, essi si cantavano un tempo qua e là spartitamente,
e furono riordinati da Pisistrato l'Ateniese." E certamente, leggendo gli
antichi scritti, si trova che l'antichità era in dubbio intorno all'autenticità
della Batracomiomachia, forse niente meno di quello che lo siamo noi al presente.
Gli Scoliasti di Sofocle (8) e di Euripide (9) citano la Batracomiomachia senza
nominarne l'autore, con che sembrano dare a vedere di essere incerti intorno
ad esso. Apollonio Discolo riporta un luogo della Batracomiomachia senza indicare
né l'autore, né il poema (10): ma da ciò non si può
cavare alcuna conseguenza, poiché egli cita più volte nella stessa
guisa dei passi di Omero e di altri autori. Suida, parlando di Omero (11), annovera
la Miobatracomachia, così detta da lui, tra le sue opere dubbie, ed altrove
(12) di Pigrete Alicarnasseo, fratello della famosa Artemisia moglie di Mausolo,
dice che compose il Margite e la Batracomiomachia. E di questa lo stesso Pigrete
è fatto autore da Plutarco, il quale scrive di Erodoto (13): "Finalmente
narra che a Platea i Greci, sedendo oziosamente, ignorarono sino al fine la
battaglia; appunto come Pigrete fratello di Artemisia disse essere accaduto
nel combattimento dei topi e delle rane, che egli per giuoco descrisse in versi;
aggiungendo che gli Spartani a bella posta combatterono in silenzio, perché
gli altri non avessero contezza della pugna." Enrico Stefano (14) dice
di aver veduto un esemplare della Batracomiomachia, in cui questa attribuivasi
a Pigrete di Caria. Di simiglianti esemplari fanno pur menzione il Labbé
(15) ed il Nunnes (16), presso cui, dice il Fabricio (17), per errore di stampa
si legge: Tigreti, in luogo di Pigreti. Ma in verità questo errore è
dei Codici, non della stampa, e in un manoscritto Naniano si trova la Batracomiomachia
con questo titolo: *'Homérou Batrachomyomachía en dé tisi
Tígretos tou Karós' "Batracomiomachia di Omero, o come si
legge in alcuni esemplari di Tigrete di Caria".
Fra i moderni, Daniele Heinsio, Giovanni le Clerc, e molti altri contrastarono
ad Omero la Batracomiomachia. Madama Dacier dicendo che i migliori critici riconoscono
quel poema per falsamente attribuito ad Omero (18), mostra di non pensare essa
stessa in diversa guisa. Stefano Bergler (19) conta fino ad otto parole della
Batracomiomachia, che non sembrano essere state in uso al tempo di Omero, il
quale non se ne serví mai nell'Iliade e nell'Odissea, benché spesse
volte avesse occasione di farlo; e rileva alcuni modi di dire usati nello stesso
poema che non paiono propri di Omero. Fa rimarcare che i Grammatici, per testimonianza
di Eustazio, osservarono non essersi quel poeta servito della voce élios
che una sola volta, cioè nel libro ottavo dell'Odissea, e che nondimeno
quella voce s'incontra nel penultimo verso della Batracomiomachia. Trova che
presso Omero la lettera "a" del verbo "ikàno", e
dei casi formati dallo stesso è sempre lunga, e la "y" dell'aoristo
secondo, e futuro secondo del verbo "feúgo" è sempre
breve, mentre nella Batracomiomachia si ha "íkanen" colla sillaba
"ka" breve, ed "apéphygen" colla sillaba "phy"
lunga. Finalmente sospetta che l'autore della Batracomiomachia abbia tratto
dalle Nubi d'Aristofane il pensiero delle zanzare, che colle loro trombe danno
alle armate dei topi e delle rane il segnale della battaglia. Cesarotti (20)
osserva che la descrizione dei Granchi fatta con parole composte e strane quanto
i mostri che si vogliono descrivere, non sente per nulla il tempo e lo stile
di Omero. Questa descrizione è compresa in cinque versi, che egli traduce
così:
Venne la razza
Ossosa, incudischiena, incurvibraccia,
Guercia, forbicibocca, ostricopelle,
Marciaindietro, ampiospalla e gambistorta,
Manispasa, occhiterga, impettosguarda,
Ottipede, bicipite, intrattabile.
L'uso di queste bizzarre parole sembra esser venuto molto più tardi, e se ne hanno esempi presso Plauto, Ateneo (21), S. Basilio, Suida, e nell'Antologia. Michele Neandro, Lo Scaligero, l'Huet ed altri composero Epigrammi con parole di tal fatta. Tale è quello di Egesandro contro i Sofisti, che Giuseppe Scaligero recò in versi latini in questa guisa:
Silonicaperones, vibrissasperomenti,
Manticobarbicolæ, extenebropatinæ.
Obsuffarcinamicti, planilucernituentes,
Noctilatentivori, noctidolostudii.
Pullipremoplagii, sutelocaptiotricæ,
Rumigeraucupidæ, nugicanoricrepi.
A tutte queste osservazioni fatte già dagli eruditi, ne aggiungerò
io una, che non credo fatta ancora da alcuno. La descrizione delle angosce e
dei diversi atti del topo che naviga sul dorso di Gonfiagote, mi sembra imitazione
affettata di quella che fa Mosco degli atti di Europa trasportata per mare dal
suo toro. L'autore della Batracomiomachia dice che Rubabriciole vedendosi bagnare
dall'acqua, tremava e piangeva, invocava gli Dei, si stringeva al corpo di Gonfiagote,
e lasciata andare la coda in acqua, tiravasela dietro come un remo, e che finalmente
prese a parlare. Mosco dice di Europa che vistasi all'improvviso trasportare
in mare, si turbò, e che seguendo il toro il suo cammino, essa con una
mano ne stringea un corno, e coll'altra traeva in su la sua veste perché
non si bagnasse, e che finalmente non vedendo più che acqua e cielo,
parlò al toro, e chiamò Nettuno in suo soccorso. La similitudine
di Europa, che nella Batracomiomachia si pone in bocca al sorcio, sembra dare
qualche peso al mio sospetto. Io non so se l'accaduto a me possa confermare
in alcun modo questa opinione. Io non avea mai letta la Batracomiomachia. Leggendola
attentamente, e giunto al luogo in cui si descrivono le angustie del topo navigatore,
credei subito trovarvi molta conformità con quello di Mosco, che ho accennato.
Io non avea ancora veduta la similitudine di Europa, ma seguendo a leggere,
e incontratala, mi confermai fortemente nel mio parere, giudicando verisimilissimo
che l'autore della Batracomiomachia avesse tolta quella similitudine appunto
dall'Idillio che avea sotto gli occhi, e che avea imitato nei versi precedenti;
e mi persuasi tosto la Batracomiomachia non esser di Omero, ma di autore posteriore
ai tempi di Mosco, vale a dire a quelli di Teocrito, poiché, come dimostrasi
con buone ragioni, questi due poeti furono contemporanei. Forse anche altri
leggendo la Batracomiomachia colle disposizioni in cui io mi trovava, potrebbono
concepire lo stesso sospetto, ed essi sarebbono i più favorevoli alla
mia opinione, poiché un'intima persuasione originata dal caso ha spesse
volte più forza sul nostro animo che qualunque prova ricercata e studiata.
Può adunque supporsi che l'autore della Batracomiomachia non sia anteriore
al secolo terzo avanti l'Era Cristiana, e certamente non si trova fatta menzione
del suo poema presso alcuno scrittore più antico di quel secolo. Quanto
all'autore della Vita di Omero attribuita ad Erodoto, quasi tutti i critici
si accordano nell'asserire che esso è ben differente dallo Storico, di
cui la sua opera porta il nome, né v'ha, che io sappia, alcuna ragione
che impedisca di crederlo posteriore al secolo già nominato. Io non so
quanta osservazione meriti il pensamento di Pietro la Seine, che crede aver
Plauto avuto riguardo alla Batracomiomachia allorché fe' dire al suo
Crisalo (22):
Si tibi est machæra, et nobis veruina est domi,
Qua quidem te faciam, si tu me irritaveris,
Confossiorem soricina nenia.
Ma, ad ogni modo, Plauto non fiorì più di due secoli circa avanti
la nostra Era. Andrebbe a terra la mia opinione se fosse certo ciò che
suppone il Fabricio (23), cioè, che alla battaglia dei topi e delle rane
descritta nella Batracomiomachia alludesse Alessandro il Grande, allorché
avuta nuova del combattimento seguìto fra le truppe di Antipatro e di
Agide re di Sparta, disse, al riferire di Plutarco (24): "Pare, miei amici,
che mentre noi qui sconfiggevamo Dario, sia seguìta in Arcadia certa
zuffa di sorci". Ma il senso di questo detto s'intende molto bene senza
ricorrere all'allusione, e il disprezzo che Alessandro volea manifestare per
quella battaglia, è abbastanza espresso dal paragonare che egli fa i
combattenti a dei topi, onde non è necessario supporre che egli avesse
in vista il combattimento di questi animali cantato dall'autore della Batracomiomachia.
Nell'antico bassorilievo rappresentante l'apoteosi di Omero, opera di Archelao
di Priene figlio di Apollonio, trovato nel territorio di Marino, Feudo della
casa Colonna, lungo la predella, che il poeta ha sotto i piedi, si vedono due
topi. Alcuni hanno creduto che essi indicassero la Batracomiomachia, ma madama
Dacier (25) ha stimato più verisimile che lo scultore volesse rappresentare
con quei topi i cani di Parnaso, detrattori di Omero, e nemici impotenti della
sua gloria. "Si Batrachomyomachia innueretur", dice Gronovio (26)
parlando di quei topi, "cur ranæ quoque non conspiciuntur? Subest
aliud: et sive mures sunt, sive glires, per eos licet colligere captam Trojam
præbuisse occasionem divinis illis operibus: ad quam explicationem faciunt,
quæ viri docti protulerunt de Smintho et Apolline Smintheo". Sminto,
a dire del Pseudo-Didimo (27), era un luogo della Troade, in cui trovavasi il
tempio di Apolline Smintio. "Smínthios" vale topo, e a Crisa
nel tempio di Apolline Smintio vedevasi, al riferir di Strabone (28), la statua
di quella Divinità con un topo ai piedi. Certo nel marmo, di cui parlo,
sotto le figure corrispondenti si legge: "ILIAS" -Iliade, "ODYSSEIA"
- Odissea, ma in niun luogo si trova scritto: BATPAXOMYOMAXIA - Batracomiomachia.
La proposizione di Cesarotti, il quale sospetta che la Batracomiomachia appartenga
al secolo di Luciano, parmi avanzata senza riflessione. Come infatti avrebbe
potuto quel poema rendersi in un momento così celebre presso i Greci
ed i Latini, e il suo autore divenire ad un tratto sì sconosciuto, che
Stazio e Marziale alquanto più antichi di Luciano attribuissero la Batracomiomachia
ad Omero, e Plutarco quasi suo contemporaneo la citasse sotto il nome di Pigrete,
scrittore quattro secoli più antico di lui? È dunque necessario
supporre che l'autore della Batracomiomachia abbia vissuto molti anni avanti
Stazio, Marziale e Plutarco; ma nel tempo stesso può credersi che egli
abbia fiorito dopo Teocrito e Mosco. Ecco quanto con congetture e argomenti
può stabilirsi intorno allo scrittore del nostro poema.
Quanto allo scopo che egli si prefisse nel comporlo, noi lasceremo ai Conti
e ai Gebelin il seguire la opinione di Filippo Melantone, che si persuase aver
voluto il poeta con quello scherzo ispirare ai giovinetti l'odio delle sedizioni
e delle risse, e col far vincere le rane insegnare che sul capo degli autori
delle contese ricade il danno che essi volevano recare altrui. Più ingegnoso
è il pensamento di Pietro la Seine. Egli crede che il poeta voglia insinuare
ai giovani la temperanza nel vitto, sicuramente perché resta inferiore
nel combattimento la ghiottissima armata dei topi, avvezza a guerreggiare nelle
dispense e nelle cucine, e rimane vittorioso l'esercito delle rane che si contenta
di bever acqua, e non ama che cibi pitagorici. Daniele Heinsio dice che la Batracomiomachia
fu composta per uso ed esercizio della gioventù, affinché fosse
letta prima dei gravi poemi di Omero, e servisse come d'introduzione ai medesimi.
Giovanni le Clerc è di opinione ben diversa. Egli pensa che la Batracomiomachia
non sia che una perpetua beffa e una parodia dell'Iliade. Infatti è evidente
che quel poema è scritto ad imitazione di Omero e col suo stile, e che
vi si volgono in ridicolo molti pensieri e molte espressioni che Omero applica
alle cose più serie. Gonfiagote è il Paride, e Rodipane il Menelao
della Batracomiomachia. La descrizione delle armature dei topi e delle rane
è un'imitazione caricata delle tante di questo genere che si trovano
nell'Iliade. Giove, che vedendo prepararsi la battaglia, aduna gli Dei, è
appunto il Giove di Omero vestito con abiti da commedia, e le parlate dei Numi
contraffanno manifestamente quelle che Omero pone in bocca ai suoi Dei. Nella
Iliade, al cominciar della battaglia fra i Troiani, ed i Greci condotti da Achille,
Giove tuona, e Nettuno scuote la terra (29); e nella Batracomiomachia, dando
gli araldi e le zanzare il segnale del combattimento, Giove risponde col tuono.
La minuta descrizione dei diversi modi, coi quali i topi e le rane si feriscono
e si uccidono, è evidentemente tolta da Omero, che è stato lodato
da alcuni per la sua fecondità nell'immaginare infinite maniere di far
ferire e uccidere i suoi Eroi. Gonfiagote nella Batracomiomachia fugge da Rodipane,
come Paride da Menelao nell'Iliade (30). Rubatocchi è l'Achille della
Batracomiomachia. Egli è giovine e principe come il protagonista di Omero.
Le armate dei topi e delle rane combattono ambedue con egual successo: ma comparisce
Rubatocchi, e le rane son ridotte all'estremo. Così nel decimottavo dell'Iliade
comparisce Achille, e i Troiani si danno alla fuga. Giove nella Batracomiomachia
lancia la folgore nel campo per salvare le rane, come nell'ottavo dell'Iliade
la lancia per salvare i Troiani. È evidente che questo Giove e gli Eroi
della Batracomiomachia sono quelli dell'Iliade volti in ridicolo, e Le Clerc
sospetta che l'autore del nostro poema vi abbia posto esso stesso per istrazio
il nome di Omero, come per indicare che la guerra di Troia cantata da lui non
era più importante, né più degna dell'intervento degli
Dei che quella dei topi e delle rane. Forse i Grammatici poco maliziosi, o i
posteri poco informati, vedendo in fronte alla Batracomiomachia il nome di Omero,
e non trovando quel componimento indegno di lui, non pensarono più oltre,
e lo crederono suo parto legittimo. Tutto ciò, oltre che è proprio
a farci abbandonare la comune opinione che riguarda Omero come l'autore della
Batracomiomachia, può anche mostrare che essa non è nemmeno di
Pigrete, scrittore più antico di Mosco; poiché egli, al dir di
Suida (31), raddoppiò l'Iliade, aggiungendo a ciascun verso di questa
un suo pentametro, dal che apparisce che egli era pieno di venerazione per quel
poema, e ben lontano dallo schernirlo empiamente e contraffarlo.
Come però il far dei bei poemi non fu privilegio esclusivo di Omero,
e il non appartenergli non scema un apice del pregio vero di un'opera, la Batracomiomachia,
tuttoché probabilmente di altro autore, è bellissima, e tutte
le età si sono accordate nell'ammirarla e nel vantarne le prerogative.
Molti poeti si sono anche studiati d'imitarla; e noi abbiamo in greco una Galeomiomachia,
ossia battaglia dei topi e di un gatto, che dopo aver combattuto per qualche
tempo, finalmente rimane ucciso da una trave che gli cade sopra. Elisio Calenzio,
poeta del secolo decimoquinto, nativo del Regno di Napoli, molto stimato dal
Pontano e dal Sannazaro, scrisse in versi latini tre libri della guerra dei
topi e delle rane. Teofilo Folengo tanto conosciuto sotto il nome di Merlino
Coccai, compose in verso elegiaco Maccheronico la Moschea, ossia la guerra delle
mosche e delle formiche che rimangono vittoriose. Così pure Giovanni
Possel, Gabriele Rollenhagen, e molti altri imitarono la Batracomiomachia, tra
i quali il Pozzi che arricchì del grazioso episodio della guerra fra
le donnole e gli scoiattoli il suo canto quarto del Bertoldo. È visibile
che dalla Batracomiomachia fu tolto in parte il pensiero di quell'antica favola
che presso il Burman nell'Appendice alle Favole di Fedro si legge così:
Mus, quo transire posset flumen facilius,
Auxilium ranae petit. Haec muris adligat
Lino priorem crus ad posterius pedem.
Amnem natantes vix medium devenerant,
Cum rana subito fundum fluminis petens,
Se mergit, muri ut vitam eriperet perfide.
Qui dum, ne mergeretur, tendit validius;
Praedam conspexit milvius propter volans,
Muremque fluctuantem rapuit unguibus,
Simulque ranam colligatam sustulit.
Sic saepe intereunt aliis meditantes necem.
Suida (32) annovera tra le opere dubbie di Omero l'Aracnomachia, ossia la Guerra
de' ragni; la Psaromachia, ossia la Guerra degli stornelli e la Geranomachia,
ossia la Guerra delle gru, probabilmente coi pigmei. Se questi poemi ci fossero
pervenuti, potremmo giudicare se essi fossero veramente di Omero, o fatti ad
imitazione della Batracomiomachia, o se questa piuttosto sia un'imitazione di
quelli.
Dicesi che Eustazio commentasse oltre l'Iliade e l'Odissea, anche la Batracomiomachia,
ma il suo Commento sopra quest'ultima non si è mai trovato. Demetrio
Zeno di Zacinto, vissuto nel secolo decimosesto, trasportò la Batracomiomachia
in versi politici greco-barbari. La sua versione fu pubblicata dal Crusio.
È tempo omai di parlare della mia traduzione. La Batracomiomachia era
stata già più volte recata in versi italiani. Le traduzioni di
Giorgio Summariva (33) di Carlo Marsupini (34), di Lodovico Dolce (35), di Federico
Malipiero (36), del Salvini (37), di Angelo Maria Ricci (38), dell'Ab. Antonio
Lavagnoli (39), di Antonio Migliarese (40), e di Marcantonio Pindemonte sono
impresse. Quella di Giovanni da Falgano esiste inedita in Firenze nella Magliabechiana.
La Guerra dei topi e dei ranocchi, poema in ottava rima, diviso in sei canti,
e recitato in sei sere consecutive nel 1519 all'Accademia del Paiuolo in Firenze
dal famoso pittore Andrea del Sarto, pubblicata per la prima volta in Firenze
nel 1788 con previo avvertimento di Francesco Redi, e con prefazione ed utili
e dotte note dell'editore sì all'avvertimento che al poema, non può
in alcun modo dirsi traduzione della Batracomiomachia, come la chiama l'editore.
Esso non è che la Guerra dei topi e delle rane cantata sulle tracce del
poeta greco.
Il Rubbi diede sopra tutte le traduzioni italiane della Batracomiomachia la
preferenza a quella del Lavagnoli. Ma questa, a dir vero, non è che una
fredda e quasi letterale interpretazione del testo greco, fatta coll'originale
e col Rimario alla mano, in versi poco eleganti, e con rime stentate e spiacevoli.
Leggendone il primo verso senza saper nulla del titolo, si conosce tosto che
esso appartiene ad una traduzione, tanto questa è lontana dall'aver l'aria
di un componimento originale. Insomma la traduzione del Lavagnoli, che pure,
a giudizio del Rubbi, è migliore di tutte le versioni italiane dello
stesso poema, e che questo scrittore chiama bellissima, a me par quasi al di
sotto del mediocre. Giudicando dunque che una nuova traduzione della Batracomiomachia
potesse non essere inutile all'Italia, e risoluto di provarmi io stesso a lavorarla,
cominciai dallo scegliere il metro. Il Marsupini avea adoprato il verso esametro
italiano, forse perché il maggior ridicolo del poema consistesse nel
metro; il Ricci le sestine anacreontiche, quasi la Batracomiomachia fosse un'ode,
o una canzone; il Summariva e il Lavagnoli le terzine, che danno alla Batracomiomachia
l'aspetto di un Capitolo del Fagiuoli, o del Berni. Il Dolce e Giovanni da Falgano
si servirono dell'ottava rima, ma per le difficoltà che porta seco questo
metro, le quali probabilmente mi avrebbono obbligato a comporre piuttosto che
tradurre, o a servirmi di rime stiracchiate che io abborro come nemiche capitali
della bellezza della poesia, e del piacere dei lettori, lo abbandonai, e scelsi
le sestine endecasillabe, dei vantaggi delle quali, dopo l'uso felicissimo che
hanno fatto di loro parecchi poeti, e singolarmente l'Ab. Casti, non può
più dubitarsi. Tradussi non letteralmente, come il Lavagnoli, ma pur
tradussi, e fui ben lontano dal fare un nuovo poema, come Andrea del Sarto.
Cercai d'investirmi dei pensieri del poeta greco, di rendermeli propri, e di
dar così una traduzione che avesse qualche aspetto di opera originale,
e non obbligasse il lettore a ricordarsi ad ogni tratto che il poema, che leggea,
era stato scritto in greco molti secoli prima. Volli che le espressioni del
mio autore, prima di passare dall'originale nelle mie carte, si fermassero alquanto
nella mia mente, e conservando tutto il sapor greco, ricevessero l'andamento
italiano, e fossero poste in versi non duri e in rime che potessero sembrare
spontanee. Finalmente divisi la mia traduzione in quattro canti, non perché
di questa divisione si trovi o possa trovarsi alcun vestigio nell'originale,
ma solo perché essa mi parve acconcia a distinguere e fare osservare
le principali parti dei poema. Nel primo canto si narra la cagione della guerra,
nel secondo se ne descrivono i preparativi, il terzo comprende il cominciamento,
e gran parte della battaglia, il quarto la catastrofe e il fine della guerra.
Chi non approvasse questa divisione potrà unire insieme e leggere tutti
seguitamente i quattro Canti, senza essere obbligato a fare alla traduzione
il più piccolo cangiamento (41).
(1) Paradoxon dicere volo, licet verear nasutos censores, vel momos. Batrachomyomachia
videtur mihi nobilior, propiorque perfectioni, quam Odyssea et Ilias; immo utramque
superat judicio ac ingenio, et præstantia texturæ, cum sit poema
ludicrum excellens. - Gaddi, De Scriptoribus non Ecclesiasticis.
(2) Martialis, Epigram. Lib. XIV. Epigr. 183.
(3) Fulgentius, Mytholog. Lib. 1.
(4) Sed et Culicem legimus, et Batrachomyomachiam etiam agnoscimus. Nec quisquam
est illustrium poetarum, qui non aliquid operibus suis stilo remissiore præluserit.
Statius, Silv. Lib. 1, in præf. ad Stellam.
(5) Tzetzes, Iliad. interpret. alleg. ap. Bentley Epist. ad Jo. Milium.
(6) Labbé, Biblioth. nov. mss. librorum.
(7) Proclus, in Vita Homeri.
(8) Scholiastes Sophoclis, ad Antigon. vers. 102.
(9) Scho1iastes Euripidis, ad Orest. vers. 786.
(10) Apollonius Dyscolus, De Syntaxi part. orat.
(11) Suidas, in Lex. art. Homeros.
(12) Idem, l. c. art. Pígres
(13) Plutarchus, De Herodoti malignitate.
(14) Stephanus, Schediasm. Lib. vi, Sched. 22.
(15) Labbé, Biblioth. nov. mss. lib.
(16) Nunnes, ad Phrynich. Dictiones Attic.
(17) Fabricius, Biblioth. Græc. Lib. II, cap. 2, § 1, edit. vet.
* Le parole greche presenti nel testo sono state traslitterate (nota per l'edizione
elettronica Manuzio)
(18) Le combat des grenouilies et des rats est fort douteux, aussi bien que
ses hymnes à Apollon, à Mercure et à quelques autres Dieux.
Les plus savans critiques estiment que ces ouvrages ne sont pas de lui. - Dacier,
Vie d'Homère.
(19) Bergler, Præf. ad Hom. edit. Wetsten. tom. II, pag. 14 seq.
(20) Cesarotti, Iliade, Ragionamento preliminare part. 1, sez. 5.
(21) Athenæus, Deipnosophist. Lib. XIV.
(22) Plautus, Bacchid. Act. IV, Scen. 8, vers. 46 seq.
(23) Fabricius, Biblioth. Græc. Lib. II, cap. 2, part. 1, edit. vet.
(24) Plutarchus, in Vita Agesilai.
(25) Dacier, Vie d'Homère.
(26) Gronovius, Thes. Antiquit. Græc. T. II, num 21.
(27) Pseudo-Didymus, Schol. ad Hom. II, Lib. II.
(28) Strabo, Geograph. Lib. XIII.
(29) Homerus, Iliad. Lib. xx, vers. 56 seq.
(30) Idem, l. c. Lib. III, vers. 30 seq.
(31) Suidas, in Lex, art. "pígres".
(32) Suidas, l. c. art. "hómeros".
(33) Verona, 1470, in-4.
(34) Parma, 1492, in-4.
(35) Venezia, 1543, in-4.
(36) Ivi, 1642, in-12.
(37) Firenze, 1723, in-8.
(38) Ivi 1741, in-8.
(39) Venezia, 1744, in-4.
(40) Napoli, 1763, in-8.
(41) Anche Giovanni Ricolvi trasportò in italiano la Batracomiomachia,
e la sua traduzione fu stampata in Torino nel 1772 con altri suoi opuscoli postumi.
La nuova versione dello stesso poema del sig. Camillo Acquacotta, pubblicata
in Matelica nel 1802, è molto fedele, e contuttociò non servile,
ed è composta di sciolti molto armoniosi, onde mi meraviglio che alla
lima dell'autore sia sfuggito quel verso:
Ospite, del cibo tuo troppo ti vanti.
Ma un poema burlesco italiano senza rime, ha un gran difetto, o almeno manca
di un gran pregio.